Speciale Decreto Sviluppo-bis - Composizione delle crisi da sovraindebitamento: poteri e funzioni del Tribunale

Filippo Lamanna
21 Dicembre 2012

L'Autore analizza le funzioni che la nuova disciplina delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento attribuisce al Tribunale: dal sindacato sulla non immeritevolezza, al controllo sui compimenti di atti fraudolenti, al sindacato su veridicità, fattibilità e convenienza.
Giudice monocratico e collegio

Il

decreto-legge n. 179/2012

, convertito dalla

legge n. 221/2012

, nel riformulare la disciplina delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento contenuta nella

legge n. 3/2012

, attribuisce al Tribunale varie funzioni.

Tali funzioni vengono attribuite, in particolare, al giudice monocratico delegato alla trattazione delle domande e a tutte le successive attività che si svolgeranno nel corso delle procedure. Il giudice è da individuarsi in quello designato dal Presidente del Tribunale (oppure dal giudice - di norma Presidente di Sezione - delegato dal primo).

Il Tribunale in formazione collegiale svolge invece per lo più solo la veste di giudice dei reclami contro gli atti del giudice monocratico delegato al procedimento, il quale non può far parte del collegio.

Tipologia delle funzioni svolte dal Giudice

Le funzioni attribuite al Giudice Delegato sono decisorie, di

controllo

e di carattere

tutorio-amministrativo.

La funzione più importante è naturalmente quella decisoria, ad alcune delle cui più salienti caratteristiche intendo limitare questo sintetico commento.

Essa si estrinseca in vari momenti, secondo l'evolversi delle tre diverse procedure disciplinate dal D.L. e secondo le precipue caratteristiche che esse hanno.

Il primo momento in cui si estrinseca la funzione decisoria è già quello immediatamente successivo al deposito delle domande. Momenti successivi sono poi le udienze eventualmente previste dalle singole procedure e le fasi terminali relative all'emissione delle pronunce omologatorie o sanzionatorie (revoca, annullamento, risoluzione, dichiarazione d'inefficacia).

Quanto al momento iniziale, occorre osservare che il Tribunale, di norma, può aprire le suddette procedure solo su impulso di parte:

  • nelle due procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (omologa di accordo del debitore o di piano del consumatore), su impulso del solo debitore a ciò legittimato;

  • nella procedura di liquidazione del patrimonio, su impulso del debitore oppure anche dei creditori quando sia chiesta la conversione di una procedura di composizione della crisi in procedura di liquidazione.

È possibile peraltro, residualmente, in quest'ultimo caso, anche un'apertura d'ufficio, stando alla più ragionevole interpretazione dell'art. 14-quater, seconda ipotesi. Infatti la norma, dopo aver attribuito la legittimazione a chiedere la conversione al debitore e ai creditori nell'ipotesi di annullamento dell'accordo o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera a), stabilisce poi che la conversione è altresì disposta (evidentemente dal giudice) nei casi di cui agli articoli 11, comma 5 e 14-bis

, comma 1, nonché di risoluzione dell'accordo o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14

-bis

, comma 2, lettera

b)

, ove determinati da cause imputabili al debitore. Non essendo stato ripetuto il riferimento solo al debitore e ai creditori sembra inevitabile concluderne che, in tali diverse ipotesi, il Tribunale possa provvedere ex officio

(come peraltro

ex officio

provvede nella maggior parte dei casi in cui revoca o dichiara l'inefficacia dell'accordo o del piano).

In tutti questi casi il Tribunale decide ovviamente, in primo luogo, se sussiste la sua competenza, se vi sono i presupposti soggettivi ed oggettivi per l'ammissibilità delle domande e per l'apertura delle procedure, se è stata prodotta tutta la documentazione prescritta dalla legge.

Tralasciando di considerare in questa sede i profili riguardanti la competenza, la documentazione da produrre, il requisito soggettivo formale di imprenditore non fallibile o di consumatore e il requisito oggettivo consistente nel sovraindebitamento, intendo soffermarmi soprattutto sugli aspetti più importanti su cui deve svolgersi la decisione del Giudice Delegato. Alcuni sono correlati al profilo soggettivo, altri a quello oggettivo.

Sono correlati al profilo soggettivo il requisito della non immeritevolezza del debitore e il non aver compiuto atti fraudolenti.

Sono invece correlati al profilo oggettivo il requisito della veridicità dei dati, della fattibilità del piano e della sua convenienza.

Il sindacato sulla non immeritevolezza

Cominciamo dalla non immeritevolezza.

È da rimarcare che solo per la procedura di omologa della proposta di piano del consumatore il Giudice Delegato deve svolgere ex officio anche un controllo di non immeritevolezza.

Infatti è richiesto solo per questo procedimento che la relazione dell'O.C.C. o dell'esperto che può essere nominato al suo posto indichi, tra l'altro, se il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

Come si vede, la legge non richiede il riscontro in positivo della meritevolezza, ma quello negativo della non immeritevolezza.

Le indicazioni dell'Organismo di Composizione della Crisi a questo riguardo, evidentemente, porteranno ad una decisione negativa del Giudice Delegato quando la condotta del debitore sia stata incauta.

Si tratta di comportamenti colposi, non necessariamente dolosi, ma sufficienti a determinare l'inammissibilità o comunque il rigetto della domanda.

Nelle altre procedure, invece, non viene svolto un giudizio di meritevolezza o di non immeritevolezza di questo tipo e non deve trarre in inganno nemmeno il fatto che, quanto meno anche nella procedura di liquidazione (ma apparentemente non in quella di omologa dell'accordo), sia richiesta una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi che deve contenere, tra l'altro:

  • l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata nell'assumere volontariamente le obbligazioni;

  • l'esposizione delle ragioni dell'incapacità di adempiere le obbligazioni assunte;

  • il resoconto sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni;

  • l'indicazione della eventuale esistenza di atti impugnati dai creditori;

  • il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.

Si tratta infatti di elementi informativi che non sfociano in un giudizio di meritevolezza su cui debba pronunciarsi il Tribunale.

Nella procedura di liquidazione, infatti, l'essersi sovraindebitato con un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali vale solo come ostacolo all'esdebitazione (art.14-terdecies), il che ulteriormente dimostra, a contrario, come nessun ruolo giochi invece ai fini dell'apertura della procedura.

Va segnalato che quando l'Organismo di Composizione della Crisi svolge una relazione sulla meritevolezza, il Giudice Delegato resta certamente libero di valutare se i dati informativi giustifichino in concreto una valutazione/decisione negativa o positiva.

Il controllo sul compimento di atti fraudolenti

In tutte le procedure, invece, viene sempre svolta - ex officio - una previa indagine sul compimento di atti fraudolenti, che sono ostativi, a loro volta, e a maggior ragione, all'accesso a queste procedure.

Nella procedura di omologa del piano del consumatore il Giudice deve subito verificare che non siano stati compiuti atti in frode (art. 12-bis, comma 1), prima ancora di emettere il decreto di fissazione dell'udienza di omologa; altrettanto immediatamente provvede anche in caso di procedura di liquidazione, prima, cioè, di dichiarare aperta tale procedura.

Tale accertamento, invece, in caso di accordo, sembra che possa essere svolto solo in udienza, almeno stando al tenore letterale dell'art. 10, terzo comma. Tuttavia non sembra logico che il Giudice Delegato debba emettere il decreto di fissazione dell'udienza anche qualora si avveda già subito al momento di presentazione della domanda di atti fraudolenti. È ragionevole credere, di conseguenza, che possa svolgere tale indagine anche in tal caso sin dal momento in cui esamina la domanda (fuori udienza) bloccando il procedimento in caso di riscontro degli atti di frode, salva - forse - la necessità di un previo contraddittorio con il debitore su tale punto.

Vi è da chiedersi poi sulla base di quali elementi informativi il giudice possa stabilire che sono stati compiuti atti fraudolenti.

Verrebbe da pensare che un'informativa in questo senso possa essere fatta dall'Organismo di Composizione della Crisi, anche se sembra in certo senso singolare che proprio l'organo che, nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento collabora alla redazione della proposta e del piano, possa contemporaneamente evidenziare atti di frode. Tale problema confluisce peraltro in quello più generale della ontologica condizione conflittuale che caratterizza tale organo (riproponendosi di conseguenza in varie altre occasioni), poiché esso assomma in sé compiti di supporto e consulenza al debitore, di fidefacenza verso i creditori, di ausilio del giudice, di attestatore della veridicità dei dati e della fattibilità del piano, di accertatore dell'esito della votazione, di controllore dell'esatto adempimento nella fase post-omologa. In sostanza, il legislatore vorrebbe che l'OCC espletasse queste funzioni conservando ogni volta la sua imparzialità, e se così fosse (ma credo che debba escludersi che ciò sia concretamente possibile), dovrebbe certo anche segnalare fattori negativi ed ostativi all'apertura dei procedimenti o all'accoglimento delle domande di omologa, compresi quindi anche gli atti di frode.

In ogni caso, deve ritenersi che il Giudice Delegato possa basarsi su informative provenienti da chiunque e finanche attinte d'ufficio, visto che il procedimento ha natura camerale e per ciò stesso consente lo svolgimento di atti istruttori officiosi. Inoltre l'art. 15, comma 10, statuisce testualmente che per lo svolgimento dei compiti e delle attività previsti dal secondo capo, il giudice e, previa autorizzazione di quest'ultimo, gli organismi di composizione della crisi, possono accedere ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, ivi compreso l'archivio centrale informatizzato di cui all'

articolo 30-

ter

, comma 2, del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141

, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali.

Come si è detto poc'anzi, quando il giudice accerta il compimento di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori e si verta in una delle due procedure di composizione della crisi: o non emette il decreto di fissazione dell'udienza quanto al piano del consumatore (art. 12-bis, comma 1), o provvede in udienza a revocare d'ufficio il decreto, quanto all'accordo (art. 10, comma 3), o - aggiunge la legge - a revocare l'accordo stesso se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori (art. 11, comma 5)

.

Quanto a tale ultima eventualità, è singolare che il Tribunale possa revocare un accordo, come la norma letteralmente statuisce: l'accordo, infatti, è un negozio inter alios, e tale resta anche se è certamente un accordo sui generis, quale atto consensuale procedimentalizzato nell'alveo di una procedura concorsuale; comunque non è un atto proprio del giudice che possa essere da lui revocato (v. ad esempio la parallela ipotesi regolata in caso di concordato preventivo dall'

art.

173 l

.

fall

., laddove il compimento di atti di frode dà luogo più appropriatamente ad una revoca dell'ammissione al concordato, ossia del decreto con cui il Tribunale l'abbia disposta). Semmai il Tribunale potrebbe revocare il provvedimento di omologa.

La norma si presta dunque ad almeno due interpretazioni differenti, in relazione a tale ambigua formulazione letterale.

La prima, nel senso di ritenere che con la suddetta espressione il Legislatore abbia inteso semplicemente riproporre quanto statuito nel precedente periodo del medesimo comma a proposito della cessazione di diritto di efficacia dell'accordo (per il mancato

pagamento dovuto

secondo il piano

alle

amministrazioni pubbliche

e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie). Tale interpretazione peraltro va ad impattare con un'altra singolarità, costituita appunto da una cessazione di efficacia dell'accordo che potrebbe riferirsi, ed anzi di norma si riferirà, ad un inadempimento verificatosi nella fase post-omologa, laddove ci si aspetterebbe però che il venir meno degli effetti dell'accordo debba prima passare attraverso la caducazione del decreto di omologa, giacché altrimenti non si comprende come questo possa restare in piedi pur dopo la sopravvenuta inefficacia dell'accordo che dell'omologa è l'oggetto.

Una seconda ipotesi interpretativa è quella di riferire la

revoca al decreto di omologa. In tal caso essa può intervenire, però, solo dopo l'omologa, appunto, e quindi in fase esecutiva, e non durante la procedura (che propriamente si conclude proprio con l'omologa). In tal caso la sanzione potrebbe reputarsi riferibile non solo agli atti di frode precedenti l'omologa e quindi compiuti nella fase processuale intermedia, ma anche a quelli successivi all'omologa, ossia compiuti nella fase esecutiva.

Ad avvalorare questa conclusione sta l'art. 14-bis, anche se in realtà tale norma si riferisce specificamente al piano del consumatore, non all'accordo. Sta di fatto che, secondo la suddetta disposizione, “La revoca e la cessazione di diritto dell'efficacia dell'omologazione del piano del consumatore hanno luogo ai sensi dell'articolo 11, comma 5”. Siccome però il titoletto dell'articolo è “Revoca e cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore”, la norma, nell'instaurare una sintomatica coincidenza di disciplina con l'art. 11, comma 5, sembra idonea a far interpretare anche quest'ultimo articolo come se esso riferisse sia la revoca che la cessazione degli effetti all' “omologazione”.

Questa interpretazione si fa preferire perché rende più coerente e appropriata la configurazione della sanzione.

Resta però l'ipotesi in cui la scoperta della frode sia anteriore all'omologa, e ci si chiede allora se in tal caso il giudice debba limitarsi a non omologare o anche, come appunto si esprime la norma, a revocare l'accordo, eventualità che, non essendo stato ancora emesso il decreto di omologa, sembrerebbe comunque in tal caso meno incongrua, dovendo allora necessariamente riferirsi la sanzione all'accordo (anche se resterebbe comunque la singolarità del riferimento alla nozione di revoca riguardo ad un atto che non è stato compiuto del giudice, ma da terzi).

Credo preferibile ritenere in tal caso, per coerenza, che il giudice debba limitarsi semplicemente a non omologare l'accordo (semmai comunque dichiarando nel suo provvedimento reiettivo il venir meno degli effetti dell'accordo).

Resta da esaminare il caso in cui la frode emerga nella procedura di liquidazione.

In forza dell'art. 14-quinquies, comma 1, i

l giudice dichiara aperta la procedura di liquidazione

verificata l'assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni”.

In tal caso, dunque, se tali atti emergano, il giudice non darà corso all'apertura della procedura.

Tuttavia, secondo l'art. 14-quater, la conversione di una procedura di composizione della crisi in liquidazione è altresì disposta, tra l'altro, nel caso … di cui all'art. 11, comma 5, e quindi anche, a rigore, quando le procedure ci composizione della crisi non siano potute proseguire perché “risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori”.

Emerge, mi pare, in tal modo, un'aporia normativa, poiché mentre la seconda disposizione consente l'apertura della liquidazione a seguito di conversione anche in presenza di atti di frode pregressi, la prima sembra negare in radice la possibilità di aprire la procedura quando atti di frode siano stati compiuti.

Sono propenso a pensare che l'art. 14-quater sia la norma incompatibile e quindi di fatto quella inapplicabile in parte de qua.

Il sindacato sulla veridicità e sulla fattibilità

Passiamo ora ad esaminare brevemente gli aspetti che attengono a profili oggettivi.

Quelli della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano sono strettamente connessi tra di loro.

Nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento l'OCC deve in entrambi i casi produrre al Giudice Delegato una relazione sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano.

È peraltro singolare che l'attestazione di veridicità venga contemplata solo, e quasi di sfuggita, nell'art.15, sesto comma, a proposito dei compiti dell'Organismo di Composizione della Crisi e non invece tra i documenti che il debitore o lo stesso OCC devono produrre.

Quanto all'attestazione di fattibilità essa è richiesta al momento della presentazione della proposta sia di piano del consumatore (art. 12-bis, comma 1, nella parte in cui richiama l'art. 9), che di proposta di accordo (art. 9, comma 2). In quest'ultimo caso, anzi, essa deve essere presentata due volte, la prima al momento di deposito della domanda, la seconda dopo la votazione (attestazione definitiva) (art. 12, comma 1).

Ebbene, quanto all'attestazione di veridicità, essa, come si diceva, non è espressamente richiesta dalle norme dettate in tema di documentazione da produrre, nemmeno in quella (art. 9, comma 3) in cui si statuisce, a proposito della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento mediante accordo, che il debitore che svolge attività d'impresa deposita altresì le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, unitamente a dichiarazione che ne attesta la conformità all'originale, caso in cui ha evidentemente molto senso un controllo di veridicità dei dati aziendali, che invece - a prima vista - non avrebbe motivo di svolgersi al di fuori dell'impresa, e quindi per i casi di debitore non-imprenditore. Tuttavia questa considerazione di taglio limitativo forse vale, almeno in parte, se la veridicità, come accade per i piani di risanamento, per gli accordi di ristrutturazione dei debiti e per i concordati preventivi, accede ai dati e documenti aziendali, laddove solo a questi sembrerebbe avere ragione di riferirsi - almeno a prima vista (salvo però il caso di imprese individuali e di società di persone, in cui dati di rilievo ai fini dei piani potrebbero riguardare anche il patrimonio personale extra-aziendale dell'imprenditore individuale o del socio illimitatamente responsabile) il controllo dell'esperto attestatore in quanto espressione del patrimonio aziendale, ma certo non è detto che la veridicità non sia riferibile anche ad altri dati e documenti quando il debitore non sia imprenditore. Di fatto l'art. 15, comma 6, stabilisce appunto genericamente che l'OCC verifica la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, e dunque non fa un limitativo riferimento solo ai dati aziendali, con la conseguenza che tale attestazione riguarderà ogni dato ed ogni documento sensibile e rilevante ai fini della proposta e del piano.

Il problema è però stabilire la soglia di rilevanza o sensibilità del documento o del dato informativo. Un problema analogo ricorre ugualmente quando si tratta di delineare la condotta penalmente sanzionabile (art. 16, comma 1, lettera b) di chi sottrae, nasconde o distrugge, in tutto o in parte, “

la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile”, poiché, come si è giustamente osservato, è arduo “individuare l'oggetto su cui ricade il comportamento illecito, ovvero il documento. A differenza di quanto previsto per l'imprenditore e per le società, non vi sono, per il debitore/consumatore, libri o scritture contabili specificamente indicati dal codice civile o da altre norme di legge, che possano essere assunti ad oggetto materiale del reato. Dal tenore della lettera, si deve ritenere che l'oggetto materiale del reato de quo debba individuarsi in qualsivoglia documento idoneo a fornire indicazione circa le posizioni debitorie o la situazione contabile del debitore/consumatore, dall'estratto conto bancario al contratto di finanziamento, e, per esagerare, dal conto del droghiere ai bollettini contributivi della badante” (

Spadavecchia, Nizza, I reati nelle procedure concorsuali dei “non fallibili”: l'

art. 16 D.L. n. 179/2012 conv. in L. n. 221/2012,

in ilFallimentarista.it

).

Si tratterà quindi, nella pratica, di ritagliare con prudenza e ragionevolezza il perimetro di rilevanza della documentazione su cui l'Organismo di Composizione della Crisi o l'esperto dovranno svolgere il controllo di veridicità.

Infatti l'ampliamento dell'attività attestativa in punto di veridicità difficilmente può implicare la medesima forma di accertamento e la medesima soglia di attenzione quando si tratti di dati non aziendali. È arduo infatti immaginare che l'OCC o l'esperto possano compiere una verifica estesa ed effettiva su dati della più varia natura. Sta di fatto che su questo punto l'alto rischio di incorrere in errori od omissioni è proporzionalmente correlato anche a quello di incorrere nella sanzione penale per il reato di cui all'art. 16, comma 2 (“2. Il componente dell'organismo di composizione della crisi, ovvero il professionista di cui all'articolo 15, comma 9, che rende false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta o nei documenti ad essa allegati, alla fattibilità del piano ai sensi dell'articolo 9, comma 2, ovvero nella relazione di cui agli articoli 9, comma 3-bis, 12, comma 1 e 14-ter, comma 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 Euro”).

Se tale rischio è elevato già per i dati aziendali in ragione dell'ampia nozione normativa “di false attestazioni”, lo è ancor di più quando il referente si stempera in una non predeterminabile vastità di tipologie di atti da controllare sotto il profilo della veridicità.

L'emersione di tale problematica in materia di sovraindebitamento fa peraltro emergere indirettamente anche una lacuna della normativa sulle procedure di composizione che riguardano gli imprenditori fallibili, poiché, come detto poc'anzi, anche per essi si ripropone il quesito sul rilievo della documentazione extra-contabile le volte in cui ricorrente non sia una società di capitali, ma un imprenditore individuale o una società di persone, visto che, in tal caso, possono essere posti a disposizione dei creditori nell'ambito dei piani anche beni personali extra-impresa e si potrebbe quindi porre una necessità di controllo su documenti extra-aziendali.

Per il resto valgono le considerazioni già ampiamente svolte da dottrina e giurisprudenza a proposito dell'analogo obbligo attestativo per le procedure di composizione della crisi di imprese fallibili, nel senso che tale accertamento è strettamente funzionale a quello di fattibilità.

Quanto all'attestazione di fattibilità del piano, il D.L. nulla dice sul se il giudice possa sindacare nel merito la fattibilità del piano e il contenuto dell'attestazione rilasciata dall'organismo di composizione della crisi o dall'esperto.

È certo in ogni caso che il giudice possa quantomeno sindacare se la dichiarazione di fattibilità e di veridicità dei dati rilasciata dall'organismo di composizione della crisi ai sensi dell'art. 15, comma 6, sia completa, adeguata, sufficientemente e correttamente motivata.

Deve ritenersi peraltro che se qualche dubbio sul sindacato di merito poteva nutrirsi prima quanto ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione dei debiti, i Decreti Sviluppo 1 e 2 li hanno eliminati.

Quanto al Decreto Sviluppo.1, esso sembra infatti aver risolto definitivamente il problema nel senso voluto dalla prevalente giurisprudenza di merito, introducendo modifiche che dimostrano senza equivoci come il Tribunale non solo possa entrare direttamente nel merito della valutazione sulla fattibilità, ma esso stesso abbia l'ancor più penetrante potere di influire sulla stessa concedendo o negando le varie autorizzazioni che può richiedere il debitore, secondo uno schema logico che era del resto già presente negli

artt. 182-

bis

e

182-

quater

l.

fall

., laddove la prima norma sottometteva all'autorizzazione del Tribunale la concessione della cd. inibitoria, attribuendogli il potere di valutare in udienza ex officio se sussistessero le condizioni di attuabilità quanto al pagamento dei creditori estranei alla luce di tutta la documentazione prodotta, e la seconda subordinava il riconoscimento della prededucibilità per i cd. finanziamenti-ponte ad un esplicito placet del Tribunale.

La prima e più importante disposizione del Decreto Sviluppo.1 ai fini interpretativi in esame è senza dubbio la modifica contenuta nell'art. 186-bis, ultimo comma, ove è stato precisato che, se nel corso di una procedura con continuità aziendale l'attività d'impresa cessa o risulta manifestamente dannosa per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell'

articolo

173 l

.

fall

., fatta salva la facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato.

In tal modo anche la possibilità di revoca del concordato ex art. 173 si arricchisce del caso in cui esso non abbia più il requisito - la continuazione utile d'impresa - sulla cui base sono stati conformati proposta e piano, giustificando il regime di favore previsto dalla legge.

La norma, nel conferire espressamente al Tribunale il potere di dichiarare d'ufficio ex art. 173 la revoca dell'ammissione nel caso in cui l'inammissibilità sia causata dalla sopravvenuta non fattibilità del concordato in continuità, risolve in modo chiarissimo il problema della rilevabilità ex officio della non fattibilità da parte del Tribunale in ogni fase del procedimento.

In vari altri punti poi il Decreto Sviluppo.1 ha introdotto un potere autorizzatorio liminare del Tribunale.

Così già l'art. 161, comma 7, statuisce che, dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all'articolo 163, ossia fino a quando il Tribunale non avrà emanato il decreto di ammissione, può autorizzare atti urgenti di straordinaria amministrazione e a tal fine può assumere sommarie informazioni.

È evidente che in tal modo il Tribunale può influire direttamente sulla fattibilità del piano concedendo la sua autorizzazione e ancor più negandola. Ciò dimostra come sia assurdo negare in generale che il Tribunale non possa esercitare proprio quel potere minore che consiste nella valutazione sulla fattibilità, per di più quando poi la legge gli consente di acquisire dati informativi ex officio.

Questa conclusione vale anche

con riferimento alle norme che ora prevedono l'autorizzazione per atti speciali sulla base di una speciale attestazione (per i finanziamenti interinali, per i pagamenti di debiti anteriori relativi a prestazioni essenziali, per la configurazione del concordato preventivo in continuità). In tali casi si esige quanto meno la necessità di una funzionalizzazione dei predetti atti alla migliore soddisfazione dei creditori (artt. 182-quinquies e 186-bis), che deve essere attestata dall'esperto. Ma è sempre il Tribunale a dover autorizzare tali atti, sempre previa facoltativa assunzione di sommarie informazioni, ed è quindi l'esercizio di tale potere discrezionale ad essere esso stesso un fattore che agevola o elimina la fattibilità.

Particolarmente evidente è il rapporto tra autorizzazione e fattibilità in caso di pagamenti di crediti anteriori relativi a prestazioni essenziali, perché in tal caso l'attestatore deve anche asseverare, appunto, che queste sono essenziali alla prosecuzione dell'impresa, sì che si presuppone che - senza tali pagamenti - essa non possa proseguire e il piano non possa attuarsi. L'autorizzazione è necessaria anche quando i pagamenti siano compensati da gratuiti finanziamenti di terzi, anche se allora non è necessaria l'attestazione. Qui è addirittura il Tribunale che deve direttamente valutare se autorizzare o meno i pagamenti, senza ausilio dell'esperto.

Anche il neointrodotto art. 169-bis prevede la facoltà per il debitore di chiedere, e per il Tribunale quella di concedere, un'autorizzazione allo scioglimento dai contratti in corso di esecuzione alla data della domanda, ovvero la loro sospensione. In tal caso non è prevista alcuna attestazione dell'esperto. Il Tribunale dovrà dunque esercitare un controllo ex officio necessariamente di merito basato su informazioni assunte attraverso una istruttoria ad hoc e la sua decisione influirà direttamente sulla fattibilità, essendo evidentemente lo scioglimento o la sospensione elementi costitutivi del piano.

Quanto al Decreto Sviluppo.2:

  • secondo l'art. 12, comma 3, il giudice d'ufficio deve verificare l'idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo, e in tal modo di fatto accerta lui stesso la sussistenza della fattibilità sotto tale profilo;

  • quando è previsto che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca non siano soddisfatti integralmente, il Tribunale - sulla scorta della relazione dell'Organismo di Composizione della Crisi - deve controllare che ne sia comunque assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi; è chiaro che tale giudizio colora il presupposto della fattibilità laddove manchi il requisito dell'incapienza dei beni e i privilegiati non siano pagati interamente come si dovrebbe;

  • ai sensi dell'art. 10, comma 1, il giudice valuta se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 7, 8 e 9, e solo in caso di risposta positiva fissa immediatamente con decreto l'udienza; nel caso in cui invece rilevi difetti, il giudice può concedere, ai sensi dell'art. 9, comma 3-ter, un termine perentorio non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti; ciò dimostra come il Giudice Delegato valuti la fattibilità sulla base di elementi conoscitivi anche diversi dall'attestazione;

  • l'art. 12-bis, comma 3, espressamente statuisce, in caso di piano del consumatore, che il giudice deve verificare la fattibilità del piano e l'idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo: ciò prova che la legge attribuisce al Giudice Delegato in tal caso certamente un controllo officioso di merito, anche perché nella procedura non è prevista una votazione dei creditori e quindi è solo il Giudice a decidere del suo esito. Aggiunge al riguardo la norma che il giudice può disporre la sospensione di specifici procedimenti di esecuzione forzata che possano pregiudicare la fattibilità del piano (art. 12-bis, comma 2) sino alla definitività del provvedimento di omologazione. Ciò significa che in tal caso il Giudice Delegato decide della fattibilità ex officio già da subito;

  • nell'arco di tempo compreso tra la data del decreto emesso dal tribunale e la data di omologazione dell'accordo gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possono essere compiuti solo previa autorizzazione del giudice, fattispecie che, come abbiamo visto sopra, implica addirittura una diretta influenza del giudice sulla fattibilità;

  • l'art. 12-bis, comma 2

    , prevede poi espressamente che, quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità

    del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo: in tal caso lo stesso discrezionale esercizio del potere che ha il giudice di imporre o meno l'ombrello protettivo costituisce valvola regolatrice della fattibilità.

Ci si chiede peraltro se possa pervenire al Tribunale una relazione dell'Organismo di Composizione della Crisi o dell'esperto che si esprima negativamente sulla fattibilità e in ogni caso poi se, qualora essa fosse positiva (o negativa, se possibile), il Giudice possa dissentire da essa.

Analoga questione, come si è già visto, si pone anche per la previsione secondo cui il giudice, quando reputa che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali, non omologa il piano.

Siccome in entrambi i casi si esprime già l'Organismo di Composizione della Crisi o l'esperto (art. 9, comma 3-bis), v'è da chiedersi, da un lato, se l'Organismo di Composizione della Crisi possa far pervenire una relazione negativa e, quando essa sia così pervenuta, se il Giudice possa ritenere comunque sussistente il requisito soggettivo tanto da emettere il decreto di fissazione dell'udienza, salvo a stabilire se poi possa cambiare decisione in sede di omologa, o se invece debba bloccare subito la procedura, caso in cui non si dovrebbe neppure arrivare all'udienza di omologa; dall'altro, se il Giudice possa ritenere insussistente - già da subito o ai fini dell'omologa - il requisito quando l'Organismo di Composizione della Crisi l'abbia ritenuto sussistente.

A prima vista non sembrerebbe logico che possa pervenire al Tribunale una domanda relativa a un debitore che, in base alla relazione dell'Organismo di Composizione della Crisi, sia stato già considerato da quest'ultimo immeritevole per la condotta dissipativa o non supportata da un piano fattibile. La domanda va infatti redatta con la collaborazione dell'organismo e sembrerebbe eccentrico che questo partecipasse alla presentazione di una domanda che esso stesso reputi inammissibile.

Se peraltro fosse ipotizzabile un obbligo di trasmissione della domanda anche quando l'Organismo di Composizione della Crisi reputasse insussistente il requisito, certamente il Tribunale sarebbe libero di decidere autonomamente in senso opposto, perché altrimenti non si capirebbe la ragione del perché sia richiesto comunque in tal caso il suo intervento decisorio.

È lecito quindi ipotizzare che la domanda debba comunque giungere al Tribunale affinchè proprio quest'organo dirima ogni dubbio, anche alla luce di eventuali controdeduzioni del debitore (salvo a stabilire in che modo e forma debbano o possano pervenire al Tribunale).

Anche qualora però il Tribunale decidesse a favore del debitore, emettendo quindi il decreto di fissazione dell'udienza, non potrebbe precludersi un suo ripensamento al momento dell'omologa, che verrebbe allora negata se il Giudice si avvedesse di fatti a comprova ulteriore del negativo giudizio già espresso dall'Organismo di Composizione della Crisi.

D'altra parte è logico ritenere, in via speculare, che il giudice abbia analogo potere anche qualora pervenga una relazione-attestazione positiva, caso in cui è del tutto naturale che egli possa andare di contrario avviso sia al momento di emanazione del decreto di fissazione dell'udienza (nella procedura di accordo), che del decreto di omologa (anche quanto al piano del consumatore), visto che la legge gli attribuisce specificamente il potere di valutare ex officio il requisito della fattibilità e quello della non imprudente assunzione di obbligazioni.

Il sindacato sulla convenienza

Non può svolgersi d'ufficio, invece, il sindacato di merito sulla convenienza.

Infatti tale esame, nel giudizio di omologa, è subordinato alle contestazioni dei creditori.

Per l'accordo, l'art.12, comma 2, statuisce in particolare che, quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell'accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall'esecuzione dello stesso in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda. Analoga è la previsione dell'art.12-bis, quarto comma, quanto al piano del consumatore, fatta salva la diversità costituita dal necessario mancato riferimento ai creditori non aderenti, visto che, in tal caso, non è prevista alcuna espressione di voto (“4. Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta la convenienza del piano, il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda del presente capo”).

Il criterio di giudizio (confronto tra due esiti satisfattori) è lo stesso che la

legge fallimentare

contempla in caso di concordato preventivo, ma qui esso va svolto con riferimento alla sola alternativa costituita dalla procedura di liquidazione disciplinata dalla sezione seconda.

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