Speciale Decreto Sviluppo - La conversione del DL Sviluppo non salva la Cigs per le aziende in stato di decozione

12 Settembre 2012

L'Autore analizza l'istituto della Cassa integrazione guadagni per fallimento, che, in seguito alla Riforma Fornero, verrà abrogato a partire dal 2016.La cassa integrazione guadagni è disciplinata dall'art. 3, comma 1, l. 23 luglio 1991, n. 223. La peculiarità di questo istituto risiede nella concessione di un trattamento di sopravvivenza fino a 12 mesi ad imprese ormai decotte.Questo particolare, però, nel tempo ha dato vita ad abusi, non rispecchiando più un'assistenza da realizzarsi tramite la sospensione dei lavoratori per la conservazione dell'azienda, bensì manifestando un'assistenza al lavoratore conscio di aver già perso il posto di lavoro.Il legislatore con il recente “Decreto sviluppo” (d.l. 22 giugno 2012, n, 83 Conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134) ha provveduto a ridisegnare le condizioni di accesso all'ammortizzatore sociale.L'Autore per comprendere la portata delle modifiche introdotte e i motivi della novazione esamina le norme previgenti in materia, la prassi dei tribunali e gli orientamenti dottrinali.
Premessa

La previsione introdotta dalla Riforma Fornero circa l'abrogazione della cassa integrazione per fallimento ha destato notevole scalpore, nonostante il suo l'effetto sia posticipato al 2016.

Ovviamente la portata di tale novità va analizzata in rapporto alle recenti problematiche di gestione delle crisi aziendali che sempre più, in questo ultimo triennio, sono sfociate in procedure concorsuali. La necessità di sostenere il fil rouge tra fallimento e salvaguardia dei livelli occupazionali, fermamente proclamato dalla riforma del diritto fallimentare (

D.Lgs

.

n.

5/2006

), ha interessato le parti sociali, che nonostante insistenti e giustificabili pressioni, non hanno convinto il legislatore a mettere in discussione la propria visione. Lo stesso ha provveduto, al contrario, a ridisegnare le condizioni di accesso all'ammortizzatore tramite la conversione in

L.

134/2012

del Decreto Sviluppo.

Tale Decreto, peraltro fortemente incisivo nelle revisioni alla

l

.

n.

92/2012

, non ha restituito agli operatori un istituto importante per la gestione delle crisi aziendali sfocianti in procedure concorsuali. Ne è però uscito un testo nuovo, immediatamente operativo, nei confronti del quale risulta utile applicare un'attenta lettura per comprenderne i reali metri pratici di utilizzo.

Cassa straordinaria e fallimento, la disciplina ante riforma

Per comprendere la portata delle modifiche, nonché i motivi che hanno ispirato la novazione, pare d'obbligo analizzare il testo previgente.

La regolamentazione della CIGS per fallimento risiede nell'

art. 3, comma 1,

l.

23 luglio 1991, n. 223

. La particolarità di questo istituto, che rappresenta altresì il chiaro limite dello stesso, risiede nella concessione di un trattamento di sopravvivenza fino a 12 mesi ad aziende oramai cessate. Questa caratteristica, infatti, nel tempo ha generato abusi, giunti fino al raschiamento di tutte le risorse disponibili, finalizzati alla fruizione di trattamenti per lavoratori dipendenti da aziende morte e sepolte.

Più chiaramente la funzione della cigs

non rispecchiava più un'assistenza da attuarsi tramite la sospensione dei lavoratori (funzione tipica di

cigo

e

cigs

) per la sopravvivenza dell'azienda, bensì manifestava un'assistenza al lavoratore conscio di aver già perduto il proprio posto di lavoro (funzione tipica delle indennità di disoccupazione e mobilità, nonché della futura

Aspi

).

La formulazione originaria dell'art. 3 prevedeva il ricorso alla cassa esplicitamente in caso di cessazione dell'azienda: “… nei casi di dichiarazione di fallimento, di emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione straordinaria qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata …”.

Il fallimento, quindi, ma allo stesso modo la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria ed il concordato preventivo (ma il Ministero del Lavoro, in data 17 marzo 2009, ha chiarito l'estensione del ricorso al trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria ai casi di intervento dell'accordo per ristrutturazione del debito

ex art. 182-

bis

l

.

fall

.), potevano autonomamente integrare il ricorso alla cassa anche nel caso limite, ma espressamente previsto, della cessazione totale dell'attività.

L'eventuale proroga della cigs. per fallimento

La produzione legislativa in un periodo ove i fallimenti sicuramente non si avvicinavano minimamente ai numeri dei nostri giorni, ha portato addirittura alla previsione di una possibile proroga semestrale del trattamento già concesso.

La regolamentazione dei casi di proroga si riscontra nel secondo comma del citato

art. 3

l.

n.

223/91

, che disegna comunque una procedura gravosa che coinvolge attivamente più soggetti. Per ottenere la proroga, infatti, il curatore valuta l'esistenza di concreta ripresa dell'attività o di continuazione delle stessa, con lo scopo di salvaguardare, anche parzialmente, i livelli occupazionali tramite la cessione dell'azienda o di un ramo della stessa.

Il trattamento può essere prorogato per ulteriori sei mesi, nel rispetto dei quattro passaggi preventivi alla concessione del trattamento:

  1. accertamento da parte del CIPI;

  2. relazione sulle prospettive di cessione a firma del curatore;

  3. approvazione del Giudice Delegato o dell'autorità che esercita il controllo;

  4. istanza inoltrata prima della fine del trattamento inizialmente concesso.

La prassi in realtà non ha visto applicarsi molte richieste di proroga, salvo un'innegabile impennata negli ultimi anni a causa dell'aggravio della crisi, proprio per la difficoltà di veder completata una procedura così onerosa. L'inversione di tendenza del Legislatore, volta ad abrogare per intero nel 2016 l'art. 3 l. 223/1991, ovviamente interesserà anche la proroga essendo questa possibile grazie al comma 2 del citato articolo.

Si noti come alcune Regioni, in applicazione della funzione preminente assegnata loro in tema di gestione degli strumenti in deroga, hanno previsto il possibile intervento della cassa in deroga anche nel caso di esaurimento del primo anno di cassa straordinaria per fallimento e mancata richiesta di proroga

ex art. 3, comma

2

,

l.

n.

223/91

, con l'obiettivo di assistere i programmi di gestione degli esuberi. Ovviamente queste aperture rispecchiano le chiare intenzioni delle politiche regionali di assistenza al fenomeno sociale derivante dalla chiusura delle aziende.

Le diverse teorie sull'atto dovuto

Per anni giurisprudenza e dottrina hanno proposto diverse teorie riguardo l' obbligo in capo al curatore di richiedere il trattamento di integrazione straordinaria in caso di fallimento.

Tale dibattito, sorto successivamente a precise richieste da parte di chi non aveva ottenuto il trattamento di cassa integrazione venendo immediatamente licenziato, non è di poco conto se si considera il peso economico che può generare un risarcimento del danno per una cassa non richiesta e considerata dovuta a favore di tutti i dipendenti.

Recentemente il Tribunale di Milano, con decreto del 4 agosto 2011 (in contrasto con i precedenti della Pretura della stessa città 24 gennaio 2004 e 29 giugno 1994, in Orient. Giur. Lav. 1994, 106 e 651; e Trib. Napoli, 24 marzo 1997, in Dir. Lav., 582 e Dir. e Giur, 1997, 197) ha ritenuto obbligatoria la richiesta di intervento della cassa straordinaria a carico del curatore, in quanto, in presenza dei presupposti di legge, non esisterebbero margini di discrezionalità nella formulazione della richiesta di accesso al beneficio. La cassa integrazione straordinaria, continua il Tribunale, permetterebbe di mantenere in vita l'azienda offrendo assistenza al lavoratore e salvaguardando il complesso aziendale, che acquisirebbe quindi maggiori possibilità di affitto o cessione d'azienda. Il curatore dovrebbe quindi limitarsi alla valutazione circa la sussistenza dei requisiti.

Una tesi opposta, alla quale aderisce chi scrive (si permetta di citare in questo senso Girotto, La gestione dei rapporti di lavoro nelle procedure concorsuali, Euroconference ed. 2012), ritiene invece facoltativa la richiesta, in quanto dal tenore letterale dell'

art. 3

,

comma

1,

l. n.

223/91

non traspare alcuna indicazione di “automaticità”. Se si volesse infatti considerare sempre e comunque attivabile l'ammortizzatore nei casi di presenza dei requisiti, altrettanto non si potrebbe ritenere circa la presentazione dell'istanza. A questo punto la norma avrebbe dovuto indicare una procedura di automatica concessione senza intervento del curatore.

La conferma di questa lettura arriva dal comma 3 del medesimo articolo, che prevede chiaramente, nel caso in cui non appaia possibile la continuazione dell'attività, anche tramite cessione dell'azienda o di una sua parte, la facoltà dell'organo della procedura di collocare in mobilità i lavoratori eccedenti ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge in commento.

Se la scelta per la cigs

dovesse intendersi obbligatoria, non potrebbe mai vedersi applicare la possibilità concessa dal terzo comma, che pertanto evidenzierebbe un contrasto tra disposizioni addirittura nel medesimo articolo di legge. Alla luce degli argomenti proposti, una diversa interpretazione non pare sostenibile (in questo senso recentemente anche Delle Cave, Fallimento e rapporto di lavoro, in Guida al Lavoro, 1 marzo 2012, punto 2, p. 4).

In ogni caso, il rischio economico connesso ad un pur presunto obbligo ha innescato un ricorso massiccio allo strumento con mere finalità deresponsabilizzanti per i curatori, provocando un continuo attingere a risorse economiche già sottoposte a notevole pressione.

CIG in deroga e fallimento, le prime avvisaglie del correttivo

Quanto introdotto con la Riforma del lavoro non rappresenta di per sé un'assoluta novità, bensì una trasposizione in legge di un'esigenza crescente di gestione necessariamente più parsimoniosa della finanza pubblica. Evidentemente il cospicuo ricorso agli ammortizzatori, ed in modo particolare l'incremento dei fallimenti, ha obbligato i custodi delle risorse ad una più accorta valutazione delle cause di intervento.

Ecco che le regioni, competenti non solo all'erogazione delle somme (sempre - si badi bene - veicolate dallo Stato ed ancor di più dalle risorse CE per la formazione indebitamente utilizzate per la gestione delle crisi), hanno provveduto a ridisegnare le linee guida per gli ammortizzatori in deroga, individuando nuovi e ben più stringenti requisiti d'accesso.

Sparisce così in alcune zone della penisola la possibilità di vedersi autorizzare di default la cassa in deroga, in situazioni di cessazione aziendale o di esaurimento della cigs

post fallimento in assenza di altri ammortizzatori attivabili (l'esperienza sul campo, però, ha permesso di riscontrare situazioni in cui il contatto diretto con gli uffici regionali garantiva comunque l'assistenza al dramma sociale della disoccupazione anche utilizzando la cassa, forzando in parte le limitazioni inizialmente proclamate).

Con lo scopo di risparmiare risorse da destinarsi solamente alle aziende che possano trarre un reale beneficio dalla cassa per il mantenimento dell'occupazione ai fini della continuità dell'attività, si è inteso rendere all'ammortizzatore la sua originaria funzione di sospensione/riduzione di un'attività aziendale ancora di per sé viva e vegeta (si segnala però il caso degli apprendisti, lavoratori che, come confermato dall'interpello 52/2009 del Ministero del Lavoro, possono fruire della cassa in deroga quando l'azienda sta fruendo di cassa straordinaria, non potendo per espressa previsione di legge accedere a quest'ultima; ovviamente nel caso in cui la cigs

interveniva proprio per fallimento, gli apprendisti rimanevano ingabbiati nell'impossibilità di fruire di un trattamento espressamente negato nei casi di cessazione dell'azienda).

L'intervento della riforma e la conversione del decreto sviluppo

Come è intervenuta quindi la riforma per circoscrivere l'ambito di applicazione ai soli casi di reale “sopravvivenza dell'azienda”?

La risposta dobbiamo cercarla innanzitutto nella ratio ispiratrice della

l

.

n.

92/2012, che all'art. 1,

lett. d), solca uno dei binari utili al riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali, precisando come la riduzione permanente della disoccupazione è avvicinabile: “… rendendo più efficiente, coerente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell'occupabilità delle persone …”. Ovviamente la traduzione economica di questo obiettivo evidenzia un necessario contenimento della spesa, attuabile tramite una scelta più razionale delle condizioni aziendali da assistere, oltre alla revisione organica degli strumenti a disposizione.

Meno spesa ed assistenza più curata sono obiettivi ovviamente non abbinabili all'erogazione di sussidi alle aziende palesemente defunte.

La Riforma però, nella sua stesura definitiva in vigore dal 18 luglio 2012, al comma 70 dell'art. 2 non prova nemmeno a riorganizzare la disciplina della cigs,

limitandosi a fissare un periodo transitorio all'interno del quale l'ammortizzatore è comunque attivabile per le aziende in stato di decozione, tempo utile - si badi bene - ad educare gli operatori verso scelte alternative, sancendo già oggi che: “… a decorrere dal 1° gennaio 2016, l'art. 3, l.

23 luglio 1991, 223

, è abrogato …”.

Questa previsione, comunque nell'aria e non certo introdotta a sorpresa nel testo ufficiale, inizialmente non ha creato grossi allarmismi, da un lato per l'informazione ricorrente che una successiva previsione avrebbe soppresso tale comma 70, dall'altro perché l'abrogazione sembrava essere così lontana (2016) e problemi ben più imminenti dovevano essere risolti.

Solamente dopo la promulgazione, da più parti si è levato un coro di proteste per una disposizione che sembrava non tener conto del progressivo incremento delle procedure. A tal proposito la conversione del Decreto Sviluppo, che doveva rappresentare l'intervento di alleggerimento degli effetti dell'abrogazione, ha mirato invece a completare l'altro obiettivo della Riforma, cioè l'intera organizzazione dell'Istituto confermando però la piena abrogazione dello stesso a partire dal 1° gennaio 2016.

La riscrittura dell'art. 2, comma 70, operata dal Decreto Sviluppo, consegna un

art. 3

l

.

n.

223/91

notevolmente stravolto ove le parole: “… qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata …”, diventano: "… quando sussistano prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali …".

Dalla nuova lettura possiamo dedurre una serie di criticità:

  • il nuovo art. 3 interessa esclusivamente prospettive di continuazione dell'attività o futura ripresa della stessa. In assenza di queste condizioni il trattamento non sarà concesso. La stretta rispetto al testo precedente è netta ed anzi pare significare proprio il contrario: si passa infatti da attività che “cessa” o “non continua” ad attività che “deve”, almeno nelle previsioni, “poter ripartire”;

  • ne discente che già dal 12 agosto 2012 (ma già da prima, se si considera la precedente entrata in vigore del d.l.) i curatori dovranno valutare le prospettive prevedibili, scartando fin da subito il possibile ricorso allo strumento se l'azienda non vedrà altra luce oltre la procedura;

  • ma non solo. Pare emergere che nell'immediato nessuna possibilità di attivare l'ammortizzatore sia realmente prevista, posto che l'attivazione dello stesso nel rispetto dei nuovi criteri deve attendere il decreto attuativo del Ministero del Lavoro, fissante i parametri oggettivi. Al curatore quindi sembra che non resti oggi altro strumento che la procedura di licenziamento collettivo.

Questione di non poco conto, quindi, quella riguardante l'individuazione dei nuovi criteri che, oltre a resettare la precedente disciplina, inibisce con effetto immediato la possibilità di ricorre allo strumento. Su questo punto, considerato comunque che trattasi di ammortizzatore a scadenza con termine nel 2016, ci si potrà solamente appellare ad un rapido intervento Ministeriale.

Chi scrive propone inoltre un'ulteriore riflessione: con le nuove regole, nel caso in cui un'azienda proponesse l'istanza di cassa integrazione straordinaria prima dell'intervento del fallimento, la sentenza dichiarativa intervenuta in data antecedente all'ottenimento dell'autorizzazione travolgerebbe tutto il periodo di sospensione ante fallimento. Questo, perché l'autorizzazione non potrebbe comunque venire concessa essendo intervenuta una causa, rappresentata dalla procedura concorsuale, non integrabile.

Il comma 70-bis impone il deposito degli accordi

Per concludere, spostiamo l'attenzione sulla successiva previsione contenuta nel Decreto Sviluppo, che introducendo all'

art. 2

l. n.

92/2012

il comma 70-bis, impone l'obbligo di deposito degli accordi di crisi, incidendo in modo pregnante sull'economia procedurale degli interventi.

Recita il disposto: “… I contratti e gli accordi collettivi di gestione delle crisi aziendali che prevedono il ricorso agli ammortizzatori sociali devono essere depositati presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, secondo modalità indicate con decreto direttoriale …” .

Devono ricomprendersi in questa innovativa disposizione tutte le casistiche di contrattazione “gestionale” o in “perdita”, qualora interessino il ricorso agli ammortizzatori sociali (e, in assenza di una precisa elencazione, si ritiene possano rientrarvi anche gli accordi di mobilità).

Il deposito rappresenta sicuramente un'occasione per il Ministero del Lavoro, presumibilmente la Direzione Generale per le politiche attive e passive del lavoro, per monitorare la correttezza delle decisioni condivise in sede sindacale. Volendo spingere l'interpretazione in un'ottica più maliziosa, il comma 70-bis potrebbe essere stato pensato per consentire di mettere fine alla presunta, ma mai accertata, validità erga omnes di questa tipologia di accordi (per tutti si veda Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, Diritto del Lavoro: Il diritto sindacale, Torino, 386), estendendone l'efficacia a tutti gli interessati per il solo fatto di essere passati al vaglio del Dicastero.

Risulterà pertanto necessario definire le regole di contrattazione da adottarsi, posto che alcun riferimento a precedenti accordi interconfederali o regole di ingaggio pare richiamarsi. Le parti sociali, inoltre, potrebbero non apprezzare l'obbligo di deposito, considerato il rischio di stimolare un sindacato di merito su quanto convenuto tra le parti, ad opera di un ente terzo con funzioni di vigilanza.

Dovrà però chiarirsi con che tempi tale adempimento dovrà essere completato dalle parti firmatarie, che già soggiacciono ad una lunga procedura pre-sospensione che rallenta il tempismo e conseguentemente l'efficacia dello strumento.

Si consideri comunque come anche quest'obbligo necessiti di un apposto decreto direttoriale, ma, al contrario di quanto disposto dal comma 70 che va a sostituire in toto una precedente dicitura dell'

art. 3

l

.

n.

223/91

, trattandosi di adempimento completamente nuovo, non va ad intaccare le procedure sindacali fin qui compiute, nè quelle da espletarsi fino all'emissione del decreto.

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