Affitto e trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda dell'impresa in crisi: profili giuslavoristici

09 Luglio 2012

A seguito della riforma fallimentare risulta potenziato il concetto della “circolarità dell'azienda”, nel senso che si cerca sempre più di preservare l'unicità dell'azienda, o quanto meno i suoi rami autonomi, attraverso idonee vicende traslative che salvaguardino il più possibile il mantenimento dei posti di lavoro.Gli Autori, muovendo da una breve rassegna in tema di circolazione dell'azienda in crisi del panorama normativo previgente ed attuale, si soffermano, innanzitutto, brevemente sulla nozione di “azienda” nell'attuale ambito giuslavoristico, per poi analizzare le ipotesi di trasferimento dell'azienda e di ramo d'azienda; la nuova regolamentazione degli effetti della retrocessione dell'azienda o del ramo ceduto e, infine, l'applicazione dell'istituto dell'affitto d'azienda in relazione al concordato preventivo.
Premessa

La ricognizione delle tematiche interessate dalla materia dell'affitto d'azienda e di ramo d'azienda dell'impresa in crisi presuppone la presa d'atto che, nell'esame delle riforme delle procedure concorsuali adottate negli ultimi anni, il legislatore, nella ricerca dell'equilibrio tra la tutela dei creditori, le garanzie individuali dei lavoratori e la sopravvivenza stessa dell'impresa, ha mostrato una maggiore sensibilità “verso la conservazione delle componenti positive dell'impresa (beni produttivi e livelli occupazionali)

”, così come espressamente affermato dalla Relazione illustrativa allo “s

chema di decreto legislativo recante: ‘Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, a norma dell'

articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n.

80

' ” approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 22 dicembre 2005.

La politica adottata dal legislatore, in altre parole, sembra costituita dalla finalità di garantire e, per certi versi, di incentivare il recupero e la possibile riallocazione dei cespiti ancora potenzialmente produttivi dell'impresa in stato di sofferenza.

In altre parole, a seguito dell'introduzione della riforma fallimentare (iniziata con il

D.L. 35/2005

e completata con il

D.Lgs. 169/2007

) risulta potenziato il concetto della “circolarità dell'azienda”, nel senso che si cerca sempre più di preservare l'unicità dell'azienda, o quanto meno i suoi rami autonomi, attraverso idonee vicende traslative che salvaguardino il più possibile il mantenimento dei posti di lavoro.

Ne risulta potenziata, come si vedrà più avanti, la nozione di una dipendenza (o meglio una compenetrazione) dei rapporti di lavoro non più rispetto al singolo imprenditore o alla singola società, ma rispetto all'azienda: si vuole cioè fare in modo che i rapporti di lavoro seguano l'azienda e non nascano e muoiano più con il soggetto imprenditore, ma seguano le sorti dell'azienda, la cui titolarità cambia con l'avvicendarsi dei soggetti che la gestiscono.

Il trasferimento d'azienda

Può risultare utile, a questo proposito, una breve rassegna del panorama normativo attuale e, prima ancora, di quello previgente alle modifiche operate dal legislatore del 2009 in tema di circolazione dell'azienda in crisi.

E' noto, a tal proposito, che la

Direttiva 2001/23/CE

in materia di ravvicinamento delle legislazioni sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, individuava l'impresa oggetto di trasferimento in una “entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria”, in conformità per altro alla precisazione frequentemente effettuata dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui “tale entità deve essere sufficientemente strutturata ed autonoma” (V. Cgce 24 gennaio 2002, causa C-51/00, Temco Service Industries v. Samir e altri

).

Poiché trattiamo degli effetti che il trasferimento d'azienda è destinato a produrre nell'ambito dei rapporti di lavoro di coloro che sono in forza all'azienda, è opportuno soffermarsi innanzitutto brevemente sulla nozione di “azienda” nell'attuale ambito giuslavoristico.

In tale ambito, infatti, la nozione di “azienda” non coincide più, come era un tempo, con la definizione prettamente “patrimonialistica” offerta dall'

art. 2555 c.

c.

, di “complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa

”.

A seguito del recepimento da parte del legislatore italiano della direttiva CE n. 98/50 con il

D.lgs. n. 18/2001

che ha sensibilmente modificato il vecchio disposto dell'

art. 2112 c.

c.

, nonché dell'

art. 32 del D.

l

gs. n. 276/2003

che l'ha ulteriormente ritoccato, si può invece affermare che l'attuale nozione di azienda abbia finito per identificarsi con quella di “impresa”, descritta nell'

art. 2082 c.c.

come “attività economica organizzata” indirizzata alla produzione di beni e di servizi.

L'

art. 2112 c.

c.

- il cui titolo è “Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda

” - recita infatti al comma 5: “

Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento

”.

Grazie soprattutto all'apporto della giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea (sentenze della CGE 25 gennaio 2001, Oy Liikenne Ab c. Pekka Liskjarvi e altro (causa C-172/99) e quella dell' 11 marzo 1997 in causa Suzen c. Zehnacker (causa C-13/95)) si è venuta a delineare una nozione giuslavoristica di azienda (e di “ramo di azienda”, che ne costituisce una parte funzionalmente autonoma) che non può più intendersi come un complesso “statico” di beni, ma un'entità anche di servizi, il cui trasferimento può limitarsi in taluni casi anche alla sola organizzazione del lavoro. Tale ultima ipotesi si può verificare le volte in cui l'attività economica possa proseguire, a seguito della cessione, in capo ad un nuovo gestore-imprenditore senza che neppure sia necessario trasferire beni materiali significativi, quando questi ultimi non risultino decisivi per l'esercizio dell'attività dell'impresa.

In questi casi sarà dunque importante valutare approfonditamente il c.d. elemento “personalistico” dell'azienda, soffermandosi ad esaminarlo, distinto per numero e competenze dei collaboratori in relazione all'assetto organizzativo e all'identità economica dell'impresa. In quest'ottica è stato opportunamente affermato che per riscontrare l'effettiva presenza di un trasferimento d'azienda, in assenza di cessione di beni materiali, “nelle strutture complesse sarà decisivo il trasferimento di personale in possesso di particolari conoscenze (

know how

), mentre nelle strutture semplici sarà sufficiente il criterio quantitativo (la riassunzione della maggior parte del personale) la cui entità dovrà necessariamente modularsi sulla parte dell'impresa interessata

” (

Cosio

, La nuova direttiva sul trasferimento delle imprese, in Foro it., 2000, I, 800 e ss ).

La Cassazione ha recepito tale indirizzo, avendo essa sottolineato come la nuova nozione di azienda risultante nel nuovo testo dell'

art. 2112 c.c

.

permette di “legittimare in maniera finalmente certa ed inequivocabile una nozione di trasferimento d'impresa con più attenuati caratteri di materializzazione e che consideri attività economica suscettibile di figurare come oggetto di trasferimento anche i soli lavoratori che, per essere stati addetti ad un ramo dell'impresa e per avere acquisito un complesso di nozioni e di esperienza, siano capaci di svolgere autonomamente, e quindi pur senza il supporto di beni immobili, macchine, attrezzi da lavoro o di altri beni, le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro

” (

Cass., 22 luglio 2002, n. 10701

).

A questo proposito, tuttavia, non basta “una mera occasionale aggregazione di persone dipendenti all'interno di diverse e variegate strutture aziendali, ma occorre l'esistenza di un collegamento stabile e funzionale delle loro attività, costituito appunto dall'organizzazione la quale

costituisce perciò il legame, ovvero il valore aggiunto, al punto che, piuttosto che parlare di trasferimento di azienda sembra più appropriato parlare di trasferimento d'impresa, rilevando il dato dinamico e funzionale come essenziale

” (

Cass., 30 dicembre 2003, n. 19842

).

L'organizzazione - intesa quindi come organizzazione di tutti gli elementi che formano l'azienda e che potranno caso per caso rilevare come insieme di mezzi materiali e di uomini oppure, ma solo in taluni casi, addirittura anche esclusivamente di uomini - costituisce pertanto la “nervatura” essenziale dell'impresa/azienda oggetto del trasferimento, così che è stata opportunamente negata l'applicazione della disciplina dell'

art. 2112 c.

c.

nel caso di semplice successione di due soggetti nell'esercizio della stessa attività economica (

Cass., 4 aprile 2001, n. 5025

).

Come si desume chiaramente dalla lettura del comma 5 dell'

art. 2112 c.c

.

, nel passaggio da un imprenditore all'altro il complesso degli elementi costituenti l'azienda deve mantenere immutata la propria struttura organizzativa, che deve perciò preesistere rispetto al trasferimento e mantenere la propria identità successivamente a detto evento.

Ai fini della realizzazione del trasferimento la giurisprudenza non ritiene necessario che si realizzi un legame contrattuale diretto tra imprenditore cedente ed imprenditore cessionario (

Cass., 13 gennaio 2005, n. 493

), assumendo invece rilevanza il fatto che, ferma restando l'organizzazione dei beni, vi sia stata sostituzione del titolare, così che nei fatti l'attività imprenditoriale sia continuata (

Cass., 26 luglio 2011, n. 10340

). Non è neppure necessario che il trasferimento d'azienda si realizzi tramite un unico atto, ben potendo lo stesso realizzarsi attraverso una serie di atti che si susseguono in un arco di tempo, o comunque quando il passaggio dei beni avvenga in due fasi per effetto dell'intermediazione di un terzo (

Cass. 7 dicembre 2006, n. 26215

).

Rientrano tipicamente nel trasferimento d'aziendale seguenti ipotesi: la cessione; la fusione (per incorporazione o con creazione di una società nuova); la scissione; l'usufrutto; l'affitto d'azienda e anche la retrocessione dell'azienda al termine di esso (

Cass., 26 giugno 2006, n. 14710

); il franchising; la successione ereditaria (

Cass., 29 agosto 2005, n. 17418

); la cessione di un marchio, allorché sia trasferito anche il diritto di fabbricazione e di vendita in esclusiva (

Cass., 9 febbraio 2000, n. 1424

). Inoltre si può avere trasferimento d'azienda anche a seguito di un provvedimento autoritativo della Pubblica Amministrazione (ad es. quando, nella gestione di un pubblico servizio in concessione, sia succeduto al precedente concessionario uno nuovo, in quanto risultato vincitore della relativa gara di appalto), purché si verifichi una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese (

Cass., 20 settembre 2003, n. 13949

;

Cass., 27 aprile 2004, n. 8054

).

Il trasferimento di ramo d'azienda: definizione e presupposti

Come già s'è detto, oggetto di trasferimento può non essere l'intera azienda, ma anche solo una parte di essa, ossia un cd. “ramo”.

Diverse sono altresì le definizioni di ramo d'azienda contenute nella legislazione nazionale.

Si fa riferimento, in particolare, al

D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18

, il cui art.

1

ha modificato l'

art. 2112 c.c.

inserendo la regola secondo cui “le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità

”, cui è seguita la nuova formulazione dei requisiti per il trasferimento operata dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276

, che ha escluso la necessità della preesistenza e del mantenimento dell'attività e ha originato il dibattito, che qui si richiama solo per accenni, tra gli interpreti che hanno ritenuto affidata alla discrezionalità del cedente e del cessionario la determinazione dell'oggetto del trasferimento, e quelli secondo cui l'autonomia funzionale non sarebbe rimessa alla decisione delle parti, atteso che l'identificazione del ramo presuppone il riconoscimento di una realtà economica preesistente (Trib. Padova, 5 febbraio 2007).

Ciò premesso sulla nozione di ramo d'azienda, è da osservarsi che il rischio che la scelta del ramo da parte di cedente e cessionario non sia meramente ricognitiva, trasformandosi nella “legittimazione di meri assemblaggi di beni o rapporti di lavoro privi di quel

quid pluris

che li

renderebbe riconducibili al concetto di ‘entità'

, come sottolineato in dottrina, “

rivive in alcune norme concorsuali

” (

Aniballi

, Trasferimento di “ramo d'azienda” nelle vicende circolatorie endoconcorsuali: compatibilità della disciplina italiana con la normativa europea, in www.aidlass.org ) e, in particolare, nella disciplina inerente alla conservazione dei rapporti di lavoro.

Anche in questa fattispecie la norma di riferimento è l'

art. 2112 c.c.

e, in particolare, la disposizione contenuta nel comma 1, secondo cui “in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano

” in combinato con il richiamato comma quinto sul trasferimento del solo ramo: dalla valutazione sull'idoneità del bene trasferito ad integrare i requisiti di cui si è discusso, in altre parole, dipenderà l'applicazione o meno della successione automatica del cessionario nei rapporti di lavoro instaurati con il precedente titolare dell'azienda.

Nella crisi dell'impresa, la disciplina di riferimento è invece contenuta nell'

art. 47 della L. 29 dicembre 1990, n. 428

.

E' noto, peraltro, che il silenzio della legislazione precedente sull'affittabilità dell'impresa in crisi era stato superato in via interpretativa dalla giurisprudenza, soprattutto nei casi in cui si ravvisava l'utilità, immediatamente dopo la dichiarazione di fallimento, della conservazione dell'unità aziendale o della sua continuazione, al quale obiettivo l'affitto d'azienda risultava strutturalmente preordinato nell'ottica di evitare la dispersione delle attività aziendale, l'esodo dei lavoratori, la perdita dell'avviamento.

Il tema ha costituito in ogni caso a lungo una vexata quaestio, almeno nella disciplina previgente, cui la prassi aveva tuttavia dato luogo alla luce dei seguenti vantaggi: l'utilità dei fornitori, quali soggetti che, davanti alla crisi dell'imprenditore, subiscono il duplice danno dell'inadempimento (e del probabile mancato recupero integrale del credito) e della perdita di una parte del mercato dei propri prodotti; l'utilità dei lavoratori, che non perdono il posto bensì diventano dipendenti di un soggetto in migliori condizioni economiche e finanziarie; l'utilità dell'affittuario, che può giovarsi dell'avviamento (

Di Salvo

, Problematiche civilistiche e fiscali dell'affitto e dell'acquisto di azienda in crisi, in www.rivista.ssef.it; Patti

, Affitto d'azienda e finanziamento dell'impresa fallita, in Fall., 2009, 76 ss.)

.

L'attuale formulazione della norma - susseguente alle modifiche introdotte dall'art. 19-quater

della

L. 20 novembre 2009, n. 166

, recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee” - riporta ai commi 4 bis e 5 le seguenti regole: “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'

articolo 2112 del codice civile

trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende: a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell'

articolo 2, quinto comma, lettera c), della

legge 12 agosto 1977, n. 675

; b) per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del

decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270

, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività

”; “Qualora il trasferimento riguardi o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova applicazione l'

articolo 2112 del codice civile

, salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante

”.

Procedendo con ordine, è da osservarsi che già il

D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5

, intervenendo sul testo della

Legge Fallimentare

e, in particolare, aggiungendo i nuovi artt. 80-bis, 104-bis e 104-ter, ha ammesso l'affittabilità dell'azienda all'interno di una complessa procedura condizionata ad una serie di requisiti tra i quali il parere favorevole del comitato dei creditori, l'autorizzazione da parte del Giudice delegato, l'utilità allo scopo di procedere alla “più proficua vendita dell'azienda o di parti della stessa

”.

La ratio dell'istituto, per certi versi evidente, si estrinseca nella ricerca del recupero delle componenti ancora potenzialmente produttive dell'impresa e, indirettamente, nei fini di renderla più appetibile agli occhi di eventuali acquirenti, di apportare così liquidità alla procedura e, in ultimo, di accrescere le chances di soddisfazione dei creditori.

Più nel dettaglio, il regime attuale prevede che la possibilità della cessione dipenda sostanzialmente dall'intervenuto accordo trilaterale” richiamato dal comma 5 dell'

art. 47 L. n. 428/1990

e più analiticamente disciplinato dai commi che precedono, secondo i quali, in breve, il trasferimento che coinvolga più di quindici lavoratori è soggetto a particolari oneri informativi: la “comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'

articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300

, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento

”.

Alla predetta regola, si devono aggiungere le ulteriori precisazioni per cui “l'informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi

” e, ai sensi del secondo comma della stessa norma, “

su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo

”.

Con più specifico riferimento alla scelta della persona dell'affittuario, il comma 2 del già richiamato

art. 104-

bis

l. fall

., premesso che, come si è anticipato, anche prima della presentazione del programma di liquidazione di cui al successivo art. 104-ter il Giudice delegato, su proposta del curatore e su parere favorevole del comitato dei creditori, può autorizzare l'affitto (anche limitato a singoli rami) quando ciò “appaia utile al fine della più proficua vendita

” (

Gobbio

, Il destino dei debiti nella cessione e nell'affitto d'azienda, in Soc., 2011, 9, 1049 ss.), affida l'individuazione al curatore “

sulla base di stima, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati

” e tenendo “

conto, oltre che dell'ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali

”, anche dello scopo di “

conservazione dei livelli occupazionali

”.

Ulteriori precisazioni contenute nella stessa norma afferiscono alla necessità che il contratto d'affitto stipulato dal curatore nelle forme previste dall'

art. 2556 c.c.

preveda il “diritto del curatore di procedere alla ispezione della azienda, la prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell'affittuario derivanti dal contratto e dalla legge

” e un diritto di recesso del curatore dal contratto esercitabile “

sentito il comitato dei creditori, con la corresponsione all'affittuario di un giusto indennizzo da corrispondere ai sensi dell'articolo 111, comma 1, n. 1)

”, nonché alla compatibilità della durata dell'affitto “

con le esigenze della liquidazione dei beni

” e infine alla possibile previsione di un “

diritto di prelazione a favore dell'affittuario

” pattuibile “

previa espressa autorizzazione del giudice delegato e previo parere favorevole del comitato dei creditori. In tale caso, esaurito il procedimento di determinazione del prezzo di vendita dell'azienda o del singolo

ramo, il curatore, entro dieci giorni, lo comunica all'affittuario, il quale può esercitare il diritto di prelazione entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione

”.

La disciplina della retrocessione dell'azienda o del ramo ceduto

Un approfondimento merita inoltre la nuova regolamentazione, introdotta anch'essa dal

d.l

gs. n. 5/2006

, degli effetti della retrocessione, con ciò intendendosi la restituzione dell'azienda o di un suo ramo da parte dell'affittuario alla Procedura nell'ipotesi in cui, una volta terminato l'affitto, non si giungesse alla vendita. In tale fattispecie, l'ultimo comma dell'art. 104-bis nega la responsabilità della Procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli

artt. 2112

e

2560 c.c.

(con applicazione, ai rapporti pendenti al momento della retrocessione, delle disposizioni di cui alla sezione IV del Capo III del titolo II), in ciò privilegiando la necessità che il Fallimento non sia pregiudicato dalle conseguenze economiche derivanti dalla gestione precedente.

L'istituto si colloca quindi nella più ampia politica, cui si è già fatto cenno, di rendere sempre più appetibile la presa in gestione dell'azienda in capo agli imprenditori sia in regime di affitto che di acquisto di proprietà, e comunque di liberare il più possibile la nuova entità da tutte le “zavorre debitorie

” che hanno sempre costituito un ostacolo alla sua circolazione, tanto da suggerire in passato soluzioni di tipo liquidatorio dei beni materiali e immateriali che costituiscono i componenti e con esse la perdita definitiva delle opportunità di lavoro del relativo personale.

Quanto alla vendita dell'azienda e del ramo d'azienda in crisi, sovvengono le disposizioni dell'

art.

105 l

.

fall

..

In primis

si evidenzia il disposto del comma 1, che intende privilegiare la vendita dell'intero complesso aziendale o dei suoi rami (autonomi), nel senso che la vendita atomistica dei singoli beni è resa possibile solo in via residuale, qualora cioè la vendita dell'intera azienda o dei suoi rami non consenta una maggiore soddisfazione ai creditori. Il che va visto sicuramente come una forma preferenziale di mantenimento anche dei posti di lavoro e quindi dei lavoratori che li occupano, la cui sopravvivenza è indissolubilmente legata alla cessione del “complesso” dei mezzi organizzati per la produzione di beni o di servizi.

Il comma 3 dell'art. 105 costituisce visibilmente la ripetizione di quanto già previsto dall'

art. 47, comma 5

, della L. n. 428/1990

.

Al fine di rendere più appetibile l'acquisto dell'azienda da parte del potenziale compratore, si stabilisce infatti che, mediante apposito accordo tra “curatore, acquirente e rappresentanti dei lavoratori

” sia possibile - allorché si tratti di trasferire un'azienda o un ramo di essa - convenire, in deroga alla norma generale dell'

art. 2112 c.c.

, la trasmigrazione solo di parte e non di tutti i lavoratori occupati nell'azienda, o nel ramo, oggetto della cessione (sicché i lavoratori che trasmigrano diventano dipendenti del cessionario e quelli che rimangono in capo al fallimento godranno degli ammortizzatori sociali, ossia della cassa integrazione guadagni straordinaria di cui all'

art.

3 L

. n. 223/91

).

Naturalmente, dovendosi inserire tale accordo sindacale nell'ambito del quadro delineato dal - tutt'altro che abrogato – comma 5 dell'

art.

47 L

. n. 428/1990

, va da sé che l'oggetto della cessione debba essere costituito da un'azienda o un ramo di essa che occupi più di 15 dipendenti, secondo quanto previsto dal precedente 1° comma . Diversamente, nel caso in cui il numero degli addetti sia inferiore, non si potrà evidentemente accedere all'accordo in questione per difetto del requisito di legge.

Assai rilevante è il nuovo disposto del comma 4 dell'art. 105 che, sempre nell'ottica della maggiore appetibilità per l'acquirente, stabilisce che, salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi alle aziende cedute, sorti prima del fallimento.

Il tenore letterale di tale disposto risulta ictu oculi estremamente chiaro nel riferirsi a tutti i debiti maturati ante trasferimento dal cedente senza apparenti distinzioni tra quelli sorti nei confronti dei lavoratori dipendenti (regolati, di norma, dall'

art. 2112 c.c.

) e quelli sorti nei riguardi dei restanti creditori (la cui disciplina normale si rinviene nell'

art. 2560 c.c.

).

In particolare, per quanto riguarda la sorte dei crediti di lavoro, si tratta di una considerevole eccezione alla regola di cui al comma 2 dell'

art. 2112 c.c.

che, al contrario, stabilisce perentoriamente la solidarietà passiva del cedente e del cessionario per il relativo pagamento.

Da notare pertanto che, quando il trasferimento d'azienda (o del ramo autonomo) avviene nell'ambito del fallimento, mentre il comma 3 dell'art. 105 contempla la trasmigrazione parziale dei dipendenti solo come un'alternativa eventuale rispetto alla regola generale della trasmigrazione totale prevista dall'

art. 2112, comma 1°, c.c.

(eventualità resa possibile solo attraverso un apposito accordo sindacale

ex art. 47, comma 5

, L. n. 428/1990

e solo per le aziende occupanti più di 15 dipendenti), invece il comma 4 dell'art. 105 contempla l'esclusione della responsabilità solidale dell'acquirente per i debiti sorti prima del fallimento come regula juris (valida cioè a prescindere dall'esistenza di un preventivo accordo sindacale ed anche nel caso in cui i lavoratori occupati siano in numero inferiore a 15), relegando nel campo delle eccezioni pattizie l'ipotesi dell'assunzione di una responsabilità solidale in capo all'acquirente (v. GALLONE e RAVINALE, L'affitto e la cessione d'azienda nella riforma fallimentare, in collana La riforma fallimentare diretta da L. Panzani, Milano 2008, 237 e ss. ; LO CASCIO, Codice Commentato del Fallimento, Milano, 2008, 986-987; di contrario avviso però FERRO, La

legge Fallimentare Comm. teorico pratico

, Padova, 2007, 802).

I rapporti tra affitto d'azienda e concordato preventivo

Un discorso ancora a parte merita l'applicazione dell'istituto dell'affitto d'azienda in relazione al concordato preventivo.

Considerazione preliminare è che, come osservato in dottrina, l'ammissione dell'imprenditore al concordato preventivo è evento del tutto irrilevante per i contratti già conclusi dal debitore che siano pendenti nel momento di apertura della procedura (Vitiello

, Gli effetti sui rapporti pendenti del concordato preventivo, dell'esercizio provvisorio e dell'affitto di azienda del fallito, in questo Portale: ilFallimentarist.it), salva la precisazione secondo cui “

sotto il profilo civilistico, se consideriamo che il presupposto della procedura è la crisi, che nella maggior parte dei casi coincide con l'insolvenza ma che comunque porta con sé il pericolo che la controprestazione contrattuale non sia conseguibile dalla controparte

in bonis

, non v'è dubbio che quest'ultima possa sospendere l'esecuzione della sua prestazione e che quindi dal decreto di apertura discenda la possibilità di applicare il disposto di cui all'

art. 1461 c.c

.

” (Ambrosini

, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Padova, 2008, 99).

Un primo profilo riguarda la disciplina delle clausole del contratto di affitto d'azienda stipulato prima del deposito della domanda di concordato.

Quanto alla sorte dei debiti e dei crediti, questi restano in capo al cedente, compresi “gli oneri e le responsabilità, maturate e maturande, per i rapporti sorti e per le produzioni di beni eseguite sino alla data di efficacia del contratto, nonché ogni sopravvenienza passiva riferita al periodo di gestione antecedente, anche se manifestatasi in data successiva

” (

Guidotti

, Il concordato preventivo: la continuazione dell'attività di impresa, in www.giurisprudenzamodenese.it ).

Quando inoltre la struttura contrattuale lo permette, è possibile inserire una clausola che preveda il diritto degli organi della procedura di provocare lo scioglimento del contratto di affitto entro un determinato periodo successivo all'ammissione della società al concordato.

In dottrina, uno dei punti discussi quanto ai rapporti tra concordato preventivo e affitto d'azienda è rappresentato dalla qualificazione da riconoscersi allo stesso contratto d'affitto.

Sul punto si è osservato che, essendo da considerarsi atti di ordinaria amministrazione quelli diretti alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio concorsuale, e di straordinaria amministrazione quegli atti che possono incidere sostanzialmente su tale patrimonio alterandone struttura e consistenza, l'affitto d'azienda è da ritenersi atto sicuramente appartenente alla seconda categoria (

Trib. Sulmona, 5 dicembre 2007

), come tale assoggettato all'autorizzazione del giudice delegato, indipendentemente dalla durata e dal corrispettivo pattuito.

Secondo questa impostazione, l'affitto, essendo stipulato in funzione dell'esercizio dell'attività economica, “espone necessariamente il complesso dei beni, o almeno di quelli passati nella disponibilità dell'affittuario, al rischio di perdite o deperimenti. Anche se il concedente trasferisce i rischi relativi alla gestione, tali rischi possono continuare a ricadere, sia pure indirettamente, sul medesimo. Se la possibilità che i beni materiali che compongono l'azienda siano distrutti o deteriorati è pur sempre ridotta, e comunque garantita da cauzioni o fideiussioni, assai più probabile è il mutamento

in peius

del valore strettamente connesso con l'andamento dell'attività imprenditoriale. La cattiva, o sfortunata, gestione dell'impresa da parte dell'affittuario si traduce in una diminuzione delle potenzialità economiche del complesso aziendale, diminuzione di cui finisce per risentire il proprietario dell'azienda

” (

Fimmanò

, Concordato preventivo e circolazione del ramo d'azienda, in Fall., 2008, 822 ss.;

Confessore

, Affitto d'azienda, atti di amministrazione e autorizzazione del giudice delegato, in Giur. it., I, 1994, 522).

Il contratto d'affitto, osserva ancora lo stesso Autore, incide inoltre sulla vendita, nel senso che, qualora stipulato durante la procedura concorsuale nelle condizioni previste dal comma 4 dell'

art. 3 della L. n. 223/1991

per le aziende socialmente rilevanti, “assume un carattere paraliquidatorio e fa sorgere a favore dell'affittuario un diritto di prelazione legale che incide sul valore del bene oggetto del contratto

”.

Quanto alla stessa ammissibilità dell'istituto nell'ambito della disciplina del concordato preventivo, soccorre ancora una volta la norma da ultimo richiamata, con cui il legislatore riconobbe a suo tempo all'imprenditore che avesse assunto la gestione a titolo di affitto di aziende appartenenti ad imprese assoggettate a concordato preventivo con cessione dei beni il diritto di prelazione qualora ne fosse stata poi disposta la vendita.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario