Il commissario giudiziale e la valutazione del piano

03 Febbraio 2012

Il commissario giudiziale non è più considerato dall'opinione dominante un ausiliario del GD, ma ha ormai un ruolo centrale nella procedura di concordato ed è chiamato a valutare tutti gli aspetti formali e sostanziali del piano di risanamento della crisi, stilato dal debitore. L'Autore analizza nel dettaglio le funzioni e l'attività del commissario giudiziale, dalla fase iniziale di verifica e correzione dell'elenco dei creditori da ammettere al voto, all'analisi degli aspetti tipicamente negoziali che caratterizzano i creditori volontari, fino alla presentazione della relazione ex art. 172 l. fall., sintesi e conclusione di tutta la sua attività.
Il commissario giudiziale

Il Commissario giudiziale non è più considerato, dall'opinione dominante, un ausiliario del giudice/direttore della procedura, ma sembra ormai radicata la convinzione che dalle ceneri della disciplina ante riforma sia emersa una figura nuova, che acquista una propria autonoma funzione, tesa a garantire la più ampia, completa e dettagliata informazione ai creditori affinché questi esprimano il loro voto in modo consapevole. Tale ruolo si esplica nella valutazione critica degli elementi fattuali, ricostruttivi e negoziali elaborati nel piano dal debitore, in un'ottica di tipo professionale, e quindi indipendente e discrezionale, nei limiti posti dalla scienza economico-giuridica, anche ampliando, ove occorra, la piattaforma con elementi di valutazione aggiuntivi e supplementari.

Ciò premesso, valutare il piano di superamento della crisi stilato dal debitore significa, nel concreto, verificare se in esso si proponga una ristrutturazione dei debiti, ossia una modifica dei termini dell'adempimento del debitore e se nel contempo egli offra un qualche componente attivo teso a soddisfare quel debito ristrutturato. In altre parole valutare il piano significa guardare essenzialmente alla composizione del passivo dell'impresa che si propone di ristrutturare e, nel contempo, soppesare la misura dei beni, del denaro, delle prospettive in termini economici, offerte dal debitore.

Vi è quindi, in primo luogo, una massa passiva da definire. In questo ambito il commissario giudiziale, secondo l'

articolo 171 l. fall

., è tenuto a correggere l'elenco dei creditori elaborato dal debitore e depositato in allegato al ricorso per l'ammissione alla procedura e tale funzione è strumentale alla definizione delle maggioranze utili ad approvare il concordato preventivo in sede di votazione. Si è discusso se questo potere abbia un perimetro decisorio oppure se il commissario debba limitarsi a correggere errori ed adeguare gli importi all'evoluzione della procedura. Ma, poiché la valutazione del piano di salvataggio implica, almeno in linea generale, la cristallizzazione della base debitoria da confrontareall'offerta di soddisfazione, l'analisi dei crediti del commissario giudiziale non può essere vista soltanto nella prospettiva dell'esercizio del voto. Non vi è dubbio, peraltro, che la fattibilità del piano, quale fattore che il commissario deve ponderare, è, nella gran parte dei casi, connessa alla definitiva determinazione dell'ammontare dei debiti.

Quindi, accanto al potere di rettifica dei crediti da ammettere al voto, sussiste il dovere del commissario giudiziale di andare a verificare la reale composizione del passivo, che, per effetto della dinamica contabile, significa anche dare risposta alla domanda se il sistema informativo dell'impresa sia in grado di garantire l'attendibilità del dato economico e patrimoniale. Per altro verso, l'analisi dei crediti rientra nei compiti di generale verifica della condotta del debitore nel periodo ante procedura, per escluderne l'omissione dolosa di taluno, ovvero l'inclusione fittizia di talaltro, fattispecie che darebbero luogo a un procedimento di revoca dell'ammissione ai sensi dell'

art. 173 l. fall

.

Se quindi il commissario giudiziale non è chiamato a redigere uno stato passivo e non ha il potere di sollevare fatti modificativi impeditivi e interruttivi del diritto di credito, nello stesso tempo non potrà limitarsi a prendere per buono tutto ciò che gli rappresenta il debitore, sebbene attestato.

Volendo tracciare un percorso su cui può muoversi il commissario in quest'ambito, potremmo distinguere tra l'analisi degli aspetti tipicamente negoziali che caratterizzano i creditori volontari, per i quali lo spazio operativo difficilmente potrà andare oltre una verifica contabile, e la disciplina del singolo credito derivante dall'applicazione di norme imperative, o che tutelano interessi pubblici o diffusi, quale, ad esempio, la sua natura privilegiata. Allo stesso modo, va attribuito pieno potere di rettifica per quei crediti che sorgono per effetto di norme di portata pubblicistica, ossia i creditori involontari per legge. Il commissario non potrà, quindi, tralasciare di accertare, con idonee ricerche esterne al sistema contabile del debitore, l'esatta quantificazione del debito tributario e/o contributivo, liquido o potenziale, compresa la corretta indicazione delle relative sanzioni, che, come si sa, discendono dalla legge.

I crediti postergati

Come si è detto in precedenza, rientra in un ambito di più pregnante accertamento anche l'analisi su alcune tipologie di creditori volontari che potrebbero tuttavia avere una specifica disciplina dettata da norme imperative o a tutela d'interessi diffusi.

Ci riferiamo al fatto che possano emergere dalle analisi del commissario posizioni che configurano l'esistenza di crediti postergati, magari non esattamente indicati nel ricorso, sfuggiti al tribunale in sede ammissione, non correttamente collocati separatamente rispetto agli altri creditori o alle altre classi.

L'individuazione di tali tipologie di crediti, se accertati dopo l'elaborazione del piano, ha l'effetto di modificarlo, dovendosi operare una variazione, qualitativa e quantitativa, della composizione del passivo da soddisfare: i postergati, secondo la prevalente opinione, andranno esclusi dal voto e non potranno essere soddisfatti se non dopo l'integrale pagamento dei chirografari.

Ma vi possono anche essere situazioni debitorie che impongono una riflessione, non tanto in relazione alla fattibilità del piano, quanto in relazione alla legittimità del programma di risanamento. Ci riferiamo in particolare alle posizioni conflittuali del creditore chiamato a votare. Il tema è troppo complesso, le argomentazioni troppo articolate per essere qui trattate. Ci limiteremo a qualche accenno con l'obiettivo di individuare quale dovrebbe essere la condotta cui sarebbe tenuto il commissario qualora rilevi una tale situazione.

In generale si tende a escludere la rilevanza di un conflitto d'interessi in capo ai creditori che sia tale da escluderli dal voto nel concordato preventivo, e ciò in ragione della tassatività delle ipotesi di esclusione e della mancanza di una loro specifica previsione. Da altri si fa notare che la casuale e involontaria partecipazione al concorso dei creditori implica l'impossibilità di intravedere una comunanza d'interessi a cui i singoli dovrebbero conformarsi. Ma accettare acriticamente un tale convincimento significa anche ammettere, ad esempio, formule concordatarie che prevedano l'intervento di un creditore/assuntore che, a fronte dell'acquisizione dell'intero patrimonio del debitore, proponga un determinato esborso finanziario sulla cui valutazione di congruità egli potrà essere autosufficiente, qualora detenga oltre il 50% del totale dei crediti ammessi al voto. Per il principio di maggioranza, infatti, gli altri sarebbero, di fatto, spogliati dell'autonomo, seppur soggettivo, giudizio di convenienza.

Il punto è che sul tema sarà necessario trovare, se esiste, un difficilissimo equilibrio tra un principio di libertà, di natura privatistica, per il quale l'espressione del voto è sganciato da qualsiasi paradigma, anche in punto di convenienza, e il principio di maggioranza dove taluno deve abdicare dinanzi alla volontà di altri. Secondo il primo principio, ogni creditore potrebbe dare il suo il voto secondo una personale valutazione della convenienza della proposta, che potrebbe essere implicita e indiretta, ma anche di tipo morale o avulsa da quella identificabile come convenienza oggettiva, ossia comune a tutti i creditori.

Pertanto, poiché ciascuno non è tenuto a rispondere dell'esercizio del proprio voto, nessun impedimento sorgerebbe nei confronti di colui che ritraesse dall'approvazione della proposta, o anche dalla sua reiezione, un vantaggio ulteriore.

Ruolo del commissario giudiziale nei conflitti con i creditori

Tornando al nostro obiettivo, vediamo quale potrebbe essere la reazione del commissario giudiziale in presenza di situazioni di abnorme conflitto del creditore teoricamente ammesso al voto.

Una prima soluzione potrebbe essere quella di limitarsi a informare i creditori attraverso la relazione

ex art. 172 l. fall

. e rinviare un'eventuale discussione sulla legittimità del piano o della votazione alla sede dell'opposizione all'omologa. Il creditore terzo, quindi, al quale è stato di fatto inibito di esprimersi e valutare la convenienza, potrebbe dolersi di ciò nella fase di omologazione. Ma in tal sede, a supporto delle proprie ragioni, egli non potrebbe sostenere l'assenza di una convenienza oggettiva della proposta, salvo l'ipotesi in cui appartenga a una classe dissenziente, unico caso, almeno secondo la prevalente lettura dell'

art 180, comma 4, l.

f

all

., in cui si può aprire la strada a un sindacato di merito. E' quindi necessario che il debitore abbia esercitato la facoltà di suddividere il suo passivo in classi.

Negli altri casi l'opposizione potrebbe concernere solo profili di legittimità. Ci si chiede, tuttavia, se vi sia coerenza nel pensare a un limitato e blando intervento informativo del commissario sull'esistenza di una posizione conflittuale, quando si è in presenza di un sistema che mantiene tratti fortemente dirigistici. Va ricordato, infatti, il meccanismo d'interruzione traumatica della procedura, subordinato all'accertamento di una delle fattispecie di cui all'

art. 173 l. fall

.

In base a detta norma sembra sufficiente un difetto sostanziale nell'informazione fornita dal debitore perché il commissario possa provocare un procedimento per la revoca della procedura, sul presupposto che quella carenza avrebbe impedito al singolo creditore di poter esprimere il proprio voto in maniera consapevole e informata. E allora sfugge la ragione per la quale gli organi della procedura non potrebbero intervenire, in via preventiva, laddove la composizione del piano sia articolato in modo da impedire al creditore, non in conflitto, di esprimersi proprio sulla convenienza, poiché il suo interesse a ottenere, com'è naturale, il maggior realizzo possibile, sarebbe frustrato, poiché ininfluente.

In quest'ottica il commissario, attingendo il suo potere di rettifica dall'

articolo 171 l. fall

., potrebbe almeno proporre al giudice un provvedimento di esclusione dal voto ai sensi dell'

articolo 176 l. fall

., norma che attribuisce al giudice delegato la possibilità di ammettere un creditore contestato ai soli fini del voto (e quindi anche di escluderlo), purché gli si riconosca, come vuole l'opinione dominante, un potere officioso sul tema della legittimazione dei creditori a partecipare alla consultazione.

Si apre poi un ulteriore problema circa i possibili strumenti in mano al creditore escluso o al debitore insoddisfatto dell'esclusione, per contrastare la decisione del giudice circa l'esclusione del creditore in conflitto, la quale potrebbe pesare in senso negativo nel raggiungimento delle maggioranze.

Il provvedimento del Tribunale che dichiara inammissibile la proposta di concordato preventivo per mancata approvazione dei creditori, infatti, ai sensi degli

artt. 162

e

179 l. fall

. non è reclamabile.

Le vie percorribili sembrano due: il reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato ai sensi dell'

art

.

164 l. fall

., ovvero il ricorso in cassazione

ex art. 111 Cost.

, assunta la natura decisoria del provvedimento ex

artt. 162

-

179 l. fall

.

Il piano di salvataggio

Il piano di salvataggio, come detto, non può prescindere dall'offerta di soddisfazione, consistente in un‘attività economica, intesa in senso ampio, la cui dimensione va raffrontata con il patrimonio del debitore. In quest'ottica la legge richiede che il ricorso

ex art. 160 l. fall

. sia accompagnato dall'elenco estimativo dei beni. La proposta di concordato promossa dal debitore, infatti, a prescindere dal modello che viene utilizzato, mira, in ultima analisi, a ottenere l'effetto tipico dell'apertura della procedura, individuato dell'

art. 168 l. fall

., ossia la preclusione all'esercizio delle azioni esecutive. Con il ricorso alla procedura di concordato preventivo il debitore chiede implicitamente ai creditori di rinunciare all'esercizio coattivo dei propri diritti sulla garanzia patrimoniale di cui godono, che, nello specifico, potrebbe essere una prelazione su un singolo bene, ma che, in generale, riguarda l'intero patrimonio ai sensi dell'

art 2740 c.c.

I due modelli di concordato

Ciò premesso, i modelli di concordato si dividono in due tipologie, quella liquidatoria, che in sostanza offre ai creditori il realizzo monetario del proprio patrimonio sotto diversificate forme, e l'altra c.d. ristrutturatoria che, offrendo un prevedibile valore aggiunto o un bene di provenienza esterna, vuole mantenere nelle mani del debitore il patrimonio, compresa l'azienda e i suoi rami.

Si è detto che la caratteristica principale della riforma è la connotazione privatistica e negoziale del concordato preventivo, dalla quale tuttavia si distingue per la sua caratteristica modalità di incontro tra proposta e accettazione.

Ciò che manca nel concordato è una fase preliminare, un'attività pre-negoziale in cui proponente e offerente si incontrano e magari smussano le proprie posizioni radicali, per arrivare poi alla definizione pattizia, soprattutto, del dato di natura economica, ossia del corrispettivo.

Il concordato preventivo è caratterizzato da un fenomeno diverso, che vede elaborata la proposta dal debitore in assoluta solitudine, anche perché fino al momento del deposito del ricorso egli non ha nemmeno una controparte, intesa in senso unitario: i creditori in quella fase costituiscono, per così dire, un brodo indistinto, ma non un interlocutore. Questo significa che il debitore sarà naturalmente proteso a fornire informazioni secondo una prospettiva valutativa più vicina al proprio interesse, che è quello di ottenere l'esdebitazione invogliando i creditori al voto. Ne consegue che, rispetto ai due modelli generali di concordato, l'atteggiamento del debitore, nella fase di elaborazione del piano, potrebbe essere di questo tipo: nel caso di concordato liquidatorio tenderà a rappresentare i valori del suo patrimonio nel modo migliore possibile; al contrario, nel concordato ristrutturatorio, dove chiede ai creditori di rinunciare all'aggressione del patrimonio per lasciarlo nelle sue disponibilità, potrebbe non resistere alla tentazione di rappresentare dei valori tendenzialmente inferiori a quelli concretamente realizzabili.

In quest'ottica, il far emergere possibili asimmetrie valutative è compito del commissario giudiziale, attraverso idonee stime, la cui redazione, proprio per tale ragione, appare necessaria, come sembra affermare l'

art. 172 l. fall

. nella parte in cui impone al curatore la redazione di un inventario del patrimonio, nonché nella parte in cui rinvia al giudice delegato la nomina di stimatori. La suesposta considerazione sulla possibile condotta del debitore nella fase di elaborazione del piano ci induce anche ad affermare che le asimmetrie valutative sono la fisiologia del concordato preventivo, così come non deve destare stupore intravedere un intento speculativo da parte del terzo che, anche nella veste di assuntore, affianchi il debitore nel piano di salvataggio. Ci dice il senso comune che egli sarà mosso anche dall'aspirazione a ottenere un vantaggio a scapito delle contrapposte aspettative dei creditori.

Le stime del commissario svolgono quindi un'irrinunciabile funzione informativa a favore dei creditori anche nella prospettiva di consegnare loro tutti gli elementi indispensabili per l'espressione di un consenso informato. E in tale prospettiva, le valutazioni debbono essere, a nostro giudizio, diversificate in relazione alle ipotesi di dismissione dei beni ceduti, nonché funzionali alle alternative praticabili rispetto concordato.

Non va, infatti, dimenticato che ai sensi dell'art. 105, richiamato dall'

art 182 l. fall

., una volta omologato il concordato con cessione, il commissario liquidatore, qualora la proposta non preveda una particolare modalità di vendita, dovrà decidere se procedere alla vendita unitaria oppure atomistica dei beni, prendendo a base il loro diverso prevedibile realizzo.

In tutti gli altri casi, la comparazione tra cessione singola o aziendale dovrà ugualmente essere eseguita dal commissario, poiché la scelta si riproporrebbe nel caso in cui il concordato naufragasse in fallimento. Qui il curatore non avrebbe altra scelta che applicare l'

art. 105 l. fall

.

Ciò significa che le stime dovranno guardare ai criteri reddituali in relazione alle aziende o suoi rami di cui è composto il patrimonio, da mettere a confronto con i criteri patrimoniali per dare ragione dell'ipotetico realizzo ricavabile dalle vendite atomistiche, senza peraltro tralasciare informazioni aggiuntive quali le ipotetiche azioni di recupero teoricamente praticabili nell'ipotesi di fallimento. Solo così il creditore avrà a disposizione la massima informazione sulla proposta e valutarne la convenienza.

La valutazione del piano non è tuttavia limitata alla sovrapposizione tra il passivo concorsuale e l'attivo proposto per soddisfarlo. Il commissario dovrà, altresì, proiettare la sua analisi anche sugli aspetti di legittimità sostanziale del contenuto della proposta. Verificare, quindi, se il percorso, anche negoziale, programmato per ottenere l'esdebitazione sia o meno intaccato da vizi di natura giuridica, o da altri impedimenti di varia origine. Attività queste non classificabili in schemi o modelli, ma che si plasmeranno in relazione al contenuto della proposta.

La presentazione della relazione del commissario

La sintesi e le conclusioni di tutta l'attività del commissario troveranno la loro sede espositiva nella relazione

ex art. 172 l. fall

. da presentare all'adunanza dei creditori. Tale norma non richiede esplicitamente al commissario di formulare un parere sul piano, anche se non potrà negarsi allo stesso, nel descrivere la proposta e il suo contenuto, la rappresentazione di un proprio punto di vista, di stampo professionale e quindi non arbitrario, ma coerente con i canoni della scienza economico/giuridica, in relazione alla ponderazione del piano. Ma un parere positivo/negativo espresso dall'organo di vigilanza ai creditori nel momento in cui essi esprimono liberamente il loro consenso, al culmine di un personale giudizio sulla convenienza, potrebbe risultare condizionante.

Il parere andrà invece dato al Tribunale, secondo l'

art

.

180 l. fall

., nel corso del giudizio di omologazione e ciò perché l'eventuale sindacato sul merito non potrà che fondarsi su basi oggettive, e quindi sul parere motivato del commissario.

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