Appunti sull'ammissione dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria

22 Maggio 2012

Le imprese insolventi possono essere ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi del d. lgs. n. 270/1999, a condizione che presentino concrete possibilità di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali.Il risanamento dell'impresa può realizzarsi, alternativamente, attraverso un programma di ristrutturazione dell'attività o mediante un programma di cessione dei complessi aziendali.L'Autore si sofferma, quindi, ogni aspetto della procedura de quo: la dichiarazione dello stato d'insolvenza, da cui sorge il periodo di osservazione, la relazione del commissario giudiziale, il parere del Ministero, lo spazio riservato alle osservazioni dei creditori e, infine, sulla fase conclusiva del procedimento, consistente in un giudizio del Tribunale sulla risanabilità economica dell'impresa, che costituisce valutazione autonoma rispetto a quella sull'insolvenza.Da ultimo vengono analizzate le più recenti novità legislative, nell'ottica di una progressiva riforma e unificazione delle procedure di amministrazione straordinarie.
Le concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico

L'

articolo 27

d.l

gs. n. 270/1999

dispone che le imprese dichiarate insolventi a norma del precedente art. 3 sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria quando presentino concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali.

In tal modo è stabilita una precisa condizione, che segna una discontinuità tra giudizio sull'insolvenza e giudizio sulla risanabilità. Alla dichiarazione d'insolvenza non segue immediatamente ed automaticamente l'ammissione alla procedura; per questo risultato si richiede un nuovo e diverso giudizio, concernente la risanabilità economica dell'impresa.

È importante sottolineare che l'istruttoria per tale secondo giudizio si conduce nel c.d. “periodo di osservazione”, durante il quale il commissario giudiziale potrà svolgere il suo lavoro proprio al fine di fornire al tribunale gli elementi necessari per decidere.

Può dunque stabilirsi un primo punto fermo: nel momento in cui il tribunale esprime il giudizio sull'insolvenza non valuta insieme la risanabilità economica dell'impresa; pertanto, quest'ultimo profilo non entra effettivamente in gioco nella decisione.

In realtà, la dottrina si è interrogata sul rapporto intercorrente tra giudizio d'insolvenza e successivo giudizio di risanabilità, giungendo in primo luogo ad affermare la sussistenza di un autonomo e specifico concetto di insolvenza rilevante nella fattispecie in esame e, in secondo luogo, ad opinare dei vincoli decisori relativi alla risanabilità già operativi nel giudizio sull'insolvenza: nel senso che il tribunale dovrebbe dichiarare non l'insolvenza, ma il fallimento qualora già subito si avvedesse di una condizione di irrecuperabilità manifesta dell'equilibrio economico dell'impresa.

Entrambi gli spunti interpretativi non hanno avuto né seguito teorico, né conseguenza sulla pratica. Il primo, perché diretto a stabilire confini interni ad un concetto per sua natura scarsamente netto ed altamente problematico quale è quello di “insolvenza”. Il secondo, perché volto a condizionare la preliminare fase di osservazione ad una decisione del tribunale estesa anche a profili fatti legalmente oggetto di uno scrutinio successivo (BORTOLIN, L'apertura della procedura di amministrazione straordinaria: i requisiti sostanziali, in L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza dopo il

d.lgs. 12.9.2007, n. 169

, a cura di Costa, Torino, 2008, 178).

Ma, preme segnalarlo per la continuità del discorso che si va svolgendo, le opinioni ora accennate e anche criticate possono essere comprese adeguatamente soltanto tornando nuovamente a considerare gli interessi coinvolti nella procedura e, in particolare, l'interesse dei creditori. Opinare una fattispecie di insolvenza “reversibile” o comunque non definitiva e perciò concettualmente non incompatibile con un'idea di “risanamento economico” è un modo come un altro di porre in rilievo l'interesse dei creditori, limitando il rimedio dell'amministrazione straordinaria alle imprese effettivamente risanabili. Allo stesso obiettivo è pure visibilmente diretta l'opinione che include nel giudizio sull'insolvenza anche il preliminare vaglio sulla risanabilità.

E in effetti, se dalla generale indicazione sulle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico quale condizione per l'ammissione alla procedura si trascorre a considerare i percorsi legalmente stabiliti per l'obiettivo, ci si avvede che la severità della condizione è solo apparente.

Come meglio si vedrà, il recupero dell'equilibrio economico può conseguirsi, alternativamente, attraverso un programma di ristrutturazione dell'attività o anche attraverso un programma di cessione dei complessi aziendali (cfr.

art. 27, comma 2,

d.l

gs. n. 270/1999

). Per l'equivalenza così stabilita, quando non sia da escludersi la possibilità della cessione possono pure ritenersi sussistenti le possibilità di un recupero dell'equilibrio economico; in tal modo il giudizio sull'ammissione alla procedura assumerebbe nella maggior parte dei casi un esito praticamente scontato, vanificando in concreto la portata dell'innovazione legislativa (RONDINONE, in La nuova disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a cura di Castagnola, Sacchi, Torino, 2000, 173).

Per un argomento ulteriormente persuasivo, condizionare l'apertura della procedura alla sussistenza di concrete possibilità di recupero dell'equilibrio economico vale soltanto ad escludere che la procedura possa avviarsi in assenza di quelle concrete prospettive. La condizione di apertura, in altri termini, non tiene in conto l'interesse dei creditori, ma esclusivamente la praticabilità del risanamento. Appurata la concretezza della prospettiva recuperatoria dell'equilibrio economico nessun vaglio ulteriore è previsto; in particolare, non è previsto che si valuti l'incidenza della procedura sui diritti dei creditori. Dunque, la via del risanamento possibile non è ostacolata dal pregiudizio che potrebbe così arrecarsi all'interesse dei creditori. E infatti, a differenza del diritto ordinario della crisi d'impresa, non si rinvengono disposizioni che inibiscano la prosecuzione dell'attività in pregiudizio dei creditori; cfr. invece gli

artt.

104 l

.

f

all

. (sulla tutela dell'organizzazione d'impresa, ma solo compatibilmente con l'interesse dei creditori) e 104 bis, comma 1,

l

.

f

all

. (sull'affitto di azienda esclusivamente «al fine di una più proficua vendita

»).

Dietro queste considerazioni, diviene pertanto cruciale stabilire con esattezza la concezione di “risanamento” accolta nella legge.

Il risanamento dell'impresa tra ristrutturazione e cessione

Il generico riferimento al risanamento dell'impresa assume consistenza attraverso l'indicazione delle modalità alternativamente stabilite per tale risultato. Dispone infatti l'

art. 27

d.l

gs. n. 270/1999

che la ristrutturazione può conseguirsi, in via alternativa, tramite la cessione dei complessi aziendali sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno (c.d. “programma di cessione dei complessi aziendali”) o tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni (c.d. “programma di ristrutturazione”).

Con riguardo al programma di cessione, a seguito del

d.l.

28 agosto 2008, n. 134

conv. in

l.

27 ottobre 2008, n. 166

, va aggiunto che per le società operanti nei servizi pubblici essenziali la cessione può riguardare complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno (c.d. “programma di cessione di complessi di beni o contratti”).

Tali indicazioni vanno completate con il richiamo al precedente art. 1 che fissa, per l'obiettivo della conservazione del patrimonio produttivo, le possibili vie della prosecuzione, della riattivazione e della riconversione delle attività.

Dall'ampio spettro delle finalità di legge, mentre appare fortemente ridimensionata, giacché nemmeno espressamente citata, la tutela dei creditori, nemmeno risulta ben definita la superiore finalità della conservazione dell'impresa. Quest'ultima appare infatti perseguibile sia per mezzo della ristrutturazione nei termini di un effettivo risanamento economico dell'impresa con conseguente soddisfazione dei creditori, sia attraverso la cessione dei complessi aziendali a terzi, o anche con la cessione di complessi di beni e contratti, con soddisfazione dei creditori nei limiti dell'attivo ricavato.

Per questa duplice possibilità, la ristrutturazione dell'impresa non appare coincidere con un effettivo risanamento della stessa: tale risultato è infatti implicato solo dalla ristrutturazione economica e finanziaria, e dunque dal ritorno in bonis dell'imprenditore, ma non anche dalla semplice cessione dei complessi aziendali a soggetti terzi.

Una riconduzione ad unità del complesso finalismo ora descritto potrebbe aversi soltanto concependo la via della cessione dei complessi aziendali nell'ambito della più generale finalità del risanamento aziendale; perciò affermando che nello spazio della procedura di amministrazione straordinaria dovrebbe comunque realizzarsi il risanamento economico dell'impresa, a cui potrebbe conseguire o la restituzione della stessa all'imprenditore oppure la sua cessione a terzi (ALESSI, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Giuffrè, 2000, 7).

Una simile opinione è però difficilmente sostenibile alla luce del dettato legislativo, che non condiziona in alcun modo la cessione dei complessi aziendali alla risanabilità dell'impresa, ma pone la cessione stessa come modalità di risanamento. Il che ben si inscrive nella generale finalità dell'art. 1 della legge: laconservazione del patrimonio produttivo, ossia dell'impresa, e non il risanamento della stessa (FARENGA, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, Giuffrè, 2005, 43).

L'esperienza applicativa ha ampliamente dimostrato come la finalità della procedura sia assicurata anche dalla mera cessione dei complessi aziendali, a prescindere dal risanamento economico dell'impresa: e infatti la quasi totalità delle concrete procedure è stata definita attraverso programmi non di risanamento, ma di cessione.

Del resto, la severa opinione sull'amministrazione come procedura di risanamento economico dell'impresa vanifica alla radice lo scopo della legge: che si è visto essere di conservare le attività e non di far superare ai grandi imprenditori lo stato di insolvenza in cui sono precipitati.

In altri termini, la separazione concettuale tra imprenditore e impresa aiuta a comprendere la normativa in esame come destinata non al primo, ma alla seconda; come indifferente alle sorti del primo, perché preoccupata delle sorti della seconda. Va da sé che, in una simile dinamica, disinteressarsi delle sorti del debitore significa disinteressarsi anche delle sorti dei suoi creditori.

La relazione del commissario giudiziale

L'

art. 28

d.l

gs. n. 270/1999

dispone che, entro trenta giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, il commissario giudiziale deve depositare nella cancelleria del tribunale una relazione contenente la descrizione particolareggiata delle cause di insolvenza ed una motivata valutazione dell'esistenza delle condizioni stabilite dal precedente art. 27 per l'ammissione alla procedura.

Tale relazione costituisce l'atto con cui si definisce l'esperienza consumata nell'ambito del c.d. periodo di osservazione ed integra, perciò, il contributo fondamentale del commissario giudiziale alla procedura.

La relazione si compone di due momenti logicamente distinti: una parte descrittiva concernente la ricostruzione analitica delle cause che hanno determinato lo stato d'insolvenza; una parte valutativa concernente l'esistenza delle concrete prospettive di recupero secondo le alternative modalità della ristrutturazione e della cessione.

Evidentemente, l'individuazione e la descrizione delle ragioni della crisi e dell'insolvenza dell'impresa rivestono un'importanza fondamentale nell'economia della relazione, strutturando tutti i presupposti per la parte valutativa della relazione stessa, e dunque per l'argomentazione sulla esistenza o meno delle concrete prospettive di recupero, considerato sia lo stato attuale dell'impresa, sia i fattori determinativi di tale stato.

La complessità sotto il profilo aziendalistico della ricostruzione dell'insolvenza rende pienamente condivisibile l'idea che il commissario possa a tal fine chiedere ed ottenere di essere coadiuvato da esperti ai fini della più puntuale redazione del suo elaborato.

E tuttavia, pur essendo evidente la delicatezza della relazione commissariale in ordine alla prognosi sulla risanabilità dell'impresa, giacché un giudizio negativo preluderebbe alla dichiarazione di fallimento, non deve trascurarsi quanto già esposto: ossia che il risanamento dell'impresa può conseguirsi non soltanto attraverso un effettivo recupero economico e finanziario, ma anche attraverso la semplice cessione dell'azienda o, nei casi previsti, di complessi di beni e contratti.

Da questo punto di osservazione, un primo, agevole, giudizio discriminerà nel caso concreto l'ipotesi di ristrutturazione dall'ipotesi di cessione. Ciò avverrà sulla base del fondamentale criterio dell'indebitamento: maggiore sarà infatti l'indebitamento, minori saranno le possibilità di un effettivo ritorno in bonis dell'imprenditore.

Una volta sciolto tale dubbio, occorrerà valutare la possibilità di risanamento tramite cessione. Qui il commissario potrà essere agevolato già dalla presenza di offerte di acquisto, in sé stesse estremamente utili a confortare un giudizio di verosimiglianza sulla probabile cessione (Trib. Busto Arsizio, 16 giugno 2000, inedita e citata da GALIOTO, L'amministrazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, Giuffrè, 2003, 87); ma anche in assenza di tali riscontri il commissario potrà concludere per la prospettabilità della cessione sulla base di una valutazione argomentata sottoposta al giudizio del tribunale.

Deve in tal senso criticarsi l'atteggiamento giurisprudenziale che si mostra incline ad assegnare un peso decisivo nel giudizio sulla fattibilità della cessione alla presenza o meno di offerte di acquisto (Trib. Milano 18 aprile 2001; App. Milano 21 giugno 2001; inedite e citate da GALIOTO, 2003, 80).

Ovviamente potrebbe anche prospettarsi l'evenienza della praticabilità sia della ristrutturazione che della cessione; ed in effetti la prospettabilità della prima via comporta normalmente anche la praticabilità della seconda. In una simile evenienza, il commissario giudiziale potrà anche limitarsi ad indicare la percorribilità di entrambe le soluzioni, essendo ciò sufficiente ai fini del giudizio rimesso al tribunale: «Nella procedura di amministrazione straordinaria di cui al

d.lgs. n. 270 del 1999

, la scelta del tipo di recupero dell'equilibrio economico dell'impresa da parte del commissario straordinario non è vincolato alle valutazioni espresse dal commissario giudiziale nella relazione prevista dall'art. 28

» (

Trib. Torre Annunziata, 14 novembre 2001

).

Sembra anzi che una simile opzione sia da preferirsi all'indicazione di una delle due alternative, spettando non al commissario giudiziale, ma al commissario straordinario di effettuare la scelta di risanamento nel programma a lui spettante (art. 54 e ss.).

Dispone l'

art. 28,

comma 2

,

d.l

gs. n. 270/1999

che alla relazione devono essere allegati lo stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione. Dunque, oltre all'elenco dei creditori deve prospettarsi una ricostruzione sufficientemente puntuale della massa patrimoniale attiva e di quella passiva. Benché sia disposto che l'elencazione sia analitica e debba inoltre contenere la stima delle attività, la norma deve essere fruita in ragione della complessità del caso concreto che ne costituisce oggetto, non apparendo conforme a ragionevolezza di richiedere né un'esasperata analiticità della documentazione, né un'approfondita valutazione delle attività, bensì un quadro generale, descrittivo e valutativo, della realtà patrimoniale dell'impresa, funzionale allo scopo per cui tale contributo è previsto: la valutazione della praticabilità della via della cessione.

Dispone infine l'

art. 28

d.l

gs. n. 270/1999

che, sempre nel termine di trenta giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, il commissario trasmette una copia della sua relazione al ministero, depositando nella cancelleria del tribunale la prova dell'avvenuta ricezione. È altresì previsto che il cancelliere, entro ventiquattro ore dall'avvenuto deposito, affigga il relativo avviso. Ciò affinché l'imprenditore insolvente, i creditori e ogni altro interessato possano esercitare la facoltà di prendere visione della relazione e di estrarne copia.

Il parere del ministero

Entro dieci giorni dalla ricezione della relazione, il ministero deposita in cancelleria il suo parere circa l'ammissione dell'impresa insolvente all'amministrazione straordinaria; in mancanza, egualmente, il tribunale pronuncia sul punto con decreto (cfr.

art. 29

d.l

gs. n. 270/1999

).

Un primo dato chiaramente evincibile dalla disciplina concerne il rapporto di strumentalità che corre tra relazione del commissario giudiziale e parere ministeriale, nel senso che la relazione del commissario costituisce la base operativa su cui può svolgersi la valutazione amministrativa. Anche la valutazione del ministero, in ogni caso, svolge una funzione strumentale, essendo indirizzata - allo stesso modo della relazione commissariale - al tribunale quale autorità a cui è demandata la decisione sulla apertura della procedura.

Mentre la relazione commissariale si articola su valutazioni di fattibilità del risanamento in una prospettiva prettamente aziendalistica, invece il parere amministrativo esprime una valutazione orientata secondo criteri politico-amministrativi e indirizzata a una soluzione socialmente sostenibile della crisi di impresa; né potrebbe essere altrimenti, perché verrebbe meno la ragione della previsione dell'intervento della p.a

. nella crisi della grande impresa.

Ciò posto, è importante rimarcare la strumentalità del parere amministrativo rispetto alla decisione giudiziaria. In tal senso, può approfondirsi che il parere del ministero è certamente obbligatorio (essendo previsto il dovere e non la facoltà di rilasciarlo); e, inoltre, non necessario (essendo previsto il potere del tribunale di provvedere anche quando detto potere non venga rilasciato); e ancora, non vincolante (non essendo il tribunale tenuto a pronunciarsi nei termini del parere amministrativo).

Proprio quest'ultimo profilo è essenziale per inquadrare convenientemente la questione sulla natura giuridica dell'atto e sul regime impugnatorio ad esso eventualmente riferibile.

Sulla premessa della natura amministrativa dell'autore dell'atto e della tipologia dell'atto medesimo potrebbe sostenersi la qualificazione dell'atto come parere amministrativo, per propugnarne l'impugnabilità davanti al giudice amministrativo. Sennonché, appare dirimente la già segnalata funzione meramente strumentale dell'atto, inidoneo a definire l'assetto degli interessi in gioco. Poiché la decisione sull'ammissione alla procedura è in definitiva assunta dal tribunale, sarebbe in effetti molto difficile convenire sull'autonoma impugnabilità di un parere meramente consultivo.

Le osservazioni dei creditori

Nei dieci giorni successivi all'affissione dell'avviso inerente al deposito della relazione, l'imprenditore insolvente, i creditori e qualunque altro interessato hanno facoltà di depositare osservazioni scritte in cancelleria (cfr.

art. 29 D.Lgs. n. 270/1999

).

Per questa previsione, è costituito un altro elemento di giudizio di cui il tribunale deve temer conto: la valutazione dei creditori sull'opportunità di aprire la procedura di amministrazione straordinaria.

Si tratta di valutazioni che, provenendo da appartenenti al ceto creditorio, saranno verosimilmente determinate dall'intensità della corrispondenza dell'indirizzo del commissario all'interesse dei creditori. In tal modo, il contributo dei creditori bilancia in qualche misura la valutazione amministrativa consentendo una più compiuta rappresentazione degli interessi in gioco.

Ai creditori non è richiesto un parere, la redazione del quale avrebbe peraltro comportato la previa definizione di un organo esponenziale degli interessi di ceto, ma semplici osservazioni rimesse all'iniziativa individuale. Queste sono pertanto connotate dal carattere dell'eventualità e, ovviamente, non vincolatività per il tribunale.

Proprio la previsione della mera possibilità di presentare osservazioni conferma la modesta consistenza della voce dei creditori e la ridotta tutela dei loro interessi nella procedura di amministrazione straordinaria.

Il procedimento

Sotto il profilo processuale, la disciplina si presenta determinata dalla trattazione scritta e dunque non esplicativa del generale principio dell'oralità; tuttavia si articola in forme snelle, improntate al rispetto del principio del contraddittorio, ma con specifica attenzione ad evitare ogni appesantimento non necessario.

Si è visto che, per l'

art. 28,

d.l

gs. n. 270/1999

, entro trenta giorni dalla dichiarazione dello stato di insolvenza il commissario giudiziale deve depositare nella cancelleria del tribunale la sua relazione, trasmettendone copia al ministero (a cui spetta di depositare in cancelleria il proprio parere motivato); i creditori e qualunque interessato possono depositare in cancelleria le proprie osservazioni.

Occorre adesso aggiungere che tutti i termini per detti adempimenti, in quanto previsti in un procedimento, hanno natura processuale e sono pertanto soggetti alla disciplina di cui agli

artt. 152 e ss. c.p.c

.

Peraltro, si ritiene comunemente che il termine stabilito per il commissario giudiziale possa essere prorogato dal Tribunale in considerazione delle particolari circostanze del caso concreto (CANNONE, L'apertura della procedura di amministrazione straordinaria: i profili processuali, in L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza dopo il

d.lg. 12.9.2007, n. 169

, a cura di Costa, Torino, 2008, 251).

Sia nell'ipotesi di apertura dell'amministrazione straordinaria, sia, in mancanza dei relativi presupposti, nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento, il tribunale provvede con decreto motivato, entro trenta giorni dal deposito della relazione, previa considerazione del parere e delle osservazioni depositati oltre che degli eventuali accertamenti disposti.

La forma del decreto si comprende in ragione della già intervenuta sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza. Rispetto a tale provvedimento, il decreto è meramente consequenziale, restringendosi la cognizione alla decisione sul trattamento da riservare all'accertata insolvenza: liquidazione o conservazione dell'impresa. Il termine di trenta giorni ha natura ordinatoria, cosicché il suo mancato rispetto non incide sulla validità del provvedimento: «Il decreto motivato con il quale il tribunale, ai sensi dell'art. 30 d.lgs. 8 luglio 1991, n. 270, dispone l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria o dichiara il fallimento, non è nullo ove sia emesso oltre il termine di trenta giorni (previsto dallo stesso articolo) dal deposito della relazione del commissario, atteso che detto termine non è perentorio

» (

Cass. 15 luglio 2004, n.13120

; ALESSI, 2000, 5). Come del resto è reso ovvio dalla più generale e comune consapevolezza, secondo cui il termine di rito per l'emanazione del provvedimento giudiziale non è mai perentorio.

Il provvedimento è comunicato dal cancelliere, entro il giorno successivo al suo deposito, nelle forme di cui all'

art. 137 c.p.c.

, al debitore, anche nel domicilio eletto nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, nonché per estratto - contenente indicazione del debitore, del curatore o del commissario giudiziale della statuizione nonché della data di deposito -

ex

art 136 c.p.c.

, al pubblico ministero, al curatore, al fallito ed al richiedente il fallimento, nell'ipotesi di dichiarazione di quest'ultimo ovvero al commissario giudiziale, all'imprenditore insolvente ed al creditore istante, ove venga disposta l'amministrazione straordinaria; detto provvedimento è altresì comunicato dal cancelliere alla Regione ed al Comune in cui l'impresa ha sede principale, nonché, entro tre giorni, al ministro dello Sviluppo Economico.

Il menzionato decreto è inoltre annotato presso l'ufficio del registro delle imprese ove è la sede legale dell'impresa e, in caso di sua diversità rispetto alla sede effettiva, anche presso il medesimo ufficio, tuttavia competente per il luogo di apertura della procedura.

Infine, il più volte citato decreto è ulteriormente affisso con l'inserimento in rete informatica accessibile al pubblico.

Con il decreto che dichiara il fallimento sono nominati giudice delegato e curatore, con conseguente cessazione dell'attività degli organi di cui alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, salvo quanto disposto dall'

art. 34 del

d.l

gs. n. 270/1999

. Dunque, il commissario giudiziale decade dalla propria funzione dovendo cedere il posto al curatore fallimentare. Allo stesso modo decade il giudice delegato.

Quest'ultimo effetto può suscitare perplessità ove si consideri la difficoltà di rinvenire una chiara ragione per la sostituzione del giudice delegato. In effetti, usualmente il tribunale conferma il giudice delegato nelle sue funzioni. Allo stesso modo si procede per il commissario giudiziale, che viene nominato curatore fallimentare. Questa soluzione della prassi evita la perdita del patrimonio informativo ed operativo già maturato sul caso specifico da questi soggetti.

Invece, con il provvedimento di apertura della procedura di amministrazione straordinaria, il Tribunale emana ovvero conferma i provvedimenti opportuni al fine della continuazione dell'esercizio dell'impresa mediante gestione del commissario giudiziale, sino alla sua sostituzione con il commissario straordinario che sarà nominato. L'eventuale gestione dell'impresa rimessa allo stesso debitore ai sensi dell'

art. 8, lett. f),

d.l

gs. n. 270/1999

non può proseguire ulteriormente: l'apertura della procedura determina pertanto il completo e definitivo spossessamento del debitore.

I decreti emessi ai sensi dell'

art. 30

d.l

gs. 270/1999

sono soggetti a reclamo, che tuttavia non ne sospende l'esecuzione, dinanzi alla corte d'appello, entro quindici giorni dalla data della comunicazione, se proposto dal ministero, dall'imprenditore insolvente o dal creditore istante, ed invece da quella della affissione per qualsiasi ulteriore interessato.

Essenzialmente, i motivi di reclamo possono incentrarsi sulla scelta del tribunale di avviare la liquidazione fallimentare ovvero aprire la via all'amministrazione straordinaria. Non possono costituire motivi di reclamo quelli deducibili o dedotti con l'opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

Il procedimento di reclamo è retto dalle norme generali sui procedimenti camerali e si chiude con provvedimento emesso in camera di consiglio previa audizione dei soggetti indicati dall'

art. 33, comma 1

,

d.l

gs. n. 270/1999

oltre che del commissario giudiziale, anche ove già cessato dalle funzioni, del commissario straordinario, se già nominato, oppure del curatore, in dipendenza del decreto impugnato, di apertura dell'amministrazione straordinaria o di dichiarazione di fallimento.

La pendenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza non è causa di sospensione

ex art. 295 c.p.c.

del procedimento di reclamo.

In caso di accoglimento del reclamo, la corte rimette d'ufficio gli atti al tribunale per i provvedimenti di cui agli

artt. 30,

31

e

32 del

d.l

gs. n. 270/1999

, in conformità con la statuizione resa, fermi restando, comunque, gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura.

Il provvedimento di rimessione degli atti al tribunale ha natura ordinatoria ed efficacia immediatamente esecutiva: la prima emerge dal tenore letterale della relazione ministeriale nella parte riguardante l'art. 33 della legge che disciplina la procedura di amministrazione straordinaria, ove si legge di provvedimento latu sensu “ordinatorio”; la seconda può evincersi dal passaggio normativo contenuto nel sesto comma dell'art. 33 citato, laddove, in seguito all'accoglimento del reclamo, è disposta - senza soluzione di continuità - la rimessione degli atti al tribunale per l'adozione dei provvedimenti conformi e conseguenti (

Trib. Bari, 16 marzo 2005

).

È altresì ritenuto dalla stessa giurisprudenza che il richiamo dell'art. 33, comma 6, al precedente art. 30 consenta al tribunale di rinvio di procedere ad ulteriori accertamenti sulla persistenza o meno delle condizioni già acclarate dalla corte di appello per l'apertura della conseguente procedura concorsuale; ciò sulla base del principio, sorretto da logica ineccepibile, che la valutazione in merito deve essere contestuale al provvedimento che determina la tipologia della procedura concorsuale da svolgere.

Tale orientamento, in astratto certamente condivisibile, potrebbe comunque suscitare qualche perplessità. Se infatti non v'è dubbio che l'esame circa l'esistenza delle condizioni di ammissione dell'impresa all'amministrazione straordinaria debba essere contestuale all'emissione del conseguente provvedimento, tuttavia il chiaro disposto dell'art. 33, comma 6, circoscrive la portata del decreto del tribunale di rinvio all'ambito meramente attuativo di quello già pronunciato dalla corte di appello, che unicamente decide in merito alla procedura da intraprendere, dovendosi pertanto ritenere che il richiamo effettuato non comprende la norma che attribuisce, all'ufficio giudiziario, la prerogativa degli “ulteriori accertamenti”, così spendibile soltanto in sede di emissione del decreto reclamabile. Del resto, in difetto, dovrebbe constatarsi la situazione paradossale, secondo cui il provvedimento emesso dalla corte d'appello quale giudice di secondo grado potrebbe essere rimosso, o quanto meno esautorato, ex officio, da quello del tribunale, giudice di primo grado e di rinvio. Ciononostante, appare certamente apprezzabile la preoccupazione del tribunale di Bari di rendere aderente la decisione alla realtà sostanziale e processuale definitivamente accertata, e dunque comprensiva anche di fatti nuovi e sopravvenuti, come tali inevitabilmente ignorati dalla corte d'appello.

La natura ordinatoria del provvedimento pronunciato in sede di reclamo esclude che esso possa essere assoggettato a ricorso per cassazione ai sensi dell'

art. 111 Cost.

. Le perplessità pur rinvenibili sul punto, e riferite ad una pretesa natura decisoria del provvedimento, non appaiono giustificate; in particolare, non appare condivisibile che detto provvedimento incida i diritti soggettivi dei creditori, a cui resta sottratta la via dell'esecuzione individuale, giacché tale effetto va prima ancora ricondotto alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

Ove il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria ovvero quello di dichiarazione di fallimento vengano pronunciati nella pendenza del giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza, il commissario straordinario oppure il curatore, secondo la procedura concorsuale avviata, possono intervenire in tale giudizio in sostituzione del commissario giudiziale; in difetto di intervento il processo continua con il commissario giudiziale, permanendo comunque la facoltà delle parti alla chiamata in giudizio di tali potenziali interventori.

Nell'ipotesi in cui alla data di emissione dei suddetti decreti non sia ancora spirato il termine per l'opposizione alla sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza, l'atto introduttivo del giudizio dovrà essere notificato al commissario straordinario, se già nominato, ovvero al curatore, anziché al commissario giudiziale.

Egualmente, può aversi il predetto intervento sostitutivo negli ulteriori giudizi pendenti alla data dei suddetti decreti, con le medesime conseguenze e facoltà processuali in assenza di intervento (

art. 34

d.l

gs. n. 270/1999

).

La speciale disciplina del c.d. intervento “in sostituzione” mira ad evitare l'usuale conseguenza dell'interruzione del processo e della successiva riassunzione: si giustifica pertanto nell'ottica della celerità del procedimento.

Conversione del fallimento in amministrazione straordinaria

Il mero accertamento, in capo all'impresa fallita, dell'esistenza delle condizioni per l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, non determina, per se stesso, la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento ritualmente pronunciata.

In seguito, tuttavia, al passaggio in giudicato della sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento - emessa in ragione del suddetto accertamento - il tribunale della dichiarazione di fallimento, se non sia già conclusa la liquidazione dell'attivo, emette decreto contenente invito al curatore sia al deposito in cancelleria, sia alla trasmissione al ministero di una relazione in merito alla ricorrenza o meno delle condizioni di cui all'

art. 27 del

d.l

gs. n. 270/1999

.

Entro trenta giorni dal deposito, il tribunale, con decreto motivato, converte il fallimento in amministrazione straordinaria, oppure dichiara la carenza dei requisiti per procedervi.

Alla conversione della procedura concorsuale, segue, ove compatibile, l'applicazione delle norme di cui agli artt. 28, 4° e 5° comma; 29, 30, 2° comma; 33, da leggersi con riferimento alla figura giuridica del curatore in luogo di quella del commissario giudiziale.

La procedura di amministrazione straordinaria è residualmente disciplinata, per quanto non disposto dal

d.l

gs. n. 270/1999

ed ove compatibile, dalla normativa inerente alla liquidazione coatta amministrativa, da leggersi con riferimento alla figura giuridica del commissario straordinario, in luogo di quella del commissario liquidatore.

Apertura della procedura secondo la ‘Legge Marzano'

Proprio nella fase di apertura si evidenzia la chiara differenza che corre tra il sistema stabilito nella procedura c.d. “comune” e quello stabilito nella procedura c.d. “speciale”: mentre nella prima la decisione sull'apertura della amministrazione straordinaria è rimessa al tribunale, invece nella seconda è rimessa al ministero.

Questa differenza segna essenzialmente l'intera disciplina dell'amministrazione straordinaria “speciale” e vale a riempire di contenuto la qualificazione di specialità, essendo quest'ultima determinata dall'elevato carattere amministrativo che la procedura viene ad assumere.

Benché nella relazione alla

legge 18 febbraio 2004, n. 39

, di conversione del

d.l.

23 dicembre 2003, n. 347

, si legge che l'essenziale ragione della nuova disciplina sia nell'esigenza di celerità della decisione posta dall'insolvenza delle grandi imprese, difficilmente compatibile con i tempi di decisione del tribunale, si scorge chiaramente come la vera ragione della amministrativizzazione della procedura sia di consentire un pieno controllo amministrativo sulle insolvenze commerciali di maggiori dimensioni.

Basti, infatti, riflettere a come l'esigenza di speditezza sarebbe potuta essere facilmente raggiunta attraverso una riforma della struttura della cosiddetta fase di osservazione giudiziale, e al limite anche attraverso la soppressione della stessa, ma dietro conservazione dei poteri del tribunale in ordine alla decisione di apertura della procedura. Invece, alla soppressione della fase di osservazione si è accompagnata l'attribuzione del potere di decidere l'apertura della procedura direttamente in capo al ministro, riservando al tribunale esclusivamente il compito di accertare lo stato d'insolvenza dell'impresa già ammessa per decreto ministeriale alla procedura di amministrazione straordinaria.

In dettaglio, vale la seguente disciplina.

L'impresa in possesso dei requisiti dimensionali stabiliti nell'

art. 1

d.l.

n. 347/2003

può richiedere al ministro dello Sviluppo Economico l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria per il conseguimento degli obiettivi di risanamento economico secondo quanto stabilito dall'

art. 27

d.l

gs. n. 270/1999

.

La domanda deve essere motivata e corredata da adeguata documentazione.

Contestualmente l'impresa richiedente deve presentare ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza al tribunale del luogo in cui ha la sede principale.

Con proprio decreto il ministro valuta la sussistenza dei requisiti per l'ammissione e, rinvenendone la presenza, decide per l'ammissione immediata dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, provvedendo anche alla nomina del commissario straordinario.

Il decreto ministeriale determina lo spossessamento del debitore e l'affidamento al commissario straordinario della gestione dell'impresa e dell'amministrazione dei beni dell'imprenditore insolvente; determina infine gli effetti stabiliti dalla

legge fallimentare

per il fallito.

Nelle controversie anche in corso relative ai rapporti patrimoniali dell'impresa sta in giudizio il commissario straordinario.

Il decreto ministeriale è comunicato immediatamente al tribunale territorialmente competente (

art. 2

d.l

. n. 347/2003

).

Il tribunale, con sentenza pubblicata entro 15 giorni dalla comunicazione, eventualmente sentiti il commissario straordinario e il debitore, dichiara lo stato d'insolvenza e assume i provvedimenti conseguenti.

Qualora il tribunale respinga la richiesta di dichiarazione dello stato d'insolvenza ovvero accerti l'insussistenza dei requisiti di ammissione, gli effetti del decreto ministeriale cessano, ma restano in ogni caso salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura (

art. 4, commi 1 e 1

bis,

d.l

. n. 347/2003

).

Il procedimento ora descritto solleva molteplici perplessità sulle quali si interroga la dottrina.

Vale la pena di segnalare, innanzitutto, che, nonostante le proclamate esigenze di celerità, per il decreto di apertura non è disposto alcun termine; cosicché deve ritenersi operativa la regola generale del termine massimo di trenta giorni dal ricevimento dell'istanza secondo quanto stabilito dall'

art. 2, comma

3,

l

. n. 241/1990

.

Altro elemento di perplessità è integrato dalla legittimazione attiva, riservata al debitore. Allo stesso modo di quanto accade nel concordato preventivo, e diversamente da quanto invece si verifica non solo nel fallimento, ma anche nell'amministrazione straordinaria “comune”, la legittimazione attiva è riservata al debitore, ed è esclusa sia per i creditori che per il pubblico ministero.

La ragione di perplessità è evidente, non comprendendosi perché proprio le insolvenze che destano maggiore allarme sociale possano essere assoggettate alla procedura concorsuale appositamente prevista per esse solo dietro domanda dell'imprenditore insolvente, mentre i creditori e il pubblico ministero debbono limitarsi a richiedere la dichiarazione di fallimento o la dichiarazione di insolvenza per l'avvio dell'amministrazione straordinaria comune.

Ciò che dunque emerge è l'inadeguatezza del sistema disciplinare ad assicurare la protezione degli interessi proclamati: se si tratta di conservare l'impresa a tutela del poliedrico fascio di interessi a cui essa corrisponde appare infelice la soluzione di rimettere la scelta sulla procedura esclusivamente nelle mani del debitore insolvente.

Del resto, appare chiaro che la riserva di legittimazione attiva sia imposta proprio dalla peculiare struttura del procedimento. Questo si avvia su istanza da rivolgersi all'autorità amministrativa, che decide sull'apertura della procedura con provvedimento determinante anche lo spossessamento del debitore. Per questo effetto, ogni soluzione normativa di attribuzione del potere di istanza a soggetti diversi dal debitore si sarebbe esposta ad un'inevitabile censura di incostituzionalità, non potendosi ritenere conforme alla Carta fondamentale un provvedimento amministrativo di apertura di una procedura concorsuale con effetti di spossessamento, spettando infatti all'autorità giudiziaria di decidere sui diritti soggettivi.

Sotto questo profilo non appaiono sottoscrivibili le preoccupazioni di incostituzionalità dell'assetto normativo (sotto il profilo dell'

art. 24 Cost.

) rispetto alle regole generali sul potere di istanza per l'apertura di procedure concorsuali pur sollevate in dottrina.

Ulteriori elementi di dubbio sono ingenerati dai frammenti normativi sull'istanza di ammissione. Il legislatore si limita a richiedere una motivazione e il corredo di adeguata documentazione, lasciando pertanto nel vago non solo le ragioni rilevanti a fondamento dell'istanza, ma anche il tipo di documentazione che deve costituire il necessario corredo. Se tuttavia, sotto il primo aspetto, può agevolmente ricostruirsi che la motivazione deve concernere perlomeno la sussistenza dei requisiti minimi di fattispecie dati dal possesso dei requisiti dimensionali e dallo stato d'insolvenza (restando invece dubbio se debba ulteriormente argomentarsi sulla esistenza dei presupposti di recupero dell'equilibrio economico), invece sotto il secondo aspetto l'incertezza regna sovrana e l'unico metodo di sicuro orientamento sembra essere dato dalla lettura delle disposizioni previste in tema di concordato preventivo e di amministrazione straordinaria comune

(artt.

161 l

.

f

all

. e 5

d.l

gs n. 270/1999

).

Circa il decreto ministeriale di ammissione - che secondo la giurisprudenza amministrativa ha natura di provvedimento cautelare a deliberazione sommaria (

Tar Lazio 16 luglio 2004

) - si discute se esso debba essere adottato previa verifica di tutte le condizioni per l'ammissione alla procedura, e dunque anche della sussistenza delle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico che sarà poi oggetto di approfondita deliberazione in sede di approvazione del programma commissariale ai sensi dell'

art. 4,

comma 2

,

d.l.

n. 347/2003

). A dire il vero, anche prescindendo dalla questione sulla natura anticipatoria o meno del decreto di ammissione rispetto al decreto di autorizzazione, appare arduo negare che anche il primo provvedimento debba essere emanato dietro la positiva valutazione della sussistenza delle prospettive di recupero ossia delle finalità proprie della procedura, pertanto alternativa al fallimento.

Recenti leggi-provvedimento e prospettive di riforma. In particolare, l'unificazione delle procedure di amministrazione straordinaria

Nella legislazione recente sono intervenute numerose leggi-provvedimento volte ad adattare la disciplina dell'amministrazione straordinaria speciale, originariamente prevista per l'insolvenza Parmalat, alle peculiarità delle altre grandi crisi aziendali nel frattempo consumatesi.

Si sono così avvicendate diverse regolamentazioni a partire dall'insolvenza di Volare S.p.A., Alitalia S.p.A., sino a giungere a Tirrenia di Navigazione S.p.A. (rispettivamente

l.

n. 39/2004

, come modificata dalla

l

. n. 166/2004

;

d.l.

n. 281/2004

;

d.l.

n. 125/2010

).

La maggiore innovazione relativa alla fase dell'apertura della procedura, si è avuta con i provvedimenti dedicati ad imprese del gruppo Tributi Italia. Con una legge-fotografia, è stata prevista per tali imprese l'ammissione di diritto alla procedura di amministrazione straordinaria (

art. 3,

comma 3

,

d.l

. n. 40/2010

, conv. con modifiche dalla

l

. n. 73/2010

).

Per questa scelta di politica legislativa, la vicenda concorsuale dell'impresa è decisa non dal giudice, e nemmeno dal governo, ma direttamente dal legislatore. Si è anche discusso sulla necessità del provvedimento del tribunale di accertamento dello stato d'insolvenza, tuttavia dichiarato dal Tribunale di Roma (Con sent. n. 319 del 27 luglio 2010, inedita

).

In realtà, pur dovendosi prendere atto dell'inevitabilità di specifici interventi normativi per la regolamentazione puntuale dell'insolvenza di grandi imprese, specie se esercenti servizi pubblici, e dunque pur dovendosi realisticamente riconoscere l'insufficienza di una disciplina generale e predeterminata per l'efficiente gestione di fenomeni così complessi, l'esperienza maturata dopo l'entrata in vigore della prima versione dell'amministrazione straordinaria speciale testimonia eloquentemente la grave inadeguatezza di quelle regole, ad ogni rilevante occasione assoggettate a modifiche anche sostanziali.

Dal che l'opportunità di calibrare una nuova e unitaria disciplina generale, che possa servire come riferimento sicuro in concorrenza con le specifiche regolamentazioni di dettaglio di cui dovesse ravvisarsi la necessità per l'insuperabile particolarità che ogni caso concreto presenta.

In tale prospettiva, è in corso di elaborazione un disegno di legge delega attualmente in discussione alla Camera (AC 1741).

Cifra di elezione del progetto di riforma è l'unificazione in un'unica procedura di tutte le discipline attualmente in essere. In questa prospettiva,

per quanto concerne la fase di apertura della procedura, si mira alla ridefinizione del contenuto della domanda, prevedendo la possibilità per l'impresa di elaborare una proposta di soluzione della crisi ed il potere del commissario straordinario di predisporre un piano in alternativa. Nell'attuazione della delega, il governo dovrebbe attenersi, in particolare, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

«a)

unificare le procedure previste dal

decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270

, e dal

decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347

, convertito, con modificazioni, dalla

legge 18 febbraio 2004, n. 39

, individuando quale provvedimento iniziale della procedura il decreto di ammissione alla medesima da parte del Ministro dello sviluppo economico;

b) ridefinire il contenuto della domanda di ammissione alla procedura, prevedendo per l'impresa la possibilità di presentare un piano che possa prevedere, anche cumulativamente, la ristrutturazione, la cessione e l'affitto del patrimonio aziendale;

c) prevedere che il commissario straordinario debba valutare il piano proponendo modifiche e integrazioni, ovvero presentando egli stesso un piano da sottoporre, in alternativa a quello dell'impresa, all'approvazione del Ministro dello sviluppo economico

».

Nella sua laconicità, il disegno di legge è stato ampiamente sottoposto a critica, non essendo in nessun modo definiti i criteri attraverso cui procedere all'unificazione delle diverse discipline che, proprio attraverso la fase di apertura, si mostrano difficilmente conciliabili.

L'esaminata caratteristica dell'amministrazione straordinaria speciale, insita nella legittimazione riservata dell'impresa debitrice alla domanda di ammissione alla procedura a fronte della legittimazione generalizzata prevista nella disciplina comune; la struttura bifasica della procedura prevista in quella disciplina rispetto alla struttura invece monofasica stabilita nella procedura speciale: sono questi i principali profili di inconciliabilità delle regole, pur sottoposte ad unificazione, sulle quali il legislatore sembrerebbe tacere, e rispetto alle quali - invece - si pone il problema della scelta nei termini di una secca alternativa.

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