Speciale Decreto Sviluppo - La generale intensificazione dell'automatic stay

03 Agosto 2012

Apportando delle modifiche alla legge fallimentare, il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 al suo interno contiene, tra le altre, alcune disposizioni che vanno a toccare la materia della c.d. “protezione dell'impresa”.L'Autore soffermandosi su tali norme, offre un sistematico commento a quell'insieme di misure finalizzate ad evitare che la competizione tra i creditori comprometta l'integrità complessiva dell'impresa ed un suo possibile salvataggio; soffermandosi, in particolare, sulla nuova disciplina contenuta negli artt. 161 (con specifico riferimento alla domanda di concordato “con riserva”) e 168 affrontando, per concludere, le possibili questioni e problematiche che potranno sorgere con il passare del tempo.
Premessa

Con il

decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83

, cosiddetto "Decreto Sviluppo", il legislatore ha apportato l'ennesima modifica alla

legge fallimentare

, ed in particolare alle norme disciplinanti quelle procedure per la soluzione della crisi di impresa alternative al fallimento che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero costituire lo sbocco primario e preferenziale per la gestione dell'insolvenza o, più ampiamente, appunto, della crisi di impresa. Che tale sia l'intenzione del legislatore, emerge già dal fatto che la norma che viene a dettare la cospicua serie di innovazioni si colloca nell'ambito di un capo rubricato "misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali". Altro discorso è naturalmente se alle intenzioni corrisponderanno i fatti e se il metodo scelto sia quello corretto.

Queste brevi note cercheranno di focalizzare le novità introdotte in materia di “protezione dell'impresa” (“L'anticipazione della c.d. protezione negli accordi di ristrutturazione: caratteri e criticità”, in ilFallimentarista.it), intendendosi, ormai, con tale locuzione, quell'insieme di misure finalizzate ad evitare che, nelle more dell'attivazione e completamento delle procedure di soluzione della crisi, la platea dei creditori si lanci in una sorta di competizione nell'aggredire individualmente gli assets aziendali allo scopo di assicurarsi cause legittime di prelazione, con la conseguenza, ovviamente negativa, di compromettere l'integrità complessiva dell'impresa, facendo naufragare ogni tentativo di salvataggio concordato della medesima.

Su tale materia - va subito evidenziato - il legislatore del 2012 interviene massicciamente nell'ottica di una radicale intensificazione della "protezione", proseguendo un discorso che, iniziato con il decreto correttivo del 2007, si è poi sviluppato con il decreto n. 78/2010 (poi

legge n. 122/2010

), e che, con l'attuale disciplina (qualora essa conservi l'attuale veste), raggiunge livelli, soprattutto sul piano dell'anticipazione, che ben possono definirsi estremi.

Ciò giustifica un primo tentativo di analisi, pur nella piena consapevolezza dell'aleatorietà di un commento ad un decreto-legge, come tale passibile di cospicui (e talvolta auspicabili) emendamenti in sede di conversione, tali da potenzialmente stravolgerne l'assetto complessivo, e non senza dimenticare che se il decreto è entrato in vigore il 22 giugno 2012, tuttavia il comma 3 dell'art. 33 rimanda l'entrata in vigore delle modifiche alla

legge fallimentare

al trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza dell'attuale non applicabilità immediata delle norme in esame.

La pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese

Una prima novità è costituita dall'anticipazione della pubblicità concernente la procedura di concordato preventivo.

Viene infatti modificato il comma 5 dell'art. 161 l. fall., prevedendosi che la domanda di ammissione alla procedura sia oggetto di immediata pubblicazione nel registro delle imprese a cura del cancelliere, attuando una sorta di "effetto protettivo" che troverà un successivo completamento nella pubblicità del decreto di ammissione alla procedura di concordato, prevista (da sempre) dall'art. 166.

L'importanza di tale novità emerge dalla modifica dell'art. 168, il cui effetto di blocco delle azioni esecutive (ed ora, in coerenza con quanto previsto dall'art. 182-bis, anche cautelari) (cfr. Cavallini, Art. 168 - Effetti della presentazione del ricorso, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare (Tomo III), Milano, 2010, 577 ss.; Filocamo, Art. 168 - Effetti della presentazione del ricorso, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2011 (2a ed.)) viene appunto ricollegato all'adempimento pubblicitario.

L'innovazione, da un certo punto di vista, echeggia l'art. 182-bis e l'effetto protettivo che quest'ultimo ricollega, appunto, al deposito dell'accordo di ristrutturazione presso il Registro delle Imprese, ma si differenzia per il fatto che la pubblicità, in questo caso, viene rimessa al cancelliere, che deve provvedervi entro il giorno successivo al deposito in cancelleria della domanda di ammissione. Si può notare, da questo punto di vista, come, formalmente, la modifica normativa comporti in realtà una posticipazione dell'effetto protettivo, atteso che l'originaria versione dell'art. 168 riconduceva tale effetto alla mera presentazione del ricorso, ma è anche vero che la nuova versione della norma appare più coerente con le esigenze di tutela dei terzi, tramite appunto il meccanismo della pubblicità, cui viene ricollegata una sostanziale presunzione assoluta di conoscenza della pendenza della procedura.

Come osservato, gravato dell'onere di attivare il meccanismo pubblicitario è il cancelliere, con conseguenti potenziali profili di responsabilità in caso di omissione o ritardo, ed è lecito domandarsi se la parte interessata non possa comunque surrogarsi, non solo in caso di inerzia, ma anche allo scopo di anticipare la pubblicità, rendendola contestuale al deposito della domanda di ammissione alla procedura. Parimenti ci si potrebbe domandare se la parte non possa addirittura anticipare la pubblicità, effettuandola prima del deposito del ricorso, in modo da accelerare l'attivazione degli effetti protettivi. Al riguardo, tuttavia, è da ritenersi che l'effetto protettivo della pubblicazione sul registro delle imprese sia condizionata alla effettiva pendenza della procedura, e che pertanto una pubblicità "anticipata" risulterebbe, da questo punto di vista, inefficace, almeno sino al momento dell'effettivo deposito.

La connessione stabilita dalla legge tra effetto protettivo e pubblicazione nel registro delle imprese potrebbe, naturalmente, portare a problemi nel caso in cui proprio nel giorno in cui tale pubblicità avviene, un creditore proceda al compimento di un atto esecutivo o cautelare. Per ovviare in parte a tale rischio, un'altra modifica è stata apportata dal decreto all'art. 168. Con essa s'introduce un effetto di retroattività della pubblicazione del ricorso, prevedendosi l'inefficacia delle ipoteche iscritte nei novanta giorni che precedono la pubblicazione stessa. La previsione, tuttavia, opera, almeno sul piano letterale, per le sole ipoteche giudiziali, e quindi non per altri tipi di gravame, quale il sequestro conservativo. Di qui l'alternativa: o l'opzione per una lettura estensiva che ampli oltre i confini della lettera l'“ombrello” legale, oppure l'accettazione del rischio che singoli atti di aggressione del patrimonio dell'impresa risultino salvi.

Una possibile soluzione al problema avrebbe potuto essere costituita dalla zero hour rule, ma tale regola, di elaborazione giurisprudenziale, risulta ormai superata dal nuovo dettato degli artt. 16 e 17 (Sul punto cfr. Minutoli, Art. 16 - Sentenza dichiarativa di fallimento/Art. 17 - Comunicazione e pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2011 (2 ed.); Gaboardi Art. 16 - Sentenza dichiarativa di fallimento/Art. 17 - Comunicazione e pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare (Tomo III), Milano, 2010), con la conseguenza che anche nel campo che qui interessa sembra doversi constatare l'esistenza di una “finestra” atta a consentire l'effettuazione in extremis di atti di aggressione del patrimonio dell'impresa in crisi.

Il “nuovo” art. 168 l. fall.

Come accennato, il legislatore ha - correttamente - completato il dettato testuale dell'art. 168, aggiungendo al divieto di azioni esecutive anche quello delle azioni cautelari, in modo da “parificare” l'effetto protettivo connesso alla pubblicazione del ricorso per omologazione del concordato a quello già previsto dall'art. 182-bis per gli accordi di ristrutturazione.

Rimane ferma, invece, l'esclusione dall'ambito della protezione delle azioni di mero accertamento, delle azioni costitutive (ivi comprese l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto

ex art. 2932 c.c.

(

Cass. 1 marzo 2002, n. 3022

)), e delle azioni di condanna, il cui esito favorevole non consentirà tuttavia né di compiere atti esecutivi, né di iscrivere ipoteca.

La sanzione rimane sempre quella della “nullità”, così perpetuandosi sia il problema interpretativo concernente direttamente la norma, sia lo iato testuale rispetto alla differente formulazione dell'art. 182-bis, che non contiene alcuna menzione di sanzione di nullità, ma si limita a stabilire un mero “divieto” (Nardecchia, Art. 182-bis Accordi di ristrutturazione dei debiti, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010).

In realtà, anzi, il problema interpretativo sistematico risulta ulteriormente aggravato proprio dalla già citata novità della retroattività della pubblicità della domanda di concordato e della conseguente “inefficacia” delle ipoteche iscritte nei novanta giorni precedenti. Proprio la sanzione d'inefficacia, infatti, sembra creare un'ulteriore difformità rispetto alla nullità prevista per le iniziative assunte dai creditori dopo la pubblicazione del ricorso per omologazione.

Il quadro che emerge, quindi, è quello di una mera inefficacia delle ipoteche (giudiziali), che, per l'effetto, non saranno colpite da radicale nullità, ma risulteranno semplicemente inidonee a conferire al creditore un diritto di prelazione, mantenendone la veste di chirografario, con tutte le conseguenze in tema di diritto al voto e di inserimento nelle classi su cui eventualmente la proposta si articolerà. Risulta evidente, quindi, l'introdursi di un ulteriore elemento di complicazione nella formulazione ed articolazione della proposta, in quanto l'inserimento di singoli creditori tra i privilegiati (potenzialmente esclusi dal voto) o tra i chirografari verrà anche a dipendere dall'evento (incertus quando) della pubblicazione del ricorso per omologazione.

Per contro, sia per le azioni esecutive, sia per le azioni cautelari, la sanzione prevista risulta quella della nullità non solo quando esse vengano instaurate dopo l'effettuazione della pubblicità, ma anche quando la pubblicità sia stata effettuata in corso di procedura esecutiva o espropriativa già iniziata.

In realtà se non ci sono problemi a ritenere nullo (in virtù di un'ipotesi di nullità speciale per perdita dell'efficacia esecutiva del titolo) il pignoramento promosso dopo la pubblicazione del ricorso, merita invece più ponderazione una tesi che affermi la nullità dell'intera procedura esecutiva che sia stata promossa quando ancora la pubblicità non era stata effettuata (Cavallini, Art. 168, cit., 585. In senso contrario Filocamo, Art. 168 - Effetti della presentazione del ricorso, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2011, II ed), in quanto ciò si tradurrebbe nella perdita per il creditore di tutti gli effetti maturatisi sia sul piano processuale che sul piano sostanziale in virtù di un pignoramento che, al momento della sua effettuazione, era pienamente legittimo ed efficace. Pare, allora, che la “nullità” delle procedure esecutive già iniziate debba essere intesa nei termini di nullità dei singoli atti d'impulso della procedura esecutiva, una volta pubblicata la domanda di ammissione al concordato, con conseguente arresto per improcedibilità della procedura medesima.

Per i procedimenti cautelari, invece, la sanzione della “nullità” (che, non si dimentichi, era dettata nell'ottica delle sole procedure esecutive) si tradurrà in un'inammissibilità o improcedibilità del procedimento cautelare, a seconda che la pubblicità preceda o segua l'istanza cautelare medesima.

La domanda di concordato “con riserva”

La vera novità del “Decreto Sviluppo” è, tuttavia, un'altra, idonea, almeno in prospettiva, ad incidere profondamente (e pericolosamente) sulla fase iniziale della gestione concorsuale della crisi di impresa.

Ci si riferisce alla “domanda anticipata” o (“domanda con riserva”) di ammissione alla procedura di concordato, che viene introdotta con i nuovi commi sesto e seguenti dell'art. 161.

Lo schema è, nella sostanza, semplice: la legge concede all'imprenditore la facoltà di depositare (e pubblicare, con le relative conseguenze appena esaminate) una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, riservandosi di presentare proposta, piano ed allegata documentazione, entro un termine che deve essere fissato “dal giudice”, e che può giungere a 120 giorni, prorogabili di altri 60, e quindi, nel complesso, sino a sei mesi. Entro quel termine, peraltro, l'imprenditore potrà presentare domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione raggiunto nelle more con i creditori, “sostituendo” al concordato questa diversa forma di soluzione della crisi di impresa.

Durante la pendenza del termine e sino alla definitiva emissione del decreto di apertura della procedura di concordato, l'imprenditore (definito in modo alquanto atecnico dalla legge “debitore”) può compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione con l'autorizzazione del Tribunale e può - apparentemente senza autorizzazione alcuna - compiere atti di ordinaria amministrazione, assumendo debiti che, se effetto di “atti legalmente compiuti”, sono prededucibili ai sensi dell'art. 111.

La sintetica esposizione della disciplina evidenzia in primo luogo come il legislatore abbia finito per introdurre una sorta di automatic stay “sulla parola”, assai più deformalizzato, ma molto più incisivo della c.d. “anticipazione” introdotta nel 2010 in relazione all'art. 182-bis (Lamanna, Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in ilFallimentarista.it). Se per quest'ultima era previsto un vaglio preliminare, ma approfondito, del Tribunale ed un contraddittorio anche con i creditori, nel caso della “domanda con riserva” il potere del tribunale, almeno stando alla lettera, è limitato alla fissazione del termine per la presentazione della documentazione a corredo della domanda, termine che finisce col corrispondere con la durata del freeze anticipato. E tuttavia una delle prime, facili, previsioni che possono farsi, qualora il decreto venga convertito nella forma attuale, è che (ad ennesima conferma della sempre valida Legge di Gresham), la “nuova” protezione finirà per espellere di fatto la “vecchia”. Non si dimentichi, infatti, che nel termine fissato dal tribunale potrà presentarsi, non solo la documentazione a corredo della domanda di omologa del concordato, ma anche la domanda di omologa di accordo di ristrutturazione. La protezione prevista dall'art. 161, quindi, non è funzionale unicamente al concordato preventivo, ma può essere impiegata anche in vista di un accordo di ristrutturazione, ed è agevole immaginare, a questo punto, che anche le imprese coinvolte nei preliminari di un accordo di ristrutturazione opteranno per lo snello (o esangue) strumento in commento, anziché affrontare l'assai più invasivo e severo procedimento ex art. 182-bis, commi 6 e ss.

Passando ad un esame più approfondito della disciplina, balza subito all'occhio la estrema genericità dei caratteri del procedimento di deposito della domanda e di assegnazione del termine da parte del tribunale.

Il rischio - evidente - è quello del deposito di domande del tutto vaghe e prive di effettiva serietà, finalizzate unicamente a guadagnare tempo contro le iniziative dei creditori, per scopi ben lontani dalla conservazione temporanea del patrimonio aziendale. Di ciò sembra essersi avveduto lo stesso legislatore, atteso che in sede di conversione risulta presentato un emendamento (AC 5312) che obbliga l'imprenditore a depositare la domanda unitamente ai bilanci dei tre ultimi esercizi, in modo da consentire quantomeno la verifica della sussistenza del requisito soggettivo di assoggettabilità a fallimento.

È evidente che l'integrazione contenuta nell'emendamento risulta del tutto opportuna soprattutto perché evidenzia la stessa consapevolezza del legislatore della necessità di consentire al tribunale un vaglio preliminare a garanzia dei creditori e degli altri terzi coinvolti dalla crisi di impresa.

Ma quale può essere il contenuto di questo vaglio?

È da ritenersi che vi sia una serie di verifiche fondamentali sulla cui ammissibilità possono nutrirsi pochi dubbi, e che pertanto il tribunale possa e debba:

  1. verificare la propria competenza ex artt. 9 e 161 (anche ai fini del nesso funzionale con un eventuale accordo di ristrutturazione: cfr. art. 182-bis, comma 6);

  2. verificare (al di là della definitiva approvazione dell'emendamento) la qualifica soggettiva dell'impresa come impresa non esclusa dal fallimento ai sensi dell'art. 1, ad esempio esigendo, per le imprese non tenute alla redazione di bilancio, la produzione di tutta la documentazione che viene solitamente prodotta in sede prefallimentare ai fini dell'accertamento del requisito dimensionale;

  3. verificare la regolarità formale della domanda, accertando la sussistenza dei necessari poteri in capo al soggetto che l'ha sottoscritta ed eventualmente acquisendo le relative delibere assembleari;

  4. qualora si confermi un'ulteriore novità introdotta dal già citato emendamento AC 5312, verificare che nel biennio precedente l'imprenditore non abbia presentato analoga domanda cui non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura di concordato preventivo o l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione.

Operato tale imprescindibile vaglio, resta da stabilire quali altri caratteri debbano comunque essere presenti nella domanda e debbano comunque essere verificati dal tribunale.

Se si parte dalla considerazione che la domanda costituisce l'atto su cui il Tribunale sarà chiamato a pronunciarsi in sede di omologa; che è l'atto che viene pubblicato ex art. 161 nel registro delle imprese; che è l'atto che comunque viene trasmesso al pubblico ministero; se si parte, si ripete, da queste considerazioni, sembra lecito ritenere che non sia ammissibile una domanda composta da una generica richiesta di omologare il concordato “che si andrà a presentare”, senza null'altro aggiungere, soprattutto qualora si consideri che una tale vaghezza precluderebbe al Tribunale di effettuare il vaglio ai fini della concessione dell'autorizzazione per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, la cui ammissibilità potrebbe dipendere strettamente dai caratteri del concordato.

Alla luce di tali considerazioni sembra da ritenere che la domanda debba quantomeno indicare i caratteri di massima del concordato (liquidatorio o di continuità); presentare almeno indicativamente un quadro delle voci attive e passive dell'impresa; prospettare l'insieme degli atti di gestione che, nelle more del deposito della documentazione, si intendono assumere previa autorizzazione del Tribunale, con l'illustrazione delle relative finalità, oltre ad una quantificazione di massima degli oneri che conseguiranno al compimento degli atti di ordinaria amministrazione. In altri termini, sembra necessario che l'imprenditore illustri in modo adeguatamente chiaro i costi e le conseguenze del delay nella presentazione della documentazione, e ciò per la duplice considerazione che: a) le passività assunte in tale periodo risultano passività prededucibili ex art. 111 come se fossero state decise (con le relative garanzie) da una Procedura che invece, in quella fase, è del tutto latente; b) il tribunale deve poter disporre di tutti gli elementi di valutazione necessari a “calibrare” il termine da concedere all'impresa, dovendo, da un lato, tenere conto della complessità della procedura, ma, dall'altro lato, valutare il “costo” che tale termine può avere in termini di prospettive di soddisfacimento dei creditori e di stessa possibilità di successo della procedura.

È difficile, per contro, sostenere che il tribunale possa esigere ulteriori contenuti nella domanda, riverberandosi, a questo punto, eventuali ambiguità e carenze sulla quantificazione del termine. In altre parole, deve opinarsi che un'ampia (nei termini del possibile e del ragionevole) discovery da parte dell'imprenditore possa tradursi nella concessione di un termine più ampio proprio in considerazione del maggior flusso informativo che è stato indirizzato verso il tribunale e verso i creditori.

Qualora la domanda risulti del tutto carente dei presupposti necessari, è da ritenersi che il tribunale possa dichiarare la stessa inammissibile, ordinando la cancellazione della pubblicazione effettuata nelle more nel registro delle imprese.

Qualora, invece, la domanda si presenti adeguatamente strutturata, il tribunale - in composizione collegiale, non potendo assumere carattere decisivo l'impiego del termine “giudice” da parte del decreto - potrà procedere alla fissazione del termine per la presentazione della documentazione. La norma nulla prevede sul procedimento, ma è da ritenersi che trovi applicazione la disciplina sui procedimenti in camera di consiglio, massicciamente richiamata dalla

Legge Fallimentare

. Ciò significa che il Tribunale potrà convocare l'imprenditore per sentirlo direttamente (alla presenza dei Pubblico Ministero, stante il ruolo di vigilanza di quest'ultimo e la previsione della comunicazione della domanda di concordato), e potrà assegnare un termine per integrare la domanda o fornire i chiarimenti ritenuti necessari. Al procedimento potranno partecipare, quali controinteressati, i singoli creditori, i quali si deve ritenere abbiano diritto di accesso agli atti.

All'esito del procedimento il Tribunale potrebbe, ad opinione di chi scrive, anche negare la concessione del termine, qualora questa risulti - ad esempio - del tutto incompatibile con il futuro sviluppo della procedura (si pensi, ad esempio, al caso in cui risulti che, nel corso del termine, verranno a maturare crediti prededucibili per un ammontare tale da precludere la distribuzione di somma alcuna ai chirografari). In tal caso sembra corretto opinare che cesseranno retroattivamente gli effetti protettivi temporaneamente prodottisi, dovendosi ritenere che l'anticipazione dell'effetto protettivo ex art. 168 sia comunque risolutivamente condizionata alla mancata concessione del termine da parte del tribunale. La declaratoria di inammissibilità comporterà, ovviamente, l'apertura dello scenario alternativo del procedimento per dichiarazione di fallimento.

Qualora, invece, il Tribunale approdi ad una valutazione positiva, procederà alla fissazione del termine che, come anticipato in precedenza, dovrà essere bilanciato tra esigenze di elaborazione di un piano eventualmente complesso, ed esigenze di tutela dei creditori. Del decreto dovrà comunque darsi pubblicità sul Registro delle Imprese, onde rendere conoscibile a tutti i terzi sia la durata della protezione anticipata, sia il termine entro il quale andrà presentata o la documentazione integrativa o il ricorso per omologazione ex art. 182-bis.

La concessione del termine comporta il pieno operare della protezione ex art. 168, con il blocco delle azioni esecutive e cautelari, riproponendo, ancora una volta, il tema dei rapporti con il procedimento per dichiarazione di fallimento eventualmente instaurato.

La tematica è fin troppo nota per essere ripresentata nel dettaglio: la questione è quella della possibilità di assimilare o meno il procedimento per la dichiarazione di fallimento alle procedure esecutive, con le ovvie ricadute in tema di inammissibilità/improcedibilità dei ricorsi ex art. 15 proposti dopo/prima della presentazione della domanda. Chi scrive si è ripetutamente (Gli accordi di ristrutturazione: profili processuali e loro ricadute sostanziali, in Fall., 2011, 106) pronunciato nel senso della piena ammissibilità del ricorso per dichiarazione di fallimento, aderendo alla soluzione “milanese” (Trib. Milano 10 novembre 2009; Trib. Milano, 25 marzo 2010) del coordinamento tra le due procedure mediante riunione e decisione congiunta, sulla base della considerazione del carattere non meramente esecutivo del procedimento per dichiarazione di fallimento.

La novità del decreto legge introduce un ulteriore profilo di criticità, dal momento che, nella fase di mera presentazione della domanda, un coordinamento tra le due procedure risulta alquanto arduo, e si traduce, comunque, in un allungamento anche cospicuo dei tempi di definizione della prefallimentare, “costretta ad attendere” gli esiti della “domanda con riserva”. Di qui il rischio che imprenditori con pochi scrupoli depositino la “domanda con riserva” al solo scopo di ritardare la prefallimentare, ma senza alcuna concreta intenzione di aprire effettivamente una procedura per la soluzione alternativa della crisi di impresa.

Di ciò sembra essersi reso conto anche il legislatore, che con l'emendamento AC 5312, tenta di offrire una duplice soluzione:

  1. l'aggiunta all'art. 69-bis di un secondo comma che fa retroagire il computo per il periodo sospetto ai fini della revocatoria alla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, così evitando che i tempi di definizione della procedura comportino il consolidarsi di atti lesivi della par condicio;

  2. l'introduzione di un ulteriore comma all'art. 161, a mente del quale “quando pende procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma è di sessanta giorni, prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni”.

La seconda innovazione riduce, ma non elimina il pericolo di condotte di moral hazard, il quale potrà essere eliminato solo qualora si acceda alla tesi del rigoroso vaglio di ammissibilità della domanda “con riserva”. In altri termini, non è la riduzione del termine per il completamento della documentazione che evita il rischio di un utilizzo improprio dello strumento offerto dalla legge; lo farà, semmai, un'interpretazione di un dato normativo comunque ambiguo che conduca a “filtrare” le domande già “in ingresso”, bloccando le iniziative speciose, in modo da non ritardare la dichiarazione di fallimento, e lasciando proseguire le domande che si connotino per un adeguato grado di attendibilità.

Il termine stabilito dal Tribunale può essere prorogato una sola volta per giustificati motivi, ed anche in questo caso sarà fondamentale che il tribunale non accetti una veste meramente burocratica, ma proceda ad un'attenta valutazione delle ragioni che giustificano il prolungamento del termine. Si può pensare ad una particolare complessità della procedura (concordato di gruppo) o al sopravvenire di fattori imprevisti, dai più rocamboleschi (morte del soggetto incaricato di predisporre l'attestazione), ai più ordinari (improvvise fluttuazioni del mercato tali da vanificare l'originaria impostazione del piano; perimento di uno dei beni costituenti l'attivo concordatario, etc.). Il procedimento per la concessione della proroga dovrebbe essere identico a quello per la concessione originaria: deposito dell'istanza da parte dell'imprenditore, comunicazione al Pubblico ministero, eventuale convocazione in camera di consiglio.

Per evitare che, nelle more del termine per l'integrazione della domanda, la gestione dell'impresa finisca per essere sottratta ad un adeguato monitoraggio, il già menzionato emendamento AC 5312 viene ad introdurre un ulteriore contenuto del decreto con cui il tribunale fissa il termine per la presentazione di piano, proposta e documentazione. Viene infatti stabilito che il tribunale disponga “gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato”, obblighi la cui violazione comporterà la diretta declaratoria d'inammissibilità della proposta (rectius domanda, visto che la proposta non è ancora depositata) ai sensi dell'art. 162. Il tribunale, quindi, potrà stabilire l'onere di presentazione di una relazione informativa periodica che comunque consenta di monitorare l'andamento della gestione dell'impresa.

Vi è, semmai, da porre il problema se proprio in virtù di tale relazione periodica, o sulla base di altre informazioni, si possa comunque arrivare o all'abbreviazione del termine o all'arresto anticipato ed immediato prima ancora del deposito integrativo, qualora risulti evidente l'assenza o il sopravvenuto venir meno di ogni possibilità di dare efficacemente corso ad una procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione.

Pur nella consapevolezza delle critiche che potrebbero essere mosse alla soluzione che ci si appresta a proporre (e che potrebbero essere lette come frutto di una retriva ottica interventista, mirante ad introdurre una sorta di interpretazione estensiva di quell'art. 173 che non è andato esente da tentativi di lettura restrittiva), si ritiene che - ovviamente escluso un potere ufficioso del tribunale di arresto della procedura, ed assente la figura del commissario giudiziale - l'impulso per l'arresto immediato possa provenire da due tipologie di soggetti cui, comunque, deve essere riconosciuto un ruolo di sorveglianza su tutto l'andamento della procedura medesima, e cioè il pubblico ministero ed i singoli creditori, a cominciare da quelli che abbiano eventualmente già proposto istanza di fallimento. A tali soggetti deve riconoscersi il diritto di accedere alle informative periodiche e di presentare eventualmente un ricorso al tribunale per ottenere la convocazione dell'imprenditore e pervenire, eventualmente, all'immediata dichiarazione di inammissibilità del concordato.

Decorso il termine (eventualmente prorogato) si può presentare una triplice alternativa.

  1. L'imprenditore provvede alla regolare integrazione dell'istanza di ammissione alla procedura di concordato. La conseguenza è l'inizio della fase vera e propria di ammissione dell'impresa alla procedura, che avrà il suo regolare svolgimento e che potrà avere a propria volta come esito l'ammissione al concordato o l'arresto della procedura, secondo gli schemi noti.

  2. L'imprenditore non provvede al deposito della documentazione, ma deposita domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione, provvedendo alla relativa pubblicazione nel registro delle imprese, e conseguentemente “saldando” al precedente automatic stay ex art. 168 quello ex art. 182-bis, comma terzo, peraltro sostanzialmente coincidente. Anche in questo caso si aprirà la procedura per l'omologazione dell'accordo con i possibili esiti alternativi dell'omologa o del rigetto.

  3. L'imprenditore non provvede ad alcun deposito né della documentazione integrativa del concordato, né della domanda di omologa dell'accordo di ristrutturazione. In questo caso, se si accede alla tesi per cui l'effetto protettivo connesso alla pubblicazione della “domanda con riserva” è risolutivamente condizionato al mancato adempimento degli oneri successivi, è da opinarsi che l'effetto medesimo venga meno con efficacia retroattiva. In sede di esame della “protezione anticipata” ex art. 182-bis, invero, chi scrive aveva evidenziato il problema delle modalità con cui avrebbe dovuto avvenire l'accertamento dell'avvenuta cessazione di efficacia. Si era allora ipotizzato che l'esigenza di evitare la frammentazione di tale accertamento e la possibilità di pronunce divergenti rendesse opportuno optare per il meccanismo unitario previsto dalla norma sui procedimenti cautelari uniformi. L'impossibilità di ricondurre il meccanismo anticipatorio di cui all'art. 168, comma sesto, ai sub-procedimenti cautelari, per contro, sembra accreditare solo la possibilità che il venir meno dell'effetto protettivo sia acclarato direttamente nei singoli procedimenti esecutivi o cautelari instaurati nei confronti del debitore dopo l'emanazione del provvedimento di declaratoria di inammissibilità ex art. 162, comma II.

Non si dimentichi, infatti, che nell'ultima ipotesi (quella di mancato rispetto del termine) si aprirà, per espressa previsione di legge, il procedimento per la declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato e, in presenza della relativa istanza, l'ulteriore procedimento per la dichiarazione di fallimento dell'impresa, ove ne sussistano, naturalmente, i presupposti.

Gli atti gestionali durante l'automatic stay

A seguito della presentazione della “domanda con riserva”, l'imprenditore viene messo in grado dal legislatore di proseguire nell'attività gestionale dell'impresa, compiendo liberamente gli atti di ordinaria amministrazione ed accedendo al compimento degli atti di straordinaria amministrazione su autorizzazione del tribunale.

La delicatezza della previsione è evidente, ma, qualora fossero rimasti dubbi sul punto, il legislatore ha ben pensato di eliminarli con l'espressa affermazione del carattere prededucibile dei crediti dei terzi sorti in occasione di tali operazioni, se “legalmente compiute”.

Per ciò che concerne l'ordinaria amministrazione, la legge conferma la vigenza del principio di conservazione della gestione dell'impresa da parte dell'imprenditore di cui all'art. 167. È evidente che di tutti gli atti non essenziali ad un corretto going concern l'imprenditore potrà comunque essere chiamato a rispondere nell'ambito dei principi generali, dovendo egli comunque tenere conto della eccezionalità della situazione in cui l'impresa, comunque, si trova.

Per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione, invece, il legislatore viene ad introdurre un meccanismo di autorizzazione similare a quello previsto, una volta aperta la procedura, dall'art. 167, ma con la duplice differenza dell'adozione di una formula più ampia e dell'assenza - almeno stando al dato letterale - della possibilità per il tribunale di fissare (con il decreto che assegna il termine) un limite di valore al sotto del quale l'autorizzazione non è necessaria (come invece contemplato dall'ultimo comma dell'art. 167).

Gli atti di straordinaria amministrazione, in primo luogo, devono essere "urgenti", dovendosi intendere tale locuzione nel senso della incompatibilità del differimento del compimento dell'atto alla fase successiva all'apertura formale della procedura, con le esigenze di conservazione che sottostanno al compimento dell'atto medesimo. L'autorizzazione viene rimessa al tribunale (in composizione collegiale) sempre nelle modalità dei procedimenti in camera di consiglio, come lasciato intendere anche dal riferimento alla possibilità di assumere sommarie informazioni.

Nessun ulteriore cenno viene compiuto dalla norma ai presupposti per la formulazione dell'istanza di autorizzazione ed alla verifica che il tribunale dovrà svolgere. Quanto ai primi, è da ritenersi che l'imprenditore ricorrente debba evidenziare non solo le ragioni dell'urgenza, ma anche l'utilità o necessità del compimento dell'atto di straordinaria amministrazione, il quale potrà avere la finalità o di conservazione dei preesistenti assetti dell'impresa, o di ampliamento dei medesimi, o comunque di funzionalità rispetto al futuro piano concordatario. Di qui non solo la ribadita opportunità che la "domanda con riserva" comunque anticipi i caratteri essenziali del concordato che si intende proporre, ma anche l'opportunità che la stessa istanza di autorizzazione renda conto della elaborazione della proposta e del piano nel frattempo maturatasi, in modo da consentire il riscontro del nesso di funzionalità. Quanto alla verifica del tribunale, è evidente che la stessa si muoverà in un'ottica di tutela dei creditori e di valutazione sia della funzionalità dell'atto di straordinaria amministrazione rispetto alla procedura concordataria, sia della compatibilità dell'atto medesimo con gli imprescindibili presupposti per l'ammissione al concordato, primo dei quali la sussistenza di una massa attiva da ripartire tra i creditori chirografari. Sembra quasi superfluo aggiungere che una simile impostazione interpretativa è del tutto incompatibile con strategie dilatorie articolate, ad esempio, sulla duplice presentazione, prima di una domanda di concordato assolutamente priva di caratteri identificativi, e poi (magari immediatamente dopo) di una richiesta di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione del tutto vaga nei contenuti, nelle finalità, e nella valutazione complessiva della necessità e opportunità dell'atto.

Non è inopportuno evidenziare la delicatezza di una simile previsione e la comunque radicale diversità rispetto alla fattispecie di cui all'art. 167, in quanto in quest'ultima già si trova ad operare un commissario giudiziale, e cioè un organo con esperienza tecnica che può collaborare sia con l'imprenditore sia, soprattutto, con il tribunale, che invece, nella fattispecie, in esame dovrà operare valutazioni anche tecniche e delicate senza l'ausilio di un soggetto dotato della specifica competenza in materia.

I titoli di prelazione non concordati

Il legislatore del “Decreto Sviluppo” è intervenuto, peraltro in modo alquanto ridotto, anche sull'automatic stay previsto negli accordi di ristrutturazione, ampliando la protezione connessa alla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese anche all'acquisizione di titoli di prelazione non concordati. Si tratta di un intervento che mira ad eliminare le differenze residue che esistevano tra la protezione negli accordi di ristrutturazione e la protezione prevista come effetto della presentazione del ricorso per concordato preventivo. In quest'ultima, infatti, era previsto da sempre il divieto per i creditori dell'acquisto di diritti di prelazione salvo espressa autorizzazione del giudice.

La novità normativa, peraltro, non comporta l'omologazione totale tra le due fattispecie, in quanto, mentre nel caso dell'art. 168 è comunque prevista un'autorizzazione del giudice, la quale condiziona l'efficacia del diritto di prelazione, nel caso dell'accordo di ristrutturazione, invece, l'efficacia della prelazione viene subordinata alla mera presenza dell'accordo tra imprenditore e singolo creditore.

L'effetto di "chiusura del sistema", peraltro, si realizza anche nei confronti della "protezione anticipata" prevista dall'art. 182-bis, comma settimo, la quale invece da sempre operava anche con riferimento ai titoli di prelazione non concordati. In tal modo, quindi, viene eliminata anche una discrasia che era stata evidenziata dei primi commentatori della "mini riforma" del 2010, anche se l'impatto concreto di tale intervento appare assai ridotto, atteso che - come argomentato in precedenza - l'anticipazione della protezione ai sensi dell'art. 182-bis appare ormai fattispecie recessiva qualora si affermi in via definitiva la nuova figura del deposito della "domanda con riserva".

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario