Anche il Giudice fallimentare è un Giudice civile e può segnalare l’insolvenza al P.M.

31 Ottobre 2012

Il nuovo art. 7 l. fall. va letto nel senso che, ove un giudice civile, nel corso di un procedimento civile, rilevi l'insolvenza di un imprenditore, deve farne segnalazione al Pubblico Ministero, il quale presenta la richiesta di cui al primo comma dell'art. 6 “quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”. Giudice civile è anche il tribunale fallimentare che abbia rilevato l'insolvenza nel corso di un procedimento ex art. 15 l. fall., anche se definito per desistenza del creditore istante.
Massima

Il nuovo art. 7 l. fall. va letto nel senso che, ove un giudice civile, nel corso di un procedimento civile, rilevi l'insolvenza di un imprenditore, deve farne segnalazione al Pubblico Ministero, il quale presenta la richiesta di cui al primo comma dell'art. 6 “quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”. Giudice civile è anche il tribunale fallimentare che abbia rilevato l'insolvenza nel corso di un procedimento ex art. 15 l. fall., anche se definito per desistenza del creditore istante. (massima Cass.)

Il Giudice delegato all'istruttoria prefallimentare può segnalare al P.M. circostanze che denotino lo stato d'insolvenza del debitore, anche qualora il procedimento venga archiviato per desistenza dei creditori ricorrenti. Il P.M. valuta in autonomia la sussistenza dei presupposti per la proposizione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, poiché l'art. 7, n. 2, l. fall., nel riferirsi al “procedimento civile”, include anche quello per dichiarazione di fallimento instaurato su ricorso del creditore. (massima Trib. Palermo)

Il caso

Entrambe le pronunzie affermano che Tribunale fallimentare (o il Giudice designato dal Collegio per l'audizione del debitore) può segnalare al P.M. la sussistenza dello stato di insolvenza anche qualora il procedimento attivato dal creditore si sia concluso con la desistenza dal ricorso, e la conseguente estinzione.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La novella della legge fallimentare ha eliminato il fallimento d'ufficio, istituto oggetto in dottrina di numerose critiche (sintetizzate nella sentenza della S.C. in commento), ma a suo tempo “salvato” in più occasioni dalla Corte Costituzionale. L'assetto vigente, per opinione comune, da un lato estende (cfr. art. 15 l. fall.) l'area della cognizione nel procedimento prefallimentare, rafforzando le garanzie difensive, e, dall'altro, disegna un processo ad iniziativa esclusiva delle parti (artt. 6, 7 e 14 l. fall.), tra le quali il P.M..
Ciò implica, tra l'altro, che quando il ricorrente deposita la rinunzia al proprio ricorso - la c.d. Desistenza - il Tribunale fallimentare deve disporre l'estinzione o, secondo altra prassi, l'improcedibilità.
Il dubbio affacciatosi all'indomani della riforma, e affrontato dalle due sentenze, riguarda l'interpretazione dell'art. 7, n. 2, l. fall., e specificamente: a) l'individuazione del “Giudice” che rileva l'insolvenza e la segnala al P.M.; b) il significato da attribuire alla locuzione “procedimento civile”.
Come è agevole comprendere, ambedue i punti si riferiscono in modo preponderante alla possibilità - più frequente di altre - che sia lo stesso Tribunale fallimentare, investito dal ricorso di un creditore poi rinunziatario, a rilevare il sospetto stato di insolvenza, e al se possa legittimamente segnalarlo (non potendo nel frattempo dichiarare il fallimento) al P.M. affinché questi valuti se presentare richiesta di fallimento contro il medesimo imprenditore.
Affine è l'ipotesi in cui il Tribunale proceda alla segnalazione in sede di rigetto del ricorso del creditore per altri motivi (difetto di legittimazione o altro).
Non sfugge la natura fortemente “ideologica” della questione, che investe il versante “pubblicistico” del fallimento e degli interessi ad esso sottesi.
L'indirizzo sorto quasi subito nella giurisprudenza di merito legge la nuova norma come attributiva di un potere di segnalazione al P.M. anche da parte del Tribunale fallimentare, sulla scorta di un passo della Relazione alla novella (citato anche nelle decisioni in commento) e della lettera degli artt. 6 e 7 l. fall., che si riferiscono ad un generico “procedimento civile” e non solo ai “giudizi” in cui il debitore sia parte, come invece previsto nell'abrogato art. 8.
Di contrario avviso la prima e netta presa di posizione della giurisprudenza di legittimità: Cass., sez. I, 26 febbraio 2009, n. 4632, giunge ad una conclusione negativa con argomenti che legano indici testuali con motivi di ordine sistematico. Secondo quella sentenza, infatti, va esclusa la legittimazione del Tribunale fallimentare a segnalare al P.M. la possibile insolvenza del debitore, poichè ciò contrasta con “l'esigenza di assicurare la terzietà e l'imparzialità del tribunale fallimentare”,alla luce di una lettura degli artt. 6 e 7 l. fall. coerente con l'art. 111 Cost..
L'unica eccezione ammessa da quella sentenza è il caso in cui il Tribunale fallimentare indichi al P.M. l'insolvenza (non del debitore ma) di un altro imprenditore emersa in sede di istruttoria, poiché in quella ipotesi non sono lese la terzietà e l'imparzialità.
Secondo altra opinione (Ferro) anche un diverso argomento potrebbe spendersi, ossia che la segnalazione avviene non “nel corso”, ma dopo la chiusura del procedimento, quando l'organo giudicante è privo di ogni potere sulla vicenda.
La giurisprudenza di merito ha però continuato, in buona parte, a dissentire da questa impostazione. Così fa anche il Tribunale di Palermo, il quale, oltre a richiamarsi alla Relazione ministeriale, evidenzia la particolarità del caso, nel quale la segnalazione al P.M. non è partita dal Collegio, ma dal singolo Giudice delegato all'audizione del debitore, che “autonomamente” ha ravvisato i sintomi dell'insolvenza. La distinzione tra organo collegiale e Giudice delegato escluderebbe quindi in radice ogni sospetto di violazione della terzietà e imparzialità.
A tale ultimo riguardo bisognerebbe però considerare che il Giudice delegato, come l'espressione stessa indica, è un componente del Collegio e la sua attività istruttoria non ha alcuna autonomia.
Destinata ad aver maggior risonanza è comunque la sentenza della S.C.: si tratta della seconda decisione edita in materia, e si pone in radicale e consapevole contrapposizione con l'unico precedente, sopra richiamato, della stessa Corte.
In sintesi, la sentenza ripropone molte delle argomentazioni sviluppate dai giudici di merito, e quindi in primis quelle sul noto passaggio della Relazione. Richiamando alcune sentenze della Consulta, la S.C. mette in evidenza la corrispondenza del proprio ragionamento con i criteri fissati all'art. 12 preleggi, e prosegue aderendo alla tesi secondo cui il testo attuale dell'art. 7 n. 2, riferendosi ad un generico “procedimento civile”, include anche quello prefallimentare.
In chiusura, la S.C. prende posizione sul contenuto della segnalazione al P.M.: secondo la S.C. esso è un atto “neutro”, privo di contenuto decisorio, e non implica alcuna valutazione, neppure sommaria, da parte del Tribunale.
Si tratta invece di un atto doveroso, volto a sensibilizzare il P.M., il quale a sua volta non ha alcun obbligo di proporre il ricorso. Se deciderà di depositarlo, l'esame del Tribunale avverrà a cognizione piena, potendo naturalmente essere rigettato: di conseguenza nessun pregiudizio sussiste per la terzietà e imparzialità del Giudice.

Osservazioni

L'esistenza di un potere di segnalazione al P.M. da parte del Tribunale fallimentare è un punto - dai risvolti la cui complessità va ben oltre i limiti qui consentiti - sul quale finora si registrava una netta divaricazione tra dottrina e la giurisprudenza di merito maggioritaria da un lato, e quella di legittimità dall'altro.
Cass. 9781/12 ribalta il precedente reso dalla stessa sezione, che si poneva in netta discontinuità con una lunga linea di pensiero, sviluppatasi sotto il vigore dell'originaria legge fallimentare (e quindi in presenza del fallimento d'ufficio), secondo la quale, allorché il Tribunale fallimentare assume un provvedimento in sede sommaria, non si pregiudicano imparzialità e terzietà del Giudicante se il medesimo organo viene poi investito della stessa questione in sede contenziosa ordinaria.
Se come la S.C. e il Tribunale palermitano riaffermano, l'istruttoria prefallimentare si avvicina alla cognizione piena, riesce difficile credere che, dopo la desistenza del creditore, l'eventuale segnalazione da parte del Tribunale al P.M. abbia davvero un carattere "neutro, privo di specifica valenza procedimentale o decisoria”, e che la successiva decisione del ricorso della parte pubblica non sia “tecnicamente pregiudicata”, come sostiene ora la S.C..
E' lecito credere, infatti, che la segnalazione nasca da elementi acquisiti durante la trattazione camerale, dai quali il Tribunale trae una sorta di fumus, poiché altrimenti non andrebbe oltre il provvedimento di chiusura: ciò è tanto più verosimile se, come ritiene oggi la S.C., la sensibilizzazione del P.M. è un atto doveroso, e dunque assunto dal Tribunale dopo adeguata ponderazione. L'iter che conduce alla segnalazione incide, quantomeno sul piano “psicologico”, sulla formazione del convincimento finale: e, in linea esegetica, consente di dubitare dell'assenza, in capo al Tribunale investito del ricorso del P.M., di attività prodromiche alla decisione.
Né si può sottacere che la Corte di legittimità, la quale nel 2009, valorizzando i principi costituzionali dell'art. 111, aveva abbandonato le complesse e talora contorte argomentazioni passate, sia proprie che della Consulta, oggi sembra tornare all'antico, in nome dell'interesse pubblico “ad eliminare dal sistema economico i focolai d'insolvenza”.
Sul piano linguistico e concettuale, è evidente il legame con indirizzi nati e sviluppati ante riforma, in un quadro normativo diverso.
In contrario può obiettarsi quantomeno che: a) l'estensione di un simile interesse pubblico non è certa, essendo l'art. 7 anzi volto a circoscrivere l'iniziativa del P.M.; b) è difficile stabilire quando l'insolvenza si propaga di più tenendo in vita l'impresa o facendola fallire; c) la desistenza potrebbe essere la spia, se non di un superamento dell'insolvenza, di un recupero di meritevolezza di credito del debitore.
Va chiarito tuttavia che il ricorso del P.M. può addurre nuovi elementi.
Fatte le debite differenze, poiché tecnicamente l'iniziativa del P.M. è sempre qualificabile come “di parte”, tornano alla ribalta antiche asperità, in quanto, come traspare da tutte le tesi fin qui addotte, le diverse soluzioni implicano una maggiore o minore distanza tra la disciplina attuale e l'abrogato fallimento d'ufficio.

Le questioni aperte

Anche in considerazione del contrasto interno alla S.C., la questione resta priva di soluzione definitiva. La lettera della norma (art. 7, comma 2) presenta margini di ambivalenza interpretativa, non a caso colmati dai differenti indirizzi ricorrendo a argomenti sistematici o attingendo ad altre fonti.

Conclusioni

L'indirizzo maggioritario della dottrina e della giurisprudenza di merito ha trovato un primo riscontro in sede di legittimità: in attesa del consolidamento di uno degli orientamenti, non è da escludere la futura rimessione alle Sezioni Unite, vista la delicatezza pratica e lo spessore teorico delle questioni in gioco.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Nel senso delle sentenze in commento, v. Trib. Mantova, 12 marzo 2009; Trib. Tivoli, 6 aprile 2009; App. Brescia, 7 ottobre 2009; Trib. Ascoli Piceno, 18 dicembre 2009; App. Torino, 8 settembre 2010; App. Torino, 8 novembre 2010; Trib. Monza, 18 gennaio 2011; Trib. Padova, 8 febbraio 2011; App. Brescia, 2 febbraio 2011. In dottrina, Bonfatti e Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 54; Amatucci, Il Tribunale fallimentare, in Trattato di diritto fallimentare diretto da V. Buonocore e A.Bassi, Torino, 2010, 5 ss., ove ulteriori riferimenti; Ferro, L'istruttoria prefallimentare e l'iniziativa del P.M., reperibile in ca.milano.giustizia.it/formazione_magistrati.

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