La ristrutturazione ‘negoziata' dell'impresa in crisi: novità legislative e spunti comparatistici

Fabrizio Guerrera
10 Dicembre 2012

La ristrutturazione dell'impresa in crisi passa tradizionalmente da soluzioni negoziali o da procedure concorsuali. Questa distinzione, tuttavia, deve essere riconsiderata, alla luce del progressivo avvicinamento tra l'accordo di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo. L'Autore compie, quindi, un'indagine comparatistica tra le discipline dei due istituti e i rispettivi caratteri essenziali, esaminando anche esperienze di altri Paesi.
Premessa

La disciplina dell'impresa ‘in crisi' (o dell'impresa ‘in difficoltà', come si preferisce dire in Francia con una locuzione significativamente più generica) si presta a essere analizzata proficuamente, in una triplice prospettiva - società, contratto, concorsualità - che corrisponde alle fondamentali direttrici d'intervento dell'autonomia privata in materia. Si tratta di visuali tenute separate per troppo tempo, ma che lo sviluppo degli studi giuridici, le esigenze della prassi e le tendenze della legislazione economica inducono a collegare e integrare sempre più strettamente. La proficua ristrutturazione dell'impresa in crisi dipende infatti, molto spesso, da un'azione combinata che investe sia l'organizzazione della società e la sua struttura patrimoniale e finanziaria, sia le relazioni contrattuali e obbligatorie, e in particolare i rapporti con i creditori.

Prima di svolgere talune riflessioni comparatistiche, occorre inquadrare l'istituto degli ‘accordi di ristrutturazione dei debiti' nelle linee evolutive dell'ordinamento e soffermarsi sulle innovazioni alla

legge fallimentare

introdotte con il c.d. Decreto Sviluppo (

d.l.

n. 83/2012

conv. in

legge n. 134/2012

). Innovazioni forse meno numerose e vistose rispetto a quelle dettate per il ‘concordato preventivo', anche perché, talvolta, soltanto indirette e dipendenti dai meccanismi normativi di rinvio; epperò sicuramente importanti nella triplice prospettiva già segnalata e indicative, nel complesso, di un processo di “avvicinamento” dei due istituti.

Questa prospettiva - come si vedrà - mette in discussione o, comunque, impone di riconsiderare la distinzione corrente tra ‘soluzioni negoziali' e ‘procedure concorsuali' e l'utilizzo delle relative categorie, giacché, da un verso, la negozialità sembra risolversi nella dimensione ‘programmatica' dell'autonomia privata e, dall'altro, la concorsualità tende a scolorarsi in un controllo giudiziale procedimentalizzato sulla soluzione della crisi d'impresa che non condiziona rigidamente il trattamento dei creditori.

Figure molto simili al nostro accordo di ristrutturazione dei debiti e ‘contigue' al concordato preventivo, se pure rette da regole procedurali e forme di controllo giudiziario alquanto diverse, si riscontrano, del resto, in tante altre legislazioni europee: in Francia, l'accord amiable sous controle - tramite mandat ad hoc - oppure la conciliation; in Belgio, la réorganisation judiciaire paraccord amiable (in alternativa all'accord collectif), introdotta dalla legge del 2009 sulla continuità delle imprese; in Spagna, l'acuerdo de refinanciacion, ridisciplinato nel 2010.

Il graduale avvicinamento della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei concordati preventivi

Si può certamente ravvisare nella riorganizzazione economica, patrimoniale, finanziaria dell'impresa in crisi e dei suoi rapporti debitorii, considerata nel suo complesso, la “funzione giuridica comune” di questi due strumenti di autoregolamentazione della crisi, in quanto preventivi e alternativi all'attuazione coattiva della responsabilità patrimoniale (esecuzione forzata e fallimento).

Indubbiamente, il legislatore ha inteso valorizzare questo profilo, consentendo la sostituibilità della proposta di concordato a quella di accordo di ristrutturazione (e viceversa), con la conservazione degli effetti protettivi già prodottisi, nella fase iniziale - e, se si vuole, quasi esplorativa - di quel “percorso modificabile” che conduce alla soluzione negoziale

(artt. 161, comma 6 e 182-

bis

, comma 8 l

.

fall

.). Cionondimeno, si tratta di istituti molto diversi sul piano strutturale, rispetto ai quali sarebbe poco sensato o proficuo predicare una ‘comunanza di causa'.

A prescindere dai problemi di ‘classificazione', non v'è dubbio che siano molteplici - in specie dopo l'ultima novella - le coincidenze e le affinità fra la disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e quella del concordato preventivo. Si pensi in particolar modo:

  1. al piano e ai suoi più specifici contenuti, anche in relazione alla previsione della ‘continuità aziendale' (l'art. 161, richiamato dall'art. 182-bis, comma 1, esige ormai l'indicazione dettagliata delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, mentre l'art. 182-quinquies e, indirettamente, l'art. 186-bis, richiedono l'indicazione delle risorse finanziarie e delle fonti di copertura del fabbisogno relativo alla prosecuzione dell'attività);

  2. alla documentazione a corredo della domanda, ai requisiti e ai compiti del perito-attestatore (art. 161, richiamato dall'art. 182-bis, comma 1);

  3. al divieto per i creditori di esercitare azioni cautelari ed esecutive e di acquisire unilateralmente titoli di prelazione dopo la pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese (art. 182-bis, comma 3), sebbene limitato a sessanta giorni, anziché esteso sino all'omologazione, come prescritto dall'art. 168 per il concordato;

  4. alla protezione ‘anticipata' del debitore derivante dagli effetti del deposito della domanda di concordato preventivo “con riserva di presentazione della proposta, del piano e della documentazione” (art. 161, comma 6) o del provvedimento cautelare concesso in pendenza di trattative (art. 182-bis, commi 6 e 7), rafforzata dalla possibilità di sostituire lo strumento inizialmente prescelto, conservando appunto ed anzi estendendo o cumulando quegli effetti protettivi (artt. 161, comma 6 e 182-bis, comma 8);

  5. alla possibilità di pagare i debiti pregressi per prestazioni di beni e servizi, purché essenziali alla prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori (art. 182-quinquies, comma 5 e, indirettamente, anche comma 4: vero è che si fa riferimento al solo concordato, ma, dopo avere depositato il ricorso ex art. 161, comma 6 ed essere stato a ciò autorizzato, il debitore, anziché presentare la proposta di concordato annunciata, potrebbe depositare un accordo di ristrutturazione dei debiti);

  6. alla disciplina dei finanziamenti all'impresa in crisi - prestiti ‘ponte', prestiti ‘di continuità' (successivi alla presentazione della domanda e preventivamente autorizzabili dal tribunale, onde evitare al finanziatore qualsiasi alea legata alla mancata emissione del provvedimento ex art. 182-quater, comma 2) e prestiti ‘in esecuzione del piano' - e della ‘prededucibilità' dei relativi crediti, secondo gli artt. 182-quater e 182-quinquies;

  7. infine, alla disapplicazione, anch'essa ‘anticipata', della disciplina societaria in materia di riduzione del capitale per perdite (e di sua necessaria ricostituzione, salvo messa in liquidazione), e della relativa causa di scioglimento della società (art. 182-sexies), ferma l'operatività dell'

    art. 2486 c.c.

    per il periodo antecedente alla domanda.

Questo ‘allineamento' potrebbe, peraltro, apparire incompleto, perché la disciplina degli accordi di ristrutturazione non si preoccupa - a differenza di quella del concordato preventivo - di regolare la “gestione interinale” dell'impresa e di favorirne la prosecuzione fino all'omologazione (e anche oltre). L'art. 161, comma 7, che concerne gli atti compiuti dal debitore dopo il deposito del ricorso o in pendenza di ammissione del concordato, non è richiamato, infatti, per gli accordi; le norme dettate dall'art. 169-bis e dall'art. 186-bis, commi 3 e segg., in materia di contratti pendenti, riguardano solo il concordato preventivo e, in particolare il concordato “con continuità aziendale”. Va detto, tuttavia:

  • che l'estraneità degli accordi di ristrutturazione alla categoria delle ‘procedure concorsuali' in senso tecnico esclude sia lo “spossessamento attenuato” del debitore, tipico del concordato preventivo ex art. 167 (per cui gli organi sociali restano nell'amministrazione e nella disponibilità dei beni, senza incontrare particolari limitazioni, se non quelle derivanti dallo stesso ‘stato di crisi'), sia quella discriminazione negativa dell'impresa in crisi, nei rapporti contrattuali con la P.A., che le disposizioni dell'art. 186-bis, commi 3 e segg. mirano in sostanza a neutralizzare;

  • che la speciale disciplina stabilita dall'art. 169-bis per i ‘contratti in corso di esecuzione', al fine di agevolare, mediante speciali autorizzazioni alla sospensione e allo scioglimento anticipato, l'accesso dell'imprenditore alle soluzioni negoziali della crisi, potrebbe applicarsi - almeno indirettamente - anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti, allorquando depositati in sostituzione del concordato “in bianco” ex art. 161, comma 6;

  • che, infine, la prescrizione degli speciali contenuti previsti dall'art. 186-bis, comma 2, per la redazione del piano dovrà operare anche per gli accordi di ristrutturazione “con continuità aziendale” nel caso - normale e verosimilmente più frequente - di prosecuzione dell'attività d'impresa (quest'ultima da intendersi lato sensu, giacché vengono ricompresi in essi la cessione, lo scorporo e il conferimento dell'intera azienda in nuova società, che implicano il mutamento formale o sostanziale dell'imprenditore).

Non si applica nemmeno l'art. 186-bis, comma 2, lett. c), secondo cui è possibile prevedere (o meglio “imporre” ai creditori privilegiati, essendo loro negato il diritto di voto) la moratoria di un anno dopo l'omologazione per il pagamento dei relativi crediti. Tuttavia, come si vedrà più innanzi, l'art. 182-bis, comma 1 prevede una singolare (e non irrilevante) ‘posticipazione' del pagamento dei creditori estranei, anche per il periodo successivo all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione.

Non è prevista, infine, per gli accordi di ristrutturazione, l'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nel periodo precedente alla domanda di omologazione o a quella cautelare; pur tuttavia, la disposizione dell'art. 168, comma 3, ultimo periodo, potrebbe entrare in gioco egualmente (come per l'art. 169-bis, in materia di contratti in corso di esecuzione), qualora l'accordo di ristrutturazione venga depositato entro il termine assegnato dal tribunale ai sensi dell'art. 161, comma 6, a seguito della presentazione di una domanda di concordato “in bianco”.

La differenza strutturale fra accordi e concordati

Pur in presenza di numerosi elementi di contatto e di una graduale convergenza tra i due istituti, permane tuttavia una differenza di fondo, che attiene alla strutturagiuridica del processo riorganizzativo e si riflette naturalmente in quella tra il consensoall'accordo e il votosul concordato. Resta difatti inconfondibile - nei due casi - la rilevanza formale della manifestazione di volontà dei creditori aderenti alla ‘proposta' (di accordo o di concordato) del debitore, se pure dinanzi a identiche modalità sostanziali di regolazione della crisi o dell'insolvenza.

Nel nostro sistema, sia l'accordo di ristrutturazione dei debiti (soggetto, comunque, al controllo giudiziale), sia il concordato preventivo presuppongono inderogabilmente lo stato di crisi, che equivale a un'insolvenza imminente (e incombente), e il debitore conserva il ‘monopolio' dei tentativi di risanamento e degli strumenti di soluzione negoziale della crisi d'impresa. A partire dalla novella del 2005, che ha disciplinato la figura dell'accordo (art. 182-bis) all'interno del Titolo III della

Legge fall

. (ridenominato, appunto, “Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti”) il nostro ordinamento è, quindi, contrassegnato da un “dualismo” accordi-concordati, che non si riscontra - almeno in questi termini - in altri ordinamenti.

Orbene, come si diceva, l'essenza di questo dualismo non risiede tanto nel profilo ‘funzionale', entrambi gli strumenti prestandosi al risanamento dell'impresa o comunque alla migliore regolazione dell'insolvenza, quanto deriva dalla distinzione formale tra il contratto di ristrutturazione dei debiti e il procedimento di approvazione del concordato, seppure entrambi assoggettati al controllo omologatorio del giudice; o - che è lo stesso, sotto altro profilo - tra il consenso negoziale e il voto concordatario dei creditori. Occorre, pertanto, soffermarsi innanzitutto sui caratteri e sulle implicazioni di questa impostazione, che discende dalla diversa origine e disciplina dei concordati giudiziali e di quelli stragiudiziali, dei quali gli accordi di ristrutturazione costituiscono - com'è ben noto - una moderna evoluzione legislativa.

I caratteri essenziali dell'accordo di ristrutturazione dei debiti

L'accordo di ristrutturazione dei debiti è, senza dubbio, un contratto (d'impresa) e non una procedura concorsuale, malgrado la collocazione sistematica della sua disciplina e la rilevanza crescente degli aspetti procedimentali della stessa. Ma si tratta di un contratto dotato di ‘rilevanza esterna' (se pure estraneo alla fenomenologia del c.d. agire organizzato) o comunque - se così si può dire - di un contratto ‘non indifferente per i terzi'.

Il suo contenuto è liberamente negoziato dalle parti e quindi sottratto al rispetto della par condicio creditorum e delle cause legittime di prelazione, nonché, più in generale, ai limiti (e ai rischi) che l'autonomia privata incontra in materia concordataria. Anzi, proprio questo ne ha propiziato lo sviluppo, unitamente ai costi complessivamente più contenuti e alla maggiore snellezza del procedimento, dinanzi alle incertezze e alle rigidità della giurisprudenza formatasi sul ‘nuovo' concordato preventivo. La sua disciplina si conforma al principio di ‘relatività' (

art. 1372 c.c.

): gli effetti negoziali propri dell'accordo di ristrutturazione sono vincolanti solo per le parti, cioè per i creditori aderenti; i rimedi avverso i difetti genetici o attuativi del vincolo contrattuale sono sempre quelli previsti dal diritto comune. La centralità ricostruttiva del ‘consenso individuale' dei contraenti si spiega, quindi, agevolmente in relazione alla portata direttamente dispositiva del negozio.

L'accordo di ristrutturazione è stato inquadrato da taluno fra i contratti plurilaterali “con comunione di scopo”, e non è da escludersi che - ferma la sua sostanziale atipicità e la difficoltà di unificare in relazione a un fine propriamente collettivo gli interessi in gioco - esso possa rispondere effettivamente a tale modello in alcune sue configurazioni (si pensi, per es., a un accordo parasociale ‘esteso' a terzi e negoziato ovviamente anche nell'interesse della società in crisi, che coinvolga i soci-finanziatori, i creditori finanziari in possesso di titoli, anche convertibili o, più in generale, le banche in posizione di controlling creditors). Va detto, però, che l'unità funzionale dell'operazione si può realizzare, molto più semplicemente, attraverso il collegamento negoziale tra diverse transazioni bilaterali fra il debitore e i creditori, giocoforza interconnesse e ‘convergenti' verso l'unico obiettivo del riequilibrio economico-patrimoniale-finanziario del primo, rispondente, se così si può dire, all'interesse ‘di tutti e di ciascuno' - ma non per questo autenticamente comune - al miglior soddisfacimento del proprio credito.

I sopra cennati profili ricostruttivi assumono importanza soprattutto nella patologia esecutiva degli accordi, sotto il profilo della rilevanza degli inadempimenti del debitore (o anche dei promittenti la ‘nuova finanza') e degli ‘eventi rilevanti' normalmente dedotti in condizione risolutiva. E' possibile, infatti, che l'inadempimento di una delle obbligazioni assunte o l'insorgenza di una controversia con un creditore aderente all'accordo travolga l'intero contratto o comunque pregiudichi l'attuabilità del piano sottostante.

L'omologazione giudiziale, in ogni modo, non condiziona necessariamente la produzione degli effetti interindividuali dell'accordo, ma soltanto l'irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione di esso, ex art. 67, comma 3, lett. e) e l'esenzione dai reati di bancarotta a termini dell'art. 217-bis. Le parti possono attribuire effetti interni immediati all'accordo, sebbene le modifiche del rapporto obbligatorio favorevoli al debitore siano, per lo più, sospensivamente condizionate all'omologazione definitiva dell'accordo, spesso anche in collegamento con l'assunzione dell'obbligo di concedere la c.d. nuova finanza. Peraltro, la fase transitoria di negoziazione è normalmente ‘coperta' da accordi di standstill e altre moratorie contrattuali.

Ci sono, tuttavia, alcuni effetti legali agevolativi o protettivi, dipendenti dalla pubblicazione dell'accordo di ristrutturazione o dalla tutela cautelare, che toccano i creditori estranei all'accordo in una misura che non potrebbe dirsi certo irrilevante, se pure indirettamente, cioè in virtù di apposite disposizioni di legge e provvedimenti giudiziari, e tutto sommato limitatamente, cioè solo per quanto è necessario ad assicurare la realizzazione del piano e a salvaguardare il patrimonio del debitore. Si pensi non soltanto al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari e di acquisire titoli di prelazione, ma anche al differimento automatico di centoventi giorni (decorrenti dall'omologazione) dei termini di pagamento dei debiti, scaduti e non scaduti, verso i creditori ‘estranei' all'accordo (art. 182-bis, comma 1), che si cumula alla moratoria e alla sospensione dei pagamenti ‘volontari', quale di fatto si determina, sebbene in assenza del presupposto di una disciplina del tutto equivalente a quella dell'art. 168.

I caratteri essenziali del concordato preventivo

Il concordato preventivo rappresenta, invece, una manifestazione dell'autonomia privata profondamente diversa dall'accordo di ristrutturazione, quand'anche basato sullo stesso piano e produttivo di effetti equipollenti, in quanto è la risultante di un procedimento complesso volto ad attribuire efficacia generalizzata (art. 184) al ‘progetto di regolazione' della crisi (ovvero dell'insolvenza) predisposto dal debitore.

La proposta di soddisfacimento dei crediti, suddivisi per categorie legali o per classi (beninteso anche ‘unipersonali'), è rivolta ai creditori indistintamente e collettivamente, al fine di conseguirne l'approvazione a maggioranza (per sorte capitale), e quindi sottoposta all'omologazione giudiziale, dalla quale dipende in toto la sua efficacia modificativa dei rapporti obbligatori. La partecipazione dei creditori a tale procedimento, la cui effettività risulta peraltro affievolita dalla nuova regola del silenzio-assenso (seppure introdotta in via soltanto accessoria e agevolativa, senza eliminare il momento dell'adunanza), si impernia, comunque, intorno al diritto di voto e al suo esercizio consapevole. Di qui, in mancanza della previsione (almeno esplicita, a livello legale) di trattative ‘interpersonali', l'importanza di disciplinare la diffusione - e ciò anche mediante la pubblicità nel registro delle imprese - di un'informazione ‘preparatoria' corretta, completa e facilmente disponibile.

Tuttavia il voto è, appunto, una situazione giuridica strumentale che si iscrive nel procedimento di formazione ‘collettiva' della volontà del ceto creditorio o delle “classi” in cui esso è suddiviso e che presuppone una ‘comunanza forzosa' dei diritti e degli interessi: un congegno destinato quindi, giocoforza, a sacrificare le minoranze dissenzienti, e per ciò stesso a sollevare - con buona pace di alcuni orientamenti giurisprudenziali restrittivi - il problema dell'applicabilità dei principi generali in tema di correttezza, conflitto d'interessi e abuso di maggioranza. Donde anche il carattere eminentemente ‘relativo' della tutela giurisdizionale dei diritti di credito e la sostanziale ‘subordinazione' degli interessi dei creditori dissenzienti al piano di regolazione della crisi, in quanto condiviso dalla maggioranza e vagliato positivamente dall'autorità giudiziaria: cioè, in fin dei conti, un fenomeno di ‘affievolimento' dei diritti soggettivi nel contesto delle procedure di crisi, degradanti quasi al rango di ‘interessi legittimi' di diritto privato.

L'esperienza USA della pre-packaged bankruptcy

Nei paesi anglosassoni questo dualismo si profila meno nettamente e, d'altra parte, appare molto più elevato il grado di ‘integrazione' fra diritto societario e diritto concorsuale. Prescindendo dagli accordi di salvataggio dotati di effetti solo ‘interni' (workouts to avoid bankruptcy), che restano nell'orbita dell'informal rescue, gli istituti di autoregolamentazione della crisi o, sotto altro profilo, di riorganizzazione dell'impresa presentano, infatti, una configurazione strutturale più flessibile e delle varianti ‘ibride', che tendono a superare la dicotomia ‘consenso-voto' o ‘contratto-procedimento', enfatizzando invece l'omogeneità economica e funzionale dei vari strumenti.

D'altra parte, in generale, i processi di ‘ristrutturazione negoziata' delle imprese societarie sono disancorati dalla sussistenza o dalla manifestazione di uno stato di crisi attuale e dalla legittimazione esclusiva del debitore (id est: degli organi sociali), potendo la ‘proposta' provenire anche dai creditori o dai soci o da altri soggetti interessati. Il che riflette una visuale spiccatamente ‘contrattualista' delle relazioni societarie e imprenditoriali, affrancata dai dogmi dell'intangibilità della sfera soggettiva dell'impresa e dell'autonomia degli enti collettivi, e, per altro verso, produce - almeno potenzialmente - effetti benefici di sollecitazione e anticipazione della corporate reorganization.

Significativa della tendenza a una maggiore ‘flessibilità' è l'esperienza statunitense dei Prepetition Agreements e della Prepackaged o Prenegotiated Bankruptcy, in quanto rende più duttile e affidabile, oltre che - a quanto pare - meno costosa, la procedura di Reorganization (Bankryuptcy Act, Ch. XI, sect. 1101-1174). La società debitrice elabora il Reorganization Plan e lo condivide anticipatamente con i maggiori creditori e investitori, raccogliendone l'assenso già prima della presentazione della richiesta di accesso alla procedura (petition) e della redazione del prospetto informativo (disclosure statement), soggetto all'approvazione preventiva del tribunale che verifica l'adeguatezza delle informazioni fornite agli interessati.

Secondo la regola posta dalla sect. 1125 (“Postpetition disclosure and solicitation”), una volta avviato il procedimento con la presentazione dell'istanza, non può essere sollecitata l'approvazione del piano da parte dei creditori e dei titolari degli altri diritti incisi dalla riorganizzazione (inclusi gli azionisti), se non viene loro trasmesso prima il prospetto informativo (sect. 1125 (b)). Tuttavia la sollecitazione è consentita anche prima dell'inizio del procedimento, se effettuata in conformità with applicable nonbankruptcy law (sect. 1125 (g)); e, per converso, l'accettazione anticipata del piano da parte dell'interessato è considerata valida agli effetti della sect. 1126 (“Acceptance of plan”), se la sollecitazione è stata effettuata secondo le regole che governano l'adequacy of disclosure o, comunque, dopo la trasmissione di una adequate information sulla società, sul piano di riorganizzazione e sulle conseguenze da esso prodotte (subsect. b). Fondamentale è, dunque, nella impostazione legislativa - ma a prescindere dalla modalità formale dell'adesione al piano - la formazione di un giudizio e di un consenso ‘consapevole' del soggetto sollecitato, che presuppone la piena trasparenza e la correttezza del proponente.

L'enfasi sul prospetto e sull'informazione ‘precontrattuale' deriva dal fatto che, nella Reorganization, che spesso investe l'assetto proprietario e la struttura organizzativa e finanziaria dell'impresa in crisi, confluiscono istanze di tutela dei creditori commerciali e finanziari e, al contempo, degli investitori in titoli emessi dalla società (sotto il profilo della circolazione delle c.d. distressed securities). Difatti, la legittimazione alla presentazione del Reorganization Plan è estesa, a certe condizioni e in mancanza di una tempestiva iniziativa del debitore, ai creditori e agli altri titolari di diritti nell'impresa in crisi (sect. 1121): il che agevola il ‘trasferimento del controllo' delle società in crisi e incentiva le ristrutturazioni. Peraltro, va considerato che, negli Stati Uniti, la legge e la giurisdizione sulle procedure concorsuali e sul mercato finanziario - a differenza che in materia societaria - sono federali, non statali.

La Prepackaged Bankruptcy presenta l'ulteriore vantaggio di consentire la negoziazione preventiva del trattamento dei creditori privilegiati (secured e unsecured; senior e junior), collocati in apposite classi, giungendo a una formulazione del piano idonea a risolvere il problema cruciale dei ‘conflitti' fra i creditori (e fra costoro e i soci, considerati come residual claimants). Negoziazione senza la quale, la tutela legale dei creditori aventi privilegio speciale (c.d. absolute priority rule) osterebbe al risanamento aziendale, darebbe luogo a forti conflitti con gli altri creditori e non potrebbe essere temperata altrimenti che con la mediazione del giudice e con l'applicazione del c.d. best interest test. Questo, però, esige un difficile e aleatorio (oltre che costoso) sindacato del piano e delle sue valutazioni, in relazione a quella ‘liquidazione virtuale' del patrimonio sociale cui tende, in definitiva, la procedura di Reorganization.

L'esperienza UK: compromises e arrangements

L'esperienza del Regno Unito è più complessa e variegata, ma altrettanto interessante nella prospettiva del superamento del dualismo accordo-concordato, tipica del nostro sistema. La materia delle ristrutturazioni delle imprese in difficoltà è, infatti, regolata - per così dire, in concorrenza - dalla normativa societaria e da quella concorsuale, le quali apprestano tecniche alternative di soluzione, basate sempre sull'allargamento successivo a tutti i soggetti ‘interessati' degli effetti della ristrutturazione negoziata.

In questo quadro, è riservato ai soci dell'impresa in crisi un significativo spazio d'interlocuzione, in fase sia propositiva, sia valutativo-decisionale, senza perciò intaccare il potere decisionale autonomo che gli amministratori conservano, ma introducendo una dialettica proficua fra l'organo di gestione e tutti gli altri soggetti (interni o esterni all'organizzazione sociale) incisi dal piano.

La disciplina degli Arrangements under Companies Act 2006 (sect. 895 ss.) mira alla riorganizzazione dell'impresa e della società attraverso un'intesa ‘procedimentalizzata' (compromise or arrangement) che può coinvolgere sia i creditori commerciali e finanziari, sia gli azionisti e gli obbligazionisti. Si tratta di un duttile strumento ‘di diritto societario', che può essere utilizzato anche in situazioni di semplice declino dell'impresa o di ‘pre-crisi' e che consente di conservare in capo all'organo amministrativo la gestione della società e del processo riorganizzativo (reconstruction), evitando di incaricare un professionista esterno specializzato (com'è richiesto, invece, nei Company Voluntary Arrangements under Insolvency Act, di cui si dirà fra poco). L'iniziativa può essere assunta anche da un soggetto diverso dall'imprenditore (sia esso creditore, socio, liquidatore o amministratore giudiziale). Non è prevista, però, in pendenza di procedura - gravitando l'istituto al di fuori della sfera della ‘concorsualità' -, alcuna forma di protezione della società dalle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori insoddisfatti.

La corte competente, investita della richiesta, può ordinare la convocazione dell'assemblea dei creditori o dei soci (o delle assemblee delle diverse classi dei creditori o delle diverse categorie di azionisti) e fissarne le modalità di svolgimento, assicurando la diffusione della dichiarazione informativa (statement) che illustra gli effetti dell'accordo e mette in risalto gli interessi dei ‘gestori' dell'impresa (come tali, come soci o come creditori). Il c.d. scheme of arrangement può includere, peraltro, anche un progetto di fusione o di scissione, essendo le operazioni di merger e di division, ‘connesse' alla proposta di accordo, espressamente contemplate e regolate - almeno per le public companies - dalle sect. 902 ss. Se la proposta di arrangement ottiene l'assenso di una maggioranza del 75% (in valore) nelle assemblee dei creditori e, all'occorrenza, anche in quelle degli azionisti, la corte può omologare (sanction) l'accordo, rendendolo vincolante per la società e per tutti i creditori, gli azionisti e gli obbligazionisti.

I Company Voluntary Arrangements under Insolvency Act 1986 (Part I), invece, presupponendo lo stato di crisi, rispetto agli accordi under Companies Act presentano il vantaggio della possibilità di ottenere una moratoria (secondo la sect. 1A, aggiunta nel 2000) e di disattendere il rango privilegiato dei crediti erariali (il Crown's right è stato abolito dall'Enterprise Act del 2002, sect. 251, nei casi d'insolvenza).

La proposta può prevedere, dandone adeguata spiegazione, trattamenti diseguali e differenziati dei creditori, sebbene non ne sia prevista affatto la suddivisione in ‘classi' ai fini del voto. Ciò equivale a dire che il vincolo della par condicio non opera, se non in via puramente tendenziale; che il controllo giudiziale si arresta - almeno inizialmente - sulla soglia della correttezza informativa del proponente; e che lo strumento si colloca - come gli Arrangements under Companies Act - al di fuori della sfera della ‘concorsualità', malgrado talune più marcate affinità procedimentali con il nostro concordato preventivo.

Il ricorso ai CVA richiede però - e questo è, evidentemente, un onere per la società e una grave limitazione per gli amministratori - la designazione di un professionista specializzato (nominee), scelto dalla società nell'elenco degli Insolvency pratictioners, il quale deve riferire alla corte circa la probabilità che l'arrangement venga approvato e concretamente attuato e, quindi, procedere alla convocazione delle assemblee.

Se la proposta è approvata a maggioranza qualificata dall'assemblea (e, se del caso, da quella degli azionisti a maggioranza semplice), essa diviene vincolante per tutti gli ‘interessati', aventi titolo a partecipare al procedimento. Costoro hanno, tuttavia, la facoltà di opporsi in sede giudiziale alla sua approvazione, lamentando un unfair prejudice o una material irregularity (sect. 6) e sollecitando l'intervento (anche ‘direttivo' o ‘emendativo') del giudice.

I modelli inglesi di composizione negoziale delle crisi d'impresa hanno avuto notevole influenza sull'esperienza canadese, in cui la materia è regolata dal Companies Creditors' Arrangements Act del 1986. Al giudice è attribuito un ruolo ‘attivo' nel controllo sulle condizioni dell'accordo e nella decisione sulla convocazione delle assemblee dei creditori e dei soci. Il testo normativo si distingue per la particolare considerazione riservata alla crisi del gruppo di società (aspetto da noi ancora trascurato) e alle questioni inerenti le azioni di responsabilità.

(segue) I problemi della pre-packaged administration

Nella prassi societaria del Regno Unito, tuttavia, il ricorso agli Arrangements di entrambi i tipi è relativamente infrequente, a causa della loro macchinosità procedurale, mentre si è diffusa notevolmente - sulla scia delle Reorganizations statunitensi operate secondo il Chapter 11 - la c.d. Pre-packaged Administrationunder Insolvency Act (1986). Si tratta di un'operazione finalizzata alla vendita accelerata dell'azienda in favore di una newco. e alla continuazione dell'impresa, sulla base degli accordi precedentemente intervenuti con i principali creditori (soprattutto le banche e, in generale, i secured creditors). L'obiettivo è quello di attuare celermente il trasferimento dei beni e dell'attività a favore della nuova entità - anche in assenza di una formale preventiva approvazione dei creditori o dell'autorizzazione della corte - ma secondo le condizioni negoziate e condivise con i principali creditori, onde minimizzare il rischio di deterioramento dell'organizzazione aziendale e di dispersione dell'avviamento legato all'apertura stessa delle procedure di crisi o d'insolvenza.

L'Administration è una sorta di ‘amministrazione controllata', disciplinata dalle sections 9-27 dell'Insolvency Act 1986 (come modificato dall'Enterprise Act 2002), riservata alle imprese in stato di crisi o d'insolvenza e alternativa alla procedura di liquidazione coattiva, che si svolge, comunque, sotto il controllo dell'autorità giudiziaria. Essa presenta il vantaggio di un'ampia e durevole moratoria, operante già dalla fase di presentazione della richiesta, ma esige la nomina di un administrator, scelto fra gli Insolvency pratictioners, il quale assume i compiti gestionali dei directors (unitamente alle responsabilità proprie degli ausiliari di giustizia), con l'obiettivo di salvaguardare l'impresa in funzionamento e di predisporre ogni opportuna soluzione negoziata della crisi.

Il ricorso all'Administration è stato agevolato, per l'appunto, dalla possibilità di procedere anche “out of the court” alla nomina di quest'organo pubblico, chiamato a governare l'impresa in crisi e a formulare la proposta di soluzione negoziale da sottoporre all'assemblea dei creditori (salve le possibili modifiche proposte da questi ultimi, che quindi assumono un ruolo ‘interattivo', purché condivise dallo stesso administrator: sect. 23).

Talvolta la newco è costituita dagli stessi managers o soci di riferimento (è il fenomeno delle phoenix companies) oppure da speculatori finanziari (vulture investors) e la vendita dell'azienda rischia quindi di procedere per un prezzo particolarmente basso, penalizzando così i creditori ‘deboli'. Questa patologia delle Pre-packaged Sales in Administration è stata criticata e - senza, purtuttavia, bloccare lo sviluppo del fenomeno - ha sollecitato una maggiore attenzione per la tutela informativa (e rimediale) degli unsecuredcreditors, i quali non sono posti in condizione di interloquire preventivamente sull'opportunità e sulle condizioni della sale of business or assets.

In anni recenti, sotto quest'aspetto, la situazione è migliorata grazie all'applicazione della SIP 16 (Statement Insolvency Practice 16), una norma deontologica dettata nel 2009 dalla Association of Business Recovery Professionals, con l'intento di rafforzare la trasparenza informativa, assicurare la vendita a prezzo equo dei beni aziendali e scongiurare l'abuso dello strumento. Il professionista incaricato deve assumere un atteggiamento imparziale, privilegiando la salvaguardia dell'interesse della società e dell'intero ceto creditorio, nelle relazioni col gruppo di comando, col management e con i secured creditors. Sono previsti obblighi di disclosure molto intensi e dettagliati a carico dell'administrator con riferimento all'attività prenegoziale (di informazione, valutazione, ricerca ecc.) da esso svolta per ottimizzare la liquidazione degli assets e neutralizzare i possibili conflitti d'interesse con le ‘parti correlate'. Questa informazione deve essere diffusa prima possibile, compatibilmente con i tempi della procedura e con le esigenze di consultazione dei creditori.

Considerazioni conclusive

Il quadro complessivo che emerge dalle tendenze di sistema sembra imporre, allora, una rimeditazione delle categorie fondamentali dell'autonomia privata, con riguardo alle forme in cui essa si estrinseca nella ‘ristrutturazione negoziata' dell'impresa societaria in crisi attraverso gli accordi e i concordati. Forme diverse da quelle tipiche del contratto (quale strumento di modifica o novazione del rapporto obbligatorio) e delle deliberazioni degli enti collettivi (volte a mutare le regole, la struttura e la finalità del c.d. agire comune), e perciò sui generis, ma nondimeno idonee a modificare o novare, appunto riorganizzandola, la rete di relazioni giuridiche di cui consta la società in funzionamento e caratterizzate dal fatto di conseguire questo risultato anche mediante effetti esterni indiretti. Forme inoltre - e forse proprio per questo - ‘aperte' all'intervento di mediazione e di controllo del giudice, come pure alle determinazioni di soggetti estranei alla società o al suo governo (i creditori e i portatori di strumenti finanziari rappresentativi del capitale di credito) nell'interesse dei quali, pure, l'attività d'impresa è fatta continuare o il tentativo di salvataggio è condotto.

In questi casi, sono la complessità del processo di negoziazione e la dimensione collettiva degli interessi in gioco, nonché il mutamento costante dell'impresa soggetta a riorganizzazione, a esigere una strutturazione peculiare del procedimento formativo di quella ‘intesa multilaterale' o ‘transazione collettiva' in cui gli accordi e i concordati rispettivamente consistono; e quindi anche delle modalità di trasmissione dell'informazione prenegoziale e dell'acquisizione del consenso (effettivo o presunto) degli ‘interessati', la posizione economica-giuridica dei quali è destinata a essere direttamente o indirettamente rimodulata per effetto di quegli strumenti.

I congegni legali mediante cui tale risultato è agevolato o reso possibile in relazione alle suddette intese (moratorie automatiche o ordinate dal giudice, applicazione rafforzata del principio maggioritario, silenzio-assenso dei creditori, riscadenziamento forzoso dei debiti non rinegoziati, alterazione della par condicio dei creditori al fine di favorire la continuità aziendale, ampia prededucibilità della nuova finanza, modificazione unilaterale dei contratti pendenti ecc.) comprimono indubbiamente i diritti e gli interessi dei creditori in misura e termini ignoti alle altre manifestazioni di autonomia privata, ma con esiti ritenuti evidentemente preferibili rispetto a quelli etero-determinati e non facilmente programmabili nelle procedure di liquidazione coattiva. I dubbi di costituzionalità che si affacciano in relazione a tutti questi aspetti appaiono però - tutto sommato - infondati, specialmente là dove la questione sia posta in termini di ‘esproprio' (inteso anche soltanto nel senso di ‘paralisi temporanea') delle pretese creditorie.

In Italia resta comunque da rivedere nel suo complesso, anche alla luce delle recenti innovazioni, il ruolo del giudice nelle soluzioni negoziali della crisi d'impresa.

Il discorso riguarda non soltanto la distinzione tra controllo di legittimità formale e controllo di legalità sostanziale (si allude al controllo di correttezza sulla proposta, volta a reprimere l'abuso di potere e il conflitto d'interesse del creditore attraverso il sindacato sulla formazione della maggioranza, ben possibile anche negli accordi di ristrutturazione, che producono effetti riflessi sulla posizione dei creditori estranei, oltre che sul trattamento delle classi dei creditori ‘incisi' dal piano) o i limiti dell'eventuale controllo ‘di convenienza' in sede di omologazione (art. 180, comma 4). Esso riguarda soprattutto le nuove prospettive del controllo (anche preventivo) ‘di fattibilità' del piano, oggi accresciute e potenziate dalla moltiplicazione delle ipotesi di intervento giudiziale in funzione agevolativa del risanamento, che riguardano la materia dei finanziamenti, dei pagamenti ‘in deroga' alla par condicio e dei contratti in corso di esecuzione (artt. 182-quater, 182-quinquies, 186-bis e 169-bis).

Probabilmente - e ciò tanto più in una prospettiva de jure condendo di recepimento di alcuni aspetti proficui dei modelli stranieri - la magistratura si deve prestare (e preparare), ma con un approccio ‘filo-concordatario', in fase di esame preliminare del piano e di attivazione dei relativi strumenti processuali, a un ruolo di mediazione e di cooperazione ancora più duttile e informale, distante dalle rigidità e dagli schematismi del procedimento di ammissione e di omologazione.

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