L’infelice sorte dei decreti ministeriali sui compensi agli organi delle procedure minori

25 Ottobre 2012

E' illegittimo per disparità di trattamento, e pertanto il Giudice può disapplicarlo, il D.M. 25 gennaio 2012 n. 30 nella parte in cui prevede che il compenso per il Commissario Giudiziale del concordato preventivo venga quantificato - in caso di concordati preventivi liquidatori - sull'attivo realizzato, anziché sul valore dell'attivo risultante dall'inventario redatto ai sensi dell'art. 172 l. fall.
Massima

E' illegittimo per disparità di trattamento, e pertanto il Giudice può disapplicarlo, il D.M. 25 gennaio 2012 n. 30 nella parte in cui prevede che il compenso per il Commissario Giudiziale del concordato preventivo venga quantificato - in caso di concordati preventivi liquidatori - sull'attivo realizzato, anziché sul valore dell'attivo risultante dall'inventario redatto ai sensi dell'art. 172 l. fall.

Il caso

Il Tribunale di Terni, chiamato a determinare l'ammontare del compenso spettante ad un Commissario Giudiziale di un concordato preventivo, ha ritenuto di dover disapplicare l'art. 5 del predetto decreto. In particolare, la disposizione citata è stata ritenuta incongrua, in quanto il metodo di calcolo del compenso ivi previsto creerebbe una non giustificata disparità di trattamento tra la remunerazione del Commissario che viene nominato nell'ambito di un concordato di tipo liquidatorio e quella spettante all'organo chiamato al controllo su procedure concordatarie di diverso genere (in particolare, quindi, quelle aventi finalità e struttura “conservative”).

Le questioni giuridiche e la soluzione

La pronuncia in commento si colloca nell'ambito di una corrente giurisprudenziale consolidatasi nel tempo con riguardo ai provvedimenti ministeriali via via susseguitisi a regolamentare la determinazione dei compensi spettanti agli organi delle procedure concorsuali minori, tutti ritenuti in qualche misura inadeguati e per tale ragione spesso considerati disapplicabili dai giudici ai fini della liquidazione degli emolumenti riconosciuti ai Commissari giudiziali nell'ambito dei concordati preventivi e dell'ormai abrogata amministrazione controllata.
D.M. 27 novembre 1976, che aveva espressamente esteso al concordato preventivo, sulla base del rinvio all'art. 39 contenuto nell'art. 165 l. fall., il regime del compenso del curatore (Cass. 4 giugno 1983, n. 3810, in Fall., 1984, 266; Trib. Milano, 23 gennaio 1981, in Fall., 1981, 925), ponendo fine alle incertezze espresse sul punto in considerazione della diversa natura dei compiti - appunto, non liquidatori - affidati al Commissario, dubbi che, tuttavia, permangono tuttora nei commenti.
Successivamente, sulla materia era intervenuto l'art. 5 del D.M. 17 aprile 1987, il quale ha previsto che il compenso del commissario giudiziale fosse determinato sull'ammontare dell'attivo e del passivo risultanti dall'inventario redatto ai sensi degli artt. 172 e 188, ridotto alla metà, metodo peraltro poi ancora rivoluzionato dal successivo D.M. 28 luglio 1992, n. 570, che non solo prevedeva la possibilità di liquidare al Commissario un compenso raddoppiato rispetto a quello spettante al curatore fallimentare in base agli stessi parametri basati sull'attivo ed il passivo - non liquidati, ma indicati nella relazione ex art. 172 l. fall. -, ma addirittura riconosceva all'organo commissariale un ulteriore compenso per la fase di liquidazione - parametrato stavolta sui valori realizzati - sempre corrispondente a quello liquidabile al curatore (per alcune applicazioni confermative di tale criterio di calcolo: Trib. Sulmona, 17 novembre 2005, in Fall., 2006, 1199; Trib. Roma, 12 marzo 1998 e Trib. Roma, 19 gennaio 1998, in Dir. Fall., 1998, 1203, che peraltro interpretano la previsione nel senso che il compenso deve solo tener conto dell'ulteriore attività, senza che debba necessariamente essere liquidato un doppio emolumento).
La nuova tariffa aveva poi superato il vaglio di legittimità in relazione alla denunziata violazione dei principi di eguaglianza; peraltro, in tale occasione la Corte Costituzionale (Corte Cost., 30 dicembre 1993, n. 484) si era limitata a respingere, in quanto inammissibile, il rilievo sollevato da un tribunale di merito, osservando che la disciplina del D.M. 570/1992 aveva natura regolamentare, di modo che sulla sua legittima applicazione - e sull'eventuale violazione del parametro costituzionale - poteva esercitarsi il potere censorio del Giudice ordinario, sino a giungere alla disapplicazione delle previsioni ritenute incongrue.
Seguendo tale indicazione, non solo già su tali provvedimenti regolamentari la giurisprudenza aveva evocato a sé una certa facoltà discrezionale nell'applicazione (Cass. 15 settembre 1997, n. 9149), ma addirittura - negando l'assimilabilità del compito del commissario nel concordato all'importanza dell'opera del curatore - si era sviluppata una corrente che disapplicava tout court il metodo prescritto dai decreti ministeriali, ritenendolo non legittimo (Trib. Bologna, 15 maggio 1996, in Giur. Comm., 1997, II, 604; Trib. Vercelli, 28 maggio 1997, in Dir. Fall., 1997, II, 1229).
Pervero, quella sistematica disapplicazione è stata dichiarata illegittima dalla Suprema Corte (Cass. 28 marzo 2000, n. 3691), ma solo dopo qualche oscillazione (in precedenza, ad esempio, Cass. 28 ottobre 1998, n. 10745 aveva avallato la citata prassi sostanzialmente abrogativa); peraltro, la giurisprudenza ha continuato a ritenere che - laddove l'applicazione della norma regolamentare poteva prestarsi ad eccessi - potesse essere utilizzata la possibilità di graduare il compenso nell'ampia forbice tra minimi e massimi ed altresì ridurlo, di fatto negando la parte di compenso per la fase esecutiva (Cass. 1 agosto 1997, n. 7147) o quantomeno sostenendo che per tale “seconda fase” si potesse anche non liquidare nulla al Commissario in relazione alla percentuale parametrata sul valore del passivo del concordato (Cass. 9 aprile 2008, n. 9178).
La normativa regolamentare, poi, non era stata direttamente toccata dalla riforma e quindi il D.M. 30/2012 per la prima volta - a sei anni dalla riforma organica - andava a considerare la remunerazione dell'attività commissariale, in parte recependo i risultati dell'elaborazione giurisprudenziale pre-riforma (in particolare laddove la nuova regolamentazione sembra sopprimere di fatto la duplicazione connessa con il riconoscimento di un distinto compenso per l'opera prestata post-omologa, che l'art. 5 D.M. 30/2012 dichiara compreso nella liquidazione complessiva) e su altri aspetti innovando, invece, rispetto al passato, posto che viene introdotta una distinzione tra il concordato in cui siano previste “forme di liquidazione dei beni” e procedure diverse (potremmo ritenere, di tipo conservativo): solo per questa seconda tipologia di concordato permane il criterio di liquidazione basato sui valori indicati nella Relazione del Commissario ex art. 172 l. fall., poiché nel concordato per cessione, invece, il compenso sull'attivo verrebbe parametrato sull'esito concreto dell'attività liquidatoria (si veda il commento di P. Genoviva, La nuova tariffa per la determinazione dei compensi del curatore fallimentare, del commissario e del liquidatore giudiziale nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 525).
Proprio quest'ultima distinzione viene ritenuta iniqua dalla sentenza in commento e per l'effetto disapplicata in quanto illegittima, con la conseguente adozione, ai fini della liquidazione del compenso del Commissario, di un criterio di calcolo fondato sui valori indicati nell'inventario redatto nell'ambito della Relazione ex art. 172 l. fall..

Osservazioni

A nostro avviso la statuizione del Tribunale di Terni appare corretta alla luce dei principi giuridici generali e soprattutto in relazione ad un rilievo che si evince dalla motivazione addotta dai giudici umbri: la liquidazione concordataria ed il suo esito non dipendono in alcun modo dall'attività del Commissario e quindi semmai si tratta di un parametro che dovrebbe valere per il liquidatore concordatario per la fase successiva all'omologa (ed in effetti, una delle “novità” del D.M. 30/2012 è la previsione delle modalità di computo del compenso per tale organo) e non per l'attività di controllo del Commissario.
Sotto tale profilo, ciò che non deve essere obliato nella fissazione dei criteri per la remunerazione di un'attività che comunque assume natura professionale è il legame lato sensu meritocratico tra l'attività ed il compenso (nel senso cui faceva riferimento in passato, ad esempio, Cass. 21 gennaio 1988, n. 423, laddove precisava che “il compenso al commissario giudiziale deve essere determinato tenendo conto dell'opera prestata, dei risultati ottenuti, dell'importanza della procedura e della sollecitudine con cui sono state compiute le relative operazioni, i quali elementi possono desumersi, fra l'altro, anche dall'ammontare delle attività o delle passività”; cfr. Cass., 21 dicembre 1988, n. 6973). Al riguardo, già in passato, giustamente si riteneva dovesse essere adeguatamente motivata la quantificazione dell'importo liquidato in base appunto all'opera concretamente svolta ed ai risultati raggiunti (Cass. 19 maggio 2000 n. 6532; Cass. 21 marzo 2000, n. 3308; Cass., 14 aprile 1994, n. 3517); il che, peraltro, comporta nella fattispecie che il compenso possa essere rapportato all'attività che l'organo è chiamato a svolgere, non essendo razionale che il parametro sia costituito dall'esito di attività liquidatorie che non dipendono dalla attività svolta dal medesimo.
Vero è che, portando tale ragionamento alle conseguenze estreme, potrebbe lasciare perplessi che il compenso del Commissario resti ancorato al valore dell'attivo e del passivo indicati in Relazione - valori di fatto determinati da una verifica sui dati proposti dal debitore - che egli non contribuisce, per un verso, a gestire, né, con riguardo al passivo, a verificare in senso stretto [tant'è che, ad altri fini, si è sempre sottolineata la distinzione tra il compito svolto dal commissario ed il ruolo del curatore: cfr. Cass., 14 febbraio 2006, n. 3156; le perplessità erano state sollevate sul punto, ed in particolare circa la congruità dei compensi riconosciuti su un attivo non liquidato e sulla duplicazione del compenso per la fase successiva all'omologa, da P.F. Censoni, Commissario giudiziale, in Jorio e Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, 2395 ss. già in relazione al D.M. 570/1992].
Peraltro, occorre muovere da un'altra considerazione: proprio la riduzione dei momenti di verifica pubblicistica sulla “bontà” della proposta concordataria e proprio l'accentuazione del momento contrattuale rende più delicato il compito del Commissario Giudiziale, che diviene una sorta di garante del consenso informato dei creditori circa l'effettiva origine del dissesto e su eventuali perplessità sulla “tenuta” della proposta concordataria [sul ruolo del Commissario e sulla funzione della sua relazione: S. Pacchi - L. D'Orazio - A Coppola, Il concordato preventivo, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, Torino, 2009, 1858 ss.], controllo che si “esercita” proprio nella verifica dei valori dell'attivo e del passivo dichiarato nella proposta di concordato.
Pur non essendo questa la sede opportuna, non possiamo non richiamare sul punto gli arresti giurisprudenziali che confermano la prevalenza di un'interpretazione degli artt. 162, 173 e 180 l. fall. volta a limitare drasticamente il potere del Tribunale di entrare nel merito delle valutazioni compiute dall'esperto e più in generale in merito alla fattibilità del concordato (da ultimo: Cass., 16 settembre 2011, n. 18987; Cass., 23 giugno 2011, n. 13819; App. Firenze 14 giugno 2012, in DeJure).
A maggior ragione, se si dovesse condividere la tesi (arg. da Cass., 23 giugno 2011, n. 13818) secondo la quale la relazione del Commissario si rivolge prima e più che al Tribunale, proprio ai creditori, evidentemente la funzione di verifica dell'organo commissariale risulterebbe oggi ancor più determinante, posto che dal suo intervento censorio può derivare la presa di coscienza da parte dei creditori circa eventuali (dolose o anche solo frutto di eccessi di ottimismo) “forzature” del piano concordatario.
Appare, quindi, giustificato in tal senso il riconoscimento di un compenso in linea con l'importanza della procedura in cui si colloca l'opera del Commissario sulla base di parametri che giustamente possono essere presuntivamente desunti dal valore dell'attivo e del passivo coinvolti, fermo restando che proprio l'ampia “forbice” tra minimi e massimi consente al Tribunale di ispirarsi a criteri meritocratici e di parametrare in concreto il compenso in funzione della complessità e laboriosità del compito svolto dall'organo commissariale [ovviamente, l'utilizzo della discrezionalità dovrà essere verificabile alla luce di una motivazione effettiva delle scelte adottate dal Tribunale: P. Liccardo, Commissario giudiziale, in Nigro A. e Sandulli M. (a cura di) La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 2102 ss.)].
Non ci pare, d'altro canto, si possa ipotizzare una remora fondata sul dubbio che, rapportando il compenso al valore inventariato nella relazione ex art. 172 l. fall., si possa indirettamente indurre il Commissario a non eccedere nelle “svalutazioni” dei valori proposti dal debitori. Mi parrebbe una preoccupazione “maliziosa” che non può essere neppure presa in esame: in caso di palesi abusi, il Commissario risponderà in sede di azione di responsabilità, ma tale eventualità patologica non deve certo influire sui criteri generali di determinazione dei compensi.

Le questioni aperte

Alla luce di quanto fin qui considerato, solo la concreta applicazione (o disapplicazione) del D.M. 30/2012 da parte dei Tribunali potrà chiarire se nella prassi si opterà per l'utilizzo di criteri di liquidazione dei compensi del Commissario difformi da quelli dettati dalla citata normativa e soprattutto quali saranno le metodologie adottate per la quantificazione delle percentuali che saranno effettivamente riconosciute all'organo della procedura.
Ed invero, la nuova disciplina non interviene a monte su una questione che, come detto, si è sempre riproposta, ovvero la sostanziale differenza tra il ruolo del Commissario e quello del curatore e non è escluso che qualche Tribunale sollevi nuovamente la questione circa la legittimità del ricorso ad un criterio basato sui valori dell'attivo concorsuale - che si adatta all'attività di gestione della procedura affidato al curatore -, anche per determinare il compenso dovuto per l'operato di un organo di controllo che è di fatto più vicino ad una attività di consulenza professionale (in passato, il tentativo di applicare le tariffe professionali - nella specie dei commercialisti - per il compenso del liquidatore giudiziale, è stato peraltro respinto da Cass. 24 luglio 1997, n. 6924).
Sotto tale ultimo aspetto, forse, potrebbe aprirsi una questione che scaturisce dalle normative connesse con l'abolizione delle tariffe professionali. Ed invero, il D.M. 30/2012 viene alla luce il giorno successivo al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (ma prima che questo venga convertito il L. 24 marzo 2012, n. 27), il quale - all'art. 9 - statuisce che qualsiasi disposizione contraria in tema di quantificazione dei compensi del professionista deve intendersi abrogata in quanto incompatibile con la nuova “tecnica” di determinazione dei compensi.
Evidentemente, l'argomento non ha un rilievo diretto, poiché le tariffe per lo svolgimento dell'attività di un Organo di Giustizia (sul punto, si veda quanto precisa espressamente Cass. 11 aprile 2011, n. 8221, circa la derivazione dei poteri del Commissario direttamente dal Tribunale) nulla hanno a che spartire che la quantificazione dei compensi per la libera professione, ma non vi è dubbio che qualche problema potrà porsi in relazione alla palese disparità del metro di valutazione utilizzato per la liquidazione dei compensi agli incarichi concorsuali, confermato dal D.M. 30/2012, e l'orientamento del legislatore volto a non correlare il compenso professionale alla natura e ai risultati dell'attività, con la previsione di un forfait per fasi del processo, che addirittura pare prescindere dalla quantità (e dalla qualità) dell'opera professionale prestata. Sarà, quindi, interessante verificare se queste due diverse “ideologie” vivranno separate o se si presenteranno occasioni di conflitto.

Conclusioni

Quanto osservato induce a concludere che, come in passato, la determinazione del compenso agli organi del concordato dovrà per certi versi prescindere da criteri predeterminati - che avranno solo la funzione comunque garantistica di fissare una forbice di minimi e massimi - e fondarsi sulla precipua valorizzazione della qualità e dell'onerosità dell'attività che il Commissario sarà chiamato a svolgere, tenuto conto che la complessità di quell'organo è evidentemente inversamente proporzionale alla accuratezza del piano concordatario ed alla attendibilità e completezza della documentazione che il debitore metterà a disposizione dei creditori e del Tribunale al fine di valutare la proposta di composizione della crisi formulata dall'impresa.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La questione è stata sinora trattata solo in relazione alle disposizioni regolamentari ante-vigenti rispetto al D.M. 30/2012; a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale citato nel testo, scaturito dall'ordinanza di rimessione di Trib. Vicenza, 22 marzo 1993, in Fall., 1993, 1057, si sono susseguite numerose pronunzie di disapplicazione” del criterio di calcolo del compenso parametrato su quello del curatore, per irragionevolezza e disparità di trattamento rispetto alla diversa figura dell'organo del fallimento (Trib. Vercelli, 21 aprile 1994 e Trib. Piacenza, 2 maggio 1994, in Fall., 1994, 1082 con nota di S. Marchetti; Trib. Barcellona Pozzo di Gotto, 21 giugno 1996, in Dir. Fall., 1996, II, 934).
In particolare, il regolamento del 1992 è stato “disapplicato” soprattutto con riguardo alla previsione che liquidava un autonomo emolumento per la fase successiva all'omologa (Cass. 26 maggio 1997, n. 4670; Cass. 28 ottobre 1998, n. 10745, cit.; Trib. Cosenza, 14 novembre 1995, in Dir. Fall., 1996, II, 934; Trib. Velletri, 18 giugno 1994, in Fall., 1994, 1082; contra Cass. 27 novembre 1996, n. 10552; e la citata Trib. Roma, 12 marzo 1998, in Dir. Fall., 1998, 1203). La facoltà del Giudice di liquidare un compenso al di sotto dei minimi previsti per la figura del curatore, invece, risulta invocata solo per il caso peculiare in cui il Commissario aveva cessato l'incarico in corso di procedura (Cass. 19 marzo 1997, n. 2443).
Viceversa, si è ritenuto che la diversa e distinta natura dell'attività prestata dal Commissario che venga nominato altresì liquidatore giudiziale (secondo una prassi per vero poco commendevole per la commistione di posizioni attive e di controllo che ne deriva) del concordato, al medesimo spetteranno due autonomi compensi per le due cariche (Cass. 15 dicembre 2011, n. 27085).
E' pressoché pacifico che il commissario otterrà un distinto compenso se venga poi nominato curatore del fallimento che segua al concordato non andato a buon fine (Cass. 18 febbraio 2009, n. 3901; Cass. 22 gennaio 2009, n. 1608) ed addirittura si è ipotizzato un doppio compenso se ad un concordato non andato a buon fine ne segua un secondo (T. Messina, 6 ottobre 2006, in Fall., 2007, 471).
In dottrina, il dubbio sui parametri per quantificare l'emolumento, ovvero se dovesse essere calcolato sul soddisfo promesso ai creditori nella sentenza di omologazione del concordato oppure sull'ammontare effettivo distribuito, fu sollevato da C. Allorio, Osservazioni giuridiche circa il problema della identificazione del momento in cui debba effettuarsi la liquidazione del compenso del commissario giudiziale del concordato preventivo nel caso di concordato per cessione dei beni, in Riv. dott. comm., 1967, 5-7 ed è stato poi ripreso da A. Bonsignori, Concordato preventivo, in Commentario della legge fallimentare (a cura di Bricola, Galgano e Santini), Bologna, 1979; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, VII ed., Milano, 2008; ID., La liquidazione del compenso del curatore fallimentare e del commissario giudiziale nelle procedure concorsuali, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, 13, Milano, 1978.
Sulla disciplina della determinazione del compenso in base ai D.M. emanati ante riforma, si vedano E. Frascaroli Santi, Il concordato preventivo, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da L. Panzani, Torino, 2000; G. Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, Milano, 2008, 1496 ss.; S. Marchetti - R. Borrelli, Il compenso del commissario giudiziale nel concordato preventivo: criteri di determinazione da parte del Tribunale, in Fall., 2006, 1200; F. Montaldo, Consecuzione di procedure e compenso del curatore fallimentare, già commissario giudiziale, in Dir.Fall., 2007, II, 269; G. Vignera, Variazioni sul tema della liquidazione dei compensi ai commissari giudiziali, in Dir.Fall., 1996, II, 934.
Anche dopo la riforma, peraltro, la dottrina si è dovuta limitare a prendere atto del fatto che il legislatore non aveva toccato l'art. 165 l. fall. (I. Principe, Commissario giudiziale, in Nigro A. e Sandulli M. (a cura di) La riforma del fallimentare, Milano, 2006, 1014 ss.) e che quindi rimanevano insolute tutte le questioni che già si erano poste in relazione al D.M. 570/1992: le critiche si sono ancora una volta appuntate soprattutto sull'equiparazione del Commissario al curatore, stante la diversità di ruolo ed attività (a maggior ragione dopo la riforma) e sulla duplicazione costituita dalla liquidazione di compensi per la fase post omologa: si vedano V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010,195; C. Santini, La liquidazione del compenso del Commissario giudiziale e del liquidatore, in L. Ghia - C. Piccininni - F. Severini (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, vol. IV, Torino, 2011, 571 ss.; A. Esposito, Il commissario giudiziale, in G. Fauceglia e L. Panzani (a cura di), Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1670; Lenoci V., Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2011, 141 ss.; Lo Cascio, Il concordato preventivo, VIII ed., Milano, 2011, 283 ss.; P.F. Censoni, Commissario giudiziale, in Jorio e Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, 2395 ss..

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