Riflessioni in materia di modelli preventivi dell'insolvenza: analisi di modelli a noi vicini e considerazioni

30 Marzo 2012

C'è spazio, nel nostro ordinamento, per modelli preventivi dell'insolvenza rispetto alle procedure concorsuali classiche?Per fornire una risposta a questo interrogativo l'Autore prende le mosse dall'avvenuto mutamento della procedura concorsuale tradizionale, che da istituto finalizzato alla liquidazione del patrimonio dell'imprenditore, a favore dei creditori, si è trasformato in strumento di liquidazione realizzabile anche attraverso la conservazione dell'azienda. Vengono, poi, analizzate le procedure già presenti in altri paesi, in particolare quelle introdotte in Francia da una legge di riforma del 2005, e, infine, vengono sviluppate alcune considerazioni sulle linee guida di una possibile riforma nel nostro ordinamento, con particolare riferimento ai presupposti e alle condizioni per attivare la prevenzione, tenendo conto delle contrapposte esigenze di salvaguardia dell'impresa e di tutela dei creditori.
Utilità della riflessione. L'evoluzione storica del problema e il difficile bilanciamento di diritti costituzionalmente riconosciuti

Queste riflessioni vogliono avere un sapore particolare, poiché del tutto particolare è il tema se: a) nel nostro ordinamento, i tempi possano definirsi maturi per immaginare un modello preventivo rispetto alle procedure concorsuali classiche di gestione dell'insolvenza e, nell'ipotesi di risposta affermativa, b) sulla base di quali precise scelte tecniche.

Il tema, già nei suoi termini generali, è assolutamente delicato: si tratta infatti di individuare i soggetti legittimati ad invocare il modello preventivo; le condizioni per l'accesso alla prevenzione; le modalità di attuazione della prevenzione medesima; il grado di incidenza di tutto ciò rispetto alle posizioni soggettive dei terzi, a cominciare dal diritto dei creditori sociali.

Sul piano storico i tempi per affrontare il quesito appaiono maturi: quanto meno a partire dagli anni Settanta e sino ad oggi la giurisprudenza ed il legislatore sono ripetutamente intervenuti per innovare, interpretare ed estendere in maniera sempre più consona alle nuove esigenze il sistema normativo esistente, dando così luogo ad un diritto vivente spesso diverso da quello che emergeva dall'arida e acritica lettura della norma. È sufficiente ricordare, a questo riguardo, il modello giurisprudenziale creato e conosciuto con il nome di consecuzione delle procedure concorsuali, in virtù del quale la dichiarazione di insolvenza era preceduta dalle procedure minori di amministrazione controllata e di concordato preventivo; la prima normativa del 1979 in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (l. 3 aprile 1979, n. 95), via via integrata ed evoluta sino a pervenire ad un vero testo organico della grande impresa insolvente, costituito dalle norme ricomprese nel D. Lgs., n. 270 del 1998; ed ancora i diversi progetti di riforma organica della legge fallimentare nel suo insieme, poi tradottisi (solo in parte) nella riforma del diritto fallimentare che si è snodata principalmente tra l'anno 2005 e il settembre 2007. Tutto questo sviluppo normativo, al pari dell'evoluzione giurisprudenziale che ha accompagnato e stimolato il suo evolversi, ha avuto come filo conduttore la consapevolezza che, nella società attuale, l'azienda (e l'attività d'impresa) non costituisce un bene dell'imprenditore al pari degli altri, bensì «il bene» in funzione del quale spesso si misura la possibilità di esistenza del benessere sociale e, dunque, di diritti soggettivi fondamentali.

Questa consapevolezza ha fatto sì che la procedura concorsuale mutasse il suo spirito da istituto meramente finalizzato alla liquidazione del patrimonio dell'imprenditore a favore dei creditori, a liquidazione auspicabilmente realizzata attraverso la conservazione dell'azienda o del ramo di azienda suscettibile di sopravvivere, se del caso mediante cessione a terzi e revisione della governance e della compagine sociale dell'imprenditore insolvente (si ponga mente alla legittimazione del terzo rispetto alla proposta concordataria, ai sensi dell'art. 124 l. fall.).

Si tratta di un percorso che ha inevitabilmente contrapposto diritti soggettivi egualmente riconosciuti dalla carta costituzionale e così: il diritto al lavoro (art. 1 e art. 4 Cost.); il diritto all'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.); il diritto di proprietà (art. 42 Cost.); il diritto al risparmio, anche attraverso la disciplina, il controllo e il coordinamento dell'attività bancaria di esercizio del credito (art. 47 Cost.). L'evoluzione normativa e le decisioni giurisprudenziali hanno spesso dimostrato che il bilanciamento di questi diritti/valori primari risulta spesso assai difficile e che, anche all'interno di diritti costituzionalmente garantiti, l'esperienza indica la logica e funzionale prevalenza di taluni diritti soggettivi rispetto ad altri: non fosse altro, ad esempio, perché riesce difficile immaginare la proprietà privata in mancanza di una ricchezza derivante dal lavoro che ne consenta la creazione. Il dibattito non è certo sfuggito agli operatori del diritto ed ai cultori del diritto concorsuale in particolare, agli occhi dei quali spesso la procedura di insolvenza aperta a carico dell'imprenditore ha fatto emergere una tutela forse eccessiva dell'iniziativa economica privata, a fronte di una collettivizzazione delle perdite conseguenti. La creazione di ammortizzatori sociali non previsti dalla legge, quale ad esempio la cassa integrazione «in deroga», ne è stata forse il più chiaro esempio, ancorché non il solo. È davanti a questa realtà che l'interrogativo in ordine all'opportunità ed all'individuazione di uno specifico percorso preventivo dell'insolvenza si è fatto strada, ed è per questa stessa ragione che ha un senso occuparsene.

La considerazione del modello preventivo dell'insolvenza nei progetti di riforma della legge fallimentare 

Nell'ambito della produzione normativa, il decreto legislativo di riordino della procedura di amministrazione straordinaria ha rappresentato, per molti versi, il punto di arrivo (o per taluni: di inizio) di una riflessione in ordini a temi nuovi o, se si preferisce, di una riflessione in termini nuovi: il concetto di gruppo di società; la definizione di responsabilità degli organi gestori e di controllo all'interno del gruppo; la responsabilità da eterodirezione; gli effetti dell'abuso della persona giuridica a fronte del consolidato principio di responsabilità limitata del socio. Il testo di legge è in molti punti davvero innovativo, e non è un caso che, quasi in concomitanza con la sua promulgazione, si siano avvicendati studi e progetti di riforma con un occhio di riguardo (forse per la prima volta) anche al profilo della prevenzione dell'insolvenza. Il riferimento va in particolare al corposo disegno di legge di riforma delle procedure concorsuali redatto dalla Commissione istituita con D.M. 27 febbraio 2004 dal Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell'Economia e noto come progetto della «Commissione Trevisanato bis». Significativa era l'introduzione, all'interno del disegno di legge, di un Titolo Secondo per l'appunto riferito agli «istituti di allerta e prevenzione». Vi ritroviamo, infatti, l'art. 8, che prevedeva un obbligo di comunicazione, a carico dei pubblici ufficiali abilitati a levare protesti cambiari ovvero dei procuratori del Registro, a favore della Camera di Commercio in ordine ai protesti per mancato pagamento e ai rifiuti di pagamento. Il tutto con l'istituzione (art. 11) di un pubblico registro presso la Camera di Commercio, collettore di tutte queste segnalazioni.

Analogo obbligo di comunicazione veniva previsto dall'art. 9 a carico delle Pubbliche Amministrazioni e delle società di somministrazione di energia per i crediti iscritti a ruolo. Inoltre, all'art. 10, precisi obblighi di segnalazione a favore del tribunale competente venivano posti a carico dei collegi sindacali e dei revisori contabili rispetto a situazioni di difficoltà segnalate all'organo amministrativo e rimaste da parte di quest'ultimo prive di riscontro, o con un riscontro inidoneo al loro superamento.

La dottrina aveva immediatamente accolto con favore questa apertura (R. SACCHI, Procedura di crisi, in Fall., supplemento al n. 12, 2004, 7 ss.; F. LAMANNA, Intervento, ibidem, 2004, 55 ss.; V. APICE, Fallimento e procedura di salvataggio: una bipartizione da ricordare, ivi, 2003, 18 ss.; G. FAUCEGLIA, L'anticipazione della crisi di impresa, ibidem, n. speciale 21 ottobre 2008, 15 ss), seppure segnalando come questo controllo interno (da parte del collegio sindacale) o esterno (attraverso la creazione di un pubblico registro delle inadempienze) fosse in realtà privo di uno sbocco concreto e si traducesse piuttosto un sistema chiuso; parimenti, sempre la dottrina sottolineava la difficoltà di individuare in via preventiva la criticità degna della segnalazione in prevenzione, al pari della difficoltà di gestire gli eventuali dati raccolti.

Non di meno, ancorché il disegno di legge non abbia avuto sviluppi, si trattava di un segnale importante: l'idea che l'iniziativa economica privata, atteso che con l'insolvenza si finiva per collettivizzare le perdite (con danno del ceto creditorio e delle maestranze), non potesse consentire oltremodo il riserbo dell'imprenditore su fatti di criticità aziendale sino al momento dell'inevitabile evidenziarsi di un'insolvenza in senso tecnico.

È questo un profilo, come si dirà, che ha profondamente connotato il dibattito in quegli ordinamenti a noi vicini (come quello francese), che hanno anche in tempi recenti compiuto una scelta diversa e più coraggiosa in tema di prevenzione dell'insolvenza.

L'approccio al tema della prevenzione in altri ordinamenti. Il modello francese: la procedura di alerte; la procedura di conciliation; la procedura di sauvegarde. Peculiarità delle scelte operate

Il modello preventivo dell'insolvenza ha in qualche misura attecchito nell'ordinamento francese con largo anticipo rispetto al nostro. Già negli anni 1966/1967, attraverso la procedura di suspension provvisorie des porsuites e la procedura di réglément amiable il tema diventava attuale. Ma è con la legge di riforma delle procedure concorsuali del 26 luglio 2005 che il sistema francese ha inciso profondamente in argomento sulla base di una considerazione quanto mai chiara nella relazione di accompagnamento: «l'intervento giudiziale sulla difficoltà delle imprese interviene, nella maggior parte dei casi, troppo tardi, in un momento in cui la situazione del debitore è talmente oberata che lo sbocco della procedura non può essere che la liquidazione». Con la legge del 2006 ritroviamo dunque nell'ordinamento francese tre procedure, le prime due preventive, in senso proprio, dell'insolvenza (la procedure d'alerte e la conciliation), la terza in un grado minore (la sauvegarde).

La procedure d'alerte prende le mosse dalla segnalazione di «fatti di natura tale da compromettere la continuità aziendale», in presenza dei quali una pluralità di soggetti (i sindaci della società, i delegati sindacali del personale, gli azionisti di minoranza) possono segnalare la circostanza al Presidente del tribunale competente. La segnalazione apre immediatamente un dialogo tra il Giudice e gli amministratori per comprendere i termini del problema e le soluzioni; ed in mancanza di risposte convincenti, ma sovente su richiesta degli stessi amministratori, il tribunale nomina un mandatario di giustizia con una delega molto precisa: quella di analizzare i problemi e di individuare i rimedi. Assai sovente il mandatario di giustizia finisce per assumere, sotto il controllo del tribunale, la veste di negoziatore (conciliateur) con i creditori/fornitori dell'impresa.

È a questo livello che, di norma, si accede a quella che propriamente viene definita come seconda procedura di prevenzione: la conciliation. È infatti raro che i problemi possano essere rimediati in virtù di quanto emerso e proposto dal mandatario nella procedure d'alerte; mentre è normale che la procedura si trasferisca e continui nell'ambito di una vera e propria conciliazione, quale ricerca di un accordo con i principali creditori/fornitori dell'imprenditore, tale da garantire la continuità aziendale. In funzione di tale accordo il tribunale può persino ingiungere a taluni creditori di desistere, per un periodo di moratoria, da iniziative nei confronti dell'imprenditore. Ma l'efficacia maggiore dell'accordo o conciliazione si ha nell'ipotesi in cui l'imprenditore rinunci alla confidenzialità dell'accordo medesimo e, accettando la constatation o omologa da parte del tribunale, arrivi a beneficiare di un periodo di moratoria connesso alla pubblicità offerta al piano di risanamento. La nuova finanza, tranne quella apportata eventualmente dai soci, che confluisca in funzione del piano omologato, riceve il sigillo della prededuzione; ma il leitmotif che informa le due procedure di prevenzione è rappresentato dall'indiscusso beneficio che il loro accesso, se avvenuto su richiesta dell'imprenditore e/o amministratori, comporta per i medesimi, vale a dire: l'esenzione dalle azioni di responsabilità concorsuali e, di riflesso, l'immunità rispetto ai tipici reati concorsuali. Si tratta dunque di un atteggiamento che, nello spirito della legge, lega la prevenzione al premio nei confronti dell'imprenditore che si sia reso attivo nell'evidenziare tempestivamente la difficoltà.

Se queste due procedure proprie di prevenzione escludono la nozione tipica di insolvenza, che infatti non deve sussistere al tempo della apertura, diverso è il caso della procedura di souvegarde: in questo caso, ancorché non abbia avuto luogo la cessation des payements, l'impresa può anche trovarsi in una condizione, in mancanza di intervento, tale da rendere certa da lì a poco l'insolvenza medesima. Non di meno, l'imprenditore (e in questo caso solo l'imprenditore) è legittimato a richiedere al tribunale l'apertura della procedura. Anche in questo caso il tribunale nomina un proprio mandatario il quale ha il compito di verificare la situazione e individuare i rimedi; parallelamente e di seguito tale mandatario assume il ruolo di negoziatore con i creditori/fornitori per individuare le moratorie e gli apporti (in termini di nuovo credito e di nuove forniture) necessari a garantire la continuità aziendale. Interessante è notare, a questo riguardo, che il modello francese già dal 2006 ha previsto rispetto a questa procedura la divisione dei creditori in classi, individuando la nomina di differenti comitati dei creditori per gestire le negoziazioni, separando il ceto bancario dal ceto dei maggiori e piccoli creditori/fornitori.

Sia pure in sintesi, il panorama appare chiaro: le misure di prevenzione poggiano la loro forza su una legittimazione ampia (consentita non solo agli organi di controllo, ma anche agli azionisti di minoranza e ai rappresentanti dei lavoratori) e in pari tempo su di un atteggiamento premiale (in tema di esenzione da responsabilità civile e penale) nei confronti dell'imprenditore/amministratore che abbia avuto il coraggio di denunciare tempestivamente la difficoltà (F. LEFEBVRE, Réforme des procédures collectives, Paris, 2006; P.M. LE CORRE, Droit et pratique des procedures collectives, III ed., Paris, 2006; F.X. LUCAS, La réforme des procedures collectives, Paris, 2006; M.J. CAMPANA, L'esperienza francese, in Crisi dell'impresa e riforme delle procedure concorsuali, Milano, 2006, 195 ss.; P. MONTALENTI, Le soluzioni concordate alle crisi di impresa, ivi, 169 ss).

Considerazioni e riflessioni per una riforma nell'ordinamento italiano

È a questo punto possibile immaginare, almeno in termini generali e per aprire un dibattito sulla questione, le linee guida di un'eventuale riforma nel nostro ordinamento.

Le considerazioni più immediate:

a. atteso che la salvaguardia dell'impresa realizza, nel nostro contesto sociale, lo strumento per consentire il dispiegarsi di altri valori fondamentali costituzionalmente garantiti (il lavoro, il risparmio, la proprietà), la prima riflessione attiene all'individuazione delle condizioni per attivare una prevenzione. È chiaro infatti che, se prevenzione deve essere, non ci si dovrebbe a rigore trovare in una situazione di insolvenza, o quanto meno di insolvenza irreversibile, bensì in una situazione di seria difficoltà aziendale. La scienza aziendalistica ha costruito a questo riguardo svariati modelli, di norma applicati dagli operatori per dimostrare (purtroppo con il senno di poi e nell'ambito delle azioni concorsuali di responsabilità) che, a partire da una certa data, la continuità aziendale era segnata. Ebbene, sembra preferibile che la condizione di accesso alla prevenzione venga proprio configurata nella nozione di «criticità per la continuità aziendale», lasciando ai soggetti legittimati di leggere i segnali di tale criticità in funzione delle peculiarità dell'impresa interessata (ad esempio: il business può essere discontinuo in un certo settore, ma in altri la discontinuità è segnale, per l'appunto, di criticità);

b. appare poi evidente che la propensione dell'imprenditore e dell'amministratore a denunciare in prevenzione andrebbe incentivata con una garanzia normativa di esenzione da responsabilità civile e penale, quanto meno tutte le volte in cui la denuncia tempestiva abbia consentito di salvare l'azienda o parte dell'azienda. Evidentemente si tratta di riconfigurare i reati fallimentari per colpire le sole ipotesi oggettivamente connotate di gravità causale rispetto al dissesto, abbandonando le ipotesi minori;

c. sempre in tema di legittimazione non può non considerarsi quella del collegio sindacale. Si tratti di un collegio nei suoi termini classici, o di un unico revisore, poco cambia in termini di aspettative circa la reazione dell'organo. Ci si intende riferire, a questo riguardo, ad un aspetto tanto trascurato quanto problematico: difficilmente infatti ci si può aspettare una seria e serena reazione da parte dell'organo di controllo ove non si garantisca la terzietà del medesimo. Aspettarsi infatti nella pluralità dei casi che l'organo di controllo scelto dalla società si attivi tempestivamente, e addirittura in prevenzione, sarebbe forse un eccesso di ingenuità. Vero è invece che l'organo di controllo riveste un'importanza fondamentale nella dinamica della società di capitale, ma, per poter funzionare, la scelta deve essere sottratta al controllato e rimessa ad un terzo imparziale. Si potrebbe immaginare ad una scelta compiuta, in sede di volontaria giurisdizione, dal Presidente del tribunale competente o dal Giudice del registro delle imprese, secondo criteri rotativi, tali da considerare il numero delle cariche assunte da ciascun controllore. Né in ciò vi sarebbe una lesione a un diritto (inesistente) dell'imprenditore: non si vede infatti perché il controllato dovrebbe scegliere il suo controllore. Ma ciò forse non basterebbe se non si accompagnasse al potere di controllo un'effettiva soggezione a responsabilità. In molti casi, infatti, l'azione concorsuale di responsabilità è vana perché ci si trova davanti a soggetti privi di patrimonio, ovvero con coperture assicurative risibili o pregiudicate da clausole di claims made appositamente costruite per sottrarre la compagnia assicurativa al pagamento. Su questo aspetto la giurisprudenza, almeno di recente, sta intervenendo; ma continua a difettare in molti casi la scelta del controllore in sintonia con una sua assunzione di responsabilità effettiva. Anche sotto questo profilo la nomina da parte del Giudice apparirebbe auspicabile per evitare la nota casistica di soggetti scelti in funzione della loro artata impossidenza;

d. non si vede poi perché la prevenzione non possa essere rimessa, almeno dove (purtroppo sempre meno) questa realtà sussista, alla rappresentanza sindacale. Si tratta infatti di un'iniziativa volta alla salvaguardia dell'occupazione e, pertanto, perfettamente in linea con il ruolo istituzionale della rappresentanza;.

e. diversa invece, anche in punto di legittimazione, è la posizione dei creditori, poiché davvero essi non sono tutti uguali. Le nostre società di capitali peccano, nel diritto vivente, di una mancanza ben più che veniale: la endemica sottocapitalizzazione. Troppo di frequente non vi è alcuna logica tra il giro d'affari e il capitale sociale e/o il patrimonio netto della società; mentre gli Istituti di credito ricevono le loro garanzie al di fuori del patrimonio sociale e dai terzi. In questi termini tutto il sistema ne esce deviato e ben difficilmente si può immaginare un sano esercizio del potere di controllo preventivo da parte del creditore banca. Per porre rimedio ad una simile realtà, un concreto accorgimento potrebbe essere verosimilmente rappresentato da una menzione, nella nota informativa a bilancio, delle garanzie personali e reali fornite dai soci e dai loro familiari alle banche con cui l'impresa opera. In questo modo i terzi creditori «normali» capirebbero dove si arresta l'affidamento e dove inizia, semplicemente, l'indifferenza. Si avrebbero forse meno controversie per abusiva concessione del credito da parte della banca e, su altro versante, una maggiore propensione alla capitalizzazione della società;

f. nel panorama esposto, ovviamente, il ruolo del Giudice è primario, né potrebbe essere altrimenti. Nel nostro modello costituzionale di assetto dei poteri, almeno in linea di principio, la magistratura dovrebbe essere sinonimo di indipendenza; ed in mancanza di un modello migliore, solo il Giudice può essere il referente per tutti quei provvedimenti che sono funzionali allo svolgimento di un modello preventivo dell'insolvenza.

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