Noterelle sulla concorsualità “poco sistematizzata”

Danilo Galletti
15 Dicembre 2014

I principi del concorso formale e sostanziale, fissati dagli articoli51e 52l. fall., stabiliscono delle regole fondamentali e condizionanti per la partecipazione al concorso dei creditori. Con riferimento a tali principi, però, non si è registrata alcuna sensibilità da parte della dottrina a percepire le innovazioni introdotte in quest'impianto dalle Riforme successive al 2006, nonostante la tendenza alla “privatizzazione” ed alla degiurisdizionalizzazione abbia rimesso in discussione l'aspetto procedimentale dei fenomeni in discussione.L'Autore, con una approfondita e attenta disamina delle diverse questioni problematiche sul tema, offre un contributo sul tema della concorsualità, “poco sistematizzata”.
La nozione giuridica di concorso

Gli

artt. 51

e

52 l. fall

. tradizionalmente sono intesi come norme volte a fissare i principi fondamentali del “concorso” nell'ambito del fallimento: concorso sostanziale quanto alla prima, diretta ad impedire ai creditori, appunto “concorsuali”, di realizzare i propri diritti in modo diverso rispetto alla partecipazione all'espropriazione collettiva; e concorso formale quanto alla seconda, che afferma la necessità della previa verifica dei crediti, con le forme tipiche ammesse, uniche ed esclusive, proprio come condizione per la partecipazione al suddetto concorso.

Rari sono gli interventi in dottrina sensibili a percepire le innovazioni introdotte in quest'impianto dalle Riforme successive al 2006 (Lamanna, Commento agli artt. 51 e 52, in Commentario Cavallini, Torino, 2010,

991 ss., 1019 ss.); ed ancor più rare sono le occasioni per la letteratura scientifica di dedicarsi allo studio di cosa sia questo “concorso”, e se possano isolarsi dei tratti caratteristici ed identificativi, un “minimo comune denominatore” di ogni procedura “concorsuale”.

La giurisprudenza dal canto suo rifugge pure da ogni tentazione dogmatica, limitandosi a trarre per quanto possibile corollari da quelle indicazioni tradizionali e ad estrapolare talvolta dal sistema frammenti di una disciplina implicita della concorsualità, che frequentemente vengono letti, a mio avviso erroneamente, come espressivi di principi generali, laddove essi appaiono piuttosto epifenomeni di rationes decidendi peculiari (si pensi alla c.d. dottrina della consecuzione).

Eppure già il mero esame testuale delle due norme suscita adesso una certa sorpresa, se posto in controluce rispetto alle letture tradizionali: la norma di portata generale sembra l'

art. 52, comma 1°, l. fall

., che afferma in modo lapidario l'apertura del concorso dei creditori sul patrimonio dei debitori; a parte la collocazione specifica del disposto nella topografia della

legge fallimentare

, nulla sembrerebbe del resto autorizzare la conclusione circa il fatto che il concorso cui si fa riferimento si esaurisca negli effetti fissati nell'art. 51 e nei commi successivi dell'art. 52.

In sostanza l'

art. 52, comma 1°, l. fall

., sembrerebbe soltanto affermare che il fallimento è una procedura concorsuale, e che essa si apre con la emissione della sentenza dichiarativa di fallimento (avendo cura semmai di discriminare il momento di produzione degli effetti in generale, così regolato, e di quelli che incidono sui creditori, ancorati molto probabilmente alla pubblicazione della sentenza nel Registro delle Imprese).

Stupisce ancora la riluttanza nel prendere atto di come lo stesso art. 52, comma 1, non faccia distinzioni fra creditori anteriori e posteriori, e come le stesse disposizioni affermino l'inerenza dei due effetti principali (parrebbe) del concorso anche alle obbligazioni tipicamente individuate come non “concorsuali”, ossia quelle prededucibili (Lamanna, op. loc. citt., spec.

1025).

Ma cosa si intende per “concorso”?

Ci può essere concorso solo là dove vi sia una procedura concorsuale?

E soprattutto, ha senso concreto porsi questi problemi classificatori? Vi sono cioè dei potenziali effetti applicativi che possono discendere dalla qualificazione di un fenomeno organizzato relativo all'insolvenza come “concorso”, o come “procedura concorsuale”?

In effetti la tendenza alla “privatizzazione” ed alla degiurisdizionalizzazione nelle recenti riforme del diritto concorsuale ha svalutato non di poco l'aspetto procedimentale dei fenomeni in discussione. La stessa recente Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014 (“Un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza”) non sembra voler dedicare molto spazio agli aspetti procedimentali e processuali.

Ciononostante sembra possibile, come si vedrà, individuare ancora oggi alcuni tratti essenziali, che distinguono la dimensione meramente privatistica in cui si collochi il debitore che tratta con i suoi principali creditori una soluzione ristrutturativa, da quella concorsuale, oggetto dell'indagine, e della quale il diritto non può disinteressarsi, perché in essa viene esercitato un potere, intermediato o meno dal controllo pubblico (che come nel caso della Raccomandazione può essere esercitato dal Giudice, ma anche da un'altra Autorità), a cui si contrappone una situazione di soggezione da parte dei creditori (e del debitore).

La rilevanza della qualificazione si misura sul piano della possibile applicazione, pur non espressamente prevista, di norme che la

legge fallimentare

riferisce genericamente alle “procedure concorsuali”, come la prededuzione fallimentare (

art. 111 l. fall

.), oppure di altri istituti comunque ricostruiti in termini da renderli applicabili alle sole situazioni di carattere “concorsuale”.

Si fa poi riferimento anche alla c.d. consecuzione, che la giurisprudenza continua a ritenere praticabile, pur nell'assenza di indicazioni testuali esplicite (episodico apparendo il riferimento al “seguire” il fallimento il concordato nell'

art. 69-bis l. fall

.)(

Cass., 6 agosto 2010, n. 18437

; conf.

Cass., 5 marzo 2014, n. 5098

).

In realtà, come si vedrà subito, più che un “principio” di consecuzione fra procedure concorsuali, sembra possibile parlare semplicemente di un fenomeno di anticipazione di taluni effetti di una procedura alla data di apertura di altro fenomeno concorsuale (

Cass., 15 febbraio 1995, n. 1638

;

Cass., 3 novembre 2005, n. 21326

;

Cass., 26 giugno 1992, n. 8013

).

Il fatto che l'unica disposizione che ha qualcosa a che vedere con la consecuzione (

art. 69-

bis

l. fall

.) prenda in esame il solo “passaggio” da concordato a fallimento, non sembra poter escludere, anche per la stessa episodicità del disposto, che siano predicabili altri fenomeni analoghi.

E d'altro canto non pare condivisibile l'assunto di chi reputa che ormai la stessa consecuzione, come categoria generale, non abbia più motivo per legittimarsi, poiché tutte le fattispecie rilevanti sarebbero già oggetto di regolazione espressa

(artt. 69-bis

-

111 l. fall

.).

Minimo comune denominatore ?

La ricerca dei tratti essenziali e fondanti del “concorso” non può che muovere dagli aspetti normativi tipici delle procedure sicuramente di matrice concorsuale; difficile è invece estrapolare in negativo situazioni, caratteristiche di fenomeni di certa matrice extraconcorsuale, che siano certamente esclusive ed ostative rispetto a tale qualificazione.

Ed appare inevitabile muovere proprio dagli

artt. 51

-

52 l. fall

., per i motivi anzidetti.

L'evidenza dimostra che la formalizzazione e tipizzazione dell'accertamento del passivo non costituisce un tratto discriminante: il concordato preventivo, infatti, ne è palesemente privo (

Cass., 24 settembre 2012, n. 16187

). Dunque il concorso “formale” non costituisce un aspetto essenziale ed ineliminabile della concorsualità.

Quanto invece al blocco delle azioni esecutive, si tratta di un tratto che, pur se in modo non del tutto uniforme ed omogeneo (Nardecchia, Gli effetti del concordato preventivo per i creditori, Milano, 2011, 117 ss. cfr. invece Rolfi- Staunovo – Polacco, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2013, 85 ss.; Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella

legge fallimentare

, Torino, 2012,

274 ss.), sembra dover connotare in modo irrinunciabile qualunque fenomeno che attinga alla concorsualità. Come si vedrà fra breve, infatti, il proprium del fenomeno sembra da ricercarsi nel coordinamento “forzoso” dell'attività dei creditori volta a realizzare il proprio credito.

Occorre però formulare qualche distinguo: se infatti nel fallimento il blocco delle azioni esecutive accompagna tutta la fase che conduce al soddisfacimento delle ragioni creditorie, lo stesso non può dirsi quanto al concordato, ove esso accompagna soltanto la fase che conduce alla votazione dei creditori, la procedura si chiude con l'emissione del decreto di omologazione, e nella fase successiva, di esecuzione del piano concordatario, i creditori non sono privati della propria azione esecutiva: semplicemente essi si ritrovano la propria obbligazione “conformata”, sulla base degli effetti che promanano dal decreto di omologa

ex

art. 184 l. fall

.; il fenomeno dunque attiene all'aspetto sostanziale, non processuale, del credito, e non a caso quando l'obbligazione torna ad essere esigibile, con l'inadempimento del debitore, il creditore riacquista la pienezza delle proprie facoltà, anche esecutive (Nardecchia, Gli effetti del concordato preventivo per i creditori, cit., 161 ss.), e può persino restaurare la situazione sostanziale pregressa ottenendo la risoluzione del concordato.

Dunque, mentre nel fallimento il blocco delle azioni esecutive è strumentale alla stessa realizzazione delle aspettative creditorie, nel concordato esso assiste solo la fase giurisdizionale vera e propria, ma cessa allorquando la procedura si chiude, ed i creditori normalmente non sono ancora stati soddisfatti.

Si vede bene come così possa potenzialmente cadere una remora a ricondurre l'

art. 182-

bis

l. fall

. alla sfera concorsuale, posto che anche lì il blocco delle azioni esecutive, di breve durata, assiste in sostanza la sola fase di contrattazione con i creditori (nel c.d. pre-accordo), nonché quella fra il deposito e l'omologa.

Il pensiero corre inoltre verso la fase della vendita dei beni che compongono il patrimonio del debitore (“liquidazione”) e la ripartizione del ricavato fra i creditori, secondo le regole tipiche che sovraintendono alla c.d. graduazione (c.d. riparto), che caratterizza tanto il fallimento

(artt. 104 ss. l. fall

.), quanto la l.c.a., ed anche l'amministrazione straordinaria che adotti un piano di cessione. Poco cambia che oggetto della liquidazione sia la totalità dei beni componenti il patrimonio del debitore, atomisticamente o come aggregato.

In realtà, però, è di tutta evidenza che nel concordato preventivo una fase liquidatoria può mancare del tutto (come quando il concordato è in continuità “pura”, oppure con garanzia), e sicuramente difetta una fase obbligatoria di riparto, non essendo richiamate le disposizioni di cui agli

artt. 111 ss. l. fall

.

La vendita dei beni, invece, per la quale l'

art. 182 l. fall

. rinvia alle disposizioni tipiche della

l. fall

., avviene in fase post omologa, quando la procedura si è oramai chiusa, ed il debitore è tornato in bonis.

Può parlarsi allora lo stesso di concorso per il concordato?

Soprattutto, può esistere un concorso al di fuori e dopo la chiusura di una procedura concorsuale?

In realtà proprio l'esempio del concordato rivela che può esservi concorso anche senza espropriazione e vendita dei beni che compongono la responsabilità patrimoniale del debitore (

art. 2740 c.c.

). L'azione esecutiva, finalizzata alla vendita dei beni del debitore, è del resto solo una delle possibili forme di tutela dell'obbligazione (Bigliazzi Geri, Profili sistematici dell'autotutela privata, I, Milano, 1971,

17 ss.), laddove il creditore concorsuale si ritrova “conformate” tutta una serie di tutele, il cui esercizio può essere oramai solo collettivo, ossia assorbito nel concorso (si pensi alla revocatoria “ordinaria”).

Il concorso in tal caso si estrinseca non nella liquidazione dei beni, e nemmeno nella ripartizione del ricavato secondo i criteri legali della graduazione, bensì nella sottoposizione di tutti i creditori ad un regime di trattamento dell'insolvenza unitario, che può consentire di riprogrammare le obbligazioni tanto nel quantum quanto nella scadenza, e persino nell'oggetto della prestazione, trattamento al quale nessuno può sottrarsi (l'

art. 184 l. fall

., infatti, vincola anche i creditori che non abbiano partecipato al concorso).

Persino nel concordato con cessione dei beni, del resto, la liquidazione avviene dopo la chiusura della procedura, secondo regole che mimano quelle della liquidazione fallimentare

(artt. 105 ss. l. fall

.), ma senza alcuna esigenza di far luogo ad una graduazione dei crediti secondo l'ordine legale, poiché tali formalità non sono in alcun modo richiamate dalla Legge.

L'ordine delle cause legittime di prelazione è infatti regola del concordato e parametro di validità del piano concordatario (

art. 160 l. fall

.); ma una volta omologata la domanda è il piano la regola che governa l'esecuzione, non quell'ordine legale.

L'esecutore del concordato, pertanto, provvederà alle vendite rispettando in quanto compatibili le norme sulle vendite “coattive”, ma poi adempirà alle obbligazioni concordatarie rispettando i dettami del piano, non applicando (inesistenti) norme sul riparto.

Pure il carattere della universalità “oggettiva”, per cui i creditori sono ammessi a concorrere su tutto il patrimonio del debitore, individuato o meno, esistente al momento dell'apertura del concorso, ed anche sui beni futuri, appare sopravvalutato: da un lato, detto principio non si basa tanto sull'

art. 42 l. fall

., per cui appare superfluo indagare sulla portata “generale” o meno della norma, bensì sull'

art. 2740 c.c.

; dall'altro, esso può essere derogato solo col consenso espresso del creditore (v. Nicolò, Tutela dei diritti, in Comm. del cod. civ. diretto da Scialoja e Branca, Bologna- Roma, 1953, sub art. 2740, 15 s.; Pratis, Tutela dei diritti, in Commentario Utet, Torino, 1976, sub art. 2740, 44; Roppo, La responsabilità patrimoniale, in Tratt. dir. priv. diretto da Rescigno, 19, Torino, 1997,

391), e questo tanto fuori quanto all'interno di una procedura concorsuale.

Anche quanto alla scadenza forzata, ed all'arresto del decorso degli interessi, benché l'

art. 55 l. fall

. (richiamato dall'art. 169) discorra suggestivamente di “concorso” (e non già di “creditori”), non pare trattarsi di un tratto discriminante: la norma appare di ratio già abbastanza ambigua, e probabilmente ispirata da ragioni prettamente pratiche, ma non appare coessenziale al fenomeno della concorsualità: d'altro canto nessun richiamo all'art. 55 era contenuto nella abrogata disciplina della amministrazione controllata; e lo stesso significato del rinvio dell'

art. 169 l. fall

. non sembra da sopravvalutare.

Persino la nomina di un organo giudiziario che sostituisca o controlli il debitore (situazione che mi pare possibile apparentare al c.d. spossessamento, pieno nel fallimento od attenuato, come nel concordato), e la sottoposizione del debitore a vincoli di gestione (arg. ex

artt. 161,

comma 6,

167,

182-

quinquies

, l. fall

.), non sembra un tratto morfogenetico su cui scommettere troppo: detta nomina non era consentita, prima del Decreto del “Fare”, nel concordato preventivo “con riserva”, ma non mi pare che per questo si potesse dubitare della natura concorsuale dello stesso, ed anche ora la nomina è prevista come meramente eventuale; la recente Raccomandazione della Commissione pure considera espressamente l'ipotesi come non necessaria, e nemmeno “normale”.

La circostanza potrebbe sorprendere, se si pensa al caso Eurofood (Trib. Parma, 20 febbraio 2004; Alta

Corte di Dublino, 23 marzo 2004

;

Corte Giust

.

, 2 maggio 2006, C-341/04

): la Corte di Giustizia ha infatti ivi ritenuto che, affinché una procedura debba considerarsi aperta, occorre che la decisione giudiziale sia basata sull'insolvenza del debitore, che comporti spossessamento di quest'ultimo, e che contenga la nomina di un curatore, benché provvisorio.

Ma non sembra che il caso Eurofood possa esercitare un'attrazione sistematica determinante, tanto più alla luce delle indicazioni contenute di recente nella Raccomandazione.

La stessa necessità dell'emanazione di un provvedimento, amministrativo o giurisdizionale, è ormai da accantonare, posto che tutti gli effetti del concordato preventivo, in bianco o meno, sono ancorati non all'ammissione (o alla concessione del termine, mutatis mutandis), bensì alla pubblicazione della domanda nel Registro delle Imprese. A mio avviso ormai quello è il momento in cui la procedura si “apre”, con ciò rilevandosi anche un deciso avvicinamento fra il nostro sistema e quelli anglosassoni, ove è per lo più la stessa proposizione della domanda a segnare l'ingresso in procedura. Non si tratta poi di una mera anticipazione di effetti, destinati ad essere caducati in caso di mancata ammissione, posto che se il Tribunale non concede il termine per redigere il piano, oppure successivamente dichiara inammissibile la domanda, e dichiara il fallimento, gli effetti verranno sempre retrodatati alla data della pubblicazione della domanda, quelli già maturati resteranno stabili, non saranno annichiliti. Ciononostante, e di contro, l'assegnazione di poteri di controllo al Giudice (Patti, Crisi di impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009, passim; Fabiani

, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009), se non pare poter costituire un aspetto ineliminabile, non sembra neanche irrilevante, ai fini di effettuare la qualificazione: là dove si rinvenga il tratto in questione, in particolare, anche se probabilmente non si potrà considerare chiusa la ricerca, si sarà rinvenuto un forte indizio nel senso della concorsualità. Nemmeno il rispetto della par condicio creditorum pare poter esercitare la funzione classificatoria che stiamo ricercando (De Sensi, La concorsualità nella gestione della crisi d'impresa, Roma, 2009, 65 ss.; sul punto cfr. anche Terranova, Salvaguardia dei valori organizzativi e costi delle procedure concorsuali, in Liber Amicorum per Abbadessa, 3, Torino, 2014, 2784 ss): la disciplina dei concordati infatti consente sicuramente, attraverso l'introduzione dell'istituto delle classi, la deroga all'

art. 2741 c.c.

, laddove anche la stretta osservanza del principio dell'ordine delle cause legittime di prelazione non è così rigida come potrebbe sembrare (cfr.

Cass., 8 giugno 2012, n. 9373

).

Più in generale la discrezionalità del legislatore, nel ponderare i vari interessi coinvolti dall'insolvenza, ed i costi e benefici di ogni opzione, si esercita proprio nell'arte di strutturare le modalità concrete del trattamento concorsuale: non è assolutamente detto che debba dominarvi il principio del concorso paritario (Colesanti, Mito e realtà della “par condicio”, in Fallimento, 1984, 35), visto che vi sono diverse alternative alla tecnica giuridica della ripartizione proporzionale dell'attivo fra i creditori di eguale categoria (White, The corporate bankruptcy decision, in Journal of economics perspectives, 1989, 129 ss.,).

Anche la dottrina moderna poi, al di là delle enfatizzazioni che ancora dominano la manualistica, ha opportunamente smitizzato la sacralità della c.d. par condicio creditorum, così come la rilevanza sistematica dell'

art. 2741 c.c.

(Colesanti, P.G. Jaeger, Par condicio creditorum, ivi, 53 ss.; Rescigno, Contributo allo studio della par condicio creditorum, in Riv. dir. civ., 1984, 360 ss., il quale tuttavia non rinunzia a ricavare in via induttiva un principio generale sul riparto proporzionale del patrimonio incapiente; Schlesinger, L'eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, in Riv. dir. proc., 1995, 321 ss).

La scelta della tecnica del riparto proporzionale come regola di default ha certo alcuni vantaggi significativi: il creditore sa infatti, al momento in cui contratta il prestito, che non potrà essere assoggettato ad un trattamento deteriore rispetto a chi ha analoga priorità (N. Jaeger, Il fallimento e le altre forme di tutela giurisdizionale, in Tratt. dir. civ., diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Milano, 1964; P.G. Jaeger, “Par condicio creditorum”, cit., 61), ma sia in ipotesi favorito da una più approfondita conoscenza del patrimonio del debitore, che gli consenta di individuare il momento di crisi, e soddisfarsi più rapidamente degli altri; in tal modo la par condicio risponde ad un'esigenza lato sensu assicurativa del credito, che contribuisce ad abbassare il costo del finanziamento non accompagnato da garanzie specifiche.

Ma il modello di trattamento concorsuale dell'insolvenza può essere strutturato in modo anche divergente, perché scopo dell'istituto è solo una data ripartizione del rischio dell'insolvenza, e tale finalità può essere perseguita con modalità fra di loro alternative, pervenendo a forme di concorso anche “diseguale”.

Il mondo diviso in due ?

Un altro aspetto che potrebbe a prima vista apparire dirimente attiene alla suddivisione fra creditori sorti prima e dopo l'apertura del concorso: ai primi, cui sarebbero riservati gli istituti tipici del diritto concorsuale, si attribuisce tradizionalmente la qualità di “concorsuali”, laddove gli altri vengono in genere definiti “di Massa”, o “prededucibili”, e sarebbero destinati a ricevere una soddisfazione “fuori concorso”.

In effetti è innegabile che la maggior parte degli istituti del diritto concorsuale si basi su questa “spaccatura” del mondo in due momenti, ante e post concorso, con la “cristallizzazione” del passivo pregresso (Dimundo- Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali, Milano, 1999,

70). Da essa si alimentano le norme di cui agli

artt. 42

ss.,

53

ss.,

64

ss.,

72 ss. l. fall

. quanto al fallimento, ma anche gli

artt. 168

-

169-169-bis-184 l. fall

. quanto al concordato.

Non sembra tuttavia che la ricostruzione tradizionale, tutta tesa ad affermare che i crediti post apertura (le prededuzioni) non partecipano al concorso, possa essere mantenuta, posto che l'evoluzione del sistema va chiaramente in direzione opposta.

L'

art. 51 l. fall

., infatti, estende esplicitamente il blocco delle azioni esecutive anche al soddisfacimento dei creditori prededucibili; il fatto che la dizione testuale faccia riferimento ai soli crediti nati durante il fallimento non costituisce il frutto di una limitazione cognitiva del riformatore, e deve a mio avviso essere invece interpretata in senso contrario a quanto comunemente si pensa: il Legislatore della Riforma era ben consapevole della possibilità che vi fossero prededuzioni formatesi prima dell'apertura del fallimento, tant'è vero che soltanto per queste ultime ha reso obbligatorie le forme dell'accertamento del passivo (

art. 111-

bis

l. fall

.); piuttosto, l'

art. 51 l. fall

. è ben conscio di come tutti i crediti nati prima del fallimento, prededucibili o meno, siano comunque privati delle facoltà esecutive, sicché ha soltanto ritenuto opportuno precisarlo quanto a quelli formatisi successivamente, per i quali l'orientamento tradizionale era nel senso opposto, sicché l'omissione avrebbe potuto essere interpretata in modo equivoco.

Ancora, l'

art. 52, comma 1°, l. fall

., declama l'apertura del concorso di tutti i creditori del fallito, senza specificazioni sulla cronologia di nascita, sul patrimonio dello stesso; ed il comma 2° estende le forme dell'accertamento dei crediti ai crediti prededucibili (quelli “trattati ai sensi dell'art. 111, n. 1”), a proposito dei quali tuttavia l'

art. 111-bis l. fall

., consente, là dove la pretesa sia incontestata nonché liquida ed esigibile, di essere esentata da tale accertamento.

Dunque nel “nuovo” fallimento vi è concorso, sul medesimo patrimonio, fra creditori anteriori e prededuzioni (Lamanna, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, Milano, 2006, 152 ss.).

Anche nel concordato le “prededuzioni” sembrano ricevere un trattamento diverso dai “concorsuali” quanto alla fase procedurale, ma nella fase esecutiva esse si presentano come pretese da soddisfare integralmente, in concorso e sullo stesso piano con i creditori anteriori sottoposti all'efficacia dell'

art. 184 l. fall

.

La spesso troppo enfatizzata inattitudine delle prededuzioni ad essere “ridotte” nell'ambito della disciplina del concorso, di contro ai crediti concorsuali che invece sopportano tipicamente la falcidia, sembra pure frutto di una sopravvalutazione: se l'attivo è insufficiente, anche le prededuzioni sopporteranno una perdita, e dovranno essere soddisfatte, come si è visto, con riparto e “graduazione”; e la riconosciuta legittimità dell'introduzione nel piano di concordato preventivo di classi di creditori da pagarsi al 100% sottrae molto spazio alla possibilità di discriminare efficacemente le due realtà sotto questo punto di vista.

La “suddivisione” in discorso, pertanto, non può considerarsi una condizione necessaria per riconoscere il fenomeno della concorsualità; essa pure tuttavia appare costituire un indizio abbastanza forte nel processo di qualificazione.

In ogni caso i criteri che il diritto vivente ha elaborato al fine di discriminare fra obbligazioni anteriori e posteriori al concorso potrebbe rivestire un rilievo in quelle situazioni riconoscibili con certezza come concorsuali, ove tuttavia il Legislatore non abbia dettato criteri specifici.

L'elaborazione giurisprudenziale ha così ormai enfatizzato la anteriorità al concorso non già dei fatti specifici che determinano il perfezionarsi del diritto di credito, bensì della sua matrice genetica. Ciò soprattutto ai fini della compensazione, ove il difetto di reciprocità che si riconduce al sorgere di credito e controcredito nei confronti del debitore o della Massa osta all'applicabilità dell'

art. 56 l. fall

.

La compensazione c.d. fallimentare (

art. 56 l. fall

.) opera dunque sul presupposto che la fattispecie genetica del credito sia antecedente all'apertura del concorso, a prescindere dalla esigibilità in senso stretto dello stesso (

Cass., Sez. Un., 16 novembre 1999, n. 775

).

Tale criterio sistematico orienta ormai la ricostruzione della natura concorsuale od extraconcorsuale delle situazioni giuridiche attive esercitate nei confronti dei debitori insolventi; punto di emersione di tale ricostruzione è, come è noto, la natura giuridica del credito di regresso del fideiussore il quale abbia pagato il creditore dopo l'apertura del concorso (

Cass., 17 gennaio 2008, n. 903

), diritto che storicamente nasce post concorso, secondo una tradizione civilistica inveterata, ma che ai fini del diritto concorsuale si considera sottoposto alla legge del concorso, così come palesemente avviene per altre situazioni espressamente regolate (arg.

ex

art. 70 l. fall

.).

In realtà le affermazioni giurisprudenziali sul punto non sembrano sempre del tutto coerenti: nell'area del concordato preventivo, ad es., non opera, come è noto, la disciplina fallimentare dei rapporti “pendenti”

(artt. 72 ss. l. fall

.); non si applica in particolare l'

art. 74 l. fall

., sicché i crediti nascenti da rapporti “continuativi” sono destinati, nell'interpretazione ormai consolidata, ad essere trattati come concorsuali, oppure prededucibili, a seconda del fatto che essi siano nati rispettivamente prima o dopo l'apertura del concorso (cfr. Bonfante, La disciplina del leasing nel concordato preventivo, in ilFallimentarista.it). E ciò anche se i diritti in questione parrebbero trarre origine dal medesimo rapporto giuridico, il contratto di durata appunto, che secondo tale ricostruzione verrebbe ad assumere il mero valore di accordo-quadro, laddove i singoli diritti manterrebbero distinte ed autonome fattispecie genetiche, le quali vengono ad esistenza di momento in momento.

Ancora, ai fini dell'ammissione al passivo (nel fallimento del debitore principale) del credito futuro ed eventuale del fideiussore, l'orientamento che reputa possibile l'ammissione con riserva, da sciogliersi solo allorquando il creditore sia stato integralmente pagato (con qualche residua incertezza sulla possibilità per il fideiussore di insinuarsi comunque dopo il pagamento, ed in via “tardiva”)( Trib. Milano, 9 maggio 2008), è fronteggiato da un altro, assai diffuso fra i Giudici di merito (più sensibili alle complicazioni organizzative che l'ammissione con riserva comporta, ad es. in caso di concordato fallimentare), per cui il pagamento avrebbe efficacia costitutiva del diritto di regresso, che prima non esisterebbe (

Cass., 11 gennaio 2013, n. 613

;

Cass., 4 luglio 2012, n. 11144

).

In realtà, a ben vedere, tale atteggiamento della giurisprudenza, se appare governato da condivisibili ragioni “pratiche” (ma ponendo in tensione l'istituto della riserva, che confinerebbe ad un ruolo più vicino alla matrice civilistica dell'istituto della condizione), non appare incompatibile con quanto sopra riportato: che sia possibile o meno l'insinuazione prima di aver pagato, infatti, detto diritto di regresso nasce comunque come concorsuale verso la Procedura, e come tale viene ammesso, non col rango di prededucibile.

Più arduo è tentare la sistematizzazione della logica della “matrice genetica” in quanto tale, rispetto a quelle situazioni che palesemente mettono in crisi la natura apparentemente “cristallina” dell'elaborazione.

Se essa dovesse essere assunta alla lettera, infatti, allora anche i crediti del contraente in bonis che siano nati durante la procedura nell'alveo di rapporti di durata dovrebbero essere considerati concorsuali, e soddisfatti in moneta concorsuale, posto che la loro matrice genetica è il rapporto contrattuale pregresso, ad esecuzione continuata od anche solo “prolungata” (si pensi all'appalto). Idem dicasi, al limite e per assurdo, per le obbligazioni indennitarie sorgenti in capo a chi trattenga presso di sé beni concessi in godimento dopo la risoluzione del contratto (

Trib. Prato, 14 giugno 2012

; contra però, affermando la natura prededuttiva, anche qualora l'inadempimento e la risoluzione siano antecedenti il concorso,

Cass., 24 gennaio 2014, n. 1513

).

In realtà, la risposta pare doversi rinvenire nella causa di quella matrice genetica, che dunque non può essere assunta in funzione scriminante solo per l'aspetto cronologico, ma anche per quello funzionale.

Il somministrante stipula un negozio, di durata, ove il rischio di insolvenza del debitore è contemplato alla pari di qualsiasi altro rapporto di credito; il fideiussore invece assume il debito, e dunque lo schema causale del rapporto di garanzia contempla direttamente quel rischio come causa della prestazione.

Pertanto non può applicarsi al fideiussore la disciplina dei rapporti “pendenti”, che è ispirata ad una logica di tutela della Procedura rispetto alla gestione dei rapporti ereditati dal periodo precedente: l'Organo di gestione può riconfigurarli, in base alle norme che regolamentano il singolo rapporto (e la specifica procedura o la fase della stessa: più ampia è la potestà “conformativa” dei rapporti durante l'esercizio provvisorio, nonché per il concordato preventivo e per l'amministrazione straordinaria), ma se li prosegue deve rispettarne la logica commutativa e corrispettiva, per il periodo successivo all'apertura del concorso (con l'eccezione dell'

art. 74 l. fall

.).

Se però il rapporto pregresso ha una funzione direttamente relativa all'insolvenza del debitore, la disciplina dei rapporti pendenti è fuori gioco: ad es. il contratto stipulato dal debitore già insolvente con alcuni finanziatori e partners commerciali, nell'ambito ed in funzione di una composizione organizzata della crisi, può essere sottoposto alla condizione sospensiva o risolutiva che il superamento dell'insolvenza abbia successo, senza collidere con l'

art. 72, comma 6, l. fall

., che non può trovare applicazione.

E così la fideiussione, a prescindere dall'applicabilità in astratto (trattasi infatti di contratto “unilaterale”) degli

artt. 72 ss. l. fall

., non può che far scaturire un credito concorsuale, da soddisfare in moneta, in capo al garante che paghi.

D'altro canto nessuna utilità per la Massa è possibile intravvedere nell'adempimento del garante (un debito del fallito verrà estinto, ma sarebbe paradossale considerare “utile” un'attività che conduce ad un incremento del passivo prededucibile a fronte della diminuzione di quello falcidiabile), e proprio l'”utilità” costituisce, non a caso, criterio selettivo “implicito” per le aspiranti prededuzioni fondate su causali funzionali (

art. 111 l. fall

.).

Una concezione “tipologica” del concorso

Anche il contributo dell'analisi economica del diritto non sembra determinante. Ciononostante esso consente a mio avviso di avvicinarsi all'approccio corretto.

Come è noto, l'impostazione attualmente più seguita nella dottrina nordamericana sottolinea come il fallimento risolva essenzialmente un problema relativo all'azione collettiva dei creditori di fronte al debitore insolvente.

Ponendosi, in modo metodologicamente del tutto corretto, nella prospettiva di un “mondo senza fallimento” (Baird, A world without bankruptcy, in Law and contemporary problems, 1987, 173 ss), questa scuola di pensiero evidenzia come i tipici istituti di tutela del creditore extraconcorsuali (nonbankruptcy remedies, che noi diremmo civili) possano assicurare una resa efficiente solo quando si fronteggiano un creditore ed un debitore.

In caso contrario si instaura una situazione di concorrenza fra più creditori, aggravata da asimmetrie informative e da bassa capacità segnaletica (c.d. signalling) dei comportamenti dei finanziatori più informati, affine a quella classica del dilemma del prigioniero, in cui il comportamento individuale dei giocatori consegue inevitabilmente risultati subottimali sul piano del benessere collettivo (Jackson-Scott, On the nature of bankruptcy: an essay on bankruptcy sharing and the creditor's bargain', in Virginia law review, 1989, 155 ss.; Bebchuk, A new approach to corporate reorganization, in Harvard law review, 1988, 775 ss). Non occorre una particolare conoscenza della games theory per comprendere che si tratta di un'intuizione vincente.

L'assenza di meccanismi pubblicitari efficienti induce anche i creditori a monitorarsi l'un l'altro, ed a sostenere costi aggiuntivi, disperdendo così ricchezza che potrebbe essere impiegata diversamente.

È manifesto poi che l'interesse del singolo creditore può essere relativamente indifferente rispetto alla possibilità per il debitore di conseguire attraverso la prosecuzione dell'attività il ristabilimento dell'equilibrio finanziario.

Ed allora, soprattutto se il valore del bene staggito sia capiente rispetto al credito, il creditore non manifesterà alcuna disponibilità ad acconsentire alla protrazione dell'utilizzo dello stesso nell'attività d'impresa, nemmeno sino alla sua vendita forzata (Jackson, Bankruptcy, nonbankrupcty entitlements, and the creditor's bargain, in Yale law journal, 1982, 857 ss.).

La conseguenza inevitabile sarebbe un incremento delle probabilità che i complessi aziendali in crisi siano disgregati, benché siano in ipotesi ancora suscettibili di riorganizzazione in termini convenienti; in breve, la prevedibile adozione di soluzioni collettivamente subottimali.

Anche quando il valore del bene staggito sia capiente, il creditore non avrà incentivi ad acconsentire neppure alla vendita congiunta, pur nei casi ove il valore del bene colpito da esecuzione sia prevedibilmente superiore, se aggregato ad altri; più in generale, il procedente non manifesterà alcuna tendenza a massimizzare il ricavato della vendita, poiché in ogni caso il residuo sarà attribuito ad altri (ossia, in termini economici, non potrà internalizzare tutti i benefici); di conseguenza difficilmente l'asset sarà venduto al fair price, e si materializzerà una perdita per tutti gli altri portatori di obbligazioni, nonché per il sistema economico nel suo complesso.

L'analisi porta in sostanza alla luce l'esistenza di un problema relativo ai common pools, ove a chi controlla la ricchezza, e non può internalizzarne tutti i vantaggi, non sono forniti giusti incentivi a massimizzarne il valore, così sottraendo agli altri parte del beneficio ricavabile.

È giocoforza allora ricorrere ad un terzo imparziale che operi istituzionalmente a vantaggio di tutti gli interessati, e sia officiato del compito di massimizzare il valore nell'interesse comune. La soluzione non può di per sé raggiungere il risultato socialmente ottimale, perché il terzo sarà anch'egli sfornito degli incentivi ideali ad ottenere il massimo vantaggio possibile, non internalizzando alcuna perdita, se non nei limiti della responsabilità per la violazione dei propri doveri e della lesione della propria credibilità come operatore professionale (ossia, del proprio capitale reputazionale).

Perciò difficilmente i creditori riceveranno la massima soddisfazione astrattamente raggiungibile, ed anche se ciò avvenisse, una certa quota di ricchezza andrà dispersa, così producendosi un costo sociale ineliminabile dell'insolvenza.

Le procedure concorsuali, infatti, comportano notevoli costi, diretti (ossia legati alla ricchezza assorbita dalle spese di funzionamento della procedura stessa) ed indiretti (in quanto correlati alle perdite provocate dal funzionamento imperfetto delle stesse, anche sotto il profilo degli incentivi distorti ex ante)( Bertoli, Crisi d'impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, Milano, 2000, passim; v. anche Belcredi, Crisi d'impresa e ristrutturazione finanziaria, Milano, 1995, spec. 13 ss.; Brealey- Myers- Sandri, Principi di finanza aziendale, Milano, 1999, 491 ss.). Tutte le soluzioni normative concorsuali, pertanto, presentano necessariamente un profilo di second best.

I limiti di questa impostazione sembrano risiedere in una eccessiva enfasi circa la necessità di allocare tendenzialmente nei creditori ogni potestà decisionale, così come ogni interesse rilevante per l'ordinamento, così focalizzando soprattutto l'opzione liquidatoria.

D'altro canto ove il diritto si limitasse davvero ad intervenire con strumenti esecutivi (tale dovendosi ritenere anche l'auction, ossia la liquidazione giudiziaria dell'azienda, benché concepita as a going concern), non si comprenderebbe perché tutti gli ordinamenti moderni mostrino una comune evoluzione storica da una concezione dell'insolvenza intesa come cessazione dei pagamenti ad un'altra ove viene posta in primo piano la capacità del debitore di adempiere secondo certi standards razionali, e la manifestazione del default retrocede a sintomo esteriore di uno stato più complesso. Se davvero infatti il comparto normativo concorsuale avesse come unico fine quello dell'ottimizzazione delle condotte dei creditori, alle prese con la realizzazione del proprio miglior interesse nel soddisfacimento del credito, allora non vi sarebbe motivo di discostarsi, nel fissare il presupposto giuridico che legittima l'intervento del diritto, dalla manifestazione del default in atto.

Il diritto invece interviene già prima, quando ancora un problema di coordinamento, nel senso ristretto appena visto, non esiste, e fornisce strumenti concorsuali anche per chi non possa dirsi titolare di un diritto esigibile; ed il motivo per cui interviene è che la manifestazione dell'insolvenza, a prescindere dall'aspetto esecutivo, coinvolge già un problema di incentivazione della condotta più efficiente da assumere in un contesto collettivo: se il risanamento è conveniente, infatti, così da potersi considerare il best interest, l'adozione di condotte opportunistiche da parte di alcuni creditori può impedire di raggiungere il risultato più soddisfacente per tutto il sistema.

La stessa valutazione circa la convenienza della ristrutturazione non sembra materia deferibile in via esclusiva al giudizio dei creditori, e questo non per motivi ideologici, ma schiettamente economici.

L'interesse dei creditori, se smitizzato, e non più collocato come presupposto indefettibile, può divenire soltanto una di queste variabili da soppesare, laddove una valutazione forte degli altri elementi può condurre ad un sacrificio anche consistente di tali ragioni, purché la somma finale sia superiore.

Qualsiasi apparato concorsuale realizza dunque una forma di soluzione al problema del coordinamento dell'azione dei creditori, non necessariamente nell'interesse esclusivo di questi ultimi (come la dottrina liberale “classica” imporrebbe); esso dunque rimedia ad un problema che si genererebbe se creditori e debitore fossero lasciati arbitri delle sorti del patrimonio insolvente(Sandulli, Il tempo è danaro (anche nelle procedure concorsuali), in Liber Amicorum per Abbadessa, 3, Torino, 2014, 2761 ss.).

Le procedure concorsuali, dunque, o meglio gli istituti concorsuali, realizzano una forma di coordinamento legale di tale azione collettiva, e dunque si manifestano per l'allocazione di poteri e di correlative soggezioni (Terranova, Salvaguardia, cit., 2784): ciò può avere come scopo la liquidazione “gestita” di quel patrimonio, al fine di distribuire il ricavo realizzato ai creditori, ed estinguere le obbligazioni di cui questi ultimi sono titolari; così avviene per il fallimento, come per la liquidazione coatta; oppure lo scopo può essere la mera ristrutturazione di quelle obbligazioni, che vengono così riconformate a livello sostanziale, per essere poi estinte dal debitore (se del caso affiancato da un organo di liquidazione nominato dal Tribunale, ma comunque dopo la chiusura della procedura), ritornato in bonis, sulla base di un determinato assetto programmato; così opera il concordato preventivo; ancora lo scopo può essere la ristrutturazione dell'impresa insolvente, chiamata poi a proseguire il suo percorso con lo stesso soggetto economico, o con assetti proprietari mutati, ma nell'identità del soggetto- imprenditore: questa può occasionalmente essere la funzione legale ancora del concordato, così come dell'amministrazione straordinaria.

I caratteri “tipici” della concorsualità che abbiamo poc'anzi descritto (blocco delle azioni esecutive, accertamento del passivo, presenza di organi nominati da un'Autorità, obbligo di rispetto di criteri gerarchici fra obbligazioni, suddivisione delle pretese in pregresse e successive) possono essere utilizzati dal Legislatore per raggiungere tali obiettivi, in modo “graduato” a seconda delle situazioni, pur sempre in un contesto che subordini l'interesse del singolo (creditore od anche terzo) a quello della Massa, ossia ad un interesse superindividuale che il Legislatore affida alla “gestione” della procedura.

Dunque sembrerebbe da privilegiare una prospettiva qualificatoria di stampo “tipologico”, che muova alla ricerca nella singola fattispecie dei tratti “sintomatici” che consentono di attribuire ad una situazione la qualità di “concorsuale”, senza pretendere di rinvenirli tutti contemporaneamente in ogni situazione sussumibile nel “tipo”, e senza sovrapporre al discorso argomentazioni preconcettuali (conf. Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società per azioni, in Tratt. Colombo e Portale, Torino, 2008, 522 ss).

Il mistero dell'art. 182-bis svelato

Vero e proprio “banco di prova” di tale ricostruzione sembra poter essere l'accordo di ristrutturazione (

art. 182-

bis

l. fall

.).

Tradizionalmente inteso come figura privatistica, sprovvista dunque di caratteri realmente “concorsuali” (cfr. nel c.d. caso Delta

Trib. Bologna, 17 novembre 2011

, in ilcaso.it. E v. anche la ricostruzione di Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, 103 ss.), la disciplina dell'istituto è andata progressivamente arricchendosi di caratteri “sintomatici” della concorsualità.

Acquisito (sia con durata limitata) il blocco delle azioni esecutive e cautelari per i creditori anteriori, così pure come la possibilità di differire il pagamento dei creditori estranei per 120 giorni, l'istituto appare in particolare arricchito dalla possibilità di “innestarsi” su di un precedente concordato con riserva (

art. 161 l. fall

.), in tal caso permanendo gli effetti di quest'ultimo sino all'omologazione (dell'accordo); così pure la procedura di pre-accordo può mantenere la propria efficacia anche qualora entro il termine prescritto sia depositato non già un accordo di ristrutturazione da omologarsi, bensì una proposta concordataria.

Ancora, dopo il deposito del ricorso per l'omologazione, oppure dopo la presentazione della domanda di pre-accordo, il Tribunale può essere chiamato ad autorizzare il pagamento di creditori anteriori o la concessione di finanziamenti, con efficacia prededuttiva di quanto dovrà essere restituito (art. 182-quinquies).

Anche la disciplina dei finanziamenti “in esecuzione” od “in funzione” dell'accordo è richiamata, con analoghi effetti prededuttivi (art. 182-quater).

In un'ottica ancora più “avanzata”, che ha già intercettato avalli giurisprudenziali, la salvezza degli effetti del ricorso, nel caso di “successione” fra concordato in bianco ed accordo, può riguardare tutti gli effetti sostanziali e processuali, fra cui quelli relativi al blocco delle azioni individuali (efficace sino alla chiusura della procedura), nonché all'eventuale nomina di un Commissario giudiziale.

A questo punto la qualificazione del fenomeno in termini concorsuali parrebbe pienamente legittimata, non apparendo più determinanti o superati gli argomenti prima addotti in senso contrario.

In particolare non sembra dirimente il fatto che non sia prevista la nomina di un Organo da parte del Giudice, che difetti una votazione dei creditori, una liquidazione ed un riparto; e neppure che manchi un provvedimento giudiziario di “apertura” della procedura: tale ultimo carattere in effetti è ormai svalutato nel concordato preventivo, ove tutti gli effetti tipici sono ancorati alla pubblicazione della domanda nel Registro delle Imprese (argg. ex

artt. 168,

169,

184 l. fall

.), e non già al provvedimento del Giudice (peraltro, nel caso di concordato “con riserva”, di natura quasi vincolata).

Appare dunque possibile ipotizzare che taluni principi della concorsualità non espressamente menzionati possano trovare applicazione all'

art. 182-bis l. fall

., direttamente, nonché nell'eventuale fallimento successivo.

Ciò non tanto nel caso ove l'accordo sia preceduto, come è ormai comune e normale, da un concordato preventivo con riserva, perché in tal caso la conclusione parrebbe possibile a prescindere dall'esito qualificatorio sopra affrontato: il concordato in bianco è infatti una procedura concorsuale, e la affermazione legislativa circa la permanenza dei suoi effetti sino all'omologazione dell'accordo parrebbe comunque poter “rafforzare” in senso concorsuale la fase successiva.

Ma anche nella fattispecie “pura”, all'accordo di ristrutturazione, per la fase che conduce all'omologazione, parrebbero applicabili le norme sulla anteriorità o posteriorità dei crediti (ai fini della sospensione delle azioni esecutive, ma probabilmente anche della compensazione), e perché no quella generale sulla prededuzione (

art. 111 l. fall

.).

Senza considerare la probabile opportunità di retrodatare alla data di pubblicazione dell'accordo nel Registro delle Imprese il periodo sospetto della revocatoria, nonché la decorrenza del termine di cui all'

art. 10 l. fall

.

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