Leasing nel fallimento: soddisfazione del concedente fuori dal concorso sostanziale e accertamento del credito nel concorso formale

Bruno Inzitari
25 Maggio 2012

Il leasing costituisce uno dei contratti atipici più diffusi nella pratica commerciale, ma la sua disciplina è stata affidata, nel nostro ordinamento, agli interventi della dottrina e della giurisprudenza. Solo di recente, con il d. lgs. n. 5/2006 il legislatore è intervenuto a colmare un vuoto normativo, che si è fatto sentire in modo particolare con riferimento alle problematiche legate al fallimento e ai suoi effetti sui contratti pendenti.L'Autore affronta l'evoluzione della disciplina del leasing, a seguito dell'introduzione dell'art. 72-quater l. fall. che ha consentito un coordinamento con la materia fallimentare. In particolare, viene approfondita, anche alla luce delle più recenti pronunce di legittimità e di merito, la possibilità, riconosciuta al concedente, di soddisfarsi integralmente sul bene, previa ammissione al passivo del proprio credito.
Il contratto atipico di leasing e i suoi rapporti con il fallimento

Il contratto di leasing ha costituito nell'esperienza dottrinale e giurisprudenziale italiana (ma non solo italiana), il più rilevante banco di prova di approfondimento del contratto atipico. Il contratto ha avuto una crescente diffusione quale strumento con cui ormai correntemente viene acquisita la disponibilità di beni (mobili e immobili), funzionali all'attività di impresa secondo criteri di maggiore efficienza, tanto finanziaria che fiscale, rispetto al diretto acquisto e quindi alla conseguente immobilizzazione di rilevanti risorse da parte dell'impresa (De Nova

, Leasing, in Digesto civ., X, Torino, 2008, 462 ss;

Luminoso

, I contratti tipici ed atipici, in Trattato Iudica e Zatti, Milano, 1995, 359 ss.).

Il vuoto di una disciplina legale fu particolarmente avvertito nel caso di fallimento dell'utilizzatore

, in quanto le problematiche connesse alla causa del contratto si venivano a confrontare con quelle della disciplina degli effetti del fallimento sui contratti pendenti.

La giurisprudenza, prima di merito, e poi di legittimità, sulla base anche dei risultati forniti in tema di atipicità del contratto dalla dottrina, attraverso una serie di sentenze i cui orientamenti si consolidarono in una pronuncia delle sezioni unite del 1993 (

Cass.

, Sez. Un.,

65, del 1993

), individuò due possibili forme del contratto di leasing a seconda che la funzione realizzata fosse prevalentemente il godimento del bene, oppure che questo fosse diretto a realizzare una funzione traslativa.

a)

Nel leasing cosiddetto “di godimento” il finanziamento si configura finalizzato a consentire all'utilizzatore l'acquisizione della disponibilità di beni sottoposti ad accentuata obsolescenza e quindi non idonei a conservare alla scadenza finale del rapporto un apprezzabile valore residuale, con la conseguenza che i canoni vengono così assorbiti in una prevalente funzione di corrispettivo del godimento, mentre l'opzione di acquisto risulta rivestire un ruolo marginale.

b)

Nel leasing cosiddetto “traslativo” i beni oggetto del contratto sono destinati a conservare alla scadenza del rapporto un valore residuo superiore all'importo stabilito per l'opzione di acquisto; i canoni, in questo caso, vengono assorbiti da una prevalente funzione, più che di corrispettivo per il godimento, di quote di prezzo che vengono corrisposte dall'utilizzatore in previsione dell'acquisto del bene attraverso l'esercizio dell'opzione, con conseguente funzione strumentale della concessione in godimento, rispetto all'obiettivo traslativo che informa il contratto stesso.

In caso di fallimento dell'utilizzatore e di risoluzione del rapporto contrattuale, la giurisprudenza, muovendo da questa ferma distinzione, riteneva che nel leasing di godimento, trattandosi di contratto ad esecuzione continuata o periodica, la risoluzione del contratto non influisse sulle prestazioni già eseguite, secondo quanto previsto dall'

art. 1458, comma

1

, c.c.

, con la conseguenza che la società di leasing non risultava obbligata a restituire al fallimento i canoni percepiti, mentre nell'altro la natura traslativa e non di godimento portava a ritenere che la risoluzione avesse effetti retroattivi secondo la generale previsione dell'

art. 1458, comma

1

, c.c.

Conseguentemente sulla società di leasing incombeva l'obbligo di restituire al fallimento i canoni percepiti e, nello stesso tempo, veniva a questa riconosciuto il diritto di corrispondere da parte dell'utilizzatore un equo compenso per l'uso della cosa, in applicazione analogica con la previsione dell'

art. 1526 c.c.

prevista per la vendita con riserva di proprietà.

La nuova disciplina del leasing nel fallimento: l'art. 72-quater l. fall.

La novella legislativa di cui al

d.l

gs. n. 5 del

2006

ha introdotto per la prima volta una specifica disciplina del contratto di leasing e lo ha fatto con riguardo alla disciplina fallimentare, dettando, con l'inserimento del nuovo

art. 72-

quater

l.

fall

., una serie di regole dal contenuto diverso rispetto all'impostazione interpretativa precedente.

Il legislatore fallimentare ha voluto fornire per il leasing un'indicazione normativa completa, tale da consentire un effettivo coordinamento con la più generale disciplina dei rapporti pendenti regolata dall'

art.

72 l

.

fall

.. Questo è stato realizzato prevedendo specifici principi, per l'ipotesi del fallimento sia del concedente che dell'utilizzatore, anche con riguardo all'adozione dell'esercizio provvisorio dell'impresa, della continuazione del contratto da parte del curatore e soprattutto per l'ipotesi, sicuramente più problematica e frequente, dello scioglimento fatto valere dal curatore, ed è proprio a questo riguardo che emerge la maggiore novità della recente disciplina.

Il terzo comma dell'

art. 72

quater

l. fall

. prevede, infatti, che in caso di scioglimento del contratto il concedente ha diritto di ottenere la restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra allocazione del bene stesso avvenuta a valori di mercato (così come è stato ulteriormente specificato dalla successiva novella introdotta dall'

art. 4 del

d.l

gs. 12 settembre 2007, n. 169

).

Quanto alle rate di canone già incassate dall'utilizzatore, l'ultima parte del secondo comma dello stesso articolo esclude dalla revocatoria fallimentare i pagamenti delle diverse rate effettuati dall'utilizzatore poi fallito, attraverso un espresso richiamo alla regola dell'esenzione dalla revocatoria per i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso (

ex

art. 67, comma

3

, lett. a), l. fall

.).

Sembra di poter dedurre indirettamente, attraverso tali riferimenti ai limiti della revocabilità delle rate pagate, che, in caso di scioglimento del contratto, a differenza di quanto si riteneva precedentemente alla novella che ha inserito l'

art. 72

quater

l.

fall

. nella disciplina dei rapporti pendenti, il concedente non sia tenuto a restituire le rate riscosse prima del fallimento bensì possa ritenerle, con il solo limite, che nulla ha a che fare con lo scioglimento del contratto, dell'eventuale esercizio dell'azione revocatoria dei pagamenti, che potrebbe avvenire in casi assai limitati se, ad esempio, le modalità attraverso le quali è avvenuta l'estinzione del debito per le diverse rate non fossero state conformi a criteri di normalità e di regolarità del rapporto (ad es. con pagamento in ritardo o con ripetuti pagamenti parziali o con accorpamenti di rate o patti compensativi per estinguere il debito).

Se, quindi, in caso di scioglimento del contratto l'effetto retroattivo della risoluzione non potrà verificarsi sulle rate pagate prima del fallimento, in quanto con la citata previsione in materia di revocatoria sembrerebbe stabilito un principio secondo cui il concedente viene a trattenere quanto riscosso, si deve ritenere che l'interpretazione che abbiamo precedentemente ricordato, e che ha retto le scelte dottrinali e giurisprudenziali in materia di leasing sino alla novella fallimentare del 2006 , non potrà essere più utilmente applicata.

A ciò si aggiunga che nella nuova disciplina non si rinviene alcun riferimento alla già accennata distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo che, considerata la compattezza della tradizione giurisprudenziale negli ultimi decenni, pur doveva essere ben presente al legislatore.

L'

art. 72

quater

l. fall

. assegna quindi al leasing una disciplina unitaria caratterizzata, da un lato, dal consolidamento nel patrimonio del concedente delle rate già pagate (con conseguente possibilità di dedurre, sia pure indirettamente, l'esclusione della restituzione al curatore delle stesse rate incassate dal concedente) e, dall'altro lato, dal diritto del concedente ad ottenere la restituzione del bene per realizzarne il valore.

Lo stesso articolo prevede inoltre l'obbligo a carico del concedente di restituire al curatore l'eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita, o da altra collocazione del bene, rispetto al credito residuo in linea capitale, oppure, se la somma realizzata dalla vendita o altra collocazione del bene fosse inferiore al credito residuo, prevede il diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza.

Nelle applicazioni giurisprudenziali giunte all'esame della Cassazione non ha tardato ad emergere la questione relativa alla sorte dei canoni residui ed al loro trattamento nel concorso fallimentare, soprattutto in relazione al descritto del tutto nuovo principio secondo cui il concedente, se ha il diritto, quale proprietario, di fare proprio il valore del bene, è nello stesso tempo obbligato a versare alla curatela la differenza tra la maggiore somma ricavata dalla liquidazione del bene rispetto al credito residuo in linea capitale.

In particolare, una volta verificatosi il fallimento dell'utilizzatore, come pure lo scioglimento del contratto di leasing, la società di leasing tende a far valere nei confronti del fallimento sia una domanda di restituzione ed immissione in possesso del bene oggetto della locazione finanziaria, sia l'ammissione al passivo dei canoni scaduti e non pagati, come pure dell'intero credito residuale del finanziamento stesso.

Secondo un orientamento che ha trovato accoglimento in una prima pronuncia della Cassazione (

Cass., 1 marzo 2010, n. 4862

; La Torre

, Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72 quater l. fall.

, in Fallimento, 2008, 290; Antonucci

, Il leasing nel fallimento, in Dir. fall., 2010, I, 154;

Quagliotti

, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, in Fall., 2006, 1239), può essere accolta la domanda di restituzione e di immissione nel possesso del bene oggetto del contratto, mentre non può essere ammesso al passivo il residuo credito da finanziamento. Tale credito potrebbe essere fatto valere dal concedente solo nel caso in cui il ricavato dalla nuova allocazione del bene fosse risultato inferiore all'importo del capitale residuo, e quindi solo eventualmente, e comunque successivamente, all'avvenuta liquidazione del bene.

Secondo questo indirizzo la nuova disciplina attribuirebbe al concedente, oltre al diritto alla restituzione del bene, solamente un limitato ed eventuale diritto di insinuarsi allo stato passivo per la differenza tra il maggior credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato (evidentemente in misura minore) dalla nuova allocazione del bene. Il carattere eventuale di tale credito è la conseguenza del fatto che, se la somma ricavata è pari al credito residuo, questo risulterà soddisfatto e non vi sarà ragione di alcuna ammissione, mentre se il ricavato dovesse superare il credito residuo, il concedente sarebbe tenuto a versare alla curatela l'eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata ed il credito residuo in linea capitale.

Tale soluzione non risulta in realtà convincente sul piano interpretativo e sistematico (come avremo modo di vedere successivamente) e, nello stesso tempo, non appare idonea ad assicurare una efficiente ed equa realizzazione del diritto del concedente alla soddisfazione del credito relativo alle residue somme dovute dall'utilizzatore poi fallito per l'erogato finanziamento.

Va considerato, infatti, che se il momento in cui il concedente può far valere il credito per la restituzione delle somme finanziate e non restituite non coincide con quello della tempestiva formazione dello stato passivo, bensì è successivo all'avvenuta liquidazione del bene oggetto del contratto di leasing, anche le possibilità di una partecipazione al concorso diminuiscono, per effetto della inevitabile tardività della domanda che, come è noto, comporta una più incerta partecipazione sul patrimonio residuo dopo i riparti tempestivi già effettuati.

In realtà, come già ebbi modo di rilevare dopo l'entrata in vigore dell'

art. 72-

quater

l. fall

. (Inzitari

, Locazione finanziaria, in Il nuovo diritto fallimentare, in Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, 2006, 1196 ss ), la nuova disciplina, nella sostanza, attribuisce al concedente il diritto ad ottenere la restituzione dell'intera somma a suo tempo erogata quale finanziamento. Infatti, come abbiamo visto, la legge prevede: a) che i canoni pagati prima del fallimento non debbano essere restituiti alla curatela, ma, piuttosto, si consolidino nel patrimonio del concedente con il solo limite dell'esercizio dell'azione revocatoria nei ristretti limiti concessi dalla esenzione ex

art. 72

quater

,

secondo comma, l. fall

., che rinvia all'

art. 67, comma

3

, lett.

a),

l. fall

.; b) che le residue somme relative al capitale erogato per procurare l'acquisto del bene concesso in leasing all'utilizzatore poi fallito vengano restituite al concedente con soddisfazione integrale, se il ricavato dalla liquidazione del bene copre l'ammontare del credito residuo, e con soddisfazione in moneta fallimentare per la parte del credito che eccede il ricavato dalla liquidazione.

La nuova disciplina prevede dunque un nuovo e peculiare meccanismo di soddisfazione del concedente con il ricavato della allocazione del bene oggetto del contratto di leasing, secondo modalità che possono assimilarsi a quelle dell'

art 53 l.

fall

., vale a dire alla realizzazione durante il fallimento dei beni del fallito sottoposti a pegno a favore del creditore.

Si tratta pertanto del riconoscimento del diritto del concedente di soddisfare il credito fuori dal concorso sostanziale e cioè integralmente per l'intero ammontare e non in moneta fallimentare, ma necessariamente all'interno del concorso formale, vale a dire previo l'accertamento concorsuale con l'ammissione allo stato passivo, al fine di determinare, nel concorso con gli altri creditori, l'esatto ammontare del credito, con dettagliata partizione della parte capitale relativa ai diversi canoni residui e della parte interessi, anche in considerazione del fatto che, solo per la prima, è consentita la soddisfazione del cedente fuori del concorso.

La soddisfazione del concedente fuori dal concorso sostanziale: l'intervento della giurisprudenza

I limiti della precedente interpretazione giurisprudenziale e la necessità di prendere in considerazione le nuove peculiari modalità connesse alla possibilità concessa al concedente di soddisfarsi fuori del concorso sono stati avvertiti anche dalla stessa Cassazione che, in una recente pronuncia, non solo si è discostata dall'orientamento che negava al concedente il diritto all'insinuazione dei canoni scaduti, ma, come è stato opportunamente osservato da un attento commentatore (Zanichelli

, Collocazione del bene dato in leasing, retrocesso dal curatore e insinuazione al passivo, nota a

Cass. 15 luglio 2011, n. 15701

), ha mostrato di “prendere le distanze anche il relazione all'ulteriore principio secondo il quale per quelle a scadere sarebbe necessario attendere l'ulteriore collocazione del bene

”.

La Corte di Cassazione in questa occasione si è pronunciata in ordine alla decisione del giudice di merito che aveva ritenuto, per i canoni scaduti e non pagati e per i canoni non ancora scaduti, inammissibile la domanda del concedente di ammissione al passivo, in quanto aveva ritenuto che il concedente sarebbe stato legittimato all'ammissione soltanto dopo la allocazione del bene sul mercato e solo se ed in quanto la somma ricavata da tale liquidazione del bene non fosse stata sufficiente a soddisfare il concedente del suo credito residuo. In questa più recente pronuncia la Cassazione ha ritenuto di valorizzare la precedente citata decisione che, nel negare la possibilità di insinuare i canoni non ancora scaduti, aveva implicitamente ammesso la possibilità di consentire l'insinuazione per i canoni già scaduti. Nella pronuncia in parola non è possibile rinvenire peraltro un espresso riconoscimento del diritto del concedente alla tempestiva insinuazione dei canoni ancora a scadere. Infatti, con l'accoglimento del ricorso del concedente volto ad ottenere l'ammissibilità della domanda di insinuazione per i crediti scaduti, sono stati ritenuti assorbiti gli ulteriori motivi relativi alla possibilità di insinuare prima della allocazione del bene anche i crediti non ancora scaduti.

Va osservato, inoltre, che la stessa sentenza ha ritenuto di porre a fondamento della sua decisione alcune considerazioni svolte dalla dottrina, ricordando, appunto, come questa ha ricondotto la disciplina dell'

art. 72-

quater

l. fall

. alla regola dettata nella

legge fallimentare

per i crediti pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale dall'

art. 53

l. fall

.

Si tratta di un inquadramento sistematico e normativo che coglie la peculiarità della nuova disciplina del contratto di leasing ed è gravida di conseguenze per l'intera regolamentazione della fattispecie della soddisfazione del diritto del concedente nel fallimento.

Il creditore concedente può soddisfarsi integralmente sul bene, previa ammissione del suo credito al passivo

Va ricordato che, secondo il sistema della

legge fallimentare

, la soddisfazione del creditore che vanta un diritto di prelazione su uno specifico bene del debitore fallito (creditore pignoratizio e retentore privilegiato ex

artt. 2756-2797 c.c.

), è concepibile, tranne specifiche eccezioni, solo all'interno della procedura concorsuale, attraverso modalità che impongono al creditore l'osservanza del concorso formale, attraverso le forme dell'accertamento concorsuale del credito con il procedimento di ammissione al passivo.

Al fine di consentire la soddisfazione integrale e fuori dal concorso è consentito al creditore di disporre del bene oggetto della garanzia per la realizzazione del suo valore secondo modalità che vedono comunque un coordinamento con i poteri di controllo e di iniziativa del curatore fallimentare per la tutela dei creditori fallimentari (Inzitari

, Effetti del fallimento per i creditori, in Commentario Scialoja e Branca, legge fallimentare

, 1988, subart. 53, 83).

I principi dell'

art. 53

l. fall

. prevedono che, per consentire al creditore la legittimazione all'attività di liquidazione del bene, è prioritariamente necessaria l'ammissione del credito al passivo, al fine di accertare, nel concorso con gli altri creditori fallimentari concorrenti, l'esistenza del credito, la titolarità del credito stesso in capo al creditore ammesso e la determinazione quantitativa del credito stesso.

Queste esigenze, che sono nello stesso tempo di efficienza e di garanzia sulla correttezza del procedimento di soddisfazione del creditore al di fuori del concorso sostanziale, sono presenti anche nella fattispecie che qui ci occupa: il creditore concedente nel contratto di leasing, al pari del creditore pignoratizio, benché entrambi abbiano il diritto di alienare il bene oggetto della garanzia, come è stato ha osservato in un attento commento, sono tenuti ad osservare un procedimento che garantisca che la liquidazione del bene avvenga al miglior prezzo e dall'altro che il soddisfacimento avvenga nei limiti del diritto accertato.

L'orientamento espresso dalla Cassazione appare dunque volto a ritenere che anche il concedente, cui è riconosciuto il diritto di soddisfarsi integralmente sul bene, debba raggiungere questo risultato attraverso una preventiva ammissione al passivo. Questo al fine di poter accertare nel procedimento concorsuale la titolarità del credito, l'ammontare del credito per capitale residuo al netto degli interessi, delle spese, delle eventuali penali per inadempimento. Sono infatti questi gli elementi necessari per poter dar luogo, in condizioni di certezza, alla soddisfazione del credito residuo per capitale sul ricavato della allocazione del bene a valori di mercato (come richiesto dal nuovo testo novellato dell'

art. 72-

quater

l. fall

.). Si tratta infatti di una operazione delicata nella quale l'iniziativa del concedente di vendere o comunque allocare il bene deve necessariamente svolgersi attraverso una esaustiva informazione del curatore, che potrà controllarne le modalità ed i tempi, in quanto gli esiti di tale operazione sono tutt'altro che indifferenti per i creditori fallimentari, considerato che, a seconda del maggiore o minore ricavo tratto dalla liquidazione del bene, si potrà verificare la possibilità di versare alla curatela la differenza tra la maggior somma ricavata rispetto al credito residuo o, in caso contrario, per il concedente di ottenere in moneta fallimentare la differenza del credito residuo non soddisfatto sul ricavato dalla liquidazione del bene.

Si tratta di un'interpretazione e di una soluzione razionale che era stata già anticipata dalla dottrina e che appare anche coerente con le esigenze di tutela dei creditori fallimentari concorrenti e del concedente, come pure risulta coerente sul piano sistematico in relazione ai principi che regolano l'accertamento del passivo.

La novità della nuova disciplina del leasing nel fallimento risiede, infatti, nella previsione della possibilità dello scioglimento del rapporto per decisione del curatore, al quale si accompagnano principi liquidativi delle obbligazioni e dei beni oggetto del rapporto.

Non va dimenticato che il curatore verrà a compiere tale scelta in ordine allo scioglimento del contratto sulla base di una opportuna valutazione del possibile valore del bene e dell'onerosità del debito residuo, da valutare sotto forma di canoni a pagare e dell'importo della somma dovuta per il riscatto finale.

È evidente pertanto che, una volta effettuata, anche sulla base del parere del comitato dei creditori, la scelta dello scioglimento, la successiva vicenda liquidativa del bene riveste per il curatore un interesse più che rilevante, a partire dal controllo dei tempi e delle condizioni economiche cui il bene potrà essere allocato dal concedente.

La realizzazione del valore del bene non è infatti finalizzata alla distribuzione del ricavato ai creditori, quanto piuttosto ad operare una compensazione di valori tra il credito residuo in linea capitale del concedente ed il valore residuo del bene stesso, in quanto con tale differenza si intende in primo luogo soddisfare il credito residuo del concedente ed eventualmente destinare l'ulteriore somma che dovesse rimanere al fallimento.

Considerata l'incidenza nel concorso fallimentare di una siffatta soddisfazione del credito per capitale, assume una notevole rilevanza la valutazione del bene e la correttezza e la trasparenza del procedimento di liquidazione del bene stesso. Non a caso il legislatore, successivamente all'inserimento del nuovo

art. 72-

quater

nella legge fallimentare

, è intervenuto con l'

art. 4

d.l

gs. n. 169/2007

, che ha aggiunto l'obbligo per il concedente di effettuare l'allocazione del bene a valori di mercato.

Al curatore dovrà pertanto essere riconosciuta la possibilità di dissentire dalle scelte liquidative che non realizzino il valore di mercato e quindi dovrà essere anche riconosciuto il diritto di intervenire per stimolare comportamenti di correttezza e di trasparenza, tanto delle modalità della liquidazione, che della rendicontazione della liquidazione stessa, senza escludere la possibilità per il curatore di utilizzare strumenti cautelari di diritto comune, quali i provvedimenti ex

artt. 700

o

696

bis

c.p.c.

, come pure, in caso di colpevole inerzia del concedente, col ricorso alla vendita in danno di cui all'

art. 1515 c.c.

.

Se, dunque, l'accertamento del credito del concedente avviene prioritariamente nel procedimento di formazione dello stato passivo, anche l'esercizio dei poteri del curatore volti a controllare e rendere compatibili gli interessi del fallimento con quelli del concedente potranno svolgersi con maggiore efficienza, correttezza e trasparenza.

Nello stesso tempo va osservato che la tempestiva insinuazione al passivo del credito appare necessaria per la tutela dell'interesse del concedente alla partecipazione al concorso fallimentare. Se, infatti, si dovesse seguire quell'orientamento che limitava la possibilità per il concedente di insinuare il proprio credito al passivo solo dopo l'avvenuta allocazione del bene, si avrebbe di fatto un ridimensionamento del diritto (pur riconosciuto dall'

art. 72-

quater

l. fall

.) di soddisfare la parte di credito per capitale risultata non coperta dal ricavato della allocazione del bene. Infatti, come è stato osservato, considerati i tempi necessari per la allocazione del bene, il concedente potrebbe far valere al passivo il suo credito residuo solo con una insinuazione tardiva, con conseguente pregiudizio di tale credito rispetto alla concreta partecipazione al riparto.

La mancata insinuazione tempestiva del credito porrebbe pertanto il concedente in una posizione deteriore rispetto agli altri creditori concorrenti e finirebbe per favorire comportamenti conflittuali e non collaborativi del concedente nella gestione del procedimento di allocazione del bene.

Ulteriori argomenti di carattere più generale e sistematico inducono a ritenere, non solo consentita, ma anche necessaria, la preventiva insinuazione del concedente al fallimento per il residuo credito per capitale. È significativo il caso dei crediti derivanti da mutuo fondiario. Essi conservano il privilegio di riscossione di carattere processuale in deroga al divieto di azioni esecutive individuali dell'

art. 51

l. fall

., ma, dopo aver conseguito dal giudice dell'esecuzione l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito, sono tenuti, per rendere definitiva tale assegnazione, ad insinuarsi al passivo del fallimento, in modo tale da consentire la graduazione dei crediti cui è finalizzata la procedura fallimentare.

Altrettanto significativo è il caso dei creditori prelatizi, i quali, secondo quanto previsto dall'

art. 111 n. 3 l. fall

., hanno diritto di partecipare al riparto quali chirografari sino a che non risulti liquidato il bene sul quale ricade la garanzia, con la conseguenza che essi dovranno insinuarsi tempestivamente al passivo, in quanto altrimenti tale importante tutela non potrebbe essere attuata.

Necessità del concorso formale

La giurisprudenza di merito ha, con significativa rapidità e consapevolezza, accolto questo nuovo orientamento della Cassazione, completando peraltro con ulteriori opportune previsioni le regole destinate a disciplinare i descritti nuovi principi contenuti nell'

art. 72-

quater

l. fall

. colmando anche le lacune lasciate dall'incompletezza legislativa.

Le pronunce di merito cui si fa riferimento (

Trib. Udine, 24 febbraio 2012

; Trib. Udine, 10 febbraio 2012) nel rivedere il passato orientamento, che limitava il diritto del concedente di insinuarsi solo dopo avere realizzato la liquidazione del bene, hanno ripercorso i tratti caratterizzanti della nuova disciplina, unitamente ad una approfondita analisi della più volte citata sentenza della Cassazione, giungendo ad estrarre la regola (di rilevantissimo rilievo giurisprudenziale), secondo cui il creditore [concedente] può soddisfarsi fuori del concorso mediante la nuova collocazione del bene, ma deve insinuarsi al passivo, non essendo esentato dal concorso formale .

Anche la giurisprudenza di merito ha mostrato di manifestare piena consapevolezza in ordine all'avvenuto superamento della distinzione tra leasing di godimento e traslativo e sull'unitario meccanismo di regolazione dei rapporti tra concedente ed utilizzatore valevole per tutti i contratti di leasing, ritenendo che così è consentito al concedente di soddisfarsi al di fuori delle regole del concorso sostanziale, ma nel rispetto delle regole del concorso formale, sul bene oggetto del contratto.

Quanto al credito suscettibile di essere soddisfatto fuori dal concorso, la stessa giurisprudenza precisa che tale soddisfazione integrale nei limiti del ricavato è limitata logicamente al solo credito per capitale, mentre il credito per le somme dovute per interessi, anche di mora, e per le spese maturate prima del fallimento, una volta insinuate al passivo, potranno essere soddisfatti solo in moneta fallimentare. Gli interessi e spese maturati, o che sarebbero maturati dopo il fallimento, non sono dovuti, non essendo tali obbligazioni neanche sorte per effetto dello scioglimento del contratto. Inoltre tali somme costituiscono a vario titolo il corrispettivo per il godimento del bene, la cui causa è venuta meno una volta restituito il bene a seguito dello scioglimento del contratto (

Trib. Udine, 24 febbraio 2012

), mentre le eventuali penali che fossero anche previste dal contratto non potranno essere insinuate, neanche a titolo di risarcimento del danno, in considerazione del principio secondo cui il fallimento non può essere considerato come causa di inadempimento colpevole.

Le norme della

legge fallimentare

che vengono richiamate sono quindi il generale principio dell'

art. 55

l. fall

. che, per i debiti pecuniari, sospende il corso degli interessi convenzionali o legali successivi alla dichiarazione di fallimento, come pure i già citati

artt. 51,

53

e

54

l. fall

. che, in modo analogo per il creditore pignoratizio, stabiliscono l'obbligo del concorso formale per poter essere esclusi dal concorso sostanziale.

Resta il problema delle modalità attraverso le quali coordinare l'ammissione al passivo del concedente per il credito residuo per capitale con il riconoscimento della facoltà di soddisfare integralmente il suo credito sul ricavato della allocazione del bene. La soluzione individuata dalla giurisprudenza appare efficiente e corretta. Essa prevede che, nel caso in cui il valore del bene di cui il concedente è proprietario non sia stato ancora determinato in contraddittorio tra la procedura fallimentare ed il concedente (ad es. attraverso apposita valutazione effettuata in sede di inventario o nel corso dell'istruttoria prevista in sede di ammissione al passivo o della causa di opposizione), il credito del concedente potrà essere ammesso al passivo con riserva di deduzione del relativo importo per il quale opera la compensazione, trattandosi di riserva sicuramente ammissibile e prevista dalla legge, secondo il disposto dell'

art. 96 , comma

2

, l. fall

. (Trib. Milano 8 luglio 2010;

Trib. Milano 24 aprile 2012

). Tale riserva potrà poi essere agevolmente sciolta con il meccanismo previsto dall'

art. 113-

bis

l. fall

. su istanza del concedente, una volta attuata la liquidazione del bene e verificata la persistenza di un diritto alla partecipazione al concorso per parziale incapienza del ricavato dalla vendita del bene rispetto al credito residuo (Trib. Udine, 10 febbraio 2012).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario