Anticipazioni bancarie e concordato preventivo

19 Giugno 2012

L'Autrice, prendendo spunto da due recenti pronunce, affronta la dibattuta questione della sorte dei contratti bancari di apertura di credito, in relazione alla domanda di concordato preventivo presentata dall'imprenditore cliente della Banca.Si sofferma, in particolare, sulle problematiche relative alla difficile coesistenza tra il principio della cristallizzazione del passivo e quello per cui i contratti pendenti trovano regolare esecuzione in corso di concordato; analizzando poi nel dettaglio i principi di diritto espressi sull'argomento dal tribunale di Bergamo nei due provvedimenti (n. 2606/2011 e n. 2765/2011).
Premessa

Due recenti sentenze del Tribunale di Bergamo ripropongono la controversa tematica della sorte dei contratti bancari di apertura di credito in caso di presentazione della domanda di concordato preventivo da parte dell'imprenditore cliente dell'istituto di credito.

Tali contratti di apertura di credito, con estrema schematicità, possono essere ricondotti:

  • all'apertura di credito in conto corrente (c.d. "fido di cassa");

  • all'apertura di credito a fronte di ricevute bancarie e/o fatture, con e senza cessioni di credito.

In quest'ultima ipotesi, laddove non vi sia cessione del credito, la banca può alternativamente:

  • anticipare al cliente in tutto od in parte l'importo presentato dalle ricevute bancarie o dalle fatture, accreditando di norma la somma sul conto corrente;

  • consentire al correntista un'apertura di credito in conto corrente, in misura pari o percentuale all'importo delle ricevute/fatture presentate, che verranno accreditate sul conto al momento dell'incasso a ridurre l'esposizione (c.d. “fido mobile”).

Tali aperture di credito vengono di norma accompagnate da un mandato alla banca affinché questa curi l'incasso dei crediti di cui alle ricevute bancarie. Correlato al mandato può essere convenuto un patto di compensazione, tale per cui la banca trattiene gli importi di cui ha seguito e ricevuto l'incasso a compensazione di quanto anticipato, o più in generale a decurtazione delle sue spettanze verso il cliente.

Intervenendo il concordato preventivo, ci si domanda se l'istituto di credito, a fronte di anticipazioni/aperture di credito connesse a ricevute e fatture, disposte prima dell'instaurarsi della procedura, possa trattenere le somme incassate da terzi dopo il deposito della domanda di concordato preventivo in ragione del mandato con patto di compensazione.

Le risposte oscillano tra due principi: da un lato, il confine dettato dalla cristallizzazione del passivo; dall'altro, il convincimento che in corso di concordato preventivo i contratti pendenti debbano trovare regolare esecuzione, con conseguente possibilità della banca di attuare la compensazione, in quanto contenuta in un accordo contrattuale antecedente al deposito della domanda di concordato.

Le sentenze del Tribunale di Bergamo
La n. 2606/2011. Legittima la compensazione atecnica

La sentenza del

Tribunale di Bergamo n. 2606 del 22 novembre 2011

verte in tema di rapporto di conto corrente con fido mobile.

All'atto della presentazione dall'impresa alla banca di elenchi di crediti/ricevute bancarie, la banca disponeva un'annotazione positiva su un conto di appoggio e, in misura corrispondente al saldo “di memoria” di tale conto, consentiva all'imprenditore di beneficiare di un'apertura di credito in conto corrente, a tassi evidentemente inferiori a quelli dell'apertura di credito per cassa.

All'incasso dei crediti/ricevute bancarie dell'imprenditore o comunque alla scadenza, questi venivano accreditati sul conto corrente, e veniva annotato in diminuzione il conto di memoria, riducendo corrispondentemente l'apertura di credito.

Intervenuto il concordato preventivo, l'istituto di credito ha proseguito nel rapporto di conto corrente (a quanto è dato comprendere, mantenendo l'apertura di credito), accreditando in conto gli incassi pervenuti e riducendo conseguentemente l'esposizione alla data del concordato. Il Tribunale ha vagliato la posizione partendo dai seguenti assunti:

  1. il conto corrente bancario “è un contratto innominato misto, risultante dall'unione di prestazioni relative a più contratti nominati, che si coordinano per la realizzazione di una prestazione principale di mandato”, cosicché il rapporto è disciplinato dalle norme relative al mandato. La posizione è conforme all'indirizzo maggioritario della Corte di Cassazione (

    Cass., 28 giugno 2002, n. 9494

    )

    . In direzione non sostanzialmente dissimile è stato affermato (

    Pellegrino, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, 150; in forma di eventualità, Cavalli, Conto corrente, in Enc. giur., Roma, 1988, 2)

    che il conto corrente bancario è un contratto innominato o misto, caratterizzato dal contratto bancario diretto a creare la disponibilità presso la banca a favore del cliente (es. apertura di credito o deposito bancario) e dall'obbligo della banca di eseguire gli incarichi ricevuti dal cliente (

    Gentili, I contratti della prassi bancaria tra legge ed autonomia: la rilevanza della conformazione del rapporto ai fini della disciplina fallimentare, in Contratti bancari e revocatorie fallimentari, a cura di Sicchiero, Padova 2002, 54)

    .

  2. l'esecuzione del mandato da parte dell'istituto, con accredito sul conto corrente delle somme ricevute da terzi, non realizza una compensazione tecnica, cioè tra due rapporti distinti, ma “una semplice variazione quantitativa del debito del correntista”, ossia una compensazione atecnica;

  3. il rapporto di conto corrente è proseguito, e con esso la modalità operativa per cui l'istituto “una volta incassate le somme relative al portafoglio presentato da..., andava automaticamente ad estinguere per il corrispondente importo il fido accordato alla correntista, incamerando così le somme”;

  4. la compensazione (atecnica) è legittima

    anche in quanto “diversamente opinando si arriverebbe alla conseguenza giuridicamente inaccettabile che il rapporto contrattuale continuerebbe con la banca tenuta a curare l'incasso del portafoglio presentato mantenendo l'apertura di credito in favore del correntista… con esclusione del patto di compensazione contrattualmente previsto quale elemento essenziale del sinallagma contrattuale”.

  1. il conto corrente bancario “è un contratto innominato misto, risultante dall'unione di prestazioni relative a più contratti nominati, che si coordinano per la realizzazione di una prestazione principale di mandato”, cosicché il rapporto è disciplinato dalle norme relative al mandato. La posizione è conforme all'indirizzo maggioritario della Corte di Cassazione (

    Cass., 28 giugno 2002, n. 9494

    )

    . In direzione non sostanzialmente dissimile è stato affermato (

    Pellegrino, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, 150; in forma di eventualità, Cavalli, Conto corrente, in Enc. giur., Roma, 1988, 2)

    che il conto corrente bancario è un contratto innominato o misto, caratterizzato dal contratto bancario diretto a creare la disponibilità presso la banca a favore del cliente (es. apertura di credito o deposito bancario) e dall'obbligo della banca di eseguire gli incarichi ricevuti dal cliente (

    Gentili, I contratti della prassi bancaria tra legge ed autonomia: la rilevanza della conformazione del rapporto ai fini della disciplina fallimentare, in Contratti bancari e revocatorie fallimentari, a cura di Sicchiero, Padova 2002, 54)

    .

  2. l'esecuzione del mandato da parte dell'istituto, con accredito sul conto corrente delle somme ricevute da terzi, non realizza una compensazione tecnica, cioè tra due rapporti distinti, ma “una semplice variazione quantitativa del debito del correntista”, ossia una compensazione atecnica;

  3. il rapporto di conto corrente è proseguito, e con esso la modalità operativa per cui l'istituto “una volta incassate le somme relative al portafoglio presentato da..., andava automaticamente ad estinguere per il corrispondente importo il fido accordato alla correntista, incamerando così le somme”;

  4. la compensazione (atecnica) è legittima

    anche in quanto “diversamente opinando si arriverebbe alla conseguenza giuridicamente inaccettabile che il rapporto contrattuale continuerebbe con la banca tenuta a curare l'incasso del portafoglio presentato mantenendo l'apertura di credito in favore del correntista… con esclusione del patto di compensazione contrattualmente previsto quale elemento essenziale del sinallagma contrattuale”.

  1. il conto corrente bancario “è un contratto innominato misto, risultante dall'unione di prestazioni relative a più contratti nominati, che si coordinano per la realizzazione di una prestazione principale di mandato”, cosicché il rapporto è disciplinato dalle norme relative al mandato. La posizione è conforme all'indirizzo maggioritario della Corte di Cassazione (

    Cass., 28 giugno 2002, n. 9494

    )

    . In direzione non sostanzialmente dissimile è stato affermato (

    Pellegrino, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, 150; in forma di eventualità, Cavalli, Conto corrente, in Enc. giur., Roma, 1988, 2)

    che il conto corrente bancario è un contratto innominato o misto, caratterizzato dal contratto bancario diretto a creare la disponibilità presso la banca a favore del cliente (es. apertura di credito o deposito bancario) e dall'obbligo della banca di eseguire gli incarichi ricevuti dal cliente (

    Gentili, I contratti della prassi bancaria tra legge ed autonomia: la rilevanza della conformazione del rapporto ai fini della disciplina fallimentare, in Contratti bancari e revocatorie fallimentari, a cura di Sicchiero, Padova 2002, 54)

    .

  2. l'esecuzione del mandato da parte dell'istituto, con accredito sul conto corrente delle somme ricevute da terzi, non realizza una compensazione tecnica, cioè tra due rapporti distinti, ma “una semplice variazione quantitativa del debito del correntista”, ossia una compensazione atecnica;

  3. il rapporto di conto corrente è proseguito, e con esso la modalità operativa per cui l'istituto “una volta incassate le somme relative al portafoglio presentato da..., andava automaticamente ad estinguere per il corrispondente importo il fido accordato alla correntista, incamerando così le somme”;

  4. la compensazione (atecnica) è legittima

    anche in quanto “diversamente opinando si arriverebbe alla conseguenza giuridicamente inaccettabile che il rapporto contrattuale continuerebbe con la banca tenuta a curare l'incasso del portafoglio presentato mantenendo l'apertura di credito in favore del correntista… con esclusione del patto di compensazione contrattualmente previsto quale elemento essenziale del sinallagma contrattuale”.

  1. il conto corrente bancario “è un contratto innominato misto, risultante dall'unione di prestazioni relative a più contratti nominati, che si coordinano per la realizzazione di una prestazione principale di mandato”, cosicché il rapporto è disciplinato dalle norme relative al mandato. La posizione è conforme all'indirizzo maggioritario della Corte di Cassazione (

    Cass., 28 giugno 2002, n. 9494

    )

    . In direzione non sostanzialmente dissimile è stato affermato (

    Pellegrino, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, 150; in forma di eventualità, Cavalli, Conto corrente, in Enc. giur., Roma, 1988, 2)

    che il conto corrente bancario è un contratto innominato o misto, caratterizzato dal contratto bancario diretto a creare la disponibilità presso la banca a favore del cliente (es. apertura di credito o deposito bancario) e dall'obbligo della banca di eseguire gli incarichi ricevuti dal cliente (

    Gentili, I contratti della prassi bancaria tra legge ed autonomia: la rilevanza della conformazione del rapporto ai fini della disciplina fallimentare, in Contratti bancari e revocatorie fallimentari, a cura di Sicchiero, Padova 2002, 54)

    .

  2. l'esecuzione del mandato da parte dell'istituto, con accredito sul conto corrente delle somme ricevute da terzi, non realizza una compensazione tecnica, cioè tra due rapporti distinti, ma “una semplice variazione quantitativa del debito del correntista”, ossia una compensazione atecnica;

  3. il rapporto di conto corrente è proseguito, e con esso la modalità operativa per cui l'istituto “una volta incassate le somme relative al portafoglio presentato da..., andava automaticamente ad estinguere per il corrispondente importo il fido accordato alla correntista, incamerando così le somme”;

  4. la compensazione (atecnica) è legittima

    anche in quanto “diversamente opinando si arriverebbe alla conseguenza giuridicamente inaccettabile che il rapporto contrattuale continuerebbe con la banca tenuta a curare l'incasso del portafoglio presentato mantenendo l'apertura di credito in favore del correntista… con esclusione del patto di compensazione contrattualmente previsto quale elemento essenziale del sinallagma contrattuale”.

La sentenza n. 2765/2011. L'essenzialità del patto di compensazione

Anche la seconda sentenza in esame emessa sul punto dal Tribunale di Bergamo riguarda con evidenza l'ipotesi del conto corrente con fido mobile.

L'organo giudicante prende atto, in primo luogo, che il contratto di conto corrente prevedeva, a fronte del servizio di incasso e accettazione di effetti, che le somme pervenute alla banca dovessero essere versate nel conto corrente a decurtazione dei relativi crediti concessi, realizzando così una "annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto". Tale operazione non configura una vera e propria compensazione

ex art. 1853 c. c.

, ma "una semplice variazione quantitativa del debito del correntista", così ritrovandosi l'intuizione della precedente sentenza.

Esclusa la compensazione tecnica, la prosecuzione del contratto si pone quindi come elemento determinante della possibilità della banca di imputare le somme incassate post procedura a decurtazione del saldo di conto alla data di deposito della domanda di concordato preventivo: "il patto, infatti, è essenzialmente interdipendente al negozio di credito connesso al mandato a riscuotere insito nel contratto di conto corrente bancario, nel senso che, attenendo esso alla regolamentazione delle modalità di satisfazione del credito della banca, in sua carenza l'operazione non sarebbe stata posta in essere, sicché il negozio e il patto non possono che rimanere inscindibilmente connessi".

Qui sta il punto qualificante della sentenza: l'ipotesi che l'anticipazione, in assenza di mandato all'incasso con patto di compensazione, non sarebbe stata stipulata.

L'operazione complessivamente contrattualizzata comporta indubbiamente il pagamento di debiti pregressi, ma tale pagamento viene a giustificarsi per il fatto che il contratto (unitario) prosegue e necessariamente può comportare l'imputazione di somme a decurtazione del debito in quanto, senza tale modalità operativa, il contratto non sarebbe stato stipulato.

Il contratto è un unicum graniticamente coeso e, proseguendo in procedura, consente all'istituto di rientrare dall'anticipazione

.

Principi generali e concordato preventivo

Le intuizioni delle due sentenze, poggiate sulla compensazione atecnica e sulla essenzialità del patto di compensazione, paiono di per sé insuperabili.

Solo il ricorso ai principi generali, ove vengano ritenuti prevalenti rispetto alla prosecuzione senza limiti e condizioni del contratto, può consentire di ipotizzare una via d'uscita.

Giova allora riprendere i punti salienti delle sentenze, in raccordo con l'inquadramento giuridico delle fattispecie:

a) il mandato

Nella prassi contrattuale ed operativa l'istituto di credito, a fronte di anticipazioni concesse al correntista e correlate ai crediti di quest'ultimo verso terzi, viene - come detto - usualmente investito di un mandato a riscuotere il credito in ragione del quale la banca ha disposto l'anticipazione (o comunque consentito un maggiore utilizzo dell'apertura di credito in conto corrente).

Tale mandato è di norma irrevocabile e, alla luce dell'interesse della banca (che, incassando l'importo, rientra dall'esposizione per anticipazione), lo stesso è qualificato quale mandato in rem propriam, in considerazione della pattuizione, vincolante tra le parti, per cui viene statuito l'interesse del mandatario ad eseguire il mandato per recuperare le somme anticipate, e quindi un interesse ulteriore al compenso per l'esecuzione del mandato (

Pellegrino, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, 343; Provinciali - Ragusa, Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1988, 385; Bozza-Schiavon, L'accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, Milano, 1992, 403)

.

Va rammentato in primo luogo in questa sede che il mandato in rem propriam, in virtù dell'

art. 1723, comma 2, c. c.

, non si estingue per la sopravvenuta incapacità del mandante.

Da ciò consegue un ampio dibattito sul tema della sopravvivenza del mandato in rem propriam in caso di fallimento del mandante, in quanto l'

art. 78 l. fall

. statuisce lo scioglimento del mandato, senza distinguere tra mandato puro e mandato in rem propriam, mentre l'

art. 1723, comma 2, c. c.

attesta la prosecuzione del rapporto.

La tesi dell'interruzione del rapporto di mandato comporta certamente che l'istituto di credito non possa trattenere importi ad esso pervenuti dopo il fallimento a copertura di proprie spettanze sorte prima della procedura, neppure in virtù di un mandato in rem propriam contestualmente conferito.

Ma anche i sostenitori della tesi della prosecuzione del mandato in rem propriam si piegano, in via maggioritaria, alla considerazione per cui il mandatario deve rimettere alla procedura il denaro incassato dopo l'instaurarsi della stessa (

Apice, Compensazione e procedure concorsuali, in Fall., 1997, 337; Bozza-Schiavon, L'accertamento dei crediti..., cit., 405)

, in quanto il credito della banca sussiste nei confronti dell'imprenditore fallito mentre quello di restituzione delle somme riscosse appartiene alla massa dei creditori. Sebbene il mandato non si sciolga, gli effetti della prosecuzione tra le parti non sono opponibili ai creditori concorsuali.

D'altro canto, come osservato in dottrina (

Ginevra, Le garanzie contrattuali atipiche sui crediti d'impresa, in Riv. Dir. Priv., 2001, 233)

, il mandato all'incasso correlato ad un'anticipazione non costituisce di per sé un “obbligo principale di prestazione” per la banca, in quanto la stessa rimane “obbligata al comportamento gestorio solo in via sussidiaria e subordinatamente all'esecuzione da parte del mandante degli adempimenti a suo carico”, con la duplice conseguenza che:

  • l'esecuzione del mandato non si colloca nel novero dei contratti pendenti ex

    artt. 72

    e

    78 l. fall

    ., avendo la banca già adempiuto alla propria obbligazione principale;

  • non applicandosi il regime dei contratti pendenti, l'esecuzione del mandato in corso di fallimento non attrae nel regime della prosecuzione del contratto in corso di procedura l'intera fattispecie, e pertanto, la banca non può imputare le somme ricevute al proprio credito per anticipazione.

Con il medesimo contributo dottrinale si sottolinea altresì la circostanza per cui il mandato, a stretto rigore, è “sempre rivolto a soddisfare un interesse del mandante alla gestione altrui di un proprio affare: e tale destinazione dell'affare non deve essere, in concreto, accessoria, ma principale”, mentre nel caso in esame le somme di terzi vengono incassate dalla banca a proprio specifico vantaggio (

Bavetta, Mandato (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XXV, Milano, 1975, 327)

. Mancando le linee costitutive del mandato, si ha semmai la “definizione di un'innovazione al regolamento esecutivo dell'obbligazione principale... Con la possibilità, data al creditore principale, di ottenere da un terzo (debitore del suo debitore) l'adempimento di cui ha già diritto, si viene a realizzare uno schema analogo alla delegazione di pagamento”.

Spostando l'asse di riflessione al concordato preventivo, viene per tale via a cadere l'impostazione per cui, proseguendo il contratto ex lege in corso di concordato, la banca possa eseguire il mandato (ammesso che si configuri un mandato) e trattenere l'incasso. Tale obbligazione accessoria (o meglio tale modalità attuativa dell'obbligazione principale del debitore) si traduce in un vero e proprio pagamento di spettanze pregresse a favore di un creditore. La banca ha già adempiuto alla propria prestazione principale, ossia la concessione di credito (il cui contraltare, dal punto di vista del cliente, è, quale obbligazione principale, la restituzione del capitale anticipato maggiorato degli interessi e, quale obbligazione accessoria, agevolare la banca nella riscossione del proprio credito, o comunque astenersi dall' incassarlo direttamente).

All'atto dell'incasso di somme di spettanza del correntista per effetto del “mandato”, e solo in quel momento, la banca diventa debitrice di una somma nei confronti del cliente assoggettato a concordato preventivo.

Portare tale somma a riduzione del credito della banca per apertura di credito in conto urta contro il principio della cristallizzazione del passivo, in quanto così operando l'istituto, per rientrare dalle proprie spettanze ante procedura, utilizzerebbe somme di cui non ha la titolarità ed il cui momento genetico, a determinare un debito della banca, è successivo all'apertura del concorso (

Romagno, Lo sconto di ricevute bancarie nel concordato preventivo, in Banca, borsa e titoli di credito, 2002, II, 554 e ss.)

.

Quand'anche l'esecuzione del “mandato” non costituisse mera prestazione accessoria, la stessa non potrebbe, ad avviso di chi scrive, violare la regola dell'inesigibilità dei crediti maturati ante procedura, neppure in virtù di un preesistente accordo di compensazione.

Altri, infatti, possono essere i contratti che non sarebbero stati stipulati senza una specifica pattuizione di pagamento.

Ad esempio, quelli che prevedono un pagamento con cambiali ovvero con cessione del credito. Ma, per tali contratti, non vi è ragionevole dubbio che le cambiali non possano essere incassate in procedura, ovvero che la cessione del credito possa trovare formalizzazione dopo il deposito della domanda di concordato.

Con un altro esempio, si ipotizzi che un fornitore debba consegnare ad un altro imprenditore un impianto, ed in sede contrattuale si sia obbligato anche al montaggio dello stesso.

Dopo la consegna dell'impianto e prima del montaggio, il committente accede alla procedura di concordato preventivo.

Il fornitore ha già eseguito la propria prestazione principale. Appare stridente che quest'ultimo, procedendo al montaggio (adempiendo, oltretutto, nell'interesse del solo committente), possa ottenere il pagamento della prestazione principale, già adempiuta prima dell'instaurarsi della procedura.

b) La prosecuzione del contratto e gli atti di straordinaria amministrazione

La Corte di Cassazione (

Cass., 12 gennaio 2007, n. 578

; analogamente, Trib. Varese, 20 dicembre 2010)

ha attestato il principio per cui "la verifica delle caratteristiche del rapporto e della sua idoneità a proseguire nonostante l'apertura della procedura concorsuale, dando vita ad obbligazioni assistite dal regime della prededuzione e dunque esonerate dal divieto di pagamento di debiti anteriori, rientra nella previsione della norma (art. 167, n.d.r.), si che il pagamento riferito a prestazioni anteriori alla presentazione della domanda di concordato non può essere qualificato come atto dovuto, in base alla legge del contratto, ma necessita al contrario dell'autorizzazione del giudice delegato, quale strumento diretto ad accertare la sussistenza delle condizioni che derogano alla legge del concorso... discende la infondatezza della tesi sostenuta dalla ricorrente, che dall'impiego dell'avverbio durante nella rubrica e nel testo dell'articolo 167, ricava che il divieto di compiere gli atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice delegato non si applicherebbe ai rapporti pendenti ed all'esecuzione di tali rapporti, ivi compresi i pagamenti. Tale conclusione, infatti, non considera che i pagamenti in questione e più in generale gli atti di esecuzione di tali rapporti sono compiuti in pendenza della procedura e sono potenzialmente lesivi delle ragioni della massa creditoria, sicché non possono sottrarsi al regime autorizzatorio previsto dal legislatore".

Dunque, il contratto pendente può proseguire solo previa autorizzazione

ex art. 167 l. fall.

, ove i relativi effetti possano essere di straordinaria amministrazione o comunque comportino pagamenti dei debiti pregressi.

L'impostazione trova significativo avallo dottrinale (

Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2010, 525 e ss

), sull'assunto che "una volta aperto il concorso, la sorte dell'attività giuridica del debitore concordatario, così come il conflitto tra i creditori anteriori (o concorsuali) e quelli successivi (o extra concorsuali) sono regolati essenzialmente dalle disposizioni degli

articoli 167

e

168 legge fallimentare

... ciò consente peraltro di escludere che i rapporti diretti a realizzare il soddisfacimento preferenziale di un creditore concorsuale nel corso della procedura possano raggiungere il loro obiettivo".

È stato altresì osservato che:

  • l'esecuzione di un rapporto contrattuale deve essere diretta a conservare il valore economico del patrimonio del debitore concordatario, "prevalendo l'interesse della massa sull'interesse del contraente in bonis";

  • l'

    articolo 3 del decreto legislativo n. 122 del 2005

    , inerente la tutela degli acquirenti degli immobili da costruire, anche in concordato preventivo subordina all'autorizzazione del giudice delegato la prosecuzione dei contratti preliminari di compravendita immobiliare, con ciò confermando per gli atti di straordinaria amministrazione la necessità di autorizzazione ex

    articolo 167 l. fall

    ..

c) l'operatività dell'art. 45 l. fall.

Con il

D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5

, è stato modificato l'

articolo 169 della legge fallimentare

, ed è stata introdotta, con riferimento alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo, l'applicabilità dell'articolo 45 della stessa legge alla procedura concordataria.

L'articolo 45 stabilisce che "le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori".

La norma va letta congiuntamente all'

articolo 55 della legge fallimentare

, pure applicabile al concordato, in base al quale i crediti assistiti da prelazione maturano interessi secondo le regole degli

articoli 2749,

2788

e

2855 del codice civile

, con un'equiparazione al pignoramento della domanda di concordato preventivo.

Le due norme, dunque, confermano il concetto che la domanda di concordato ha gli stessi effetti del pignoramento, e che quindi il patrimonio alla data della domanda resta integralmente destinato alla massa dei creditori (equiparati al pignorante), e non può essere utilizzato al di fuori delle regole del concorso a vantaggio di uno solo di essi (se non, eventualmente, previa autorizzazione ex art. 167).

Si applicano dunque le stesse regole dell'

articolo 2917 del codice civile

, in base al quale "se oggetto del pignoramento è un credito, l'estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante". Si richiama al riguardo anche l'

articolo 1830 del codice civile

.

L'innovazione normativa rafforza il principio della cristallizzazione del passivo alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo, cosicché "dopo l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non sono consentiti pagamenti lesivi della par condicio creditorum, nemmeno se realizzati attraverso compensazione di debiti sorti anteriormente con crediti realizzati in pendenza della procedura concorsuale". La prosecuzione del “mandato” con l'esecuzione della compensazione porrebbe la banca in una posizione migliore rispetto all'ipotesi dell'anticipazione a fronte di cessione del credito non notificata ante procedura.

Nel primo caso la banca, pur non titolare del credito, potrebbe compensare le somme ricevute (venute oltretutto ad esistenza dopo l'instaurarsi della procedura) con proprie spettanze maturate ante procedura; nel secondo caso la banca dovrebbe restituire somme di cui è comunque legittima titolare, a motivo di un negozio non opponibile alla procedura

ex art. 45 l. fall

..

Ne consegue altresì che il contratto di apertura di credito con mandato all'incasso e patto di compensazione, per essere eventualmente opponibile alla procedura, deve avere data certa antecedente il deposito della domanda di concordato preventivo.

Conclusioni

Così ripercorsi i confini giuridici in cui ci si muove, si può in primo luogo affermare che la prosecuzione del rapporto di conto corrente non pare riverberare alcun effetto rispetto all'obbligo restitutorio della banca.

Intervenendo la procedura di concordato preventivo dopo l'anticipazione e prima dell'esecuzione del “mandato”, la banca ha già adempiuto alla propria obbligazione principale. A questo punto il contratto non è più pendente, essendo stato compiutamente eseguito da una delle parti. La banca resta creditrice, e non può trattenere le somme pervenute post concordato.

In ogni caso, con l'applicazione dell'

articolo 45 della legge fallimentare

alla domanda di concordato preventivo, quest'ultima produce senz'altro gli effetti del vincolo pignoratizio sul patrimonio del debitore concordatario.

Ed ancora, la prosecuzione di un contratto pendente, ove atto ad influenzare la par condicio creditorum, secondo una condivisibile corrente di pensiero accolta dalla Suprema Corte e confermata dal

D. Lgs. n. 122/2005

deve essere autorizzata

ex art. 167 l. fall

., quale atto di straordinaria amministrazione.

La fattispecie di cui si discute rientra senz'altro in questa ipotesi, in quanto l'atto dispositivo è idoneo a modificare attivo e passivo; la prosecuzione dall'anticipazione assistita da mandato con patto di compensazione dovrebbe essere quindi autorizzata

ex art. 167 l. fall

..

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