Fresh money e posizione dei lavoratori nel diritto italiano (fresh money y posicion de los trabajadores en derecho italiano)

29 Luglio 2014

L'articolo, che costituisce l'intervento del Prof. Caiafa al Conreso internacional sobre refinanciacion, reestructuracion de deuda empresarial y reforma concursal, svoltosi in Madrid il 28 e 29 maggio, analizza la gestione dei rapporti di lavoro qualora intervenga la crisi dell'impresa, sia essa reversibile o irreversibile. Avendo sempre presente la funzione sociale svolta dalle imprese, soprattutto nel periodo di attuale crisi economica, di tutela dell'occupazione per i suoi dipendenti vengono disaminate le differenti scelte che può compiere un imprenditore per riorganizzare la sua azienda nel tentativo di uscire dalla crisi.
 Premesse

Reputo indispensabile attuare una preliminare collocazione del tema correlandolo alla evoluzione in atto della economia, essendo innegabile la presenza di profonde trasformazioni che riguardano non solo l'impresa, ma anche lo stesso mercato nel quale essa è destinata ad operare.

La globalizzazione, prescindendo da ogni considerazione valutativa al riguardo, ha avuto una diretta influenza sulla legislazione interna, spinta, inevitabilmente, a confrontarsi con quella degli altri ordinamenti, sicché il mutamento degli scenari di evoluzione sociale ed economica, nonché dei paradigmi e delle regole, ha spinto, da un lato, le imprese alla ricerca di procedimenti per la realizzazione di prodotti competitivi, attraverso la individuazione di nuove soluzioni tecnologiche e, dall'altro, a doversi

confrontare con il fenomeno della sovrapposizione della legislazione comunitaria, risultando il diritto sempre più funzionale all'economia, in ragione della avvertita esigenza di favorire la creazione di assetti istituzionali in grado di assicurare la fiducia degli investitori.

Le vicende contrattuali risultano, d'altronde, ormai sempre più disciplinate dalla lexmercatoria, cioè da quel complesso di regole individuato dal sistema imprenditoriale, in assenza della mediazione del potere legislativo, nella ricerca di criteri destinati a regolamentare in modo uniforme i rapporti che si instauranotra operatori appartenenti a mercati diversi.

L'obiettivo comune si sostanzia:

  • nella ricerca di soluzioni per una migliore allocazione delle risorse disponibili e per una maggiore efficienza del loro utilizzo, non solo incrementativa del capitale utilizzabile, ma in termini di cambiamento e crescita delle professionalità dei lavoratori;

  • nella realizzazione di prodotti od offerta di servizi sempre più competitivi;
  • nell'intento di trovare nuovi equilibri allo scopo di favorire, nei momenti di crisi, il salvataggio dell'impresa (

    Flessner, La conservazione delle imprese attraverso il diritto fallimentare. Uno sguardo di diritto comparato, in Dir.fall., 2008, I, 3

    ) attraverso, se necessario, la sua conservazione mediante il trasferimento, permettendo che le vicende circolatorie di essa, o di singoli rami, possano impedire il verificarsi di quegli effetti perniciosi per quanti hanno collaborato alla fase produttiva e contribuito alla sua crescita.

Al tempo stesso, non può ignorarsi che la fisionomia dell'impresa è, oggi, notevolmente cambiata ed influenzata dai processi di delocalizzazione geografica, anche transnazionale, di esternalizzazione (De Luca Tamajo, Le esternalizzazioni tra cessione di ramo di azienda e rapporti di fornitura, in I processi di esternalizzazione, opportunità e vincoli giuridici, Napoli, 2002, 29; Id., La disciplina del trasferimento di ramo di azienda dal codice civile al d.lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, in Mercato del lavoro: riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2044, 569; Id., Trasferimento di azienda, esternalizzazione del lavoro, somministrazione, appalto di servizi, distacco, nella riforma del diritto del lavoro, in Arg.dir.lav., 2005, 60; Santoro Passarelli G., Fattispecie di interessi tutelati nel trasferimento di azienda e di ramo di azienda, in Riv.it.dir.lav., I, 2003, 189; Perulli, Tecniche di tutela nel fenomeno di esternalizzazione, in Arg.dir.lav., 2003, 473; Dell'Olio, Mercato del lavoro, decentramento, devoluzione, ivi, 2002, 71; Caiafa A.- Cosio, Il trasferimento dell'azienda nell'impresa in crisi o insolvente, Padova, 2005, 239; Id., Esternalizzazione ed insolvenza, in Le esternalizzazioni in Europa. Il modello inglese, francese e spagnolo, a cura di Cosio, supplemento a Dir.prat.lav., n.7, 2007, 101.) e di dematerializzazione (sul tema si veda Virgintino, Dalla crisi di impresa al fallimento, Collana di studio dell'Ordine degli Avvocati di Bari, Bari, 2002, 15; Caiafa A., Le vicende economiche dell'impresa in crisi: diritto del lavoro comunitario e tutela del lavoratore, in Dir.fall., 2005, I, 559),

che impensieriscono, sostanzialmente, il personale occupato, in conseguenza delle ricadute che tali fenomeni possono avere sui rapporti di lavoro in situazioni, non solo, di normalità, ma, anche e soprattutto, di crisi, e che possono essere di ostacolo al modificarsi di quelle metamorfosi, spesso indispensabili, affinché l'impresa permanga sul mercato.

La gestione dell'insolvenza e della crisi dopo la riforma

Il legislatore ha attuato la riforma muovendo dal presupposto dell'inadeguatezza delle procedure concorsuali di tipo liquidatorio, previste dal sistema delineato dalla

legge fallimentare

del 1942, ad affrontare il problema dell'insolvenza delle imprese in ragione della esigenza di individuare altre soluzioni in grado di assicurare la conservazione dei valori di funzionamento dell'azienda.

In realtà, già nel 1942,

«la constatata insufficienza del solo fallimento a regolare le diverse situazioni, cui la crisi d'impresa era in grado di dar luogo…»

, aveva indotto il legislatore a compiere

«una riunione»

non solo

«formale di istituti tra loro connessi»

- quali il concordato preventivo e l'amministrazione controllata - nella convinzione di

«dare un'impronta, sostanzialmente unitaria alla disciplina della crisi economica dell'impresa in relazione ai superiori interessi dell'economia generale …» (

Relazione al R.D. 16 marzo 1942

)

.

Nella relazione di allora si colgono passi che oggi, riletti anche alla luce delle recenti innovazioni e stimoli di una riforma delle procedure concorsuali che ha tardato ad arrivare, dimostrano come, invero, fosse in qualche modo già presente ed avvertita l'esigenza di risolvere i problemi derivanti dalla crisi irreversibile mediante la ricerca di soluzioni appropriate nell'interesse della collettività, oltreché, naturalmente, dei creditori

.

Si legge, difatti, nella richiamata relazione che «… la nuova legge non intende compiere solo una riunione formale di istituti tra loro connessi, ma dare un'impronta sostanzialmente unitaria della disciplina economica dell'impresa in relazione ai superiori interessi dell'economia generale …»

.

Ed ancora, il Ministro Guardasigilli, nell'illustrare e presentare il nuovo testo e, in particolare, i criteri della riforma, aggiunse, poi, che

«… l'idea di comprendere in una disciplina unitaria tutti gli aspetti della crisi economica dell'impresa non è frutto di una elaborazione dottrinaria, ma il naturale sbocco di un processo iniziato da molti anni a seguito della constatata insufficienza del fallimento a regolare le diverse situazioni a cui la crisi dell'impresa può dar luogo …»

.

La crisi dell'impresa era un'evenienza non contemplata dalla

legge fallimentare

del 1942, che aveva approntato una strategia speciale di salvaguardia fondata sull'idea di un capitalismo assistito (

Vivaldi, Insolvenza e grandi imprese: ipotesi di procedure concorsuali, corso Master in Diritto Fallimentare, Dalla crisi d'impresa al fallimento, Bari, 2000, 67

)

.

Nella crisi irreversibile dell'impresa, piccola o medio-piccola che fosse, gli interessi fondamentali erano quelli dei creditori e dell'equa spartizione, nel rispetto della par condicio, del patrimonio acquisito all'attivo.

Ben si comprende, allora, come fosse coerente con tale prospettiva la scelta di regolare, nell'ambito del multiforme e sfuggente fenomeno della crisi d'impresa, soltanto quella irreversibile.

Dissonante, invece, con tale logica era qualsiasi regolamentazione normativa che orientasse la procedura verso scopi di riorganizzazione dell'impresa afflitta da una crisi reversibile, essendo risultata inadeguata l'amministrazione controllata, poi abrogata con la riforma del 2006.

Di qui l'ovvia conclusione che l'area della crisi reversibile cadeva nel “giuridicamente indifferente”.

La pregressa

legge fallimentare

, inoltre, non conteneva alcuna disposizione specifica in merito alle possibili vicende circolatorie dell'azienda, ciò in quanto il fallimento era stato concepito come una fattispecie estintiva dell'impresa, con la conseguenza che l'aspetto liquidatorio è sempre prevalso sull'altro della possibile conservazione del patrimonio aziendale, ancorché attraverso un delicato processo di ristrutturazione e conversione (Caiafa A., Vicende circolatorie dell'azienda nel progetto di riforma della

legge fallimentare

, in Legalità e giustizia, 1987, I, 388; ID., L'azienda: suoi mutamenti soggettivi nella crisi d'impresa, Padova, 1990).

In tale contesto, il fallimento, in quanto diretto a soddisfare i crediti pregressi attraverso la liquidazione dell'attivo e la distribuzione del ricavato tra i creditori, nel rispetto delle cause di prelazione, a loro volta collegabili a ciascuna delle

«cose vendute»

, appariva istituzionalmente finalizzato ad operare, in via esclusiva, la disgregazione dell'azienda, intesa, come struttura di persone e di mezzi, organizzata ad un fine produttivo e, come tale, non in grado di sopravvivere alla stessa procedura (Caiafa A., Vicende circolatorie dell'azienda nelle procedure concorsuali, Padova, 2001, 152).

L'immanente dialettica e l'esigenza di continuità e complementarità tra i due versanti, lavoristico e concorsualistico, non hanno mancato di evidenziare momenti diversi della crisi d'impresa, o della sola compagine imprenditoriale, nel senso che questa, per un verso, poteva essere ed è stata tradizionalmente intesa come crisi di solvibilità, in relazione alla funzione lucrativa di essa e, per altro verso, si è posta, ed è stata sempre più intensamente vissuta, nel contesto sociale e politico, come crisi di occupazione (Caiafa A., Vicende circolatorie dell'azienda nelle procedure concorsuali, Padova, 2001, 1).

È per tali ragioni che le vicende circolatorie dell'impresa, nell'ipotesi di crisi, reversibile o meno, hanno costituito un argomento di rilevante interesse, atteso che prima della

legge comunitaria n. 428 del 1990

, di attuazione della direttiva sul trasferimento d'azienda, e della successiva

legge n.

223 del 1991

, conseguenza dell'altra direttiva relativa all'insolvenza, non esistevano, invero, nel nostro ordinamento, disposizioni che avevano la finalità di disciplinare, per quanto possibile, il fenomeno successorio nell'ambito delle procedure concorsuali.

Il legislatore, infatti, non si era preoccupato di modificare la

legge fallimentare

e di adattarla alla nuova visione funzionalistica e sociale dell'impresa, ma, da un lato, ha consentito, per lungo tempo, che sulla stessa intervenissero le sentenze additive della Corte Costituzionale, lasciando dei vuoti, talvolta incolmabili e, dall'altro, ha introdotto altre leggi speciali con cui si è limitato a risolvere specifiche insolvenze imprenditoriali o regolato particolari materie, senza preoccuparsi della necessaria organicità e del coordinamento delle stesse disposizioni con quelle precedenti.

Nell'attuare la riforma del fallimento non si poteva, pertanto, non tener conto di un mutato aspetto della realtà economica prevedendo procedure in grado di consentire, in speciali situazioni, di operare quel rapido strumento per la realizzazione della tutela giuridica degli interessi dei creditori concorrenti e, al tempo stesso, la conservazione dell'impresa, mediante l'amministrazione di essa sotto il controllo giudiziario.

La

legge fallimentare

riformata risponde ad esigenze di difesa dell'economia generale contro il fenomeno dell'insolvenza che, tuttavia, risolve attraverso l'eliminazione dell'imprenditore commerciale, con la conseguenza che le soluzioni stragiudiziali delle crisi appaiono strutturate al fine di assicurare la ripresa dell'attività e, con questa, il mantenimento dei livelli occupazionali.

La procedura fallimentare ha, dopo la riforma, in qualche modo assunto una funzione diriorganizzazione dell'impresa, estranea e, per più versi, confliggente con l'originario precedente scopo liquidatorio.

Seppur la soluzione più razionale sarebbe stata quella di adeguare la legge ai tempi operandone una integrale riscritturazione, modificandone l'assetto, regolando, prima, la crisi, attraverso la individuazione delle possibili soluzioni e, quindi, l'insolvenza e la fase liquidatoria necessariamente a questa correlata, nell'ipotesi di insuccesso della prima, la scelta è stata, invece, quella di lasciare immutata in gran parte la

legge fallimentare

e di rincorrere gli eventi con una legislazione in perenne emergenza.

Ma gli esiti hanno tradito le attese - e non poteva essere diversamente - perché la legge ha inteso realizzare un obiettivo troppo arduo, consistente nella finalità di risanare, ovvero conservare, l'azienda e salvaguardare i livelli occupazionali; scopi spesso tra loro confliggenti e non perseguibili contemporaneamente.

Le prospettive del legislatore possono, difatti, riassumersi nel tentativo di ricerca di un'alternativa alla cessazione dell'impresa insolvente, ovvero in crisi, attraverso la previsione di interventi settoriali in grado di favorire il processo di riconversione mediante una sua ristrutturazione, sino al punto di individuare nel trasferimento dell'azienda lo strumento più efficace.

Il legislatore, infatti, mosso dall'esigenza di dover, attentamente, considerare i mutamenti intervenuti nell'economia ed abbandonato il precedente indirizzo di neutralità ed indifferenza, ha individuato nella fattispecie circolatoriadell'azienda, o di singoli rami, la possibile soluzione, sino al punto di aver operato scelte tese, chiaramente, ad agevolare, in concreto, la realizzabilità delle operazioni traslative dei complessi aziendali, nell'intento di assicurare, non solo, il mantenimento di valore, ma anche di preservare i livelli occupazionali (Minervini, L'evoluzione del concetto d'impresa (appunti per una ricerca), in Riv. soc., 1976, 496; ID., Nuove riflessioni sulla crisi dell'impresa, in Giur. Comm., 1977, I, 689; Caselli, La crisi aziendale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia diretto da Galgano, III, Padova, 1979, 623; D'Alessandro, Interesse pubblico alla conservazione dell'impresa e diritti privati sul patrimonio dell'imprenditore, in Giur. comm., 1984, I, 53; Di Lauro, Salvataggio o liquidazione dell'impresa in crisi, in Dir. fall., 1982, I, 786).

La

legge fallimentare

risulta, attualmente, integrata da disposizioni specifiche emanate nell'intento di realizzare il trasferimento dell'azienda, ciò in quanto le procedure concorsuali, ancorché volte a consentire la soddisfazione, pur se in modo non necessariamente paritetico, delle ragioni creditorie sul patrimonio dell'imprenditore, intendono assicurare tale obiettivo, non già attraverso l'estinzione dell'impresa, quanto, piuttosto, mediante la sua conservazione, con la conseguenza, quindi, che tale aspetto ha finito per prevalere su quello liquidatorio, anche se accade, ormai sempre più spesso, che le imprese, dopo aver utilizzato discipline speciali, o eccezionali, di diversa intensità e funzionalità, apprestate dal legislatore per attuareprocessi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione, allo scopo di ritrovare i necessari equilibri gestionali, indispensabili per una ripresa in grado di consentire la permanenza dell'azienda sul mercato, hanno finito per considerare questa – una volta divenuta irreversibile la crisi stessa - possibile oggetto di una vicenda circolatoria al fine di permettere il mantenimento di una organizzazione imprenditoriale, per preservare, non solo, i valori di funzionamento dell'azienda stessa, ma anche nell'intento di tutelare i livelli occupazionali.

In siffatto contesto la prosecuzione dell'attività aziendale incide, in modo evidente, dal momento che alcuni rilevanti valori dell'attivo non possono essere stimati dal punto di vista puramente patrimoniale e, dunque, in funzione dei corrispettivi e dei costi, dovendosi tener conto dell'esistenza di fondate e positive prospettive di ripresa che consentano, ove presenti, la realizzazione di quei valori aggiuntivi che, diversamente, sarebbero destinati ad essere valutati in termini di liquidazione (Caiafa A., Vicende circolatorie dell'azienda nelle procedure concorsuali, Padova, 2001, 151).

La continuazione dell'attività ha, quindi, quale precipuo scopo, nel caso della crisi reversibile, il risanamento dell'azienda, soluzione questa che, necessariamente, va tenuta distinta da forme di esercizio contingenti e provvisorie dirette, nel fallimento, a rendere più agevoli la operazioni di liquidazione e, dunque, a migliorare i risultati di questa (Ferri, L'evoluzione del fenomeno imprenditoriale: conservazione dell'autonomia e della economicità dell'impresa nell'adeguamento della sua struttura organizzativa, in Questioni della fondazione Agnelli, Torino, 1977, 12, 40; Minervini, La crisi industriale. Ristrutturazione, riconversione, risanamento finanziario, Napoli, 1980).

In tale nuovo quadro normativo vanno, però, rimarcate le diverse finalità che la continuazione dell'esercizio di impresa, dichiarata insolvente, persegue nelle diverse procedure.

Nel fallimento, la continuazione, se pure provvisoria dell'attività, costituisce ipotesi non frequente, atteso che la valutazione dell'azienda e, quindi, dell'attività che con essa può essere svolta, è rapportata, esclusivamente, alla liquidazione ed alla ripartizione del ricavato per soddisfare i creditori, con la conseguenza che la prosecuzione è funzionale solo all'aumento della massa attiva, pur se attraverso la cessione, e con questa il mantenimento dell'azienda.

Nel caso di procedura liquidativa che conduca al trasferimento unitario del complesso produttivo, l'esercizio provvisorio e la continuazione temporanea sono funzionali alla necessità di mantenere in movimento l'azienda, con una valutazione di convenienza che ha al centro il complesso produttivo, senza trascurare le esigenze satisfattive dei creditori. Non si tratta, allora, soltanto di compiere un'analisi patrimoniale in funzione di una somma di denaro da ripartire, ma anche di un calcolo correlato alla migliore utilizzazione possibile del complesso dei beni organizzato per riuscire a trasferirlo unitariamente ad altro imprenditore, cosicché l'interesse privatistico del ceto creditorio viene a contemperarsi con quello del mantenimento in vita del complesso produttivo, che costituisce un valore, al di là della sorte dell'imprenditore individuale o collettivo cui apparteneva (Pacchi, Alcune riflessioni in tema d'insolvenza e complesso aziendale, derivanti dalla lettura della legge delega per l'emanazione della nuova legge sull'amministrazione straordinaria, in Giur. comm., 1999, I, 312).

La nuova legge è nata in un momento economico in cui il nostro Paese non riusciva più a far fronte al vecchio modello precedentemente utilizzato per disciplinare le crisi reversibili, e non, delle imprese.

Il legislatore ha, quindi, delineato due distinte procedure, potendo esse assumere, a seconda dei casi, natura sostanzialmente liquidatoria, seppure attraverso la conservazione dell'azienda mediante la cessione, ovvero finalizzata al ritorno

«in bonis»

dell'impresa, come nel caso del concordato in continuità.

Evoluzione del sistema normativo e coesistenza di modelli diversi

L'economia capitalistica conosce il grave, e spesso insolubile, conflitto ontologico tra le leggi dell'economia e del mercato, le quali, da un lato, impongono l'eliminazione dell'impresa insolvente nell'interesse dei creditori e delle imprese sane, ma, allo stesso tempo, dall'altro, tendono a realizzare la tutela dei livelli occupazionali.

Il legislatore del 1942, nel formulare una disciplina unitaria della crisi economica dell'impresa, in relazione ai superiori interessi dell'economia generale, aveva risolto il conflitto tra le due contrapposte esigenze a tutto vantaggio della tutela creditoria. Infatti, la

legge fallimentare

, nel disciplinare l'insolvenza dell'imprenditore commerciale non piccolo, aveva riconosciuto una prevalenza indiscussa all'intento di garantire, con una procedura esplicitamente liquidatoria, la tutela esecutiva dei creditori in una situazione oggettiva di dissesto, nella forma che meglio assicurasse, nel grado ritenuto possibile, la par condicio creditorum. Il sistema prevedeva, in casi determinati, l'esercizio provvisorio nel fallimento, ma esso si configurava pur sempre come attività liquidatoria ed era preordinato nell'esclusivo interesse dei creditori «allo scopo di accrescere il volume dell'attivo da ripartirsi

», piuttosto che come strumento di conservazione dell'unità produttiva (Lo Cascio, Risanamento delle imprese in crisi ed evoluzione normativa ed interpretativa del sistema concorsuale, in Il fallimento, 2000, 3; Libonati, Crisi dell'imprenditore e riorganizzazione dell'impresa, in Riv. dir. comm., 1981, 18) nell'interesse della collettività.

L'esigenza di tutela di interessi trascendenti quelli dei creditori veniva soddisfatta alternativamente ipotizzando una situazione di crisi dell'impresa, diversa dallo stato di insolvenza, perché caratterizzata da una temporanea difficoltà, compatibile con un risanamento dell'organismo produttivo, attraverso il controllo giudiziario della sua gestione, oppure, per le imprese operanti in settori considerati di rilevanza vitale per l'economia nazionale, mediante il ricorso a procedure speciali, prevalentemente governate dall'autorità amministrativa.

Di qui l'esigenza di modelli diversi per affrontare e risolvere la crisi, dal momento che i problemi di salvataggio e di rilancio delle aziende, non ancora in stato d'insolvenza, pur tuttavia afflitte da situazioni di squilibrio economico finanziario, si presentano, necessariamente, con connotazioni diverse e si prestano alla individuazione di differenti soluzioni a seconda che la crisi sia, o meno, reversibile.

E' apparso, in pratica, indispensabile operare una distinzione, in relazione all'incapacità dell'impresa di soddisfare, con regolarità, le proprie obbligazioni, potendo questa essere conseguenza di una temporanea difficoltà, come tale, recuperabile, ovvero dar luogo a una insolvenza definitiva. Sul piano più propriamente tecnico, entrambi i fenomeni sono caratterizzati dalla presenza di evidenti squilibri finanziari, che però sono, nel caso della crisi reversibile, attenuati dalla permanenza di un equilibrio patrimoniale e, comunque, di prospettive economiche favorevoli per il recupero dell'efficienza produttiva, pur se a seguito di interventi di ristrutturazione, per essere ancora l'impresa in grado di sopportare in proprio il rischio del tentativo di recupero utilizzando la parte residua del capitale netto senza gravare sui creditori, ai quali richiede, unicamente, tempo, e di rinviare i termini per la realizzazione e la soddisfazione delle loro ragioni creditorie (Caiafa A., Vicende circolatorie dell'azienda nelle procedure concorsuali, Padova, 2001, 150).

Tali caratteristiche evidenziano la natura processuale di una legge strumentale all'attuazione di diritti sostanziali di credito preesistenti. Accanto alla tutela privatistica, la

legge fallimentare

si presenta, prima della riforma, finalisticamente coerente ad un interesse economico-sociale, generale e superiore, consistente nella soppressione, con consequenziale espulsione dal mercato dell'impresa inefficiente.

L'eliminazione dell'impresa giovava all'economia e la procedura concorsuale fallimentare, in ragione della legge

«naturale»

dell'economia regolatrice del mercato, consentiva la liberazione delle risorse male impiegate per riallocarle in impieghi più produttivi al fine di razionalizzarne l'utilizzazione nell'interesse generale dell'economia.

Quella soluzione normativa non poteva, ormai, trovare concreta applicazione in una società caratterizzata da uno straordinario sviluppo economico e dal crescente peso politico-economico acquisito dalla classe lavoratrice.

Già a partire dagli anni ‘70, le crisi di imprese di grosse dimensioni, verificatesi in un contesto in cui lo Stato di diritto subiva una tormentata trasformazione in Stato sociale, con riflessi negativi provocati in varie direzioni e con l'allarme da esse suscitato per la loro frequenza, hanno fatto emergere chiaramente l'esigenza, prima sacrificata, della conservazione degli organismi produttivi, seppure insolventi, e della salvaguardia dei livelli occupazionali, accanto ed in contrapposizione con le tradizionali ragioni di tutela esecutiva del ceto creditorio (Lo Cascio, Per una riforma delle procedure concorsuali, in Giur. Comm., 1980, I, 963; Libonati, Crisi dell'imprenditore e riorganizzazione dell'impresa, in Riv. dir. comm., 1981, 19).

Le nuove istanze espresse dalla società portarono ad un'esperienza applicativa, nella prassi giudiziaria, volta alla massima espansione delle possibilità di utilizzare le procedure concorsuali alternative al fallimento, con conseguente definizione del ben noto fenomeno del c.d.

«uso alternativo delle procedure concorsuali»

, delle quali si predicava l'utilizzazione come strumento di conservazione, anziché di dissoluzione delle unità produttive (cfr. Galgano, Il risanamento dell'impresa, in Riv. soc., 1978, 1186; D'Alessandro, Politica della crisi d'impresa: risanamento o liquidazione dell'azienda?, in Il fallimento, 1980, 29; Libonati, Crisi dell'imprenditore e riorganizzazione dell'impresa, in Riv. dir. comm., 1981, 1, 231; Caiafa A., L'azienda: suoi mutamenti soggettivi nella crisi d'impresa,

cit

., 264).

Crisi di impresa. Crisi di occupazione

Nella società moderna le imprese svolgono una funzione sociale che si identifica nella tutela della occupazione, e la crisi determina tensioni inevitabili, per quel che attiene il mantenimento dei livelli occupazionali ed il superamento di esso, così come la salvaguardia della occupazione può essere realizzata esclusivamente mediante la creazione di un valore economico aggiunto, l'unico in grado di consentire la permanenza sul mercato dell'impresa, vuoi attraverso il pieno recupero, ovvero la sua conservazione tramite la cessione.

È, però, innegabile che le procedure concorsuali non possono muoversi sul doppio binario della tutela del credito e della salvaguardia dei complessi produttivi e, attraverso questa, dei posti dei lavoro, ciò in quanto risanamento e ripresa sono realizzabili alla condizione che sia possibile un intervento preventivo e tempestivo adeguato, in grado di evitare che la crisi raggiunga lo stadio di irreversibilità, sì da poter scongiurare il pericolo della liquidazione.

Il processo liquidativo determina la trasformazione del patrimonio, con la conseguenza che le pretese creditorie si dirigono sul realizzo della cessione, laddove, di contro, con la ristrutturazione è indispensabile la partecipazione del ceto creditorio per consentire all'impresa, mantenuta in vita, di garantire il soddisfacimento dei crediti, pur se in misura ridotta o attraverso prestazioni diverse (Flessner, La conservazione delle imprese attraverso il diritto fallimentare. Uno sguardo di diritto comparato,

in Dir,fall., 2008, I,

9

).

Gli effetti perniciosi che la crisi di impresa determina sui livelli occupazionali non possono essere eliminati, tuttavia, comprimendo la garanzia dei creditori sul patrimonio dell'imprenditore, ciò in quanto il problema della piena occupazione deve essere necessariamente affrontato e risolto mediante interventi di tipo macro-economico, attesa la indiscussa inidoneità di quelli che fossero predisposti al fine di mantenere in vita, artificialmente, imprese improduttive (D'Alessandro, Rapporti di lavoro e crisi di impresa, in Dir. fall., 200, I, 1211).

Il mantenimento dei livelli occupazionali rappresenta una conseguenza della avvertita necessità derivante da particolari motivi di interesse pubblico che si sostanziano nella esigenza di non disperdere rilevanti complessi produttivi e, soprattutto, di non distruggere il patrimonio delle imprese in crisi reversibile, e potendo, esclusivamente, però, con riferimento a queste, prendersi in considerazione l'ipotesi del risanamento, atteso che la conservazione, quante volte venga attuata attraverso la cessione, nell'ambito di un procedimento volto alla realizzazione dell'attivo per la sua ripartizione tra i creditori, è in grado di incidere positivamente sui rapporti di lavoro nella misura in cui la professionalità acquisita dal personale in organico ne giustifichi la tutela, potendo la risoluzione addirittura incidere negativamente sullo stesso valore dell'azienda intesa, ormai, anche come “organizzazione” (

Cass., 5 marzo 2008, n. 5932

;

Cass., 10 gennaio 2004, n.206

;

Cass., 23 luglio 2002, n. 10761

; Cote di Giustizia, 11 marzo 1997, causa 13/95).

Lo stesso mercato delle imprese in crisi che, in qualche modo, la riforma delle procedure concorsuali ha inteso favorire, non può prescindere dal considerare che l'investitore si propone, esclusivamente, un fine economico-finanziario, identificandosi l'obiettivo da questi perseguito nella sicura remunerazione del capitale investito.

Ed allora, la soluzione non può essere assicurata attraverso la previsione di soluzioni concordate per il superamento della crisi (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piani attestati di risanamento, transazione fiscale-contributiva), costituendo esse validi rimedi volti alla preservazione dei valori aziendali nella misura in cui sono in grado di assicurare l'obiettivo voluto a seconda della percezione dello stadio della crisi e, in particolare, del momento in cui questa, monitorata, viene affrontata, atteso che solo la tempestiva individuazione è in grado di consentire la pronta adozione di interventi adeguati per la immediata eliminazione delle cause che l'hanno determinata.

Nel nostro ordinamento, il concordato fallimentare rimane, per l'appunto, lo strumento di maggior tutela dei creditori, non condizionato da intenti conservativi dell'impresa, ed è il mezzo di incentivazione per l'imprenditore perché assuma tempestive misure di composizione della crisi, alternative al fallimento, e, al tempo stesso, di investimento per i terzi, attesa la riconosciuta pluralità di soggetti legittimati alla formulazione della proposta, anche se è in grado, solo in modo marginale, di assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali, quante volte l'attività venga proseguita da parte del proponente (Pacchi, Il concordato fallimentare, Milano, 2008, 23).

Il superamento della crisi, ovvero il ripristino della solvibilità dell'imprenditore, può intervenire attuando il risanamento dell'impresa mediante, non solo, la riorganizzazione e l'adozione di nuove strategie per il contenimento dei costi, con un ridimensionamento dell'occupazione, ma anche permettendone la sopravvivenza attraverso il suo trasferimento, che può costituire lo strumento perché si realizzi la conservazione dell'intero complesso produttivo e, al tempo stesso, il soddisfacimento dei creditori pregressi, che potranno fare affidamento, non solo, sull'attivo che sarà realizzato dalla cessione ma, altresì, sulla stessa possibilità di mantenere in vita i rapporti commerciali.

Ma come affrontare una crisi finanziaria nella quale l'Europa è immersa in conseguenza di un effetto domino, innescato dalla bolla immobiliare, alla quale si sommano la contrazione del mercato, la mancata solvibilità dei mutui, e che ha determinato inevitabili conseguenze anche sul mantenimento dei posti di lavoro?

La crisi colpisce, difatti, maggiormente le imprese con bassa specializzazione produttiva ed innovazione, con inevitabili perniciosi effetti anche sul mercato del lavoro, in ragione non solo del blocco delle assunzioni ma, anche e soprattutto, del ricorso, in maniera abnorme, alla cassa integrazione guadagni ed al sistema degli ammortizzatori sociali in genere.

Il clima di generale sfiducia investe i lavoratori, subordinati ed autonomi, delle aziende in crisi ed in difficoltà produttiva, ovvero tutti coloro che vedono sospeso il rapporto per periodi più o meno lunghi, senza che siano, però, originati da una effettiva ripresa dell'attività produttiva.

La disoccupazione, conseguenza dei licenziamenti e della mancanza di nuovi posti di lavoro, ha raggiunto livelli impensabili e colpisce i giovani che pagano un prezzo in conseguenza della difficoltà di potersi inserire nel mercato del lavoro per poter avere, così, fiducia nel futuro.

I recenti disastri finanziari, hanno contribuito a generare la più grande crisi degli ultimi decenni, negli Stati Uniti ed in Europa; di qui la avvertita necessità di adottare misure in grado di dare una risposta al fine di riattivare l'economia, favorire la creazione dell'occupazione e mantenere la coesione sociale allo scopo di evitare che i lavoratori, unici, debbano pagarne le conseguenze, difendendo i loro diritti, così garantendone la protezione.

Politiche sociali attive e soluzioni concordate

Le politiche sociali, in tema di sussidi ed indennità di disoccupazione, hanno indotto ad intervenire al fine di una riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, limitandone durata ed utilizzo ai soli casi nei quali l'azienda possa, effettivamente, riprendere rapidamente il lavoro, consentendo, quindi, la sospensione dei rapporti quante volte la crisi sia legata ad eventi temporanei e di non lunga durata, in ragione della esigenza di eliminare ogni utilizzo a fronte di una cessazione dell'attività, introducendo, in tal caso, sussidi di disoccupazione con indennità risarcitorie nei casi di licenziamento.

In attesa di poter comprendere quali potranno essere le novità che saranno introdotte dall'attuale Governo, non possiamo che confrontarci, per l'intanto, con l'attuale legislazione al fine di verificare se, ed in che misura, essa consenta la miglior gestione della crisi, da parte delle imprese, e non si rifletta negativamente sulla occupazione.

I possibili auspicabili interventi possono tradursi, alternativamente:

  • negli incentivi alle assunzioni part-time;

  • nella possibilità di trasformare le prestazioni di disoccupazione in agevolazioni contributive;

  • nella promozione dell'utilizzo della sospensione temporanea, attraverso la cassa integrazione, piuttosto che del licenziamento per favorire il mantenimento dell'occupazione;

  • nella possibilità di riscattare in un'unica soluzione una parte della somma maturata a titolo di t.f.r. o l'indennità conseguente alla disoccupazione, per favorire i progetti imprenditoriali da parte dei disoccupati;

  • nella introduzione di agevolazioni contributive in caso di nuova occupazione in settori ed attività strategiche.

Assicura l'attuale Governo che, in collaborazione con le parti sociali, sta elaborando nuove misure, nell'intento di:

  • favorire la creazione dei posti di lavoro riducendo la disoccupazione e stimolando la fiducia dei soggetti interessati sulla possibilità di un modello di crescita sostenibile;

  • ridurre la segmentazione e la temporaneità dei rapporti progredendo verso una occupazione migliore in termini di qualità e stabilità;

  • aumentare la possibilità di impiego delle persone disoccupate, attraverso il generale miglioramento dei sistemi di intermediazione;

  • aumentare la flessibilità interna delle imprese in modo che l'adattamento delle stesse alla situazione economica si produca senza colpire gravemente l'occupazione;

  • ampliare le opportunità di impiego e la capacità di integrazione dei giovani nel mercato del lavoro.

Gli effetti prodotti della crisi economica hanno riacceso nel nostro Paese, come negli altri industrializzati, il dibattito sugli ammortizzatori sociali e sulla necessità di attuare politiche del lavoro per contrastare la grave situazione recessiva.

E' difficile poter fornire un quadro informativo sintetico delle diverse tipologie di ammortizzatori sociali previste, attualmente, dalla legislazione ed operarne una lettura con riferimento alle proposte di riforma, in ragione della stratificazione normativa cui si sta assistendo, negli ultimi anni, a causa della ricerca della miglior soluzione per il superamento delle principali criticità emerse nel necessario rapporto tra politiche attive e passive.

E' certo, tuttavia, che la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, al centro del dibattito politico-economico, rimasta pressoché incompiuta, malgrado le numerose deleghe che si sono succedute nel tempo, mai completamente esercitate, ha avuto una accelerazione con la

legge 28 giugno 2012, n. 92

(c.d. Riforma Fornero), modificata dall'

art.46-

bis del

d.l

. 22 giugno 2012, n.83

- convertito nella

legge 7 agosto 2012, n.134

, entrata in vigore a far data dall'11 settembre 2012 - che ha sostituito l'art. 2, comma 70, e, attraverso questo, l'

art.

3,

comma 1

, legge 23 luglio 1991, n. 223

, relativa al trattamento di integrazione salariale concorsuale, inizialmente riservato al personale dipendente delle imprese insolventi, ed ora esteso, non già, attraverso una espressa norma, quanto, piuttosto, mediante una interpretazione estensiva di quella esistente, anche alle imprese in crisi ammesse al concordato preventivo non consistente nella cessione dei beni o che abbiano fatto ricorso ad un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'

art.182-

bis

l. fall

.

Tra i principali obiettivi perseguiti dalla riforma assume rilevanza la composizione concordata della crisi, attraverso la valorizzazione degli strumenti negoziali individuati dal legislatore, al fine di consentire la realizzazione, non solo, della tutela creditoria ma, anche, di quella concorrente della conservazione dei posti di lavoro che il dissesto, o la crisi dell'impresa, pongono inevitabilmente in discussione.

Un'adeguata risposta è stata fornita mediante le disposizioni urgenti, emanate nell'ambito del piano di azione per lo sviluppo economico-sociale attraverso una rivisitazione dell'istituto del concordato preventivo, che ha, poi, subito successivi adattamenti, di cui l'ultimo con la

legge 9 agosto 2013, n. 98

, che, nel rimodulare le regole relativamente alla presentazione della domanda del concordato con riserva (

art.

161, sesto comma,

l. fall.

), con la previsione di precisi obblighi informativi periodici relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e dell'attività compiuta, ha assegnato il compito di vigilanza al commissario giudiziale, se nominato, così tutelando l'impresa nella delicata fase di studio e predisposizione di un programma di ristrutturazione, di organizzazione o conversione, creando, al tempo stesso, nuove opportunità di soddisfacimento delle relative ragioni di credito tramite la valorizzazione della continuità dell'attività (

art. 186-

bis

l. fall.

).

Il concordato preventivo può essere strutturato attraverso la predisposizione di un piano di individuazione delle concrete modalità di soddisfacimento di crediti con la cessione dei beni ai creditori (dunque liquidatorio), ovvero altre operazioni straordinarie in grado di determinare il risanamento dell'impresa conservando al debitore proponente l'amministrazione dei beni, durante la procedura, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, senza, quindi, che si realizzi quella gestione sostitutiva che si ha nel caso del concordato liquidatorio (

art.

182

l. fall.

).

L'obiettivo perseguito può, pertanto, essere rappresentato dal risanamento dell'impresa, individuato come mezzo più efficace per il migliore soddisfacimento dei creditori pregressi, e che può essere attuato dallo stesso imprenditore, ovvero anche attraverso la cessione dell'azienda o di singoli rami, con prosecuzione dell'attività da parte di un terzo.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti, introdotto con l'

art.

182-

bis

l. fall

., si pone anch'esso nell'ottica – così come sottolinea la relazione illustrativa al

d.lgs. 12 settembre 2007, n.

169

- di “…una nuova prospettiva di recupero delle capacità produttive dell'impresa, nelle quali non è più individuabile un esclusivo interesse dell'imprenditore…ma confluiscono interessi economici sociali più ampi che privilegiano il ricorso o la via del risanamento e del superamento della crisi aziendale, destinati ad un risultato di conservazione dei mezzi organizzativi assicurando la sopravvivenza e procurando alla collettività e, in primo luogo, agli stessi creditori una più consistente garanzia patrimoniale attraverso il risanamento e (eventualmente) il trasferimento a terzi delle strutture aziendali….”, ed è, pertanto, in grado di consentire in modo agile e spedito la conservazione dell'impresa e la tutela dei creditori.

Per quel concerne le scelte operative, naturalmente, sia il concordato preventivo che l'accordo di ristrutturazione possono essere predisposti, indifferentemente, per regolamentare la cessazione dell'attività di impresa e, quindi, delle relazioni giuridiche in essere, così come per disciplinarne la continuazione, consentendo la permanenza della struttura organizzativa, finalizzata anziché alla migliore realizzazione dell'attivo, alla più conveniente soddisfazione dei creditori.

Ne discende, per l'effetto, che i rapporti – tra questi quelli di lavoro – possono dirsi solo indirettamente interessati da tali soluzioni negoziali concordate, nel senso che possono rientrare nel piano di fattibilità presentato per l'attuazione del programma nella misura in cui l'imprenditore abbia ritenuto indispensabile operare una ristrutturazione, attraverso un processo di conversione e organizzazione dell'impresa, sì da implicare la opportunità di far ricorso, per il periodo di tempo ritenuto necessario, agli ammortizzatori sociali o, in via alternativa, alla collocazione in mobilità del personale in esubero.

Rispetto, però, al modello di intervento di integrazione salariale delineato all'

art.

1 della legge n. 223 del 1991

, le causali regolate dall'art. 3 della stessa legge erano riferibili a situazioni nelle quali faceva difetto il requisito della temporaneità, ovvero della reversibilità della crisi in cui poteva versare l'impresa, dal momento che, nelle ipotesi richiamate dalla relativa norma, al primo comma, il trattamento veniva riconosciuto in situazioni di crisi irreversibile, sì da non essere ancorata la concessione dell'integrazione salariale alla presentazione di un programma di risanamento, non essendo affatto richiesta la continuazione dell'attività di impresa, richiedendosi, al contrario, la cessazione e non continuazione di essa, ciò in quanto il legislatore aveva inteso assegnare all'intervento integrativo non già la funzione di sostegno dell'impresa, quanto, piuttosto, di garanzia del reddito dei lavoratori, in attesa che si fossero create le condizioni per una ricollocazione nel mercato del lavoro.

Per tale ragione, l'art. 3 prendeva in considerazione il solo concordato preventivocon cessione dei beni e, successivamente, la

legge n. 236 del 1993

aveva previsto che il termine per fruire del trattamento fosse anticipato al momento dell'ammissione alla procedura rispetto a quello dell'omologa, da parte dell'Autorità Giudiziaria, sì da assicurare, medio tempore, la sospensione dei rapporti di lavoro, con riconoscimento del trattamento integrativo in favore del personale in organico quante volte l'attività fosse risultata cessata e non continuata.

Non a caso, l'

art. 3 della legge n. 223/

1991

non faceva menzione delle procedure di amministrazione controllata e del concordato preventivo con garanzia, né oggi avrebbe senso che ad esse facesse riferimento, sol che si consideri che la prima è stata poi abrogata, mentre il concordato preventivo con garanzia è stato interamente rimodulato attraverso la diversa previsione di un accordo con i creditori in grado di consentire la continuazione dell'attività di impresa, pur senza garantire loro il soddisfacimento delle ragioni creditorie in una misura percentuale fissa (40%), così come in passato, e permettendo anche di operare una divisione in classi, secondo posizione giuridica ed interessi omogenei, con trattamenti differenziali tra gli appartenenti alle stesse.

A differenza che nel passato, oggi ciò che rileva è la capacità di ristrutturare i debiti mediante la presentazione di un piano articolato di risanamento, e le soluzioni concordate per conseguire tale fine prescindono dalla rilevanza della causa che ha determinato la crisi reversibile, ovvero irreversibile, dovendosi avere riguardo, in via esclusiva, alla capacità dell'impresa di affrontare e risolvere, positivamente, la situazione nella quale si è venuta a trovare.

Il legislatore, a tal fine, ha offerto, in via alternativa, lo strumento del concordato preventivo liquidatorio, l'altro di risanamento indiretto, attraverso la cessione, con continuità aziendale, ovvero mediante la ristrutturazione del debito, con conseguente riconoscimento di una prassi diffusa a livello stragiudiziale.

Pur nella consapevolezza che la norma (

art. 3

l. n. 223/

1991

) continua a far riferimento, in via esclusiva, a procedure tipicamente liquidatorie (fallimento, concordato preventivo con cessione dei beni, amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa), il Ministero del Lavoro, con nota della Direzione generale del 17 marzo 2009, prot. 4314, ha riconosciuto l'applicabilità del trattamento straordinario nei confronti delle imprese che propongano un concordato preventivo di risanamento indiretto o con continuità aziendale, ovvero sottoscrivano un accordo di ristrutturazione del debito, ciò in quanto entrambe le soluzioni negoziali si caratterizzano per essere esse determinate da una situazione di crisi dell'impresa e da una proposta ripartizione del debito che coinvolge i creditori.

Attraverso l'operata ricostruzione dell'istituto è stata attuata una estensione del trattamento integrativo anche al concordato preventivo non liquidatorio, con attrazione dell'istituto della ristrutturazione del debito tra le causali previste dall'

art. 3, comma 1, della legge n. 223 del 1991

, con decorrenza, nel caso dell'accordo, dalla pubblicazione di esso nel registro delle imprese e del concordato preventivo dalla emissione del decreto di ammissione da parte del tribunale.

In pratica, l'evoluzione normativa che ha caratterizzato la riforma delle procedure concorsuali - rivolta alla conservazione ed al recupero delle capacità produttive dell'impresa piuttosto che alla liquidazione del patrimonio - ha consentito di riservare uno spazio di intervento più ampio anche in presenza di quelle soluzioni concordatizie che non si risolvano nella cessione dei beni, atteso l'intervenuto riconoscimento di una proposta di concordato preventivo, mediante la presentazione di un piano, in grado di prevedere “…la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma” o, ancora, la conclusione di un accordo, regolato dall'

art.182-bis

l. fall

., definito direttamente dalle parti, a conclusione di una fase di trattative e di verifiche preliminari sulla fattibilità del piano, corredato da una relazione redatta da un professionista che ne attesti la ragionevolezza e la concludente possibilità di adempimento degli obblighi, nei confronti dei creditori dissenzienti, ricadendo entrambi tali strumenti sotto il controllo dell'Autorità Giudiziaria, attraverso la richiesta omologazione.

Lo stesso Ministero ha ritenuto di dover escludere dalla ammissione alla fruizione del trattamento straordinario di integrazione salariale, previsto dall'

art.

3 della

legge n. 223/

1991

, il piano di risanamento del debito, regolato dall'

art. 67, comma

3

, lett. d)

l. fall

., ancorchè per questo si richieda l'attestazione e la idoneità “…a consentire il risanamento della situazione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”, dal momento che non interviene un controllo da parte dell'Autorità Giudiziaria, ma la valutazione è, per così dire, postuma, al fine di poter stabilire, nell'ipotesi in cui venga dichiarato il fallimento, se possano essere esentati dalla revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore, se posti in essere in esecuzione di quel piano, quante volte la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità di esso sia stata attestata da un professionista in possesso dei requisiti previsti dall'

art. 28 lett. a) e b),

l. fall

.

Per meglio comprendere esatta portata, contenuto e conseguenze derivanti dalla riformulazione dell'

art. 3, comma

1

,

legge 23 luglio 1991, n. 223

, a seguito della riformulazione effettuata, attraverso l'

art. 46-

bis

d.l. n. 83/

2012

, dell'

art.

2, comma

70

, legge 28 giugno 2012, n. 92

- che ha operato la sostituzione delle parole “…qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata”, con la diversa previsione della necessaria sussistenza di “…prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione…”, per il riconoscimento del trattamento integrativo concorsuale, attraverso la ricorrenza e valutazione dei parametri oggettivi definiti con decreto del Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali il 4 dicembre 2012 (Moretti-Scaini, Il futuro della cassa integrazione guadagni straordinaria concorsuale alla luce delle novità introdotte dal c.d. decreto crescita, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2013, 267; Id., La novità in materia di cassa integrazione guadagni nel fallimento, in Fall., 2014, 121; Caiafa A., La riforma del mercato del lavoro e le procedure concorsuali, Roma, 2013, 102) - occorre far riferimento al diverso contenuto precettivo della norma, che aveva inteso riservare il trattamento integrativo concorsuale alle imprese operanti, in determinati settori, per consentire al lavoratore di mantenere la condizione di occupato, per il periodo stabilito, tipizzando le ipotesi ed i motivi in presenza dei quali, al termine di esso, poteva procedersi alla collocazione in mobilità, ovvero al licenziamento collettivo, mediante la procedimentalizzazione delle scelte, nella individuazione dei lavoratori interessati, spostando il controllo dal momento giudiziario, successivo al recesso, a quello amministrativo e sindacale precedente la sua attuazione.

L'

art. 3 della legge n. 223/

1991

aveva, difatti, introdotto una nuova fattispecie di derogabilità delle integrazioni salariale al fine di garantire la stabilità del posto di lavoro e del reddito, tentando di assicurarne la permanenza, nonostante l'apertura della procedura concorsuale liquidatoria (fallimento, amministrazione straordinaria, liquidazione coatta amministrativa e concordato preventivo con cessione dei beni), attraverso la diversa previsione che il licenziamento poteva – così come ancora può, essendo rimasto immutato il terzo comma - essere attuato, rispettivamente, ai sensi degli artt. 4 o 24 della stessa, allorché, al termine del periodo di integrazione salariale, che avesse permesso al lavoratore di mantenere la condizione di occupato, non fosse risultato possibile realizzare alcuna delle ipotesi circolatorie dell'azienda, considerate al secondo comma dello stesso art. 3, tanto da dovere i rapporti essere necessariamente risolti (Miscione, L'integrazione salariale ed eccedenza di personale, in Giur.it., 1991, IV, 4; Cinelli, La nuova disciplina della Cigs, in Dir.prat.lav., 1991, 2575; Giudici, Licenziamenti collettivi per riduzione di personale, in Dir.prat.lav., 1991, inserto 34; Lebra, L'indennità di mobilità, ivi, 1992, 149; Caiafa A., Sopravvivenza dell'impresa nelle procedure concorsuali e sorte dei rapporti di lavoro, in Dir.lav., 1991, I, 48; Id., Insolvenza del datore di lavoro e tutela dei dipendenti, in Il fallimento, 1992, 559; Id., I rapporti di lavoro e le procedure concorsuali, Padova, 1994, 22).

La

legge n. 223 del 1991

, nel disciplinare la sorte del contratto di lavoro nel fallimento e nelle procedure concorsuali, aveva distinto, espressamente, l'ipotesi della prosecuzione dell'attività di impresa, per la quale aveva escluso i licenziamenti, stabilendo, nel caso di cessazione, che i rapporti rimanessero sospesi per un periodo massimo di dodici mesi, con l'intervento della cassa integrazione senza richiedere la sussistenza di prospettive di prosecuzione dell'attività, sì da risultare l'ammortizzatore uno strumento per il mantenimento del reddito, oltreché della condizione di occupato (Liebman, Liquidazione e conservazione dell'impresa nelle procedure concorsuali: insolvenza dell'imprenditore e strumenti di tutela del lavoro subordinato, in Dir.rel.ind., 1995, 29; Spena, La cassa integrazione guadagni straordinaria e le procedure concorsuali, in Il Diritto del mercato del lavoro, 2005, 115; Caiafa A., I rapporti di lavoro nelle crisi di impresa, Padova, 2004, 37).

L'ammissione era automatica, dovendosi individuare l'unica condizione, per la concessione del beneficio, nella presentazione della domanda da parte dell'organo competente.

Al secondo comma dell'art. 3 era ed è previsto, ancora dopo la riforma, che il primoperiodo massimo di dodici mesi potesse essere, ulteriormente, prorogato allorché vi fossero fondate prospettive di continuazione o ripresa dell'attività, risultando condizionato, in questo caso, il riconoscimento dalla presentazione di una domanda, da parte dell'organo rappresentativo della procedura, ed approvata dal giudice delegato, nella quale avrebbero dovuto essere puntualizzate le ragioni che suggerivano l'estensione del beneficio che, come vedremo, costituisce il presupposto oggettivo richiesto per la concessione del relativo trattamento.

La nuova disciplina, a differenza della precedente, è caratterizzata dall'intento di realizzare la permanenza dei rapporti di lavoro facenti capo all'impresa sottoposta ad una procedura concorsuale, non più, solo liquidatoria, in ragione della estensione al concordato preventivo con continuità ed all'accordo di ristrutturazione, sul presupposto della salvaguardia dell'occupazione tramite la “…cessione dell'azienda o di sue parti”, alla condizione, però, che sia possibile, nell'immediatezza, individuare la sussistenza di quelle prospettive ora previste dal primo comma per la concessione, e dal secondo per la proroga.

Il predetto trattamento riconosciuto in favore delle imprese appartenenti al settore industriale che occupino più di quindici dipendenti e, per effetto di una serie di disposizioni che nel tempo hanno modificato la originaria previsione, anche a quelle del settore commerciale che ne occupino più di cinquanta, è stato esteso, attraverso l'aggiunta del comma 3-bis, a decorrere dal 1° gennaio 2013, anche alle agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più di cinquanta dipendenti, alle imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti e, ancora, alle imprese del trasporto aereo e del sistema aeroportuale, a prescindere dal numero di dipendenti.

Prospettive di continuazione dell'attività ed interventi per il mantenimento dei livelli occupazionali secondo parametri oggettivi

L'analisi ora si sposta, quindi, sul terreno della necessaria individuazione, nella richiesta, della sussistenza di prospettive di continuazione o ripresa dell'attività per la salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione che, al contrario di quanto previsto in precedenza, sembra possano agevolmente essere individuate nel caso delle procedure conservative piuttosto che in quelle liquidatorie, anche se la individuazione delle soluzioni per la continuazione lasciano ritenere che, in effetti, al momento della presentazione della domanda, nel caso del concordato preventivo, e della iscrizione dell'accordo nel registro delle imprese nel caso dell'istituto della ristrutturazione, ovvero di apertura della procedura concorsuale, l'attività può essere, in effetti, già cessata.

Ebbene il decreto ministeriale, nell'operare la individuazione dei parametri oggettiviper l'autorizzazione della Cigs ai sensi dell'

art. 3, comma primo, della legge n. 223 del 1991

, così come modificato dall'

art. 46-

bis,

comma primo, lett. h) del

d.l.

n. 83 del 2012

– convertito con modificazioni dalla

legge 7 agosto 2012, n.134

– muove dal presupposto che gli ammortizzatori sociali devono intendersi volti ad agevolare la ricollocazione dei lavoratori, favorendo la conservazione del patrimonio, delle competenze e delle professionalità acquisite, nonché ad incrementare, con specifici percorsi formativi e di riqualificazione, la occupabilità del destinatari, ciò al fine di valorizzare “….con le politiche attive, l'allineamento tra l'offerta e la domanda di lavoro”.

L'attuale sistema, quindi, si pone, come obiettivo, nel tempo, non già il sostegno al reddito, in caso di disoccupazione, quanto, piuttosto, la individuazione delle soluzioni per la conservazione del posto di lavoro, sicché gli strumenti operativi a tal fine non si identificano nelle indennità che verrebbero a far apparire il sistema stesso meramente assistenzialistico, quanto, piuttosto, essi devono essere diretti alla migliore gestione degli esuberi dei lavoratori, con la conseguenza che il trattamento di integrazione salariale non deve operare nel senso di prolungare la durata del rapporto di lavoro in situazioni di crisi strutturale difficilmente reversibile – come nel caso evidente delle procedure concorsuali – né deve essere diretto, in via esclusiva, ad evitare il conflitto sociale, ma operare per rafforzare professionalmente i soggetti interessati dalla sospensione del rapporto.

Vi è la convinzione, in pratica, che gli ammortizzatori sociali, se utilizzati in termini assistenzialistici, determinano un irrigidimento del mercato del lavoro ed accrescono l'offerta di lavoro per l'economia sommersa, ciò in quanto i lavoratori in

Cigs,

ovvero in mobilità, proprio per la durata dei trattamenti, hanno tutto l'interesse ad operare sul mercato del lavoro sommerso per mantenere il diritto alla integrazione salariale.

Di qui la necessità di disancorare gli ammortizzatori sociali dal sistema degli interventi di politiche del lavoro c.d. passive, orientate principalmente a sostegno del reddito nelle fasi in cui non è consentito mantenere l'occupazione, e l'avvertita esigenza di collegare il trattamento a misure di politica attiva, e cioè a servizi di orientamento, formazione e collocamento, funzionali a ridurre al minimo il tempo di inattività, aumentando la occupatibilità del lavoratore.

Il sistema così ridisegnato degli ammortizzatori tende a vincolare la erogazione attraverso il c.d. “patto di servizio”, già introdotto dall'

art. 19, comma

10

,

d.l.

29 novembre 2008, n. 185

– convertito nella

legge 28 gennaio 2009, n. 2

– con il fine specifico di impegnare il centro per l'impiego ad azioni di orientamento e di informazione, con proposte di tirocini ed offerte di lavoro adeguate, obbligando l'integrato o il disoccupato a partecipare, in modo attivo, ai percorsi di inserimento concordati (Draghi, I motivi dell'assicurazione sociale, intervento al Collegio Carlo Alberto, Moncalieri, 13 ottobre, 2009).

L'attuale sistema degli ammortizzatori sociali, dunque, risulterebbe essere maggiormente conforme a quello degli altri Paesi Europei che hanno operato, per lo più, al fine di fare dei sostegni al reddito uno strumento di sviluppo dell'occupazione, mediante una effettiva integrazione tra politiche passive ed attive, ancorando la erogazione dei sostegni alla partecipazione a programmi di reinserimento e riqualificazione.

Un corretto sistema di flexicurity, difatti, deve sostenere il lavoratore nelle fasi di non occupazione attraverso il riconoscimento di trattamenti condizionati alla partecipazione a programmi di politica attiva allo scopo di ridurre i tempi di reinserimento e di consentire la riqualificazione, ciò al fine di evitare che i periodi di sospensione, dovuti al riconoscimento dei trattamenti integrativi, vengano a diluire i tempi di riallocazione sul mercato e si concludano, quindi, con il licenziamento degli stessi.

In tal senso sembra essersi orientato il Governo nella individuazione dei parametri, muovendo dalla considerazione che il mantenimento di una condizione di sospensione può essere utile nei casi di trattative in corso per la cessione dell'azienda, atteso che l'esito positivo di esse verrebbe a determinare il reinserimento dei lavoratori e, quindi, a garantire quella “salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione…” cui fa riferimento la norma, così come rivisitata (

art. 2, comma settanta, legge n. 92 del 2012

) (Anastasia, in Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell'arte. Tra riformismo strisciante, inerzia dell'impianto categoriale e incerti orizzonti di flexicurity, wwp n.112, ISAE, aprile 2009; Balletti, Disoccupazione e lavoro. Profili giuridici della tutela del reddito, Torino, 2000; Guerzoni, La riforma del Welfare. Dieci anni dopo la “commissione Onofri”, Milano, 2008; Rosato, Linee e guida per una riforma della Cigs e della mobilità, Venezia, 2007).

I parametri oggettivi - che vanno indicati, anche in via alternativa, nell'istanza di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale - sono finalizzati alla salvaguardia dei livelli occupazionali e tengono conto della posizione non solo dell'impresa istante, ovvero nel caso che la procedura concorsuale sia liquidatoria della posizione di questa, ma anche, e soprattutto, dei terzi interessati alla acquisizione dell'azienda o di singoli rami, che vengono dall'art. 1 del decreto ristretti al solo curatore fallimentare, al commissario liquidatore ed al commissario straordinario e, dunque, rispettivamente, alle procedure tipicamente liquidatorie del fallimento, della liquidazione coatta amministrativa e della amministrazione straordinaria tralasciando, completamente, il concordato preventivo con cessione dei beni, seppure l'

art. 3, al comma primo, della legge n. 223 del 1991

, espressamente lo consideri fra le procedure per le quali può essere concesso l'intervento straordinario di integrazione salariale, nonostante il Ministero, con la circolare 14/4314 del 17 marzo 2009, abbia operato una interpretazione estensiva della norma al fine di attrarre, nell'ambito delle causali previste da quest'ultima, non solo il concordato di risanamento in continuità, ma, anche, come si è visto, l'accordo di ristrutturazione del debito (Riva, Questioni aperte in tema di CIGS e le imprese in crisi che chiedono l'ammissione al concordato preventivo, in ilFallimentarista.it; Aprile, La nuova cassa integrazione guadagni concorsuale, in Aprile-Bellé, Diritto concorsuale del lavoro, Milano, 2013, 62; Caiafa A.-Caiafa F., Il contratto di lavoro, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, Torino, 2009, I, 819-867).

Dunque, la confusione permane e, invero, si accresce laddove si considerino, per l'appunto, i parametri oggettivi, che risultano essere più coerenti con procedure non propriamente liquidatorie, laddove si consideri che essi – come presto vedremo – presuppongono una valutazione, da parte dell'organo della procedura, che ben difficilmente può essere da questi operata.

Vediamone le ragioni.

L'art. 2 del

d.m

. individua tre distinti parametri, che possono essere indicati, anche in via alternativa, dal responsabile della procedura concorsuale, nell'istanza di concessione volta ad ottenere il trattamento integrativo straordinario, e fa riferimento:

  • a misure “… volte all'attivazione di azioni miranti alla prosecuzione dell'attività aziendale o alla ripresa dell'attività medesima” (lettera a);

  • alla esistenza di “… manifestazioni di interesse da parte di terzi, anche conseguenti a proposte di cessione, anche parziale dell'azienda, ovvero a proposte di affitto a terzi dell'azienda o di rami di essa” (lettera b);

  • alla esistenza di “… tavoli, in sede governativa o regionale, finalizzati all'individuazione di soluzioni operative tese alla continuazione o alla ripresa dell'attività, anche mediante la cessione, totale o parziale, ovvero l'affitto a terzi dell'azienda o di rami di essa” (lettera c).

La norma individua, negli ora richiamati parametri oggettivi, i presupposti dai quali dovrebbe desumersi la richiesta “… sussistenza di prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività”, venendo operata all'art. 3 dello stesso

d.m

. 4 dicembre 2012 la elencazione degli ulteriori parametri oggettivi, da indicarsi, sempre in via alternativa, nell'istanza di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale per quel che attiene la “… sussistenza della salvaguardia, anche parziale dei livelli di occupazione”, che àncora:

  • all'esistenza di “… piani volti al distacco dei lavoratori presso imprese terze” (lettera a);

  • alla “… stipula di contratti a tempo determinato con datori di lavoro terzi” (lettera b);

  • all'esistenza di “… piani di ricollocazione dei soggetti interessati, programmi di riqualificazione delle competenze, di formazione e di politiche attive” dai soggetti a ciò autorizzati, ovvero accreditati (lettera c).

Ebbene, l'operata ricostruzione permette di tenere distinte le soluzioni sin qui considerate per il riconoscimento del trattamento integrativo concorsuale a seconda che l'impresa, in quanto insolvente, venga assoggettata ad una procedura tipicamente liquidatoria, dall'altra in cui, versando in una situazione di crisi reversibile, intenda proporre al ceto creditorio un concordato preventivo di risanamento indiretto o con continuità, ovvero un accordo di ristrutturazione del debito, soluzioni negoziali, queste, attratte dal Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali, con la più volte richiamata circolare, nell'ambito dell'

art. 3 della legge n. 223 del 1991

.

Non può, però, non emergere che di tali soluzioni non vi è cenno nei parametri oggettivi elaborati dal Ministero con il d.m

. 4 dicembre 2012, seppur, peraltro, l'

art. 3 della legge n. 223 del 1991

, nel testo rivisto e modificato dall'

art. 2, comma 70, della legge n. 92 del 2012

– per come riscritto dall'art.46-bis, comma primo, lett. h) della

legge n. 134 del 2012

- faccia espresso riferimento al concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, prevedendo che, in caso di mancata omologazione, il periodo integrativo fruito dai lavoratori sia detratto da quello stabilito nel caso di dichiarazione di fallimento.

Ne deriva che le conseguenze della diversa operata previsione sembrano essere piuttosto evidenti, dal momento che la richiesta di intervento straordinario, nel caso della procedura di crisi, deve trovare idonea giustificazione nel programma, che deve essere predisposto, atteso il permanere dell'obbligo per la parte richiedente di considerare, complessivamente, il risultato di impresa, il fatturato e l'indebitamento riguardante il biennio precedente, sì da lasciare emergere un andamento a carattere negativo, ovvero involutivo, tale da giustificare, in via generale, la necessità della prevista fase di ristrutturazione, riorganizzazione, conversione, ovvero di ridimensionamento dell'organico aziendale, in ragione della denunciata crisi reversibile, o meno, che ha determinato l'apertura della procedura concorsuale.

Nel caso della crisi, oltre ad essere richiesta una relazione tecnica, recante le motivazione a supporto della critica situazione economico-finanziaria [art.1 lett. a)], vi è l'obbligo, per l'impresa, di presentare un “piano di risanamento” con definizione delle “azioni intraprese o da intraprendere, per il superamento delle difficoltà….distinte per ciascun settore di attività dell'impresa stessa, nonché per ciascuna unità aziendale interessata dall'intervento straordinario di integrazione salariale”, ed anche un “piano di gestione” degli esuberi strutturali.

Ciò è quanto viene sollecitato per l'ipotesi in cui la causa della crisi non sia dovuta ad un evento imprevedibile ed improvviso, essendo richiesto in tal caso solo il piano di risanamento e di gestione degli esuberi [rispettivamente, lettere c) e d) dell'art.1].

Il

d.m

. 18 dicembre 2002 regola, anche, la concessione del trattamento nei casi di cessazione dell'attività, precisando all'art. 2 che tale evento può riguardare l'intera azienda, ovvero un settore della stessa, imponendo in tal caso la presentazione di un “piano di gestione dei lavoratori in esubero” inteso a ridurre il ricorso alla mobilità, purché nel corso del periodo dell'intervento integrativo richiesto, “…ovvero nell'arco dei dodici mesi successivi al termine di tale intervento”, la mobilità non costituisca uno strumento di ricollocazione, anche parziale, del personale in organico.

L'art. 3 del medesimo

d.m.,

poi, non prevede alcuna causa di esclusione qualora il trattamento integrativo venga richiesto per cessazione dell'attività, anche se esclude da quello per crisi aziendale le imprese che abbiano iniziato l'attività produttiva nel biennio antecedente, ovvero non l'abbiano avviata, o abbiano subito significative trasformazioni societarie, avvenute tra imprese che presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, allo scopo di contenere i costi di gestione.

Non risultano richiamate, dalla

legge n. 92 del 2012

di riforma del mercato del lavoro, tra le disposizioni oggetto di abrogazione, il d.m

. 18 dicembre 2002 e la stessa

legge 3 dicembre 2004 n. 291

, di conversione, con modificazioni, del

d.l.

5 ottobre 2004 n. 249

, recante interventi urgenti in materia di politica del lavoro e sociale, che all'art. 1, seppur nei limiti di spesa previsti dal Fondo per l'occupazione - di cui

art. 1, comma 7, della legge 19 luglio 1993 n. 236

- ha previsto la proroga per un periodo di dodici mesi, nel caso di cessazione dell'attivitàdell'intera azienda (Gallo, La modifica dei crediti concessivi della Cigs, in Dir.prat.lav., 2002, 2770; Caiafa A., Sorte del rapporto di lavoro nelle procedure di insolvenza, in Diritto Europeo: crisi di impresa e sorte dei rapporti di lavoro, Milano, 2008, 119) (art.2, comma 71,

legge n. 28 del 2012

).

G

li strumenti cui si è ora fatto cenno determinano un preciso onere per l'impresa, non previsto nel caso del trattamento regolato dall'

art. 3 della legge n. 223 del 1991

, con la finalità di consentire la prosecuzione del rapporto per il raggiungimento, non già, per fini previdenziali di tutela del reddito, ma per il mantenimento della condizione di occupato, dal momento che la continuazione dello stesso, pur se sospeso, riguarda le obbligazioni principali che gravano sulle parti, come risulta dimostrato dalla circostanza che durante il periodo di integrazione maturano, come conseguenza dell'anzianità acquisita, le relative quote di fine rapporto (

Cass., 2 dicembre 1991, n.12908

).

L

a differente previsione del presupposto oggettivo, in presenza del quale può essere consentito l'accesso al trattamento integrativo concorsuale per le imprese assoggettate ad una procedura liquidatoria – al di là dell'operata attrazione, da parte del Ministero, nell'

art. 3, della legge n. 223 del 1991

, anche delle soluzioni negoziali concordate - individuato nella sussistenza delle condizioni perché l'attività possa essere proseguita, ovvero continuata, collide con la finalità di gran lunga preminente che il legislatore aveva inteso realizzare attraverso l'

art. 3 della legge n. 223 del 1991

– di cui è stata prevista la relativa abrogazione con decorrenza dal gennaio 2016 – da ricercarsi nell'intento di salvaguardare la professionalità acquisita dai lavoratori dell'impresa, in crisi ovvero insolvente, consentendo la continuità del rapporto attraverso la garanzia del reddito, per permettere, attraverso il subentro di nuovi imprenditori, la tutela anche dell'occupazione (Alleva, Sorte del rapporto di lavoro nelle procedure concorsuali, in Collana di Studi giuridici dell'Ordine degli Avvocati di Bari, Bar, 2000, 29; Caiafa A., Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova, 2006, 374), e ciò finanche nell'ipotesi in cui non fosse ipotizzabile la ripresa dell'attività cessata e non continuata.

E' evidente che la riformulazione della norma e la individuazione dei parametri oggettivi hanno inteso escludere ogni applicazione automatica del trattamento integrativo concorsuale, seppure l'

art. 3, al comma primo, della legge n. 223 del 1991

, continui a prevedere che il “…trattamento straordinario di integrazione salariale è concesso…”, lasciando, pertanto, presumere – laddove si consideri l'espressione letterale utilizzata e mantenuta – che l'organo della procedura, ove non intenda incorrere in omissioni, dalle quali potrebbero discendere precise responsabilità, debba operarne l'inoltro, pur se non sussiste, per il Ministero, alcuna possibilità di operare una diversa valutazione in termini di adesione, dal momento che i presupposti oggettivi sono variati e non si fa più riferimento alla cessazione dell'attività e non continuazione di essa, seppur, invero, la valutazione della sussistenza di “prospettive di continuazione o di ripresa” ancorchè correlata poi alla possibilità di realizzare la “salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione”, induca a ritenere che, in effetti, l'attività può essere anche cessata atteso che, diversamente, non si spiegherebbe l'utilizzo dell'espressione “ripresa” (Bonetti-Scaini, Le novità in materia di cassa integrazione e guadagni nel fallimento, in Fall., 2013, 122).

E' evidente, però, laddove si tenti di operare un'interpretazione coerente e sistemica dei parametri oggettivi per una individuazione della ratio della previsione degli stessi, anche in via alternativa, che il legislatore ha inteso fare rientrare, tra le misure volte all'attivazione delle azioni miranti alla prosecuzione dell'attività, o ripresa della stessa, l'affitto endoconcorsuale, regolato dall'

art.

104-

bis

l. fall

. e, a maggior ragione, l'ipotesi in cui l'organo della procedura intenda richiedere l'autorizzazione alla continuazione temporanea dell'attività, dovendosi ritenere certamente sussistente il presupposto oggettivo quante volte con la sentenza dichiarativa di fallimento sia stato disposto l'esercizio provvisorio.

Non diversa l'interpretazione riferita all'altro presupposto oggettivo dell'esistenza di manifestazioni di interesse nell'acquisizione dell'azienda, o del singolo ramo, in presenza di proposte di affitto, ovvero acquisto, seppur è difficile immaginare che all'indomani dell'assoggettamento dell'impresa ad una procedura concorsuale liquidatoria vi possano essere manifestazioni di interesse in tal senso, che, seppur esistenti, non potrebbero essere scrutinate positivamente da parte dell'organo della procedura, attesa la necessità di dover effettuare le necessarie valutazioni e dar luogo a quelle procedure competitive che la legge di riforma ha imposto.

Il riferimento all'esistenza di “tavoli in sede governativa o regionale, finalizzati alla individuazione di soluzioni operative tese alla continuazione o alla ripresa dell'attività, anche mediante la cessione, totale o parziale…”, ovvero ancora “l'affitto a terzi dell'azienda o di rami di essa”, non sembra essere un parametro diverso, per il suo contenuto, da quello individuato alla lettera b), anche per la già chiarita impossibilità, per l'organo della procedura, di prendere in considerazione le relative proposte, pur riconoscendo l'importante compito di mediazione, che può essere svolto nella sede indicata, anche se deve ritenersi scontata la concessione del trattamento integrativo proprio in ragione dell'intervento dei soggetti deputati ad una valutazione della sussistenza dei relativi presupposti (Governo e Regione) (Bonetti-Scaini, Le novità in materia di cassa integrazione e guadagni nel fallimento, cit., 123).

La ricerca di condizioni condivise appare essere propiziata dall'esame congiunto, di cui all'

art. 2, comma 3, del d.

p.r.

n. 218 del 2000

, che appare essere la sede maggiormente idonea per la individuazione dei piani di ricollocazione dei soggetti interessati, richiesti per la valutazione della “sussistenza della salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione”, di cui deve tenersi conto, in aggiunta ai parametri oggettivi di cui all'art. 2 del d.m

. 4 dicembre 2012.

Si ritiene, quindi, possibile che, attraverso un dialogo tra parti sociali e l'organo della procedura concorsuale, si valutino le soluzioni possibili perché imprese terze possano favorire la ricollocazione dei soggetti interessati mediante la stipula di contratti a tempo determinato [art.3 lett. b)], ovvero il “distacco”, nella consapevolezza, con riferimento a tale istituto, di riconoscere ad esso una autonoma funzione, in ogni caso, ben diversa da quella ad esso attribuita dall'

art. 30 del

d.l

gs. n. 276 del 2003

, richiedendo tale disposizione l'esistenza di un interesse da parte del datore di lavoro distaccante ai fini del temporaneo utilizzo del distaccato, presso altro imprenditore, “…per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa”.

Non diversa la valutazione per quel che attiene il riferimento alla stipula di contratti a tempo determinato, che non si vede come possa intervenire in un momento antecedente la presentazione della domanda integrativa, presupponendo, per l'appunto, la stipula la precedente risoluzione del rapporto di lavoro, sicché non avrebbe alcun senso il relativo parametro per una sua valutazione ai fini della sussistenza della salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, salvo che non si ritenga costituire la stipula il presupposto per l'accesso al trattamento integrativo del residuo personale in organico (Bonetti-Scaini, Le novità in materia di cassa integrazione e guadagni nel fallimento, cit., 123).

Conclusioni

L'aver previsto che l'apertura delle procedure concorsuali,

siano esse determinate da crisi reversibile o meno, non costituisce causa di risoluzione dei contratti in corso è ben poca cosa, se si considera che alla mancanza di una normativa specifica, per quel concerne gli effetti derivanti sui rapporti di lavoro, fa eco, di contro, una disciplina dettagliata per la tutela dei livelli occupazionali, attuata attraverso l'istituto dell'integrazione salariale straordinaria, che dimostra come, invero, il legislatore ha inteso introdurre, nel nostro ordinamento, con l'art.46-bis della

legge n. 134 del 2012

, un sistema di sospensione della prestazione lavorativa e del relativo obbligo retributivo, con finalità di natura, non già, assistenziale, quanto, piuttosto, allo scopo di favorire il superamento di crisi strutturali, ovvero congiunturali, per la conservazione, anche parziale, dei posti di lavoro, che si è sostituito al precedente, anche se ha mantenuto di esso la relativa struttura, prevedendo la necessaria sussistenza di precise condizioni di ripresa ovvero continuazione dell'attività per la sua concessione.

L'attuale sistema normativo individua, difatti, specifiche forme di intervento in tutte quelle ipotesi in cui la contrazione dell'attività sia stata caratterizzata dall'involontarietà, dalla temporaneità e si accompagni, comunque, alla certezza della ripresa del normale ritmo produttivo.

Esistono, al riguardo indici rilevatori dettati per la valutazione dei programmi delle aziende che richiedono l'intervento straordinario della cassa integrazione guadagni per crisi aziendale, individuati, alternativamente e congiuntamente, nel fatturato o nel risultato operativo dell'impresa, con riferimento al biennio precedente, ed in grado di evidenziare l'esistenza di una crisi qualora dal confronto emerga un andamento a carattere negativo, ovvero involutivo, e ci si chiede se altrettanto sia tenuto a fare l'organo di una procedura liquidatoria nel momento di apertura della stessa, attesa la difficoltà, per questo, di fare una previsione dinamica in ordine alla possibilità di ripresa o continuazione dell'attività per poter richiedere il previsto intervento.

Oggi – è bene ribadirlo – perché l'impresa possa accedere al trattamento di integrazione salariale concorsuale è richiesta la necessaria predisposizione di un piano di risanamento

,

che deve essere accompagnato da una analitica relazione tecnica, nella quale devono essere indicate le cause che hanno determinato la crisi e specificate le azioni intraprese e le ulteriori iniziative che si intendono avviare per il superamento delle constatate difficoltà, e che, tra l'altro, devono essere illustrate con riferimento a ciascun settore di attività dell'impresa stessa interessato dall'intervento, analisi questa che deve essere svolta dall'imprenditore qualora intenda proporre una domanda di concordato.

Avendo, pertanto, la riforma escluso ogni automatismo ed optato per una interpretazione rigida per la concessione dell'ammortizzatore sociale deve, per logica coerenza, ritenersi sussistere l'obbligo di predisporre un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione che permetta, attraverso il confronto con la componente sindacale, di operare una valutazione generale della rilevanza o convenienza del trattamento di integrazione salariale richiesto, in grado, al tempo stesso, di favorire l'immediata mediazione del Sindacato, al fine di consentire la composizione della crisi, nel caso di una procedura alternativa a quella liquidatoria o, comunque, per la individuazione delle condizioni per la sussistenza di prospettive di ripresa in quella liquidatoria.

Tra le parti interessate al superamento della crisi è indispensabile che vi sia un dialogo costruttivo, soprattutto laddove si consideri che si tratta di dover coniugare tra loro norme che impongono, da un lato, la previsione di un programma di ristrutturazione, con soluzioni di utilizzo delle risorse finanziarie destinate agli investimenti programmati e che possano giustificare le sospensioni dal lavoro, in quanto correlate, nelle misure e nei tempi, al processo di riorganizzazione che l'imprenditore intende realizzare e, dall'altro, le condizioni per il tempestivo avvio della procedura di composizione concordata della crisi (

Caiafa A., La riforma del mercato del lavoro e le procedure concorsuali, Roma, 2013, 248).

La prosecuzione dell'attività va vista in funzione del risultato economico, con la conseguenza che la procedura, ove si prefigga l'obiettivo di preservare le unità aziendali intrinsecamente sane, non può essere vissuta in chiave liquidatoria, ciò in quanto la possibile conservazione dell'impresa, oltre a realizzare un interesse collettivo sociale, per quel che concerne la stabilità dei rapporti di lavoro, soddisfa anche quello degli altri creditori concorrenti – e tra questi, naturalmente, gli stessi dipendenti – destinati a beneficiare dei risultati della procedura (Villani, Relazioni industriali e procedure concorsuali, Torino, 1996, 84; Caiafa A. Vicende circolatorie dell'azienda, Padova, 2000, 325), anche se il conflitto tra le contrapposte esigenze della salvaguardia dei posti di lavoro e della garanzia del credito non può essere risolto a svantaggio della seconda, sicchè è indispensabile riconoscere alle parti un ruolo attivo nella scelta della miglior soluzione, che non necessariamente si identifica nella conservazione dell'impresa, quante volte risulti più conveniente la liquidazione del patrimonio (Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, Milano, 1987, 12; Bisacchi, Delle crisi di impresa e delle procedure fallimentari, in Riv.dott.comm., 1995, 305; Ricci, Procedure liquidatorie. Procedure conservative e tecniche di individuazione del patrimonio (a proposito di ristrutturazione nella nuova amministrazione straordinaria), in Giur.comm., 2001, 36; Caiafa A., Crisi di impresa: valutazione dinamica di un concetto, in Crisi di impresa e riforma della legge fallimentare, a cura di Piccininni C.-Santaroni M., Roma, 2002, 95).

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