Revocatoria fallimentare, Regolamento CE n. 1346/2000 e law shopping

20 Luglio 2012

Il Regolamento CE n. 1346/2000 si rivela sempre più riferimento normativo imprescindibile per qualunque operatore del diritto concorsuale, e ciò sotto profili anche inattesi. Un esempio di ciò è l'art. 13, il quale prevede un'ipotesi di esenzione dalla revocatoria fallimentare che può, a ben vedere, e sia pure in un quadro di law shopping, trovare applicazione anche in fattispecie a prima vista prive di connotati transnazionali.
Gli articoli 4 e 13 del regolamento CE n. 1346/2000 e la loro interazione reciproca

Il

regolamento CE n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza

dispone (art. 4, comma 2, che «la legge dello Stato di apertura determina ...m) le disposizioni relative alla nullità, all'annullamento o all'inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori». Poiché il primo comma dello stesso articolo a sua volta definisce come «Stato di apertura» lo Stato membro nel cui territorio è aperta la procedura, ne deriva che la nullità, l'annullamento o l'inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori sono regolati dalla legge dello Stato in cui la procedura di insolvenza è stata aperta: in parole povere, nel caso di fallimento italiano si applicheranno le disposizioni della legge italiana, e così via per ogni singolo Stato membro.

Tuttavia a questa norma se ne affianca un'altra, quella dell'art. 13, per il quale «non si applica l'articolo 4, paragrafo 2, lettera m) quando chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori prova che:

  • tale atto è soggetto alla legge di uno Stato contrante diverso dallo Stato di apertura, e che

  • tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo».

Queste due norme costituiscono, a parere di chi scrive, e non solo suo, un contesto normativo assai peculiare, tale da porre problematiche interpretative e di applicazione di un certo impegno, e infatti non è mancato chi ha parlato addirittura di “rebus normativo”.

E' del resto significativo che la stessa Legge modello sulle insolvenze transnazionali elaborata dalla Commissione delle Nazioni Unite sul diritto del commercio internazionale - Uncitral, che è all'origine, sia pure con molti mutui scambi, del regolamento n. 1346, non preveda una norma del genere. Però l'art. 13 sembra essere espressione di una tendenza in fieri, visto che la

legge tedesca del 14 marzo 2003

per una nuova disciplina del diritto concorsuale internazionale ha riformulato l'art. 102, comma 2, della Insolvenzordnung del 1994 introducendo un principio analogo, e nello stesso senso si è mossa, con il suo art. 208, la Ley concursual spagnola del 2003.

D'altra parte, che si tratti di norma anche praticamente importante è dimostrato dalla circostanza che nella giurisprudenza italiana, tra gli articoli del regolamento, l'art. 3 sulla competenza internazionale è quello - ovviamente - più visitato, ma subito dopo viene l'art. 13, con almeno tre pronunce note, due delle quali pubblicate (recentissima la sentenza del Tribunale di Roma, pubblicata su questo Portale con commento di P. Bosticco (

Tribunale di Roma, sentenza 7 marzo 2012

(data decisione), con nota di BOSTICCO, Revocatoria contro lo straniero ed esenzione ai sensi dell'art. 13 Reg. Ue 1346/2000, in ilFallimentarista.it 23.5.2012)

).

Lex contractus e lex concursus nell'art. 13

Tornando all'interazione tra l'art. 4, comma 2, lett. m) e l'art. 13, la revoca di un atto pregiudizievole è regolata, in linea di principio, dalla legge dello Stato in cui la procedura di insolvenza si svolge, tuttavia il convenuto in revocatoria può allegare che l'atto oggetto di revoca è retto nella sua sostanza dalla legge di un altro Stato membro, e che detta legge a sua volta esclude la revocabilità di tale stesso atto. Qualora la prova di entrambe tali circostanze sia stata data, allora la domanda revocatoria sarà rigettata.

Si ha così evidentemente un fenomeno normativo assai interessante, per il quale la revoca di un dato atto è regolata in via di azione da una certa legge nazionale, mentre in via di eccezione, e solo se la relativa eccezione è sollevata, da un'altra e diversa legge. In altre parole, nel corso dello stesso processo una data fattispecie può inizialmente essere assoggettata ad una data legge sostanziale, e poi in corso d'opera da un'altra e diversa, che soppianta la prima.

Su questo punto è stato ritenuto che l'art. 13 rappresenterebbe un caso di concorso cumulativo di criteri di collegamento, nel senso che l'atto potrebbe essere impugnato solo qualora a tal fine concorrano sia la lex concursus che quella contractus: un cumulo però inteso in senso particolare, visto che in diritto internazionale privato, a rigore, si parla di cumulo nel caso di richiamo simultaneo a più criteri di collegamento, operanti tuttavia alternativamente e indipendentemente l'uno rispetto all'altro. Un esempio è il terzo comma dell'

art. 56 della L. n. 218/1995

, Riforma del diritto internazionale privato, per il quale la donazione è valida quanto alla forma se è considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza, oppure da quella dello Stato in cui l'atto è compiuto: si hanno cioè due diversi criteri di collegamento entrambi finalizzati alla disciplina della validità formale dell'atto di donazione, però in concreto tali criteri sono destinati a funzionare indifferentemente l'uno o l'altro, e non uno in sostituzione dell'altro.

Nel caso dell'art. 13, invece, si ha non un siffatto richiamo simultaneo, bensì una prevalenza meramente ipotetica e condizionata della lex contractus rispetto a quella concursus. Prevalenza ipotetica, in quanto occorre che l'atto sia disciplinato nella sostanza da una legge diversa da quella concursus; e condizionata, in quanto detta legge deve anzitutto essere invocata in via di eccezione, e poi non deve consentire la impugnabilità «con alcun mezzo» dell'atto stesso.

Una volta però che entrambi tali presupposti siano riscontrati sussistenti, la fattispecie sarà regolata esclusivamente dalla lex contractus, senza più alcun riferimento a quella concursus. Dunque la tesi sopra riferita, per la quale la revoca dell'atto può essere pronunciata solo in quanto su ciò convergano sia la lex concursus che quella contractus, va intesa nel senso che prevale in prima istanza quella contractus, e qualora questa escluda l'impugnabilità dell'atto, allora il convenuto dovrà essere assolto senza la possibilità di repechages di sorta sulla base della lex concursus. La quale lex concursus, a sua volta, in tanto entrerà in gioco, in quanto risulti che la lex contractus consente la impugnazione dell'atto. Ma in tal caso, si badi, almeno a nostro parere, la revoca sarà valutata non alla stregua della legge nazionale che disciplina l'atto, bensì di quella dello Stato in cui si svolge la procedura di insolvenza: infatti, come dispone a contrario la prima frase dell'art. 13, allora riemerge l'applicabilità dell'art. 4, e cioè la revocabilità dell'atto sarà, sotto tutti gli aspetti - soggettivi, oggettivi, cronologici e quant'altro -, regolata dalla (sola) lex concursus. In altre parole, la revocabilità alla stregua della lex contractus sarà presupposto dell'applicazione della lex concursus, potendo però benissimo capitare che questa legge a sua volta non consenta poi nella fattispecie la revoca, con conseguente rigetto della domanda attrice.

La ratio sottesa all'art. 13

Fatto sta, quindi, che effettivamente, alla luce dell'interazione tra l'art. 4 e l'art. 13, affinché un atto sia revocabile occorre che a ciò concorrano, sia pure secondo il cennato peculiare meccanismo, sia la lex concursus che quella contractus: basta infatti che una di tali leggi non consenta la revoca perché la pretesa revocatoria sia rigettata. In altre e più pratiche parole, il regolamento sotto questo profilo sembra improntato ad un energico e deciso favor rei, confinando le speranze del curatore-attore in un cantuccio davvero assai ristretto.

Il legislatore europeo su ciò ha esercitato una scelta nel contempo politica e pratica: egli, cioè, ha ritenuto che le parti, quando danno corso tra loro ad un dato negozio giuridico, hanno diritto di conoscere in anticipo le conseguenze, e i rischi connessi a tale negozio, e ciò vale anche per l'eventuale revocabilità in caso di successivo fallimento di una di loro. Però Tizio non può sapere con certezza dove, e cioè in quale altro Stato membro, la sua controparte Caio fallirà: Caio infatti fallirà di norma nello Stato in cui è collocato il COMI, centro dei suoi interessi principali (regolamento, art. 3, comma 1), ma Tizio non avrà mai la possibilità di individuare in anticipo con sicurezza dove è, e soprattutto dove sarà in futuro, il COMI di Caio (pensiamo, per esempio, alla possibilità che Caio, dopo aver stipulato l'atto, si trasferisca realmente in un altro Stato membro). Ne consegue che se la revocabilità è lasciata alla sola lex concursus, poiché, per quanto detto sopra, tale lex non è preventivabile con sicurezza sino a quando il concursus non sia stato aperto in un dato Stato membro, Tizio non potrà essere in anticipo certo di quale sarà la sorte del negozio di cui lui è parte, in caso di fallimento di Caio.

Se però si collega la revocabilità dell'atto non alla legge dell'(imprevedibile) Stato di apertura, bensì a quella che regola la sostanza dell'atto, una legge cioè di norma nota già al momento stesso in cui l'atto è posto in essere, ecco che entrambe le parti possono con una certa sicurezza conoscere se, e secondo quali presupposti, il loro atto sarà revocabile ove mai una di loro fallisca successivamente.

Non solo. Lo stesso legislatore europeo ha ritenuto anzitutto di privilegiare tale prevedibilità anticipata, ma anche di garantire la conservazione dell'atto, qualora la legge così individuata dalle parti tale conservazione affermi: ciò anche a costo di sacrificare la par condicio con gli altri creditori, ove poi una delle parti fallisca.

Una scelta dunque improntata ad esigenza di certezza dei rapporti giuridici già sin dal loro nascere anche in relazione alla loro futura evoluzione, e persino nel caso in cui una delle parti poi cada in fallimento: una scelta, cioè, in sostanza di politica legislativa, che potrà piacere o no, ma della quale si deve, de jure condito, prendere atto.

L'art. 13 nelle fattispecie puramente interne

Però tale scelta legislativa contiene in sé, così come è formulata, un pericolo, o, se si preferisce, un elemento caratteristico di grande rilievo, e ciononostante forse sinora non abbastanza valutato.

Negli studi, non molti per il vero, che ne hanno fatto l'oggetto specifico, sembra, e talvolta anche ciò risulta esplicitamente, che l'art. 13 sia considerato come una norma che regola la revocatoria nei confronti dello straniero e solo di quello.

Però l'art. 13 non dice per nulla che esso si applica solo ove il soggetto revocato appartenga ad uno Stato diverso da quello di apertura: l'art. 13 quindi si può, e anzi a nostro parere si dovrebbe, considerare applicabile anche nel caso, e soprattutto a favore, di soggetti cittadini, nazionali, residenti, domiciliati e quant'altro nello stesso Stato di apertura.

A ciò poi si aggiunga che l'art. 13 prescrive che il convenuto è esentato dall'azione revocatoria se egli dimostra che l'atto impugnato è soggetto alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura, ma non si limita alla soggezione ad una data legge indicata da previsione legislativa, e comunque non scelta dalle parti all'atto. L'art. 13, cioè, si applica anche nel caso in cui la designazione della legge regolatrice dell'atto sia stata pattiziamente concordata dalle parti.

Non solo, ma tutti sappiamo che la scelta convenzionale di una legge straniera come regolatrice di un dato rapporto contrattuale è di norma perfettamente lecita e ammessa anche ove le parti siano entrambe cittadine (e quant'altro) dello stesso Stato.

Da questo mix di possibilità-liceità deriva a nostro parere un quadro abbastanza inatteso e per certi versi anche inquietante, per il quale le parti, senza condizionamenti di sorta derivanti dalla loro appartenenza anche ad uno stesso Stato membro, possono prevedere come applicabile al dato negozio tra loro intercorrente una data legge estera (purché di altro Stato membro) scelta solo in funzione del fatto che tale legge non prevede la revocabilità fallimentare del negozio che esse stanno stipulando: per esempio, ipotizziamo che per la legge di uno Stato membro X non siano revocabili i pagamenti di debiti in denaro effettuati mediante datio in solutum. Tizio (italiano), creditore verso Caio (pure italiano), concorda (in Italia) con lui il pagamento del credito mediante una siffatta datio. Però entrambi sanno che Caio è destinato a fallire di lì a poco in Italia, e perciò essi convengono che l'operazione di datio sia regolata dalla legge del Paese X. In tal modo, a rigore, il pagamento incassato da Caio sarà immune dalla altrimenti ovvia revoca ai sensi del n. 2 del primo comma dell'art. 67

l. fall

.

Naturalmente si tratterebbe di un caso evidente di law shopping, un caso però perfettamente inquadrabile nelle opportunità offerte dall'art. 13, il quale, lo ribadiamo, non richiede, tra i presupposti della propria applicazione, che il soggetto revocato sia straniero e che la legge regolatrice dell'atto sia tale non per una scelta convenzionale delle parti.

Però riprendiamo l'esempio sopra fatto di un atto intercorso tra Tizio e Caio entrambi italiani, che scelgono quale regolatrice del loro negozio la legge di un altro Paese membro, e ciò in esclusiva funzione antirevocatoria: ci si potrebbe a questo punto chiedere come mai il regolamento n. 1346, e il suo articolo 13, possano rilevare in una fattispecie così chiaramente ed esclusivamente domestica. Ma qui occorre, almeno a parere di chi scrive, chiarire un possibile equivoco: tutti i fallimenti aperti in Italia, così come in ogni altro Paese dell'Unione, ricadono nel regolamento n. 1346, anche quelli apparentemente più privi di connotati transnazionali. Per limitarci all'Italia, si consideri infatti che un debitore può essere assoggettato a fallimento italiano solo in quanto il suo COMI - Centro degli interessi principali sia in Italia, altrimenti si avrebbe puramente e semplicemente una violazione del regolamento, il quale prescrive che la competenza ad aprire procedure di insolvenza spetta allo Stato membro in cui il debitore ha, appunto, il proprio COMI.

Non è possibile cioè, salvo casi marginalissimi - e difficilmente ipotizzabili in Italia alla luce del diritto qui vigente - l'apertura di una procedura di insolvenza sulla base di un criterio di giurisdizione locale non riconducibile al COMI, e come tale non rientrante nel regolamento n. 1346. Ne consegue quindi, almeno a nostro parere, che l'art. 13 del regolamento deve trovare applicazione anche nelle procedure più caratterizzate in senso domestico, quindi con spazio per un law shopping sia pure in evidente funzione antirevocatoria.

Si potrebbe obiettare però che la previsione di una data legge estera motivata esclusivamente ad evitare la futura azione revocatoria sarebbe probabilmente nulla per illiceità della causa o del motivo comune: però a sua volta anche la delibazione di tale nullità rientrerebbe forse nell'art. 13, con possibilità quindi per il convenuto di eccepire che, secondo la lex contractus, tale designazione della legge estera non è nulla, e così via. Ciò a tanto maggior ragione in quanto ci parrebbe difficile far rientrare la normativa sulla revoca fallimentare nella previsione dell'art. 16 della già richiamata

L. n. 218/1995

, mentre la salvaguardia di ordine pubblico di cui all'art. 26 del regolamento, a parte ogni altra considerazione, vale solo ad impedire il riconoscimento delle decisioni estere.

Tutto ciò si inquadra in una prospettiva, ripetiamo, ancora poco nota e certo poco esplorata: ma comunque sembra molto probabile che nell'art. 13 del regolamento si possa individuare un ulteriore caso di esenzione dalla revocatoria, in aggiunta a quelli previsti dall'

art. 67 l. fall.

, e ciò anche nelle fattispecie domestiche che non presentino altro elemento di transnazionalità che la loro soggezione, naturale o volontaria che sia, ad una legge diversa da quella italiana.

Se poi vogliamo ampliare il discorso, ne ricaveremmo forse l'ennesima conferma che ormai il regolamento n. 1346, pur ancora - ahinoi - sconosciuto alla stragrande maggioranza degli operatori concorsuali italiani (all'estero il regolamento è invece moneta corrente), fa in realtà parte integrante della nostra

legge fallimentare

anche ai fini interni, e cioè che la normativa concorsuale italiana interna è ormai costituita dalla

legge fallimentare

più il regolamento, secondo un rapporto di reciproca, indissolubile integrazione e complementarietà. Che poi una buona conoscenza del rapporto tra la legge nazionale e il regolamento europeo offra occasioni di marcato law shopping, ciò, temiamo, rientra nelle regole del gioco: in fondo, che c'è di male se, per dirla con Sharpless della Butterfly, «l'uomo esperto ne profitta»?

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