Strumenti di soluzione della crisi di impresa, ruolo dell'attestatore e profili penali

17 Luglio 2012

L'istituto del concordato preventivo ha subito negli ultimi anni profonde modifiche e ad esso sono state affiancate, per mezzo della riforma della legge fallimentare, nuove fattispecie di soluzioni concordate della crisi d'impresa: il piano di risanamento, ex art. 67 comma 3, l. fall., e l'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. Gli interventi normativi, nel complesso, sono fondati sulla valorizzazione del ruolo dell'autonomia negoziale. Di conseguenza, appare sempre più rilevante la funzione di attestazione di ragionevolezza e di attuabilità del piano o dell'accordo.L'Autore analizza, quindi, il ruolo del professionista attestatore, esaminando il contenuto della sua relazione e affronta, infine, i profili penali nell'ambito delle procedure di composizione della crisi.
Premessa

Nel corso degli ultimi anni vi sono stati plurimi interventi normativi in materia fallimentare:

D.l. n. 35/2005

(convertito nella

l.

n. 80/2005

);

D.

l

gs.

n. 5/2006

: riforma organica delle discipline concorsuali a norma dell'

art. 1, comma 5, della legge 14 ma

ggio 2005 n. 80

;

D. lgs.

n. 169/2007

(decreto correttivo, in vigore dall'1 gennaio 2008);

L.

n. 69/2009

;

D.l. n. 78/2010

(conv. nella

l.

n. 122/2010

).

In estrema sintesi, si può affermare che, in un'ottica di favor per le soluzioni della crisi d'impresa, il legislatore ha introdotto nel nostro sistema concorsuale istituti e concetti elaborati dalla disciplina aziendalistica per affrontare situazioni di patologia aziendale, regolamentando alcune fattispecie di soluzione concordata alla crisi d'impresa secondo un criterio di gradualità, che va dalla mera esenzione della revocatoria fallimentare alle omologazione giudiziale di un accordo vincolante anche per i creditori dissenzienti.

Tra gli istituti interessati dalla riforma si segnala innanzitutto il concordato preventivo, modificato anche nei presupposti di ammissibilità: il novellato

art. 160

l. fall

. ha introdotto al comma 2 il concetto di impresa in crisi.

In assenza di definizione dello stato di crisi, diversamente da quanto è accaduto per lo stato d'insolvenza, di cui all'

art. 5 l. fall

., è stato poi introdotto un ulteriore comma all'

art. 160 l. fall

.: la norma specifica che per stato di crisi si deve intendere anche lo stato d'insolvenza.

L'imprenditore che si venga a trovare in stato d'insolvenza può chiedere l'ammissione al concordato: ove fosse impedita questa possibilità, verrebbe meno uno degli scopi della riforma della

legge fallimentare

, vale a dire far emergere in anticipo la situazione di difficoltà economica in cui versa l'impresa.

L'insolvenza non preclude la possibilità di accesso al concordato, salvo in concreto il diverso impatto valutativo sui creditori e sul tribunale - nei limiti dei propri poteri - che può avere l'impostazione di una domanda di concordato che prefiguri un'impresa insolvente, cui si accompagni la proposta di liquidazione lasciata nelle mani dell'imprenditore o dei suoi professionisti in alternativa alla apertura della procedura fallimentare; procedura quest'ultima dai tempi più prolungati, ma fornita di maggiori garanzie sul piano esecutivo e realizzativo: in tal senso sarà il contenuto del piano (

art. 160, comma 3 l.

f

all

.) che accompagna il concordato a convincere i creditori ad optare per la soluzione proposta.

Così, il concordato, da procedura prettamente liquidatoria, è divenuta una procedura volta essenzialmente a salvaguardare la continuazione dell'attività dell'impresa, attraverso un accordo con la maggioranza dei creditori che, alleviando la situazione debitoria e finanziaria dell'imprenditore, possa consentirne una “ripartenza” (c.d. fresh start), depurata dal peso dei debiti pregressi.

Accanto al concordato preventivo

, la riforma fallimentare ha previsto altre due fattispecie di soluzione concordata alla crisi d'impresa:

  • il piano di risanamento

    , di cui all'

    art. 67 co

    mma 3 l. fall

    ., norma che attribuisce

    all'imprenditore la facoltà di effettuare atti, di disporre pagamenti e concedere garanzie su propri beni in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria,

    atti, pagamenti e garanzie a loro volta esclusi dall'azione revocatoria, in caso di successivo fallimento (c.d. piani attestati); la ragionevolezza del piano dovrà essere attestata ai sensi dell'

    art. 2501

    bis

    , comma quarto, cod. civ.

    , da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'art. 28 lett. a) e b).

  • all'

    art. 182

    bis

    l. fall

    . viene riconosciuta all'imprenditore che si trova in stato di crisi

    la possibilità di concludere un accordo di ristrutturazione dei debiti con i propri creditori, rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti; l'accordo deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista (in possesso dei requisiti sopra indicati) che ne attesti l'“attuabilità” e che deve essere a sua volta omologato dal tribunale.

Nel loro complesso, gli interventi legislativi in questione, succedutisi tra il 2005 ed il 2007, si fondano, essenzialmente, sulla valorizzazione del ruolo dell'autonomia negoziale nella soluzione delle crisi d'impresa, quale via preferibile rispetto alle soluzioni che si basano sulla gestione prettamente giurisdizionale, ovvero prettamente amministrativa, della fase dell'insolvenza.

Alla valorizzazione dell'autonomia negoziale, e quindi alla tendenziale privatizzazione dell'insolvenza, conseguono la parziale riduzione del ruolo e del potere d'intervento del giudice e l'introduzione di una nuova figura di esperto (professionista scelto dall'imprenditore) che deve obbligatoriamente intervenire al fine di attestare la solidità del piano.

In proposito si deve sottolineare come, in particolare per quel che riguarda il piano di risanamento e l'accordo di ristrutturazione, la attestazione, rispettivamente, di ragionevolezza e di attuabilità del piano presentato dal debitore, sia l'unico e fondamentale atto sul quale, in assenza di interlocutori istituzionali, si fonda la successiva valutazione dei creditori.

Infatti, per il piano di risanamento non è previsto l'intervento del tribunale, né in sede di ammissibilità, né in sede di omologa; nell'accordo accordo di ristrutturazione il Tribunale può, al più, respingere la richiesta di omologa, ma solo in presenza del dissenso manifestato dai creditori dissenzienti (e da ogni altro interessato).

Peraltro, anche nel concordato preventivo la relazione del professionista riveste un ruolo determinante nella valutazione di ammissibilità del piano, valutazione che apre la procedura, con il decorso, fin da subito, di effetti di favore per il debitore, come il sostanziale “blocco” di tutte le azioni esecutive: il commissario giudiziale verrà nominato con il decreto di ammissibilità.

In altri termini, al di là delle diverse definizioni legislative sull'attività del professionista scelto dall'imprenditore (attestazione dell'idoneità del piano a consentire il risanamento dell'impresa ai sensi dell'

art. 67 l.

f

all

.; dell'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione di cui all'

art. 182

bis

l

.

f

all

.; della veridicità dei dati e della fattibilità del piano allegato alla domanda di concordato preventivo, di cui all'

art. 160 l.

f

all

.), risulta che questi sia chiamato ad attestare piani effettivi e reali, volti al concreto risanamento dell'impresa, assumendo - per le ragioni ora esposte -

una posizione di garanzia nei confronti del ceto creditorio, posizione alla quale corrispondono responsabilità, sul piano tanto civile, quanto penale.

A quest'ultimo proposito si discute se egli sia o meno pubblico ufficiale e quali siano le fattispecie che trovano conseguentemente applicazione (

art. 479

ovvero art.

483 c.p.

, falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico ovvero

art. 481 c.p.

, considerando il professionista esercente un servizio di pubblica necessità, ai sensi dell'

art. 359 c.p.

).

Il professionista attestatore e la qualifica di pubblico ufficiale

In argomento va ricordato come il legislatore, con la riforma del 1991, abbia recepito una concezione oggettiva della qualifica di pubblico ufficiale, abbandonando il criterio soggettivo e formale dell'investitura e del rapporto di dipendenza con un ente pubblico.

Al fine di stabilire se il professionista individuato dalle lett. a) e b) dell'

art. 28 l

.

f

all

. sia o meno un pubblico ufficiale, si deve dunque prescindere dalla qualifica nonché dalla fonte di attribuzione del potere ed occorre valutare caso per caso, in conformità a quanto previsto dall'

art. 357 c

.

p

.

, quale sia la natura della funzione in concreto svolta, se di carattere legislativo, amministrativo o giudiziario.

All'evidenza è da escludere che il professionista eserciti una funzione di carattere legislativo; né pare potersi ritenere che egli eserciti una funzione di carattere giudiziario.

E' vero che il legislatore del 1991, sostituendo alla funzione giurisdizionale la funzione giudiziaria, ha inteso estendere la qualifica di pubblico ufficiale a tutti coloro che concorrono alla formazione della volontà del giudice, vale a dire ai periti, ma è altresì vero che la relazione del professionista più che atto diretto a formare la volontà del giudice, è un atto esterno alla domanda del privato/debitore, e, almeno nel caso del concordato preventivo, presupposto per la sua ammissibilità.

Più complessa la valutazione dell'attività del professionista sul versante dell'esercizio di una funzione amministrativa.

Uno dei principali argomenti utilizzati per ritenere il professionista attestatore un pubblico ufficiale si fonda su di un duplice assunto:

  • l'esercizio di attività disciplinata da norme di diritto pubblico;

  • i poteri certificativi a lui conferiti dalla legge (fallimentare) pur in assenza di un rapporto di servizio ovvero di impiego, poteri in altri termini costitutivi dell'attività svolta, presupposto per le decisioni che andranno ad assumere i creditori e, nelle ipotesi previste, il Tribunale.

E' da riconoscere, senza dubbio, la natura pubblicistica della normativa in materia fallimentare; quanto ai poteri certificativi, si rende, per contro, necessaria qualche precisazione, a partire dal tenore del secondo comma dell'

art. 357 c.p.

, giusto il quale, agli effetti della legge penale, è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

Orbene, al fine di individuare la funzione amministrativa - e quindi al fine di individuare la qualifica di pubblico ufficiale - non rileva l'attività certificativa in quanto tale, bensì l'attività certificativa riconducibile alla formazione ed alla manifestazione della volontà di una pubblica amministrazione o comunque connessa allo svolgimento di un'attività di una pubblica amministrazione.

In altri termini, verrebbe da osservare che se la funzione amministrativa può prescindere da un rapporto di servizio o di impiego, non può prescindere, invece, da un percorso procedimentale finalizzato alla manifestazione di volontà della pubblica amministrazione.

Nella giurisprudenza di legittimità ricorrono, in argomento, enunciati di carattere generale, che sembrano invece porre l'accento esclusivamente sulla funzione svolta (

Cass. Pen. sez. V n. 1004 del 2000

).

E' bene precisare, per contro, che il principio di diritto viene ribadito traendo spunto da attività (funzioni) che a loro volta rilevano perché comunque strumentali alla manifestazione di volontà di una P.A.

In tal senso, è stata riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale a norma dell'

art. 357 c.p.

:

  • ai componenti la speciale commissione dell'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato incaricata di accertare le capacità specifiche delle imprese che con essa intendono contrattare, trattandosi di una attività disciplinata da norme di diritto pubblico che, oltre ad esplicarsi attraverso l'esercizio di poteri certificativi circa il possesso dei requisiti tecnici richiesti, concorre anche alla formazione della volontà della stessa pubblica amministrazione per ciò che attiene all'iscrizione dell'impresa richiedente nello speciale Albo dei fornitori;

  • ai componenti le commissioni di gara d'appalto per forniture alle U.S.L., dotati di poteri certificativi ed abilitati ad esprimere apprezzamenti tecnici latamente discrezionali, i quali concorrono a manifestare la volontà dell'Amministrazione;

  • ai componenti la commissioni incaricate di accertare le condizioni di invalidità, posto che giustificano l'erogazione delle prestazioni assistenziali a carico dello Stato.

  • ai componenti la commissione amministratrice di un'azienda municipalizzata, in quanto deputati in base alle norme di diritto pubblico alla formazione e manifestazione della volontà dell'azienda stessa;

  • ai funzionari delle Ferrovie dello Stato incaricati dell'attività di contrattazione con ditte cui affidare le forniture di disinfettanti, avendo la Corte osservato che tali forniture rientrano nella previsione del Regolamento di Igiene Ferroviario e della legge sulla Ragioneria generale dello Stato e sono quindi regolate da norme di diritto pubblico; che l'attività in concreto posta in essere dagli imputati comportava l'esercizio di poteri-doveri discrezionali ed autoritativi

La giurisprudenza della Suprema Corte si è spinta anche oltre, fino ad affermare che: “È pubblico ufficiale ai sensi dell'

art. 357 cod. pen.

non solo colui il quale con la sua attività concorre a formare la volontà dello Stato o degli altri enti pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere compiti aventi carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, poiché pure in questo caso ha luogo, attraverso l'attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della pubblica Amministrazione. Ne consegue che, perché si rivesta la qualifica di pubblico ufficiale, non è indispensabile svolgere un'attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi - nel senso cioè che caratteristica della pubblica funzione debba essere quella della rilevanza esterna dell'attività medesima - giacché ogni atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nell'ambito del procedimento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi (seppure destinato a produrre effetti interni alla pubblica Amministrazione), comporta, in ogni caso, l'attuazione dei fini dell'ente pubblico e non può essere isolato dal contesto delle funzioni pubbliche. (Fattispecie relativa alla condotta, ritenuta integrante il delitto di concussione, tenuta da due contrattiste presso l'ambasciata italiana in Nigeria, le quali imponevano a cittadini nigeriani il pagamento di tangenti per il conseguimento del visto di ingresso in Italia, la cui istruttoria preliminare e la cui concessione finale erano sostanzialmente ad esse affidate, in assenza di un effettivo esercizio del controllo da parte del funzionario preposto) (

Cass. n. 21088 del 2004

).

In tutti i casi riportati, se è evidente:

  • l'assenza di un rapporto di impiego o servizio;

  • la sussistenza di poteri autoritativi o certificativi;

è altrettanto evidente come il potere autoritativo ovvero certificativo sia funzionale alla formazione della volontà di una pubblica amministrazione, anche in forma mediata, allorquando si pone come accessorio ovvero propedeutico alla manifestazione stessa.

Proprio facendo leva sulla natura (anche) propedeutica della funzione amministrativa, vi è una dottrina che individua un insieme di funzioni amministrative - quali quella del cancelliere ovvero dell'ufficiale giudiziario - ritenute certamente rientranti nel concetto di funzione giudiziaria in quanto a questa strumentali: il professionista attestatore - in tale ordine di idee - potrebbe essere considerato pubblico ufficiale ove si ritenga che egli svolga un'attività amministrativa che si contraddistingue per l'essere funzionale alla funzione giudiziaria.

Già si è osservato come l'attestazione del piano, più che atto propedeutico alla decisione del giudice, nel caso del concordato preventivo è un requisito esterno della domanda del debitore e ne costituisce un presupposto di ammissibilità della domanda.

Per altro verso, tuttavia, va ricordato come la domanda di concordato preventivo non sia la sola ipotesi di soluzione concordata alla crisi dell'impresa; ad essa si vanno ad aggiungere il piano di risanamento (

art. 67 l

.

f

all

.) e gli accordi di ristrutturazione (182 bis): ipotesi tutte per le quali, a seguito del decreto correttivo in vigore dal gennaio del 2008, è prevista una sola, unica figura di professionista attestatore: il professionista iscritto nel registro dei revisori contabili ed in possesso dei requisiti di cui all'

art. 28, lett. a) e b) della legge fallimentare

, e ciò in virtù del richiamo degli artt. 161 e 182 bis all'art. 67.

E' opinione comune che, nonostante le diverse formule utilizzate dal legislatore per individuare il contenuto della relazione del professionista, questi sia chiamato a svolgere attività valutativa dal medesimo contenuto nel piano di risanamento, nell'accordo di ristrutturazione, nel concordato preventivo; altresì è opinione comune che, in ogni caso, una complessiva valutazione di solidità del piano non possa prescindere da una precedente attestazione della veridicità del dato aziendale, posto che, in assenza di ciò, non si vede su quali requisiti di serietà possa poggiare la successiva proiezione futura relativa al merito del piano stesso.

In questo senso si è recentemente pronunciato anche il Tribunale di Milano, che, chiamato ad omologare un accordo di ristrutturazione, ha inteso sottolineare come il professionista sia tenuto in primis a verificare la veridicità dei dati aziendali, anche se il presupposto non è richiamato dalla norma, come invece accade in materia di concordato preventivo: “in assenza di un principio di verità, infatti, le valutazioni successive (relative all'attuabilità degli accordi ed alla loro idoneità a garantire il regolare pagamenti dei creditori estranei) sarebbero fondate su dati complessivamente inaffidabili, con il che il controllo sulla veridicità del dato è presupposto indefettibile della successiva valutazione di attuabilità/fattività dell'accordo, con conseguente profilo di responsabilità contrattuale (verso il debitore) extracontrattuale (verso i creditori - terzi interessati) per l'eventuale colposa erroneità della verifica stessa o per dolosa falsificazione dei relativi dati” (

Tribunale di Milano,

pronuncia del 25 marzo 2010).

In conclusione: unica la figura del professionista; diversa, per contro, la disciplina normativa del piano di risanamento, dell'accordo di ristrutturazione e del concordato preventivo.

In relazione al piano di risanamento, in particolare, non è previsto alcun intervento del Tribunale, né in una fase prodromica, di valutazione dei requisiti di ammissibilità, né in una fase successiva, di omologa.

In conseguenza delle considerazioni che precedono, non pare potersi affermare che la funzione del professionista sia propedeutica alla funzione giudiziaria, posto che vi è almeno un'ipotesi - piano di risanamento - in cui all'intervento del professionista non segue alcun atto del Giudice.

Al tempo stesso dovrebbe escludersi di poter frammentare, a seconda del tipo di soluzione prescelta dal debitore per far fronte allo stato di crisi, una funzione che presenta - oltre ai requisiti soggettivi - contenuti in fatto sostanzialmente unitari: una prognosi rivolta al futuro fondata sull'accertamento della veridicità del dato di partenza.

Dunque, il professionista cui sono riconosciuti poteri certificativi non può, per ciò solo. essere considerato pubblico ufficiale, dal momento che tali poteri non sono esercitati in una fase procedimentale che si conclude con la manifestazione della volontà della pubblica amministrazione; né si può affermare che il potere certificativo a lui conferito costituisca esercizio di una funzione amministrativa propedeutica alla funzione giudiziaria.

Si è altresì osservato come prossima al professionista in questione è la figura del revisore societario, il quale deve attestare la credibilità della documentazione informativa redatta dal privato: orbene, nessuno dubita che tale categoria di professionisti rivesta natura privata, senza che possa desumersi dal ruolo svolto una responsabilità qualificabile in termini pubblicistici.

In tal senso, sia sufficiente il richiamo agli

artt. 27

e

28 del

d. lgs.

n. 39/2010

, di attuazione della direttiva Comunitaria relativa ai revisori legali dei conti annuali e dei conti consolidati, norme con le quali sono state rispettivamente introdotte, per il revisore, il reato di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale e di corruzione dei revisori.

Proprio l'introduzione di una norma ad hoc in tema di corruzione (altrimenti sarebbe sufficiente fare ricorso alla fattispecie di cui all'

art. 319 c.p.

), esclude in radice che il revisore possa essere ritenuto un pubblico ufficiale, nonostante siano previste stringenti disposizioni in materia di deontologia professionale (art. 9); indipendenza ed obiettività (art. 10).

Quella del professionista descritto dall'

art. 67 l

.

f

all

. pare quindi figura prossima a quella del revisore societario, sia per il contenuto dell'attività svolta, sia per i requisiti soggettivi previsti dalla attuale normativa, tra i quali quello dell'iscrizione nel registro dei revisori contabili.

Figura prossima al revisore e più distante da quella del difensore, cui le S.U. della Cassazione (

Corte di Cassazione, S.U., pronuncia n.

32009/2006) hanno riconosciuto la qualifica di pubblico ufficiale allorquando proceda alla formazione del verbale nel quale trasfonde le informazioni ricevute ai sensi degli artt. 391 bis e 391 ter del codice di rito: il falso ideologico commesso dal difensore in tale occasione diviene perciò sanzionabile ai sensi dell'

art. 479

e non dell'art.

481 c.p.

.

Se - ad usare le espressioni della Cassazione - l'indice rivelatore della pubblica funzione va ricercato nella disciplina normativa dell'attività .. svolta, è di tutta evidenza come il difensore, nell'atto di assumere una deposizione testimoniale, sia chiamato a redigere quello che è certamente un atto pubblico, (il verbale, nel quale è recepita la dichiarazione del testimone) e, proprio per tale ragione, assume la qualifica di pubblica ufficiale.

Il verbale nel quale il difensore raccoglie le informazioni dal terzo è, infatti, destinato a provare fatti determinati ed a produrre gli stessi effetti processuali dell'omologo verbale redatto dal P.M.; coerentemente con questa impostazione, le dichiarazioni mendaci resa al difensore sono sanzionate ai sensi dell'

art. 371

ter

c.p.

A sua volta, per converso, volendo mantenere un parallelismo con il procedimento penale, la relazione dell'attestatore potrà essere assimilata ad una consulenza di parte, il che non ne esalta di per certo il ruolo pubblicistico.

D'altro canto, proprio la modifica normativa dei requisiti richiesti per la nomina del professionista, per il quale la

legge fallimentare

si limita ora a richiedere la doppia iscrizione, nel registro dei revisori contabili ed in un albo professionale, è argomento a favore della tesi che esclude la qualifica di pubblico ufficiale, dovendosi piuttosto considerare il professionista - nonostante la posizione di garanzia del ceto creditorio - soggetto esercente attività nell'interesse del debitore, il quale intende accedere ad una delle soluzioni previste dal legislatore per far fronte alla crisi dell'impresa.

Non solo.

Occorre osservare come l'ordinamento conosca ipotesi di potestà certificativa riconosciuta a soggetti i quali, pur svolgendo attività disciplinata da norme di diritto pubblico, non sono considerati - pacificamente - pubblici ufficiali.

In tal senso si vedano in particolare:

  1. Il difensore, all'atto di autentificazione della firma;

  2. Il professionista incaricato della presentazione della denuncia di inizio di attività (dia) ovvero del tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concezione edilizia

  1. Il difensore, all'atto di autentificazione della firma;

  2. Il professionista incaricato della presentazione della denuncia di inizio di attività (dia) ovvero del tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concezione edilizia

La giurisprudenza del Supremo Collegio pare unanime nel ritenere che il difensore, all'atto dell'autentica della firma, non sia un pubblico ufficiale: “la falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione di una procura "ad litem" comporta, a carico del difensore che se ne sia reso autore, la configurazione del reato di falsità ideologica commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità (

art. 481 c.p.

), dovendosi escludere, contrariamente a quanto sostiene l'organo ricorrente, che essa sia riconducibile ad una falsità ideologica in atto pubblico commessa da un pubblico ufficiale, laddove si sostanzi, come appunto si è verificato nella specie, nella mera declaratoria di genuinità della firma, senza, cioè, anche la menzione della presenza del sottoscrittore” (

Corte di Cassazione,

Sez. V, sentenza n. 15150 del 2007

; Sez. V, sentenza n. 15556 del 09/03/2011 Ud.).

Così anche in merito alla posizione del professionista incaricato del deposito della DIA (dichiarazione inizio di attività):

  1. “In tema di opere soggette a presentazione di denuncia di inizio attività (DIA), assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde, quindi, del reato di falsità ideologica in certificati, il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento di cui all'

    art. 23, comma primo, del d.P.R. n. 380 del 2001

    , renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest'ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato” (

    Corte di Cassazione

    , Sez. III, sentenza n. 27699 del 20/05/

    2010

    Ud

    ).
  2. Questa Corte ha già affermato, in tema del reato di falsità ideologica in certificato commesso da persona esercente in servizio di pubblica necessità, che, l'ingegnere e, comunque, il tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concessione edilizia, devono considerarsi esercenti un servizio di pubblica necessità. Infatti sia il progetto quanto la relazione sono atti professionali che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della professione specifica” (Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 9821 del 07/05/1986) […] “Ciò posto, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la contestazione attiene alla attestazione di conformità alla concessione di opere già eseguite e che appare indiscutibile la natura di certificato dell'atto, tenuto conto che esso assolve alla funzione di fornire alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi per le determinazioni che le competono (ad esempio in tema di agibilità dell'edificio)” (

    Corte di Cassazione,

    Sez. III, sentenza n. 8303 del 09/02/2006

    Ud.).

  3. Correttamente, poi, il fatto è stato sussunto nella figura criminosa di cui all'

    art. 481 c.p.

    , costituendo pacifico principio che le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall'esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione dello stato dei luoghi; conseguendone, pertanto, che rispondono del delitto previsto dall'

    art. 481 c.p.

    il professionista che redige le planimetrie e il committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele” (

    Corte di Cassazione, Sez. V, n. 15860/2006

    , Stivalini; n. 5098/2000, Stenico e altri; n. 5298/1993, P.M. in proc. Santachiara; n. 9821/1986, Borghi; Sez. III, sentenza n. 30401 del 23/06/2009 Ud.).

  1. “In tema di opere soggette a presentazione di denuncia di inizio attività (DIA), assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde, quindi, del reato di falsità ideologica in certificati, il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento di cui all'

    art. 23, comma primo, del d.P.R. n. 380 del 2001

    , renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest'ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato” (

    Corte di Cassazione

    , Sez. III, sentenza n. 27699 del 20/05/

    2010

    Ud

    ).
  2. Questa Corte ha già affermato, in tema del reato di falsità ideologica in certificato commesso da persona esercente in servizio di pubblica necessità, che, l'ingegnere e, comunque, il tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concessione edilizia, devono considerarsi esercenti un servizio di pubblica necessità. Infatti sia il progetto quanto la relazione sono atti professionali che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della professione specifica” (Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 9821 del 07/05/1986) […] “Ciò posto, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la contestazione attiene alla attestazione di conformità alla concessione di opere già eseguite e che appare indiscutibile la natura di certificato dell'atto, tenuto conto che esso assolve alla funzione di fornire alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi per le determinazioni che le competono (ad esempio in tema di agibilità dell'edificio)” (

    Corte di Cassazione,

    Sez. III, sentenza n. 8303 del 09/02/2006

    Ud.).

  3. Correttamente, poi, il fatto è stato sussunto nella figura criminosa di cui all'

    art. 481 c.p.

    , costituendo pacifico principio che le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall'esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione dello stato dei luoghi; conseguendone, pertanto, che rispondono del delitto previsto dall'

    art. 481 c.p.

    il professionista che redige le planimetrie e il committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele” (

    Corte di Cassazione, Sez. V, n. 15860/2006

    , Stivalini; n. 5098/2000, Stenico e altri; n. 5298/1993, P.M. in proc. Santachiara; n. 9821/1986, Borghi; Sez. III, sentenza n. 30401 del 23/06/2009 Ud.).

  1. “In tema di opere soggette a presentazione di denuncia di inizio attività (DIA), assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde, quindi, del reato di falsità ideologica in certificati, il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento di cui all'

    art. 23, comma primo, del d.P.R. n. 380 del 2001

    , renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest'ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato” (

    Corte di Cassazione

    , Sez. III, sentenza n. 27699 del 20/05/

    2010

    Ud

    ).
  2. Questa Corte ha già affermato, in tema del reato di falsità ideologica in certificato commesso da persona esercente in servizio di pubblica necessità, che, l'ingegnere e, comunque, il tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concessione edilizia, devono considerarsi esercenti un servizio di pubblica necessità. Infatti sia il progetto quanto la relazione sono atti professionali che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato allo esercizio della professione specifica” (Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 9821 del 07/05/1986) […] “Ciò posto, osserva il Collegio che, nel caso di specie, la contestazione attiene alla attestazione di conformità alla concessione di opere già eseguite e che appare indiscutibile la natura di certificato dell'atto, tenuto conto che esso assolve alla funzione di fornire alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi per le determinazioni che le competono (ad esempio in tema di agibilità dell'edificio)” (

    Corte di Cassazione,

    Sez. III, sentenza n. 8303 del 09/02/2006

    Ud.).

  3. Correttamente, poi, il fatto è stato sussunto nella figura criminosa di cui all'

    art. 481 c.p.

    , costituendo pacifico principio che le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall'esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione dello stato dei luoghi; conseguendone, pertanto, che rispondono del delitto previsto dall'

    art. 481 c.p.

    il professionista che redige le planimetrie e il committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele” (

    Corte di Cassazione, Sez. V, n. 15860/2006

    , Stivalini; n. 5098/2000, Stenico e altri; n. 5298/1993, P.M. in proc. Santachiara; n. 9821/1986, Borghi; Sez. III, sentenza n. 30401 del 23/06/2009 Ud.).

In giurisprudenza, d'altro canto, non pare sussistano particolari dubbi nel riconoscere al professionista incaricato della attestazione del piano nella soluzione concordata della crisi d'impresa la posizione di un soggetto privato, anziché quella del pubblico ufficiale.

In proposto si possono ricordare:

  • Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, giusto la quale “È di tutta evidenza che lo svolgere le funzioni di curatore è qualcosa di assolutamente diverso rispetto al semplice redigere una relazione per conto di una società che richiede l'ammissione ad un concordato preventivo. Tra le numerose e lapalissiane differenze basta soltanto rammentare che il curatore ricopre la funzione di pubblico ufficiale incaricato della gestione del patrimonio del fallito, mentre il professionista è soltanto un privato che effettua una prestazione professionale per conto di un imprenditore non ancora sottoposto ad alcuna procedura concorsuale” (

    Cass. Civ., Sez. I, 29 ottobre 2009, n. 22907

    );

  • La sentenza del 30 marzo 2011 con la quale il Tribunale di Torino (unico caso, per quanto costa, di procedimento svoltosi nei confronti di professionista testatore) ha escluso che il professionista incaricato

    ex art. 161 l

    .

    f

    all

    . assuma la qualità di pubblico ufficiale: in sentenza, oltre a menzionare la pronuncia della Cassazione di cui sopra, il Tribunale osserva come “il professionista sia legato ad un rapporto di fiducia con l'imprenditore, che lo ha nominato scegliendolo a preferenza di altri, circostanza questa (involgendo in qualche misura una dipendenza funzionale da una parte processuale) che di per sé rende ardua l'assimilazione ad una parte processuale”;

  • Ancora di recente il Tribunale di Milano, nell'ambito del decreto con il quale è stato ammesso alla procedura di concordato preventivo della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor (

    Tribunale di Milano, Sez. II, decreto

    28 ottobre 2011), ha rilevato, quanto al professionista, che questi è figura assimilabile a quella di un ctp: “la relazione degli esperti attestatori altro non è, in definitiva, che una relazione tecnica, come lascia chiaramente intendere, nel contesto di un'interpretazione sistematica delle norme che disciplinano la nuove forme di soluzione alternativa alla crisi d'impresa, l'

    art. 67, terzo comma, lett. d), legge fallimentare

    , laddove esige che la ragionevolezza del piano di risanamento - ma tale criterio è evidentemente estensibile anche alla fattibilità dei piani concordatari ed all'attuabilità degli accordi

    ex art. 182-

    bis

    l.

    f

    all

    . in quanto implicanti un analogo giudizio di feasibility - sia attestata ai sensi dell'

    art.

    2501- bis quarto comma del codice civile

    , ossia alla stregua dei criteri che devono utilizzare gli esperti chiamati ad attestare la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel prospetto di fusione societaria a seguito di acquisizione con indebitamento; esperti che, a loro volta, come dispone l'art. 2501-sexies, sono assoggettati non a caso alla responsabilità prevista per i consulenti tecnici d'ufficio ai sensi dell'

    art. 64 c.p.c.

    , ad ulteriore conferma della natura di elaborati tecnici - indifferentemente - di tutte queste forme di attestazione. (Principio già affermato nel decreto

    16 luglio 2008, n. 174/2009).

Con il che, se non altro in ambito giurisprudenziale, la vicenda può dirsi, non a torto, definita.

In conclusione, pare potersi sostenere come il professionista di cui all'

art. 67 l

.

f

all

. sia un privato, alla cui attività di ausilio dell'imprenditore/debitore il legislatore ha ritenuto dover conferire una più intensa efficacia probatoria; ai sensi dall'

art. 359 ultimo comma n. 1 c.p.

, questi deve essere ritenuto persona esercente servizio di pubblica necessità: non essendo corretto, infatti, privare il ruolo professionista - proprio considerato della sua posizione di garanzia nei confronti del ceto creditorio - di qualsivoglia valenza pubblicistica.

Sia sufficiente osservare come sia coerente con la soluzione prospettata il requisito della doppia iscrizione del professionista in due documenti pubblici quali sono il registro dei revisori contabili da una parte e l'albo professionale dall'altra: non un esperto qualsiasi, dunque, bensì un esperto qualificato, con duplice garanzia di competenza tecnica e di professionalità.

Fattispecie penale applicabile alle eventuali falsità contenute nella relazione del professionista è quindi quella di cui all'

art. art. 481 c.p.

(falso ideologico commesso in certificati da persone esercenti servizio di pubblica necessità), norma posta a tutela delle attestazioni private qualificate da particolare rilevanza pubblica e di cui il privato è obbligato a servirsi.

In altri termini, si deve considerare il professionista quale un soggetto qualificato e non assimilabile al privato che rende una falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale (

art. 483 c.p.

).

Peraltro, come innanzi accennato, a voler individuare caso analoghi a quello qui in considerazione, è dato ravvisare esempi agevolmente riconducibili alla fattispecie di cui all'

art. 481 c.p.

che non alla fattispecie “confinante”, di cui all'

art. 483 c.p.

Oltretutto, la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (483 c.p.) riguarda l'ipotesi di dichiarazioni del privato che il pubblico ufficiale ha il dovere di documentare.

Si tratta quindi di fattispecie che presuppone un collegamento diretto tra il privato, autore della falsificazione, ed il pubblico ufficiale che, pur estraneo al falso, deve raccogliere tali dichiarazioni, secondo quanto ricordato dalla Cassazione, giusto la quale “presupposto del delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (

art. 483 c.p.

) è l'esistenza di una specifica norma giuridica che attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al dovere del dichiarante di dichiarare il vero” (

Corte di Cassazione,

Sez. Unite, sentenza n. 35488 del 28/06/

2007

).

Nell'ipotesi di cui all'

art. 483 c.p.

, dunque, si è di presenza di un atto del pubblico ufficiale, il quale recepisce le dichiarazioni del privato: sarà quindi l'atto pubblico ad essere falso in conseguenza della dichiarazione del privato; nel nostro caso, invece, la relazione del professionista non è immediatamente diretta al pubblico ufficiale ( vale a dire al Tribunale), bensì accede al piano, ne attesta la veridicità e costituisce il presupposto per l'ammissibilità alla procedura; il decreto di ammissibilità, atto del Tribunale, non è per ciò solo un atto falso in conseguenza della falsità della attestazione: più semplicemente si tratta di un atto emesso in carenza dei presupposti di legge.

Ancor meno concreto risulta il rapporto tra la dichiarazione del privato e l'atto del pubblico ufficiale nelle ipotesi di piano di risanamento e di accordi di ristrutturazione, nei quali la relazione, contente false attestazioni, non è rivolta all'autorità giudiziaria; piuttosto è rivolta ai creditori, circostanza che accentua in misura ancor maggiore la difficoltà di far ricorso alla fattispecie di cui all'

art. 483 c.p.

in luogo di quella di cui all'

art. 481 c.p.

.

In dottrina vi è chi ha ritenuto, per contro, non pertinente il ricorso all'

art. 481 c.p.

in ragione della differenza di testo (e quindi di contenuto) tra quest'ultima norma - che sanziona la falsa attestazione di fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità - e quella di cui all'

art. 161 l

.

f

all

., là ove si afferma che la relazione del professionista attesta la veridicità del dato aziendale.

L'assunto peraltro non pare condivisibile, posto che sotto il profilo letterale, infatti, veridico è ciò che dice il vero (dal latino verus dicere) ed è aggettivo riferito ai dati aziendali: dunque, la relazione deve verificare/certificare che i dati aziendali “dicano il vero”, con il che la relazione falsa, che non compie tale controllo, è certo atto penalmente rilevante ai sensi dell'

art. 481 c.p.

Oltretutto, mentre nell'

art. 481 c.p.

la “verità” è riferita all'atto, nell'

art. 161 lf

la “veridicità” qualifica il dato aziendale ed è proprio l'oggetto della verifica del professionista.

Si è altresì sostenuto, in dottrina, come solo nel caso del concordato preventivo sia espressamente previsto che la relazione del professionista attesti la veridicità del dato, non comparendo analoga previsione per i piani risanamento ovvero per gli accordi di ristrutturazione.

In ossequio al principio di legalità, quindi, si ritiene che solo nel primo caso sarebbe invocabile la eventuale sanzione penale per il falso commesso dal professionista.

Anche questa considerazione non pare essere del tutto convincente, posto che il professionista con la propria relazione altro non può fare che certificare la veridicità del dato aziendale: è l'atto in sé che è destinato, per sua natura, ad offrire la prova - e la tranquillità per il ceto creditorio - che l'offerta del debitore non si fonda su dati falsi.

Limitare la più intensa valenza probatoria della relazione solo alle ipotesi di concordato preventivo, oltre ad essere conclusione in contrasto con i requisiti soggettivi che oggi la legge impone per la nomina del professionista, verrebbe a determinare una disparità di trattamento tra istituti, disparità della quale sarebbe lecito dubitare sul piano costituzionale.

Le ipotesi di concorso del professionista con altre figure

Ciò posto in riferimento al reato direttamente addebitabile all'attestatore, occorre ora verificare quali siano le ipotesi di concorso con altre figure, prima fra tutte quella del debitore.

Si rende, preliminarmente, necessaria una distinzione: mentre nel caso del concordato preventivo vi è, per il debitore, una disposizione speciale (

art. 236 l.

f

all

.), non così accade per il piano di risanamento e gli accordi di ristrutturazione, per i quali - al fine di individuare eventuali ipotesi di reato commessi in sede di presentazione di un piano - occorre ricorrere ad ipotesi delittuose di carattere generale.

Nel caso di concordato preventivo vige il disposto di cui all'

art. 236 l.

f

all

.

La norma si suddivide in due commi: il primo descrive condotte tipiche dell'imprenditore individuale; il secondo è invece strutturato con la tecnica del rinvio ad altre disposizioni normative, fermo restando che, per la configurazione del reato di bancarotta ex art. 236 cpv. n. 1

l

.

f

all

., è sufficiente il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, senza che sia necessaria la sentenza di omologazione passata in giudicato.

Ai sensi dell'

art. 236, comma

1

, l

.

f

all

., è punito, con la con la reclusione da uno a cinque anni, l'imprenditore individuale che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo, si sia attribuito attività inesistenti (attività tra le quali possono rientrare anche crediti): è questo il caso dell'imprenditore che rappresenta nel piano, nella relazione sulla situazione patrimoniale economica e finanziaria della società ovvero ancora nello stato analitico estimativo delle attività e nell'elenco dei creditori, una situazione più florida di quella reale, allo scopo, evidentemente, di prospettare la possibilità di poter pagare, se pur in percentuale ridotta, tutti i creditori, siano essi suddivisi o meno in classi.

La falsa attestazione della veridicità del dato comporta, dunque, che il professionista concorra, quale extraneus, nel reato commesso dall'imprenditore individuale.

Analogamente può dirsi per la fattispecie descritta nella seconda parte del primo comma, vale a dire l'aver simulato crediti in tutto o in parte inesistenti al fine di influire sulla formazione delle maggioranze.

Premesso che, più che ai crediti, il riferimento è ai debiti (ovvero ai creditori), la norma concerne l'ipotesi dell'imprenditore che simula un credito verso un terzo al fine di poter contare sul suo appoggio al momento del voto; condotta la cui portata viene ad essere accentuata nel caso in cui i creditori siano suddivisi in classi.

Il dolo specifico, tuttavia, ridimensiona l'ambito operativo della fattispecie e rende quasi del tutto ipotetico il possibile concorso del professionista attestatore; concorso esteso, in tale ipotesi, anche al creditore consenziente.

Il secondo comma dell'

art. 236 l

.

f

all

. (ipotesi di bancarotta impropria), rivolto non all'imprenditore individuale bensì ai rappresentanti societari, non contempla, a differenza del primo, specifiche fattispecie relative alla presentazione della domanda di concordato preventivo.

Occorre tuttavia osservare come, attraverso il rinvio all'

art. 223 l.

f

all

. (da parte dell'art. 236, comma 2, n. 1), venga ad essere richiamato il disposto normativo di cui all'

art. 216, comma 1, l.

f

all

.

Tra le plurime condotte ivi descritte, rileva in questa sede - in quanto compatibile con la presentazione della domanda di concordato preventivo - quella di esposizione (ovvero di riconoscimento) di passività inesistenti.

Premesso che in dottrina si ritiene che esposizione e riconoscimento si distinguono in ragione dell'iniziativa dell'azione (del debitore nel primo caso, del creditore nel secondo caso), si potrebbe verificare l'ipotesi - al pari di quanto accennato poc'anzi - del debitore che vada ad indicare nel piano o negli altri documenti allegati al piano, crediti verso terzi a loro volta insussistenti, con l'obiettivo di creare una situazione di danno per la massa creditoria, nella quale finiscono con il trovarsi creditori fittizi, collusi con il proponente, ed in grado di influire sul voto finale.

La fattispecie di cui all'ultima parte dell'art. 216, comma primo, n. 1,

l.

f

all

. è, tuttavia, sorretta dal dolo specifico dell'intenzione di creare un pregiudizio per i creditori: in questo caso occorrerebbe ritenere che il dolo consista nella volontà di manipolazione delle maggioranze in vista del voto sulla proposta di concordato, potendo considerarsi pregiudizio per i creditori l'approvazione di una proposta di concordato altrimenti destinata ad essere respinta.

L'ipotesi di concorso, quindi, del debitore, del creditore fittizio e del professionista attestatore, è ipotesi, al pari di quella precedente, del tutto marginale.

Il piano ed i documenti allegati, poi, non sono considerati scritture contabili, con il che è da escludere la possibilità di far ricorso alla fattispecie di cui all'

art. 216, comma 1, n. 2 l.

f

all

.

Qualche diversa considerazione, invece, per l'ipotesi di cui al comma 3 dell'

art. 216 l

.

f

all

., riferibile al concordato preventivo a mente del richiamo dell'art. 236 comma 2, all'art. 223.

Infatti, nonostante, ai sensi dell'

art. 217

bis

l

.

f

all

., le disposizioni di cui all'art. 216 non si applicano ai pagamenti ed alle operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo, ben potrebbe ritenersi integrata la fattispecie di bancarotta preferenziale qualora i pagamenti e le operazioni costituiscano adempimento di un piano presentato dal debitore, a sua volta viziato da errori non colposi e, quindi, da falsità, contenute in particolare nella relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.

Contestazione questa della quale verrebbe a rispondere anche il professionista, in presenza della prova della consapevolezza circa il dato contrario al vero ed oggetto di asseverazione.

Ancora, l'

art. 236 l

.

f

all

. rinvia altresì alle fattispecie di cui all'art. 223, comma 2, nn. 1 e 2: non pare, tuttavia, vi sia spazio per individuare condotte riferibili alla fase di presentazione del piano concordatario ed alla attestazione del professionista.

Più in particolare, l'

art. 223, comma

2

n. 1, l

.

f

all

., richiede, innanzitutto, un nesso eziologico tra la condotta ed il dissesto, il che comporta per l'interprete la fatica di destreggiarsi tra concetti confinanti e non sempre sovrapponibili, quali quello di insolvenza, di dissesto e di stato di crisi, che vanno ad individuare diversi stadi di difficoltà economica in cui versa la società.

Al tempo stesso, ammesso che il fatto concreto consenta una tale distinzione, è parimenti da escludere il possibile ricorso agli

artt. 2621

e

2622 cod. civ.

, non potendosi considerare il piano e gli altri documenti allegati (tra i quali in particolare la relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società) comunicazioni sociali; è carente, infatti, uno dei requisiti della fattispecie, vale la naturale destinazione delle informazioni al pubblico, in altri termini ad una cerchia di persone indeterminabile a priori.

Le altre fattispecie di cui all'

art. 223, n. 1 l.

f

all

. non descrivono condotte che possano essere ricollegate ad attività delittuose commesse con la presentazione del concordato e così altrettanto può dirsi per le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2.

Da ultimo, il rinvio dell'

art. 236

all'art.

224 l.

f

all

. riconduce alle ipotesi di bancarotta semplice (

art. 217 l.

f

all

.) nonché al dissesto cagionato o aggravato con inosservanza degli obblighi imposti dalla legge: anche in questo caso non è dato ravvisare condotte che si possano coordinare con eventuali falsità commesse in occasione della presentazione del piano e, quindi, nella sua falsa attestazione, salvo quella di cui all'art. 217, comma 2, n. 4, di ritardato fallimento per il medesimo ordine di argomentazioni esposto a proposito della bancarotta preferenziale.

Come ricordato poc'anzi, per i piani attestati e per gli accordi di ristrutturazione manca una qualche fattispecie speciale, analoga a quella di cui all'

art. 236 l

.

f

all

. per il concordato preventivo e così a voler individuare ipotesi di reato in capo al debitore al momento della alla presentazione del piano (o dell'accordo), con l'eventuale concorso del professionista, non può che farsi ricorso alla normativa generale, salva ovviamente l'ipotesi che intervenga, in un momento successivo, il fallimento.

In primo luogo giova osservare come, se il piano e la documentazione ad esso allegata nel caso del concordato preventivo non possono essere ritenuti comunicazioni sociali, perché non rivolti al pubblico, non così dovrebbe dirsi, invece, per l'accordo di ristrutturazione, accordo che acquista efficacia al momento della sua pubblicazione sul registro delle imprese e per il quale la legge legittima all'opposizione qualunque interessato (art. 182 bis, comma 4).

Si tratta di requisiti di pubblicità e di legittimazione all'azione non limitati alla cerchia dei soli creditori e che, pertanto, consentono di ritenere intergrato il requisito dell'informazione diretta al pubblico.

Ciò comporta, pertanto, che l'accordo di ristrutturazione possa essere considerato una comunicazione sociale, con la conseguenza che le falsità contenute nel piano e nella attestazione risulterebbero sanzionate ai sensi degli

artt. 2621 ovvero 2622 cod. civ.

, in presenza degli altri elementi della fattispecie.

Non così per il piano di risanamento, rigidamente rivolto ad una parte dei creditori sociali e privo di ogni requisito di pubblicità.

Ipotesi di falsità nel piano, potrebbero essere ricondotte al delitto di truffa, in particolare di truffa contrattuale, delitto che verrebbe a fermarsi alla soglie del tentativo in caso di mancata esecuzione del piano stesso.

In entrambi questi ultimo casi, il professionista attestatore verrebbe a rispondere anche del delitto contestato al debitore, in concorso con questo.

Resta ferma, da ultimo, la possibilità che falsità contenute nel piano ovvero nell'accordo di ristrutturazione siano stati predisposti (anche) allo scopo di dissimulare il dissesto o lo stato d'insolvenza (ma non lo stato di crisi), il che verrebbe ad integrare la fattispecie di cui all'

art. 218 l

.

f

all

., di ricorso abusivo al credito, posto che secondo la dottrina maggioritaria la norma si applica anche in assenza di una dichiarazione di fallimento (in secondo contrario, cfr. Cass. Pen., Sez. V, 4 maggio 2004 n. 2376 ).

Il contenuto della relazione del professionista

La legge non precisa quale debba essere il contenuto dell'attestazione.

Di certo è da escludersi che il professionista possa limitarsi a riferire che i dati aziendali sui quali si fonda il piano sono stati recepiti dalla contabilità dell'impresa; al contrario egli è tenuto ad effettuare una vera e propria certificazione, mediante la quale dia atto della conformità sostanziale tra i dati aziendali contenuti nel piano con gli elementi desunti dalle scritture contabili e dalla ulteriore documentazione oggetto della verifica.

L'attestazione di veridicità

, quindi, presuppone la visione e l'esame dettagliato dei libri e delle scritture contabili del debitore nonché dei titoli e documenti sottostanti, facendo ricorso alle tecniche tipiche della revisione.

In particolare, proprio il richiamo della

legge fallimentare

all'art. 2501 bis, comma 4, e da questo all'art. 2501 sexies, in definitiva alla diligenza specifica del revisore, potrebbe in particolare suggerire la raccomandazione per il professionista di far ricorso agli ISAE 3400 che forniscono un quadro procedurale di riferimento condiviso.

Circa il contenuto della relazione di asseverazione, occorre ricordare come il Consiglio Nazionale dei dottori Commercialisti abbia elaborato, sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, una serie di principi di comportamento diretta fornire al professionista le linee guida per la stesura dell'attestazione la cui osservanza ovvero inosservanza non potrà ritenersi priva di rilevanza nel quadro di una valutazione complessiva dell'operato dell'attestatore.

Comunque, l'informazione, per essere ritenuta vera deve andare esente da formalismi, formule di stile, formule di salvaguardia (per quanto potuto verificare; per quanto è stato possibile accertare e così via).

Nella prassi, per contro, si leggono certificazioni di piani di fattibilità spesso carenti sul piano della veridicità dei dati aziendali e lacunose con riguardo alla concreta idoneità del piano a consentire il risanamento dell'azienda: ciò rende difficile la valutazione del piano e soprattutto, in caso di insuccesso, la valutazione della diligenza del professionista, anche ai fini della valutazione della sua responsabilità civili e penali.

Il dubbio, in simili eventualità, è se si sia in presenza di una relazione che possa assolvere i requisiti minimi imposti dalla legge ovvero se la presentazione da parte del debitore di una attestazione dal contenuto generico allegata al piano non finisca con l'avere conseguenze dirette sull'ammissibilità della proposta.

Questo per il concordato preventivo; negli altri casi, è lecito attendersi un comportamento ancor più prudenziale da parte dei creditori, i quali sono chiamati ad aderire alla proposta senza l'”ombrello” del vaglio critico del Tribunale.

Si è ancora affermato in dottrina che il debitore dovrà mettere a disposizione del certificatore anche gli eventuali dati extracontabili che siano stati necessari per l'elaborazione della proposta.

Né, è stato sottolineato, andrà esente da responsabilità il professionista che taccia eventuali irregolarità o falsità riscontrate nel corso della redazione della relazione.

In conclusione, il professionista deve redigere non tanto una mera attestazione, quanto piuttosto una vera e propria articolata e motivata relazione di controllo che si conclude poi con l'attestazione richiesta.

In argomento, tanto la giurisprudenza di merito tanto gli orientamenti della Cassazione sono concordi nel ritenere che l'elaborato del professionista deve contenere, al fine di essere ritenuto tale, alcuni requisiti essenziali.

Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito, si possono segnalare - tra le tante:

  • Tribunale Monza, 20 settembre 2010, secondo cui: “Con riguardo alla attestazione ciò si traduce nel riscontro della sussistenza degli elementi necessari a far si che detta relazione possa corrispondere alla funzione che le è propria di fornire elementi di valutazione per i creditori. Il controllo, quindi, ben potrà verificare e valutare la coerenza e la completezza logico argomentativa dei discorso asseverativo dell'attestatore, valutando se detto discorso risulti immune da carenze e vizi logici tali da pregiudicare elementi rilevanti ai fini degli enunciati della corte suprema (cosi Trib. Roma 5.11.2009; Trib. Piacenza 23.06.2008;

    Trib. Udine 2.3.2009

    ). Tale verifica assolve allo scopo di accertare che la proposta concordataria abbia la stabilità e la coerenza necessarie per veicolare sulla stessa il consenso consapevole ed informato del ceto creditorio (Trib. Bologna 17.2.2009) e risulta del tutto coerente con il ruolo che la procedura concordataria assegna al tribunale, di garante dell'interscambio delle informazioni necessarie ad eliminare eventuali asimmetrie informative ed a consentire ai creditori - tramite il voto - di esprimere pienezza di informazioni, quella valutazione di convenienza che di fatto ad essi solo è rimessa”;

  • Corte d'appello di Torino, 14 luglio 2010, secondo la quale l'analisi del professionista deve presentare, quale requisito minimo del giudizio di ammissibilità, la analitica esplicitazione dei controlli effettuati, dei criteri utilizzati, delle ragioni per cui, al motivato vaglio tecnico proprio della scienza aziendale di cui l'esperto è conoscitore i dati posso e debbono essere ragionevolmente verificati. In punto fattibilità, l'analisi del professionista, pur dandosi atto che si tratta di un giudizio di natura prognostica, deve essere ancorata alla esposizione di una serie di elementi di fatto, di natura contabile, economica e finanziaria idonei a fondare un giudizio se non di sicura, almeno di probabile realizzabilità del piano. La attestazione del professionista deve essere contraddistinta da intrinseca coerenza del discorso, da completezza argomentativa e motivazionale

  • Tribunale di Milano, 10 marzo 2010

    , a dire del quale: “L'interpretazione dell'art. 161, comma 3, suggerisce di valorizzare la fondamentale funzione di garanzia che la relazione dell'attestatore assume nell'ambito del procedimento, a fronte della scelta di esimere il tribunale, ai fini dell'ammissione, da ogni verifica nel merito. Il professionista deve dunque attestare, con chiara ed inequivoca assunzione di responsabilità, la veridicità dei dati aziendali, così come esposti nella situazione patrimoniale prodotta, e posti a base del piano, nonché sulla fattibilità del piano stesso, illustrando congruamente, al fine di consentire al Tribunale il controllo sulla completezza e logicità dell'iter argomentativo, le verifiche compiute in ordine alla suddetta veridicità del dato ed gli elementi di fatto e le valutazioni che il professionista ha ritenuto idonee a dimostrare con ragionevole certezza - benché con i limiti propri del giudizio prognostico - l'attuabilità del piano. Il professionista deve svolgere tute le verifiche necessarie al fine dell'attestazione della richiesta, ossia della sua idoneità ad assicurare, secondo una valutazione ex ante, la ragionevole certezza dell'attuazione del piano. Le verifiche devono essere fatte secondo le regole tecniche della revisione contabile (e delle discipline che rilevano in ordine alla concreta articolazione della proposta); né è ammissibile, in sede di attestazione, l'utilizzo di formule generiche volte a delimitare la portata dell'attestazione stessa e quindi della responsabilità ad essa connessa”.

Analogo, quanto ai contenuti dell'elaborato del professionista, l'orientamento di legittimità.

In particolare la Cassazione ha evidenziato come la relazione del professionista sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa debba essere aggiornata e debba contenere effettivamente una dettagliata esposizione della situazione sia patrimoniale, sia economica, sia finanziaria dell'impresa; come, inoltre, debba essere adeguatamente motivata “indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri seguiti per pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali ed alla conclusione di fattibilità del piano(

Cass. Pen., Sez. I, s

entenza n. 21860 del 25/10/2010

).

Dunque, la relazione del professionista che viene allegata alla proposta avanzata del debitore/imprenditore oltre a dover dare atto dell'attività svolta, come analiticamente richiesto dalla giurisprudenza, dovrà altresì indicare le ragioni per le quali egli ha eventualmente inteso discostarsi dai criteri di analisi di bilancio riconosciuti, quantomeno quelli elaborati dal Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti.

Se è vero, infatti, che il falso riguarda le attestazioni di veridicità dei dati contenuti nella proposta del debitore, è altrettanto vero che non si può a priori affermare che le valutazioni siano a loro volta del tutto estranee da ipotesi di falsità, specie qualora vi siano schemi predeterminati, linee guida ai quali attenersi.

In argomento è possibile segnalare un preciso orientamento della Cassazione: “… sembra ragionevole ritenere che anche le valutazioni possano assumere un significato descrittivo, e risultare perciò predicabili di falsità, quando si inseriscano in un contesto di criteri riconosciuti di cui si presentino come attendibile applicazione. Sicché non vi sono ragioni per discostarsi dalla giurisprudenza che riconosce la possibilità di considerare falso "l'enunciato valutativo che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondato su premesse contenenti false attestazioni" (

Cass., sez. 5^, 9 febbraio 1999

, Andronico, m. 213366,

Cass., sez. 5^, 30 novembre 1999

, Moro, m. 215744): come avviene per le false attestazioni di idoneità alla guida (

Cass., sez. 6^, 6 aprile 1993

, Mennillo, m. 194200) ovvero di "sana e robusta costituzione fisica" (

Cass., sez. 1^, 11 ottobre 1994

, Torresi, m. 199666) . Nè pare possa dubitarsi che sia predicabile di falsità una perizia estimativa, quando attribuisca al bene da stimare un valore pari alla metà di quello reale. Se non si riconoscesse una qualche oggettività a tali valutazioni, infatti, si dovrebbe concludere che tutta la nostra vita sociale ed economica è esposta ad arbitri incontrollabili” (

Corte di Cassazione, S

ez. V, sentenza n. 6244 del 14/01/2004

).

Ferme restando sul punto difficoltà di prova, potranno ricorrere ipotesi di falso ogni qualvolta il professionista si sia ampiamente discostato da criteri di valutazione riconosciuti senza indicarne la ragione e la sua valutazione, ad un successivo controllo sia da parte del commissario giudiziale, sia in caso di esito infausto del piano, si sia rivelata infondata.

Cenni sulla riforma del 2010: la disposizione di cui all'art. 217 bis l. fall.

Il generale favor per le soluzioni negoziate ha spinto il legislatore ad individuare un'area di penale irrilevanza conseguente ad atti posti in essere in esecuzione dei piani e degli accordi oggetto dell'attestazione del professionista di cui sopra.

Il comma 2 bis del'art. 48, comma della

legge

n. 122 del 2010

, infatti, introduce l'art. 217 bis tra le disposizioni penali della

legge fallimentare

, individuando pagamenti e operazioni da considerare esentati dalle disposizioni incriminatrici della bancarotta semplice e della bancarotta preferenziale.

Si tratta dei pagamenti e delle operazioni compiuti in esecuzione:

- di un concordato preventivo;

- di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (

art. 182 l

.

f

all

.);

- del piano di cui all'art. 67, comma 3, lett. d).

“Pagamenti” ed “operazioni” i quali - ove effettuati in adempimento di uno dei piani sopra indicati - non possono, secondo il legislatore, essere considerati:

  • pagamenti “preferenziali”, eseguiti cioè allo scopo di favorire, a danno dei creditori, taluni di essi;

  • operazioni manifestamente imprudenti di consumazione di “una notevole parte del patrimonio” dell'imprenditore (art. 217, comma 1, n. 2);

  • operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento (art. 217, comma 1, n. 3);

  • condotte gravemente colpose aggravatrici del dissesto (art. 217, comma 1, n. 4).

Rimane comunque aperto il tema dei confini della nuova disposizione normativa.

Muovendo dall'ipotesi apparentemente meno complessa - quella dei pagamenti e delle operazioni compiuti in esecuzione del piano di cui all'articolo 67, comma 3, lett. d) - può rilevarsi che, perché pagamenti ed operazioni sono esclusi dalla bancarotta preferenziale e della bancarotta semplice solo qualora posti in essere proprio in esecuzione “di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell'art. 2501 bis comma 4, da un professionista in possesso dei requisiti di cui all'

art. 28, lett. a) e b) l

.

f

all

.

La verifica, in caso di fallimento dell'impresa (quando il piano non ha, dunque, conseguito il risultato che si proponeva), vale a dire il giudizio sulla ragionevolezza e sulla idoneità del piano - da apprezzarsi ex ante - compete al giudice penale.

La stessa esenzione riguarda, peraltro, anche pagamenti ed operazioni posti in essere “in esecuzione del concordato preventivo e dell'accordo omologato ai sensi dell'articolo 182-bis

”.

L'art. 217-bis, con riguardo ai pagamenti ed alle operazioni esecutive dell'accordo di ristrutturazione dei debiti (stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti) omologato, richiama esplicitamente l'art. 182-bis, che impone all'imprenditore in stato di crisi che domandi l'omologazione di depositare una relazione redatta da un professionista (in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, terzo comma, lett. d) sull'attuabilità dell'accordo, in particolare sulla idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

Il problema, in questo caso, è se detta “attuabilità” costituisca materia di verifica per il giudice penale, per modo che questi, qualora con valutazione ex ante, ne accerti l'insussistenza, dovrebbe escludere l'“esenzione” e ciò perché, in conseguenza di tale valutazione, i pagamenti e le operazioni non potrebbero dirsi posti in essere in esecuzione di un accordo avente le connotazioni imposte dall'art. 182-bis.

La risposta è conseguenza del valore che si intende attribuire, nel caso di cui all'

art. 182

bis

l. fall

., al decreto di omologazione del Tribunale: se, infatti, il decreto deve contenere anche una valutazione di merito e quindi deve contenere una valutazione di “attuabilità”, il provvedimento, una volta definitivo, non parrebbe più sindacabile dal giudice penale.

Ove si giungesse ad escludere che il giudice civile svolga una valutazione sulla fattibilità del piano di ristrutturazione, non potrebbe negarsi che tale valutazione debba essere compiuta da quello penale quando venga invocata l'operatività dell'art. 217-bis.

Considerazioni analoghe potrebbero essere svolte anche in relazione al concordato preventivo, il quale implica un piano di soluzione dello stato di crisi la cui “fattibilità” è - al pari di quanto accade nel piano di risanamento e nell'accordo di ristrutturazione - oggetto della valutazione del professionista (cfr. art. 161, comma 3): il controllo del tribunale in sede di ammissione alla procedura appare più incisivo.

In definitiva - si è osservato - la disposizione introdotta dalla novella sembra aver contratto l'area di tipicità delle norme incriminatici di cui agli artt. 216, comma 3, e 217, ma non chiarisce entro quali confini debba svolgersi la cognizione del giudice penale sulla sussistenza dei presupposti che escludono la rilevanza delle condotte contemplate nella nuova disposizione, quantomeno con riguardo a quelle procedure in cui è previsto un controllo giudiziale degli accordi.

In altri termini, non è agevole stabilire se il giudice debba limitarsi a prendere atto dell'intervenuta omologazione degli accordi intervenuti tra debitore e creditori o dell'ammissione del primo al concordato preventivo, provvedendo a verificare esclusivamente che operazioni e pagamenti di cui viene invocata l'irrilevanza penale siano effettivamente stati eseguiti in esecuzione di tali accordi, ovvero se gli sia attribuito anche il potere di testare - con valutazione ex ante

- l'originaria efficienza economica dell'accordo, al fine di escludere la possibilità che questo sia stato concluso al solo fine di evitare la concorsualità di alcuni crediti e di sottrarre il loro soddisfacimento al rischio della bancarotta.

Il ruolo del P.M. nell'ambito della procedure di composizione della crisi d'impresa

Sarebbe naturale domandarsi per quale ragione, a fronte di un tema così ampiamente dibattuto, in concreto si abbia alla fine si traccia di un solo procedimento penale celebrato nei confronti di un professionista per il reato di falso nella sua attestazione, procedimento penale conclusosi con assoluzione non avendo il giudice, come innanzi riportato, riconosciuto al professionista la qualifica di pubblico ufficiale.

Pur non potendosi addentrare nel dettaglio di considerazioni generali di politica giudiziaria, resta il fatto che, preliminarmente, non si può far altro che ribadire la necessaria ed attiva partecipazione del Pubblico Ministero alla procedure di soluzione alternative alla crisi d'impresa, momento imprescindibile perché possa essere garantita, tra l'altro, anche un controllo pubblicistico sulla regolarità delle stesse, in presenza di un'accentuata privatizzazione di queste rispetto al passato.

Passando in rassegna le norme che direttamente disciplinano l'intervento del P.M., possiamo osservare che devono essere a lui comunicati:

  • la domanda di concordato (

    art. 160 l

    .

    f

    all

    .);

  • il decreto con il quale viene dichiarata l'inammissibilità della proposta, presupposto necessario per consentire al PM di presentare la richiesta di dichiarazione di fallimento (

    art. 162 l

    .

    f

    all

    .);

  • l'apertura della procedura di revoca della ammissione al concordato, nell'ipotesi in cui il commissario giudiziale abbia accertato atti di frode (

    art. 173 l

    . fall

    .): in questo caso vi è espresso rinvio alle forme dell'

    art. 15 l

    . fall

    ., norma che presuppone il necessario intervento del PM;

  • la fissazione dell'udienza per il giudizio di omologazione: la pubblicazione del provvedimento di fissazione della camera di consiglio, infatti avviene a norma ai sensi dell'art. 17, quindi - secondo la modifica apportata dal correttivo del 2007 - comunicato al pubblico ministero ai sensi dell'

    art. 136 c.p.c.

    .

Volendo poi prendere in esame quello che può essere il contenuto dell'intervento, giova premettere come al P.M. siano precluse, innanzitutto, le stesse valutazioni impedite all'autorità giudiziaria, prima fra tutte quelle relative al giudizio sulla meritevolezza del debitore nonché alla convenienza della proposta stessa.

In altri termini, l'intervento del P.M. non può che essere in linea con quello che si ritenere oggi essere il confinante potere del Tribunale nel valutare i presupposti per l'ammissibilità della proposta concordataria, con particolare attenzione al progetto di fattibilità ed all'attestazione di veridicità dei dati aziendali, confine a proposito del quale si è sviluppato ampio dibattito, tanto in dottrina, quanto nella giurisprudenza, di merito e di legittimità.

Esaminando - senza ovviamente pretesa di completezza - alcune pronunce di merito, è dato osservare in generale come:

  • mancano riferimenti ad una valutazione nel merito della veridicità dei dati aziendali attestata dal professionista, all'evidenza trattandosi di una valutazione incompatibile con i tempi ristretti della fase di ammissibilità. La veridicità del dato è quindi recepita dalla attestazione del professionista e proprio questa costituisce quella parte dell'attestazione che, per sua natura, può essere più frequentemente oggetto della condotta di falsità;

  • alcuni giudici ritengono che rientri nel loro potere la valutazione - ai fini del giudizio di ammissibilità - nel merito della fattibilità del piano (dovendosi peraltro osservare come il giudizio di fattibilità si possa ritenere come un giudizio circa la sussistenza di una precondizione perché il piano possa essere ritenuto conveniente dai creditori, non potendosi formulare un giudizio di convenienza relativo ad un piano prima facie carente sotto l'aspetto della fattibilità);

  • altre pronunce, pur negando al Tribunale un potere di sindacato esteso sino alla deliberazione della fattibilità ”nel merito” della proposta, escludono comunque che il concordato preventivo avrebbe assunto una veste pressoché interamente privatizzata ovvero degiurisdizionalizzata. Coerentemente con tale impostazione il controllo del Tribunale viene allora inteso come controllo diretto ad impedire che il passaggio alla valutazione ed alla formazione del consenso avvenga alla stregua di proposte prive di requisiti di seria ed affidabile attestazione. Il che pone ineludibilmente l'accento su quelli che devono essere i requisiti della relazione del professionista.

Anche la giurisprudenza della Suprema Corte non pare ancora sufficientemente delineata.

Vi è un orientamento senza dubbio più restrittivo, a dire del quale “Se il Tribunale in sede di omologazione del concordato non può procedere d'ufficio a valutazioni di convenienza del concordato, dato il determinante ed esclusivo rilievo attribuito al consenso dei creditori, non può fondatamente ritenersi, in mancanza di una espressa disposizione, che il legislatore abbia attribuito al Tribunale, in sede di giudizio di ammissibilità, il potere di sindacare d'ufficio la fattibilità del piano, vale a dire poteri maggiori di quelli attribuiti al Tribunale stesso in sede di omologazione, privando, qualora ritenga non fattibile il piano, i creditori della possibilità di esaminare la proposta, di valutarne la congruità e convenienza e di accettarla dopo avere eventualmente vagliato anche il rischio di un insuccesso della proposta concordataria.

Nè il Tribunale può procedere ad accertare se effettivamente, contrariamente a quanto affermato dal professionista nella sua relazione, i dati aziendali sono veridici”.

Ad esso se ne contrappone un altro, che trova espressione nella sentenza della

cassazione n. 18864 del 2011

(

Corte di Cassazione, sez. I, sentenza n. 18864/2011,

dep. 15 settembre 2011

, in IlFallimentarista.it, con nota di F. Lamanna, Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l'intervento delle SSUU), secondo cui “è soprattutto con riguardo alla fattibilità del piano che si pone il dubbio se l'accentuazione privatistica del concordato abbia tagliato fuori, nei tre distinti momenti di verifica scanditi dalla

L. Fall., artt. 162,

173

e

180,

ogni potere di intervento del tribunale. Il cui ruolo resta peraltro centrale ai fini del conferimento di efficacia vincolante alla proposta accettata, sintomatico dell'insopprimibile ruolo di garanzia degli interessi molteplici in giuoco, anche superindividuali.

L'estensione di efficacia all'intera massa dei creditori, inclusi gli assenti o dissenzienti (oltre che dei terzi a vario titolo incisi dall'opzione concordataria), della proposta approvata a maggioranza assoluta (non più doppiamente qualificata, come nell'art. 177 previgente), rivela l'essenzialità dell'intervento del giudice: volto a garantire non solo il rispetto formale dei passaggi procedimentali, ma anche la legittimità sostanziale della proposta.

In quest'ottica, il riscontro della documentazione che deve essere allegata alla domanda (

L. Fall., art. 161

) non si riduce ad una mera "spunta" per accertare omissioni materiali, dato che lo scrutinio dei presupposti sostanziali dello stato di crisi (o di insolvenza) e della rispondenza della proposta allo schema legale ed ai fini tipici dell'istituto impinge nel merito. Ne consegue la doverosità di un'analisi anche del piano esecutivo che sorregge la proposta di concordato; sia pure, entro la soglia minimale (consueta, in tema di valutazioni tecniche extragiuridiche) della non manifesta inadeguatezza, prima facie, della relazione del professionista che ne accerti la fattibilità; fermo restando che la sede naturale per la verifica, funditus, della veridicità dei dati è la successiva relazione particolareggiata de commissario giudiziale, illustrata in occasione dell'adunanza dei creditori (

Cass., sez. 1^, 25 ottobre 2010

,

n. 21860

)”.

In conclusione, il parere del PM ben potrà avere ad oggetto anche il requisito della fattibilità del piano, fermo restando che, anche a voler aderire alla tesi più restrittiva, un controllo di coerenza logica sulla relazione è comunque necessario.

Esula il tema circa la veridicità dei dati inseriti nel piano ovvero nella documentazione ad esso allegata ed attestati dal professionista, esula in quanto si tratta di ipotesi di verifica incompatibili sia con i tempi delle fase e con l'attività che in concreto dovrebbe comunque essere svolta.

I profili di falsità possono essere ravvisti dal Commissario Giudiziale, che è istituzionalmente deputato ad un controllo e, tanto più meticolosa sarà la sua attività, tanto più sarà possibile verificare la sussistenza di attestazioni, soprattutto, di veridicità false.

Per altro verso indici di falsità contenute nella proposta potranno poi essere riscontrate in caso di fallimento della società, allorquando il curatore avrà modo di esaminare approfonditamente tutta la documentazione presentata.

La legge non prevede, ma nemmeno esclude, la partecipazione del P.M. nelle altre procedure extragiudiziali, tuttavia, proprio il trattamento di favore previsto per le procedure di risanamento, con, innanzitutto, il beneficio della esclusione dell'azione revocatoria fallimentare, rende coerente una valutazione rigorosa non solo delle richieste di concordato ma anche degli accordi di ristrutturazione e dei piano di risanamento.

Nel caso di accordi di ristrutturazione, la giurisprudenza di merito (vedi il decreto del Tribunale di Milano del 28 ottobre scorso menzionato in precedenza), peraltro, ammette la partecipazione dell'organo dell'accusa, fondando la sua legittimazione sia sul richiamo a qualunque interessato quale legittimato all'opposizione, di cui dell'art. 182 bis, sia sul tenore più generale dell'

art. 70 c.p.c.

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