Speciale Decreto Sviluppo - Riflessioni su rapporto di lavoro subordinato e nuove norme fallimentari in tema di continuità aziendale

Giuseppe Goffi
06 Agosto 2012

La revisione della legge fallimentare si pone il manifesto obiettivo di favorire la continuità aziendale e, conseguentemente, anche la circolazione dei compendi aziendali in crisi.Gli Autori prendono, dunque, in esame le nuove norme laddove esse spiegano - o possono spiegare - effetti o conseguenze rispetto ai rapporti di lavoro subordinato ricompresi in aziende o rami d'azienda interessati da trasferimenti ovvero da processi di ristrutturazione.
Rapporto di lavoro subordinato e continuità aziendale

Il primo aspetto rilevante deve rinvenirsi nella novità rappresentata dalla possibilità di depositare una domanda di “pre-concordato”, la cui pubblicazione nel registro delle imprese determina gli effetti di congelamento dei crediti previsti dall'

art. 168 Legge Fallimentare

.

Tale “congelamento” dei crediti - la cui durata può variare tra i sessanta ed i centoventi giorni (prorogabile di ulteriori sessanta) - può evidentemente riguardare anche eventuali crediti vantati a vario titolo dai prestatori di lavoro subordinato (non è infrequente, infatti, che l‘impresa in crisi, nel momento immediatamente antecedente all'“approdo” ad una procedura di risanamento, possa essere venuta meno ai propri doveri retributivi).

Per un periodo che varia quindi dai sessanta ai centottanta giorni antecedenti la presentazione della proposta (comprensiva del piano e della relativa documentazione), non possono essere intraprese azioni esecutive o cautelari (l'estensione a queste ultime è frutto della riforma in questione) aventi ad oggetto crediti di lavoro.

In tale periodo di “interregno”, peraltro, potrebbero darsi due diverse ipotesi:

  • nell'ottica di una prosecuzione quantomeno parziale dell'attività aziendale, e quindi di risanamento, dovrebbe presumersi - stante l'espressa facoltà per l'imprenditore di dare corso liberamente ad atti di ordinaria amministrazione - una continuazione delle prestazioni lavorative e quindi dell'obbligo retributivo/contributivo. Ciò presupporrebbe, ancorché con la garanzia della prededucibilità (“[…] I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell'art. 111.”), un maggiore rischio per i dipendenti, laddove si chiederebbe loro di effettuare un considerevole atto di fiducia prestando la propria attività senza conoscere nel dettaglio le logiche del prospettato risanamento;

  • nell'ottica parzialmente o totalmente liquidatoria, allorché nell'imminenza o immediatamente dopo il deposito della domanda di pre-concordato venisse dato corso a procedure di licenziamento collettivo, i crediti conseguentemente maturati dai prestatori di lavoro (ad esempio, sotto forma di indennità derivante da accordi sindacali raggiunti), potrebbero avere o non avere il “rango” di crediti prededucibili a seconda del momento dell'insorgenza, e dunque fornire elementi di sicurezza e di credibilità totalmente differenti.

L'aspetto dei crediti di lavoro

, nell'ottica degli effetti della domanda di pre-concordato, pare dunque fornire diversi temi di riflessione.

Il periodo di “interregno”, nell'ottica della continuità, induce a presagire difficoltà nel richiedere ed ottenere fiducia dalle risorse umane e dai loro rappresentanti sindacali, a fronte di mere ipotesi o bozze di piani di risanamento, e quindi con un notevole margine di incertezza (ancorché, lo si ribadisce, con la prospettiva della prededuzione dei crediti maturandi).

Nell'ottica della liquidazione e quindi della cessazione (anche soltanto parziale) dei rapporti di lavoro, il periodo di interregno sancisce invece una netta distinzione tra i crediti maturati per effetto di eventuali procedure collettive di cessazione dei rapporti lavorativi esaurite prima o durante il periodo di interregno e, dunque, a seconda del momento in cui esse vengano definite e poste in essere, ponendo grandi incertezze anche con riferimento alle stesse tempistiche di liquidazione delle indennità eventualmente concordate in esito alle trattative sindacali.

Peraltro, ancora con riferimento ai crediti di lavoro, il nuovo art. 186-bis, disciplinante il concordato con continuità aziendale (sia attraverso la prosecuzione dell'attività dell'azienda, sia attraverso il trasferimento di quest'ultima), al comma 2, lettera c), prevede testualmente che “il piano può prevedere una moratoria fino a un anno dall'omologazione per il pagamento dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la prelazione”.

La norma non distingue espressamente tra privilegi generali e speciali, sicché -interpretata letteralmente - deve ritenersi applicabile, tra il resto, anche ai crediti muniti di privilegio generale di cui all'art. 2751-bis, comma 1, numero1), con la non trascurabile conseguenza che un credito lavorativo sorto e/o maturato anteriormente al deposito della domanda di pre-concordato (laddove presente) potrebbe subire complessivamente una consistente dilazione (certamente superiore al passato), rappresentata dalla somma del periodo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso e l'apertura della procedura (da sessanta a centottanta giorni), del periodo intercorrente dall'apertura della procedura al decreto di omologa e, infine, dell'eventuale periodo di moratoria successivo all'omologazione (fino ad un anno).

Proseguendo, l'introduzione del nuovo art. 169-bis, in tema di scioglimento e/o di sospensione dei contratti in corso a richiesta del debitore, fa espressamente salvi -unitamente ad altri rapporti contrattuali - i contratti di lavoro subordinato, con ciò scongiurando un evidente contrasto con la normativa in tema di licenziamenti individuali e collettivi, tra il resto modificata dalla recente Riforma Fornero.

Quest'ultima riforma, in particolare, induce ad alcune brevissime riflessioni in rapporto alle tematiche qui trattate afferenti la ristrutturazione dell'impresa in crisi.

Relativamente ai licenziamenti individuali per motivi economici, che possono talvolta contraddistinguere la vita dell'impresa anteriormente all'accesso alle procedure pre-concorsuali e quindi - in ipotesi di contenzioso - determinare il rischio di passività sopravvenienti di difficile quantificazione, oltreché - ricorrendo il requisito dimensionale della cosiddetta stabilità reale - addirittura del ripristino del rapporto lavorativo (reintegrazione), si rinviene una rilevante novità.

L'introduzione del licenziamento per motivi economici ed organizzativi, ipotesi statisticamente probabile nelle anzidette situazioni, prevede un regime sanzionatorio

- in ipotesi di accertamento dell'insussistenza dei presupposti - esclusivamente economico, rappresentato dall'applicazione di un'indennità risarcitoria ricompresa tra 12 e 24 mensilità della retribuzione globale di fatto. Il reintegro resta “confinato” alle sole ipotesi di manifesta infondatezza.

Ebbene, nell'ottica delle attestazioni che accompagnano il piano concordatario o di risanamento, l'aver limitato il regime sanzionatorio ad un rimedio economico (sia pure di entità assai gravosa per il datore di lavoro) consente di formulare “prognosi” meno incerte laddove si prospetti un contenzioso non conciliato al momento della presentazione del piano stesso ai creditori.

Un breve cenno meritano, sempre nell'ottica della presente trattazione, anche le novità introdotte dalla Riforma Fornero

nelle procedure dilicenziamento collettivo, molto frequenti nell'imminenza dei processi di ristrutturazione in esame ovvero durante i medesimi.

Si segnalano tra siffatte novità, quali elementi suscettibili di agevolare o quantomeno mitigare gli eventuali effetti pregiudizievoli derivanti da errori commessi e da conseguenti contestazioni emerse, le seguenti:

  • i vizi afferenti la comunicazione preventiva di avvio della procedura sono suscettibili di sanatoria in sede di accordo sindacale;

  • i vizi procedurali non sanati possono dare origine soltanto ad un'indennità risarcitoria ricompresa tra 12 e 24 mensilità e non al reintegro.

Sono evidenti le ricadute, in questo caso positive, rispetto a piani di risanamentoovvero a concordati preventivi, specie laddove le procedure di licenziamento collettivo abbiamo preceduto il trasferimento di compendi aziendali (sottoposti a “cura dimagrante” in funzione della sostenibilità del piano industriale e finanziario sottostante).

Le chance di sanatoria formale in sede di trattativa e di accordo sindacale consentono di escludere potenziali impugnative individuali, laddove il consueto carattere di urgenza di tali situazioni frequentemente determina l'esistenza di vizi della comunicazione di avvio della procedura

ex art. 4, commi III e IV, legge n. 223 del 1991

.

Inoltre, i vizi formali sfuggiti alla sanatoria in sede sindacale, non essendo suscettibili di determinare la reintegrazione nel posto di lavoro, limitano i rischi al risarcimento economico e, soprattutto, escludono ricadute pericolose sugli eventuali cessionari dell'azienda o di rami di essa per effetto degli obblighi solidali sanciti dall'

art. 2112 c.c.

(specie allorquando la procedura di mobilità ed i conseguenti recessi intimati precedono di poco il trasferimento di azienda o di parte di essa).

Richiamando quanto sopra commentato per l'ipotesi del licenziamento individuale, la riduzione dei potenziali rischi, e soprattutto l'eliminazione del reintegro per le fattispecie patologiche del licenziamento collettivo originate da vizi formali, forniscono - ancora in sede di valutazione delle conseguenze di contenziosi latenti o non conciliati - maggiori spazi di attendibilità e minore aleatorietà all'attestazione prodromica alle procedure in commento.

Un brevissimo richiamo meritano, rispetto alle tematiche di trasferimento di compendi aziendali in crisi - anche in sede di concordato di risanamento come dettagliatamente normato dal nuovo art. 186-bis -, le conseguenze del combinato disposto degli

artt. 2112 c.c.

e 47, legge n. 428 del 1990 (su ilFallimentarista.it: Affitto e trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda dell'impresa in crisi: profili giuslavoristici, luglio 2012).

Come noto, con riferimento alle ipotesi di trasferimento di compendi aziendali, le norme in questione stabiliscono - tra il resto - alcune ipotesi di derogabilità del disposto dell'

art. 2112 c.c.

(commi 4-bis e 5 dell'

art. 47, legge n. 428 del 1990

), e ciò tanto con riferimento alla continuazione dei rapporti di lavoro, quanto con riferimento all'obbligo di mantenimento delle condizioni economico/normative pregresse ed all'obbligo solidale tra cedente e cessionario per i crediti maturati dai prestatori di lavoro fino al momento del trasferimento.

Con particolare riferimento alle ipotesi del concordato di risanamento e degli accordi di ristrutturazione del debito, essendo assente la finalità liquidatoria, deve ritenersi esclusa ogni possibilità di deroga agli obblighi di cui all'

art. 2112 c.c.

in ipotesi di trasferimento di compendi aziendali, che di tali fattispecie costituiscano gli effetti o l'esecuzione.

In altre parole, secondo una corretta interpretazione della normativa e giurisprudenza comunitaria di riferimento, proprio il requisito della continuità dell'attività aziendale deve indurre a considerare non applicabili le suddette deroghe legali, con la conseguenza che un eventuale accordo - pur raggiunto d'intesa con le associazioni sindacali che abbiamo preso parte alla consultazione -, che preveda la disapplicazione parziale dell'

art. 2112 c.c.

relativamente agli obblighi summenzionati, non può considerarsi vincolante ed inoppugnabile da parte dei singoli lavoratori.

L'incertezza - in termini di potenziali contenziosi successivi - suscettibile di determinarsi riveste frequentemente un ruolo negativo nelle effettive chance di riuscita del programmato risanamento.

Per garantire adeguatamente il cessionario dai rischi di pagamento in via solidale di debiti del cedente ovvero di vedere successivamente mutato il numero di prestatori di lavoro rispetto a quelli contrattualmente interessati dal trasferimento (per effetto di eventuali azioni giudiziali intraprese con successo dagli esclusi), l'unico rimedio resta quello di acquisire - a latere dell'accordo sindacale - rinunzie individuali, validamente raggiunte ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di rito, dei prestatori interessati dall'esclusione ovvero privati del beneficio dell'obbligazione solidale in capo al cessionario.

Ovviamente, nella maggior parte dei casi, laddove il numero di lavoratori interessati sia rilevante, il rimedio in questione si rivela arduo da conseguire specie se al contempo sussistono esigenze di urgenza.

Le definitive conseguenze sono, in alternativa, o il naufragio del risanamento o del salvataggio (di quanto resta) dell'attività produttiva. ovvero la definizione di percorsi altamente rischiosi ed i cui impatti economici finali sfuggono a valutazioni certe (sempre nell'ottica delle esigenze di corretta attestazione).

Per concludere, nel complesso la riforma offre interessanti spunti ed opportunità anche sul fronte giuslavoristico, con la sola eccezione dei destini e delle conseguenze del passaggio dei rapporti di lavoro in sede di circolazione dell'azienda in crisi, elemento senz'altro distonico - a giudizio di chi scrive - rispetto ad una normativa correttamente e complessivamente intesa a favorire, nell'odierno contesto economico, il salvataggio e la prosecuzione delle imprese.

Del resto, qualora il Legislatore nazionale si spingesse ad ampliare l'ambito della deroga all'

art. 2112 c.c.

- già contemplata ai commi 4-bis

e 5 dell'

art. 47, legge n. 428 del 1990

- estendendola anche al concordato in continuità, al pre-concordato della riforma ed agli accordi di ristrutturazione, la relativa normativa italiana incorrerebbe nuovamente nella censura della CGE già manifestata nella sentenza 11 giugno 2009 in causa n. 571 del 2007 secondo cui “…mantenendo in vigore le disposizioni di cui all'

art. 47 commi 5 e 6 della legge n. 428/1990

, in caso di <crisi aziendale> a norma dell'

art. 2 quinto comma lett. c), della legge n. 675/1977

, in modo tale che i diritti riconosciuti ai lavoratori dall'art. 3 nn. 1, 3, 4,

nonché dall'art. 4 della direttiva 2001/23 non sono garantiti nel caso di trasferimento di un'azienda il cui stato di crisi sia stato accertato, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva”. Prospettiva inquietante alla luce del fatto che, secondo la giurisprudenza della CGE, in tal caso il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la norma nazionale confliggente con la direttiva, data la prevalenza assoluta di quest'ultima.

Gli ammortizzatori sociali nella domanda di pre-concordato e la riforma del lavoro

L'

art. 3, comma 1, della Legge n. 223/91

consente l'accesso al trattamento integrativo salariale per un periodo non superiore a dodici mesi alle imprese ammesse alla procedura di concordato preventivo consistente nella cessione di beni qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata.

Ora, la revisione della

legge fallimentare

per favorire la continuità aziendale consente all'imprenditore di depositare la domanda di concordato riservandosi di presentare la proposta, il piano e la prescritta documentazione entro in termine fissato dal giudice compreso fra sessanta e cento venti giorni, eventualmente prorogabile di ulteriori sessanta. Gli effetti della presentazione del ricorso decorrono dalla pubblicazione nel registro delle imprese.

Nell'intertempo tra il deposito della domanda di concordato ed il termine assegnato dal giudice per il deposito del piano e della documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'

art. 161 l.

fall

., l'imprenditore, alternativamente alla domanda di concordato preventivo, può altresì optare per l'accordo di ristrutturazione dei debiti con il deposito della domanda ai sensi del primo comma dell'art. 182-bis .

Considerato quindi, che vi è un periodo nel quale l'imprenditore può decidere se proporre un accordo di ristrutturazione del debito o presentare un piano concordatario, sono da esaminare quali possibilità di accesso agli ammortizzatori sociali vi siano per l'impresa.

Fermi restando i requisiti oggettivi e soggettivi necessari per ottenere la concessione del trattamento integrativo salariale straordinario, ad avviso dello scrivente, indipendentemente dall'opzione che eserciterà, l'imprenditore potrà comunque accedere al trattamento integrativo salariale

ex art. 3, comma 1, legge n. 223/91

dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.

Qualora l'imprenditore opti per il ricorso al concordato preventivo, l'ammortizzatore sociale sopra citato avrà durata di dodici mesi dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro imprese analogamente a quanto accadeva prima della revisione della

legge fallimentare

quando l'accesso al trattamento integrativo salariale decorreva dalla data della dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo (

Legge 236/1993

, circolare Ministero del Lavoro n. 48 del 13 luglio 2000) ai sensi del primo comma dell'art. 163

l.

fall

.

Anche nel caso di istanza di omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito l'imprenditore potrà ottenere la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria. In questo senso si è infatti già espresso il Ministero del Lavoro con riguardo al tema del trattamento straordinario di integrazione salariale ai sensi dell'

art. 3 comma 1 legge 223/91

per accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'

art. 182-

bis

l.

fall

., rispondendo ad un quesito posto da una società in liquidazione, con procedura di accordo di ristrutturazione del debito pubblicato ma non ancora omologato, sulla possibilità di ottenere la concessione del trattamento integrativo salariale per la causale delle imprese sottoposte a procedura concorsuale (Ministero del Lavoro, Direzione Generale degli ammortizzatori sociali e I.O., Divisione IV, protocollo 14/4314 del 17 marzo 2009). Per il Ministero del Lavoro vi sarebbe infatti sostanziale coincidenza fra le procedure. Entrambe hanno come presupposto la crisi d'impresa ed un accordo o proposta della ripartizione del debito che coinvolge direttamente i creditori con a corredo una relazione redatta da un professionista che garantisce fattibilità e veridicità delle proposte.

Alla luce di quanto sopra parrebbe quindi certa la facoltà di accesso al trattamento integrativo salariale straordinario ai sensi del primo comma dell'

art. 3 legge 223/91

con decorrenza dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e, in caso di mancata omologa dell'accordo di ristrutturazione così come di mancata omologazione del concordato, il trattamento già concesso verrebbe interrotto.

Per le imprese che non hanno cessato l'attività o per cui non sia stata disposta la cessazione, l'accesso al trattamento integrativo salariale, qualora necessario, è ammesso ai sensi dell'

art. 1 della legge 223/91

nelle fattispecie di:

  • crisi aziendale con un piano di gestione del personale che nel corso della cassa integrazione guadagni straordinaria o al termine della stessa dovesse risultare in esubero;

  • riorganizzazione aziendale con predisposizione del programma nel quale devono essere illustrate le ragioni dell'impresa che hanno condotto l'azienda ad intraprendere l'azione di riorganizzazione con presentazione di un programma di interventi volti a fronteggiare inefficienze della struttura gestionale per squilibri tra apparato produttivo, commerciale, amministrativo (Art. 1, D.M. 20 agosto 2002);

  • ristrutturazione aziendale ove è necessario che l'impresa presenti un programma (Art. 4, D.M. 20 agosto 2002) caratterizzato dalla prevalenza degli investimenti per impianti fissi ed attrezzature direttamente impegnate nel processo produttivo rispetto al complesso degli investimenti previsti nell'arco temporale di esecuzione del programma aziendale. Nel programma deve inoltre risultare come l'impresa intenda procedere con l'attività di formazione e riqualificazione professionale.

In futuro bisognerà poi tener conto dell'abrogazione disposta dalla

legge n. 92 del 28 giugno 2012

, con decorrenza dal

1 gennaio 2016, dell'art. 3 della legge 223/91

.

Il legislatore ritiene infatti che la cassa integrazione in favore dei dipendenti di aziende sottoposte a procedura concorsuale costituisca impropriamente una funzione sostitutiva dell'indennità di disoccupazione.

Sebbene CGIL, CISL, UIL e Confindustria abbiano chiesto il ripristino della CIGS per le aziende sottoposte a procedure concorsuali, l'emendamento confermerebbe la soppressione del trattamento integrativo salariale straordinario dal 1 gennaio 2016 nei casi di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di amministrazione straordinaria e di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, nonché nei casi di aziende sottoposte (ai sensi della disciplina contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso) a sequestro o confisca.

Vi è inoltre una modifica del testo nella parte in cui la norma, ora, consente l'accesso alla Cigs alle imprese sottoposte a procedura concorsuale qualora la continuazione dell'attività non sia disposta o sia cessata, con l'inserimento della diversa previsione che reciterebbe: “quando sussistano prospettive di continuazione o ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali

”.

Spesso le imprese in stato d'insolvenza non hanno perso completamente il potenziale produttivo e l'intervento dell'integrazione salariale ha consentito in passato la salvaguardia, anche parziale, dell'occupazione, evitando la disgregazione della struttura aziendale.

Questa modifica escluderebbe quindi dalla possibilità di accedere allo strumento di integrazione salariale straordinaria tutte le imprese in crisi che ricorreranno al concordato preventivo per cessione di beni ovvero all'accordo di ristrutturazione del debito in assenza di possibili soluzioni idonee alla conservazione dell'attività d'impresa, imponendo quindi l'avvio delle procedure per la risoluzione dei contratti di lavoro subordinato.

L'Assicurazione Sociale per l'Impiego (ASPI)

E' doveroso, nell'ipotesi di inaccessibilità alla CIGS per l'impresa in stato d'insolvenza, fare un accenno all'ASPI (Assicurazione Sociale per l'Impiego), nuovo strumento istituito dalla

legge 92/2012

con effetto dal 1° gennaio 2013 in sostituzione dell'indennità di disoccupazione ordinaria, dell'indennità di mobilità e dei trattamenti speciali di disoccupazione in edilizia.

La nuova indennità si applicherà a tutti i lavoratori subordinati del settore privato e interesserà anche gli apprendisti ed i soci lavoratori di cooperativa con contratto di lavoro subordinato.

I requisiti di contribuzione e di anzianità assicurativa per avere il diritto alla percezione dell'indennità restano quelli previsti per l'indennità ordinaria di disoccupazione. L'unica differenza rilevata, che amplia l'intervento dell'ammortizzatore sociale, è data dall'anzianità assicurativa che dovrà essere di almeno due anni anziché superiore ai due anni di assicurazione. In sintesi, ai fini dell'erogazione dell'indennità saranno necessari: lo stato di disoccupazione, due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l'inizio del periodo di disoccupazione.

L'indennità non spetterà in caso di dimissioni e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Spetterà invece, qualora la risoluzione intervenga nell'ambito della procedura preventiva ed obbligatoria di tentativo di conciliazione.

L'indennità verrà determinata con riferimento alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali sulla media degli ultimi due anni. Nel calcolo saranno inclusi gli emolumenti non continuativi e le mensilità aggiuntive.

L'importo iniziale sarà pari al 75 per cento per la fascia di retribuzione sino a 1.180,00 euro mensili, mentre, se la retribuzione è superiore, si aggiungerà il 25% della differenza fra la retribuzione mensile ed 1.180,00 euro. Il trattamento sarà poi ridotto di una quota pari al 15% decorsi i primi sei mesi e, nei casi previsti, subirà un'ulteriore decurtazione, sempre del 15%, dopo il dodicesimo mese. L'indennità mensile non potrà in ogni caso superare l'importo mensile massimo del trattamento integrativo salariale. L'indennità esclude inoltre qualsiasi contribuzione di previdenza ed assistenza sociale, a valere sul trattamento.

La durata massima del trattamento per gli eventi di disoccupazione verificatisi, rispettivamente, a decorrere a decorrere dal 1° gennaio 2016 e nel periodo 1° gennaio 2013 - 31 dicembre 2015, sarà di 12 mesi per i lavoratori fino a 55 anni, e 18 mesi per i lavoratori con più di 55 anni.

Vi è inoltre, in via sperimentale per il periodo 2013-2015 e nei limiti delle risorse annue stabilite, la possibilità per il percettore dell'indennità di instare per la liquidazione anticipata dell'indennità al fine di favorire l'avvio di attività di lavoro autonomo.

Sempre dal gennaio 2013, per coloro che non hanno i requisiti per ottenere l'indennità sopra citata, vi sarà la possibilità di accedere ad un trattamento ASpI in forma ridotta (cosiddetta mini-ASpI). La mini ASpI sarà l'equivalente dell'attuale indennità di disoccupazione a requisiti ridotti. L'indennità è determinata con i medesimi criteri ma con riconoscimento

ridotto ad un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione che il richiedente può far valere nell'ultimo anno di assicurazione, dedotti gli eventuali periodi di indennità fruiti nel periodo. Per accedere al trattamento mini-ASpI occorrono negli ultimi dodici mesi almeno 13 settimane di contribuzione, dovuta o versata, per l'assicurazione obbligatoria, mentre non viene richiesto il requisito dell'anzianità contributiva.

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