Note sulla conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento

30 Giugno 2014

L'Autrice tratta il tema della conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento. Viene svolta una precisa analisi della disciplina da applicarsi in merito ai presupposti, al procedimento di conversione, nonchè al relativo provvedimento e, in particolare, su quali siano gli effetti di tale conversione, cercando così di dare risposta all'interrogativo circa una possibile conservazione degli effetti già prodottisi nella procedura di amministrazione straordinaria e circa una retrodatazione degli effetti della procedura fallimentare al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza.
Presupposti per la conversione. Impossibilità di proseguire “utilmente” la procedura di amministrazione straordinaria

In generale, la fattispecie della “conversione” o “consecuzione” di procedure concorsuali è quel fenomeno caratterizzato dal verificarsi, a carico dello stesso imprenditore commerciale, di una serie di procedure concorsuali che si succedono l'una all'altra senza soluzione di continuità per l'incapacità delle prime di conseguire i rispettivi scopi istituzionali (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, in La riforma dell'amministrazione straordinaria a cura di S. Bonfatti e G. Falcone, Roma, 2000, 249 ss., spec. 260

).

Gli

artt. 69

e

70 d.lgs. n. 270/1999

prevedono che, ove si accerti che la procedura

di amministrazione straordinaria non possa essere utilmente proseguita, oppure entro il termine previsto non sia stato realizzato il programma adottato o realizzata la cessione dei beni aziendali, il tribunale, su richiesta del commissario straordinario, o d'ufficio, dispone la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento.

La conversione è disposta per cessazione c.d. "traumatica" dell'amministrazione straordinaria in presenza di una situazione che non consenta più la sua prosecuzione rispetto alla finalità conservativa – intesa almeno nel senso di addivenire ad un riequilibrio economico dell'impresa – della procedura.

Sotto tale profilo si potrebbe sostenere che si è in presenza di un'ulteriore ipotesi di cessazione dell'amministrazione straordinaria, oltre alla chiusura ed al concordato, che opera ogniqualvolta il fine ultimo della conservazione dell'impresa non possa più essere realizzato. In realtà, però, nel caso di mancata attuazione del risanamento dell'impresa, più che di una forma di cessazione della procedura si tratta di una sostituzione di una procedura ad un'altra, con conseguente retrodatazione e salvezza degli effetti già prodottisi.

La conversione può essere disposta quando, in qualsiasi momento della procedura, risulta che la stessa non può essere utilmente proseguita. In dottrina si è osservato che tale ipotesi riproduce, in sostanza, il disposto dell'ormai abrogato

art. 192, comma 3, legge fallimentare

, secondo cui, se la procedura di amministrazione controllata non poteva essere utilmente continuata, il giudice delegato poteva promuovere presso il tribunale la dichiarazione di fallimento, salva la facoltà per l'imprenditore di proporre la domanda di ammissione al concordato preventivo. Nell'interpretare tale previsione normativa, come noto, la S.C. aveva chiarito che la revoca dell'amministrazione controllata a causa del verificarsi, nel corso della procedura, di fatti che non producessero il venir meno delle condizioni per l'ammissione poteva essere disposta solo previo riscontro della irreversibilità dello stato di insolvenza, non essendo sufficiente la constatazione del mancato ritorno in bonis del debitore. In sede di merito si era al riguardo ritenuto – mediante l'affermazione di condivisibili principi che appaiono applicabili analogicamente alla fattispecie in esame in relazione ai presupposti richiesti dall'

art. 27 d.lgs. n. 270/1999

per l'apertura dell'amministrazione straordinaria in luogo del fallimento (

F. Di Marzio, Appunti sull'ammissione dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria, in ilFallimentarista.it

) – che: deve essere revocata l'amministrazione controllata allorché risulti la mancanza di qualsiasi piano operativo dell'impresa e venga rilevato che la sua attività nel corso della procedura è stata volta esclusivamente alla liquidazione dell'attivo con una sistemazione stragiudiziale della massa debitori); il tribunale deve dichiarare cessati gli effetti dell'amministrazione controllata e pronunziare la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore commerciale quando il perdurare della prima procedura comporta un peggioramento della situazione esistente mentre l'instaurazione della seconda consente, anche attraverso l'autorizzazione all'esercizio provvisorio, interventi risanatori capaci di salvaguardare la capacità operativa (e quindi anche il valore commerciale) dell'azienda dissestata.

Nell'amministrazione straordinaria, la formula adoperata per la conversione si riferisce all'ipotesi in cui la procedura non possa essere più utilmente continuata, ma non è da escludere che in tale formula possano rientrare i casi in cui non si possa procedere alla cessione dei complessi aziendali od attuare la ristrutturazione, o quando vengano a mancare i necessari flussi finanziari per operarla.

Peraltro, poter stabilire se la procedura debba essere proseguita od interrotta non è facile, perché non è da escludere che a volte la continuazione dell'attività d'impresa possa proseguire anche in presenza di perdite, potendo accadere che queste risultino meno pregiudizievoli dell'interruzione dell'attività anche in vista di una cessione a terzi dei complessi aziendali. In dottrina si è al riguardo osservato, in termini generali, che l'espressione “procedura utilmente proseguita” utilizzata dalla norma in esame deve essere intesa in termini più ampi rispetto al disposto dell'

art. 27 d.lgs. n. 270/1999

, che va relazionato alle necessarie modalità attraverso le quali possono realizzarsi le prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, mentre, una volta iniziata la procedura concorsuale, assumeranno pregnante rilievo anche gli interessi del ceto creditorio, sicché l'utilità della procedura di amministrazione straordinaria dovrà essere valutata tenendo conto dell'esigenza di superare lo stato di insolvenza. In sostanza, non andrà a tal fine valutata soltanto la possibile realizzazione del programma, ma anche considerate le più articolate forme di soddisfacimento dei creditori, come sarebbe confermato, sul piano positivo, dalla previsione, da parte dell'art. 74, delle ipotesi di chiusura della procedura, correlate non tanto alla realizzazione delle finalità conservative della procedura stessa, quanto al venir meno dello stato di insolvenza (

M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, in Giur. Comm., 2001, n. 1, 50

).

Qualora venga accertata l'impossibilità di proseguire utilmente la procedura di amministrazione straordinaria, la conversione della stessa in fallimento può realizzarsi “in qualsiasi momento”: ne deriva che il potere di intervento del Tribunale può essere esercitato dal momento in cui abbia dichiarato aperta la procedura di amministrazione straordinaria e, quindi, persino prima della nomina del commissario straordinario o prima che lo stesso abbia stilato il programma.

Conversione disposta per la scadenza del programma

La conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento può essere disposta, inoltre, al termine della procedura, ossia alla scadenza del programma e, in particolare:

a)

se è stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, quando la cessione non è avvenuta, in tutto o in parte, nel termine annuale (prorogabile, peraltro, ex art. 66);

b)

se è stato autorizzato un programma di ristrutturazione, qualora nel termine biennale l'imprenditore insolvente non abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Rispetto a tale disciplina complessiva, si è correttamente osservato in dottrina che la stessa deve essere interpretata alla luce del disposto dell'

art. 74 d.lgs. n. 270/1999 in tema di chiusura

della procedura. Ne deriva che, ad esempio, qualora alla scadenza del programma di cessione la stessa non si sia realizzata in tutto o in parte, ma le obbligazioni siano state comunque estinte, il tribunale dovrà disporre la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria e non già la conversione della stessa in fallimento (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 263

).

Non scevra da complessità appare la valutazione demandata al Tribunale nell'ipotesi prevista dalla lettera b), i.e. in ordine alla capacità dell'imprenditore insolvente di adempiere alle proprie obbligazioni alla scadenza del termine del programma di risanamento. Invero, rispetto ai criteri mediante i quali operare tale valutazione – che pure sembra riconducibile a quella prevista dall'abrogato

art. 193 l.fall

. per l'amministrazione controllata, secondo cui, se al termine della procedura il debitore non ha riacquistato la sua capacità di adempiere viene dichiarato il fallimento (

Trib. Sulmona 21 giugno 2000, in Fall., 2001, 815, con osservazioni di Mascione

)

– si registrano opzioni interpretative difformi all'interno della dottrina che ha esaminato la questione e che dipendono, peraltro, dalla più generale concezione circa le finalità della procedura anche in relazione alla tutela del ceto creditorio.

Più in particolare, secondo una prima tesi, la valutazione sul recupero da parte dell'imprenditore insolvente della capacità di adempiere alle proprie obbligazioni deve essere compiuta in modo rigoroso, dovendo la stessa essere ancorata non già al mero superamento della crisi finanziaria, bensì a quello delle cause economiche del dissesto imprenditoriale (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 254, nonché, con riguardo all'analoga fattispecie in tema di amministrazione controllata, Mollura, L'amministrazione controllata delle società, Milano 1979, 284

).

Secondo altri, invece, l'

art. 70,

comma 1

, lett. b), d.lgs. 270/1999

laddove fa riferimento al recupero da parte dell'imprenditore insolvente della capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni alla scadenza del programma,

da un lato differisce almeno in parte dall'

art. 193 l. fall

., che postula invece la concreta dimostrazione da parte del debitore di essere in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e, dall‘altro, deve essere considerato come l'equivalente in negativo della fattispecie contemplata dall'art. 74, comma 1, lett. b), con riguardo alla chiusura della procedura. In tale prospettiva, tenuto conto anche dei risultati interpretativi sul concetto di regolare soddisfacimento delle obbligazioni ex

artt. 5

e

193 l.fall

., alla scadenza del termine previsto per il programma di risanamento l'imprenditore insolvente dovrà dimostrare la propria capacità di adempiere le obbligazioni scadute, intesa come possibilità di pagamento di tutto il debito con gli interessi maturati ovvero attraverso la stipula di nuovi accordi con rideterminazione del debito e delle relative scadenze, e con l'utilizzo di mezzi di pagamento che non comportino la disgregazione dell'impresa (

M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, cit., 52 ss.

).

Procedimento di conversione

Verificatesi le condizioni per la conversione, peraltro, questa non opera automaticamente ex lege, essendo invece a tal fine necessario che venga assunta una specifica iniziativa dell'ufficio o del commissario perché la conversione possa realizzarsi, proseguendo, in mancanza, la procedura di amministrazione straordinaria nonostante il venir meno dei presupposti di legge.

In particolare, la conversione può essere disposta su richiesta del commissario straordinario o d'ufficio.

Il legislatore ha inteso escludere qualsiasi legittimazione formale dei creditori o dello stesso imprenditore insolvente, pur non potendosi negare una loro facoltà di sollecitare detti organi. Nella Relazione governativa al decreto legislativo in esame tale esclusione è stata giustificata evidenziando che «prevedere una concorrente legittimazione a richiedere la conversione in capo all'amministratore insolvente, ai creditori o ad altri possibili interessati … avrebbe potuto dar esca, in concreto, a manovre di “disturbo” suggerite da fini non commendevoli» (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 265

).

Il commissario straordinario, prima di presentare l'istanza di conversione della procedura, deve informarne l'autorità di vigilanza.

L'intendimento legislativo si fonda sulla necessaria e completa conoscenza che il Ministro dell'industria deve avere di tutti gli atti compiuti dal commissario straordinario durante tutto il corso del procedimento e, in particolare, di ogni circostanza sopravvenuta che possa indurre il tribunale a dichiarare cessata la procedura conservativa.

Anche in questa fase processuale l'autorità di vigilanza può assumere ogni iniziativa ritenuta utile a far luce sulla situazione imprenditoriale e sui provvedimenti da adottare, nonché a sovrintendere alle attività del commissario straordinario.

L'

art. 71 d.lgs. n. 270/1999

prevede che la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento a norma degli artt. 69 e 70 è disposta dal tribunale con decreto motivato, sentiti il Ministro dell'industria, il commissario straordinario e l'imprenditore dichiarato insolvente.

La previsione resta silente in ordine alle norme applicabili al procedimento di conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento, che, peraltro, dovrebbero essere quelle stabilite per il rito in camera di consiglio regolato dagli

artt. 737 e ss. c.p.c.

, analogamente al procedimento per la dichiarazione di insolvenza disciplinato dall'art. 7 dello stesso decreto (

M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, cit., 50; addiviene alla stessa conclusione dando tuttavia rilievo alle indicazioni contenute nella Relazione governativa R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 265

).

Ai fini della decisione, il Tribunale terrà conto principalmente degli elementi di valutazione offerti dalle relazioni del commissario straordinario.

Nel silenzio della disposizione in esame sul punto, occorre tuttavia interrogarsi circa la possibilità per il Tribunale, similmente a quanto avviene in sede di apertura della procedura secondo quanto espressamente previsto dall'art. 30, di disporre ulteriori accertamenti istruttori (M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, cit., 50

). La risposta affermativa a tale questione interpretativa può essere argomentata:

a)

mediante applicazione analogica dell'art. 30;

b)

tenendo conto del rilievo secondo cui, in mancanza, l'intervento del tribunale sarebbe meramente formale, in contrasto con la ratio legis volta a riservare all'intervento giurisdizionale la trattazione di tutte le questioni che involgano la tutela di diritti soggettivi;

c)

in considerazione del disposto dell'

art. 738,

comma 2

, c.p.c.

che in tema di procedimenti in camera di consiglio attribuisce al giudice il potere di acquisire informazioni (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 266-267

).

Prima di provvedere sulla conversione, il Tribunale dovrà “sentire” il Ministro dell'Industria, il commissario straordinario e l'imprenditore dichiarato insolvente. A riguardo, si è osservato che, sebbene l'art. 7 della medesima Prodi-bis

utilizzi il differente termine “convoca”, ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza si applica la medesima procedura prevista dal tale norma (M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, cit., 51

). Ne deriva che il Ministro potrà designare un delegato per la comparizione o far pervenire un parere scritto e che il Tribunale potrà delegare l'audizione ad uno dei suoi componenti, fermo che l'audizione non potrà avvenire se non previa convocazione con comunicazione dell'avviso, in modo che tra la data della convocazione e quella della comparizione intercorra un termine non inferiore a quindici giorni liberi, salve particolari ragioni di urgenza.

Provvedimento di conversione: forma e regime

La conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento va disposta con decreto e non con sentenza, come invece avveniva nella precedente disciplina.

Il decreto dovrà essere dettagliatamente motivato in punto di valutazione della situazione dell'impresa già ammessa al beneficio dell'amministrazione straordinaria, valutazione che dovrà essere complessiva e coinvolgere sia profili giuridici che tecnico-contabili ed aziendali (

M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, cit., 53 ss

).

Con il decreto di conversione il tribunale procede alla nomina del giudice delegato e del curatore, determinando la cessazione delle funzioni del commissario straordinario e del comitato di sorveglianza.

Nella precedente normativa era stabilito che, avverso il provvedimento di conversione potessero essere esperiti l'opposizione e, quindi, l'appello ed il ricorso per cassazione, mentre, avverso il decreto di rigetto dell'istanza di conversione, era previsto il reclamo.

Nell'attuale normativa, sia nell'ipotesi di rigetto, sia di accoglimento dell'istanza di conversione è ammesso il reclamo alla corte di appello nel termine di quindici giorni, decorrente per il commissario straordinario e l'imprenditore insolvente dalla sua comunicazione, e, per ogni altro interessato, dalla data di affissione del provvedimento.

Tale strumento impugnatorio appare analogo a quello disciplinato dall'

art. 33d.lgs n. 270/1999

, sicché, ad esempio, come è stato sancito per il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria, riteniamo che l'impugnazione non possa essere proposta per un motivo che avrebbe dovuto essere fatto valere in sede di opposizione allo stato d'insolvenza.

Legittimati alla proposizione del reclamo

, sulla base della stessa formula adoperata per l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento (e d'insolvenza), sono tutti i soggetti interessati.

Si è osservato che, sotto tale profilo, la disciplina sembra dettata sul presupposto che il provvedimento di conversione non abbia natura contenziosa e sia di tipo ordinatorio, giustificandosi soltanto in tal senso l'attribuzione della legittimazione ad impugnare in capo a soggetti privi del potere di iniziativa in ordine all'attivazione del procedimento di conversione (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 265

).

In sede di riesame del provvedimento di conversione, alla stessa stregua del reclamo previsto avverso il decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria, deve essere assicurato il pieno contraddittorio tra i soggetti interessati. Pertanto, la Corte di appello deve provvedere in camera di consiglio, sentiti il commissario straordinario, l'imprenditore ed il reclamante.

Peraltro, mentre il reclamo proposto ai sensi dell'art. 33 non sospende l'esecuzione del decreto oggetto di gravame, tale indicazione non compare anche nell'

art. 71 d.lgs. n. 270/1999

. Al riguardo si è evidenziato che, nell'alternativa tra il ricorso all'interpretazione analogica o a quella letterale, dovrebbe essere privilegiata quest'ultima, poiché, intervenendo a procedura in corso, è verosimile che non vi siano ragioni d'urgenza che impongano l'immediata modificazione della procedura, i.e. che possa essere tollerato il differimento dell'effetto della conversione al momento della decisione da parte della Corte d'appello.

Non è espressamente prevista l'assoggettabilità a ricorso per cassazione

ex

art. 111 Cost.

(

R. Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino 2005, 1 ss.

) del decreto della Corte d'appello che decide sul reclamo avverso il provvedimento che ha disposto la conversione della procedura.

Secondo alcuni, il provvedimento avrebbe contenuto meramente ordinatorio e dovrebbe ritenersi insuscettibile di ricorso

ex

art. 111 Cost.

(

M. Sandulli, La cessazione dell'amministrazione straordinaria, cit., 53 ss.

).

Riteniamo, tuttavia, più corretta l'opposta impostazione interpretativa, secondo la quale deve invece ritenersi ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto emanato in sede di reclamo dalla Corte d'appello, essendo il provvedimento di conversione decisorio su diritti soggettivi sia dell'imprenditore insolvente che del ceto creditorio (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 267

).

Effetti della conversione

La questione degli effetti della conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento è tra quelle più problematiche, come avviene, in generale, per le diverse fattispecie di consecuzione delle procedure concorsuali (

Apice, La consecuzione delle procedure concorsuali, in Il fallimento diretto da Ragusa Maggiore e Costa, Torino, 1997, III, 823 ss.; A. Bonsignori, Concordato preventivo, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, 256; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano 2008, 4 ss.

): in mancanza di una disciplina specifica, occorre rispondere, innanzitutto, all'interrogativo circa una possibile conservazione degli effetti già prodottisi nella procedura di amministrazione straordinaria e circa una retrodatazione degli effetti della procedura fallimentare al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza.

Nonostante l'assenza di una regolamentazione specifica, al quesito può essere fornita una risposta affermativa avendo riguardo ad alcune disposizioni del

d.lgs. n. 270/1999

che regolano gli aspetti più delicati e controversi che possono presentarsi (

R. Martino, Ripartizione dell'attivo e chiusura della procedura. Conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento e chiusura per concordato, cit., 269

). Tra tali norme occorre, in particolare, aver riguardo:

a)

all'art. 49, secondo comma, che individua nella dichiarazione dello stato di insolvenza il dies a quo per il computo a ritroso del periodo sospetto ai fini della dichiarazione di inefficacia e della revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori, anche nei casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua quella di fallimento, disposizione dalla quale, invero, sembra potersi inferire l'irrevocabilità di atti quali transazioni, contratti etc. legalmente compiuti nel corso della procedura di amministrazione straordinaria;

b)

all'art. 52, secondo cui i crediti sorti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa e la gestione del patrimonio del debitore sono soddisfatti in prededuzione anche nel fallimento successivo alla procedura di amministrazione straordinaria, norma che, sebbene abbia la propria ratio nell'esigenza di assicurare all'impresa i mezzi indispensabili per il risanamento e la continuazione dell'attività di impresa, configura sul piano tecnico-giuridico l'amministrazione straordinaria ed il fallimento come due fasi che si susseguono;

c)

all'art. 71, secondo comma, laddove prevede che l'accertamento del passivo, se non esaurito, “prosegue” sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza.

Invero, nella giurisprudenza di legittimità – specie in tema di consecuzione tra concordato preventivo e fallimento ovvero tra l'ormai abrogata amministrazione controllata ed il fallimento, anche in caso di ammissione dell'imprenditore al concordato tra le due procedure – il principio di consecuzione tra le procedure concorsuali è stato affermato soprattutto in considerazione di due esigenze, come evidenziato espressamente regolamentate in senso affermativo in ordine alla retrodatazione degli effetti della procedura fallimentare da parte della stessa Prodi-bis.

In primo luogo, infatti, il principio della consecuzione delle procedure concorsuali consente una retrodatazione degli effetti della sentenza di fallimento sino al momento del provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale minore al fine di evitare il pregiudizio per i diritti dei creditori consistente nell'impossibilità di esercitare utilmente le azioni revocatorie nel fallimento, a causa del decorso del tempo. In tale prospettiva è stato più volte ribadito il principio in forza del quale in tema di revocatoria fallimentare l'

art. 2935 c.c.

, nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, attiene al termine fissato per l'esercizio dell'azione, non anche alla delimitazione del periodo sospetto, di cui all'

art. 67 l. fall

., ed alla conseguente identificazione degli atti revocabili al suo interno, per cui, nell'ipotesi di consecuzione di procedure concorsuali, il computo a ritroso di tale periodo decorre dalla data di ammissione alla prima procedura, e ancor più nel caso di concordato preventivo, il cui presupposto oggettivo è uguale a quello del fallimento (

Cass. 14 marzo 2006, n. 5527

).

Sotto un distinto profilo, quanto agli effetti della conversione sull'imprenditore insolvente, occorre ricordare che, come noto, a seguito dell'apertura dell'amministrazione straordinaria si verifica una situazione di "spossessamento" per effetto del quale il commissario straordinario si sostituisce in tutti i rapporti giuridici patrimoniali, salvo quanto stabilito per i beni non compresi nel fallimento, la cui disciplina è richiamata anche per la liquidazione coatta amministrativa.

Del patrimonio della procedura fanno parte anche i beni sopravvenuti, dedotte le passività incontrate per il loro acquisto e la loro conservazione.

Questa stessa situazione si verifica anche a seguito della conversione nella procedura fallimentare, nella quale trovano applicazione le stesse regole della procedura conservativa.

Nell'amministrazione straordinaria la sostituzione processuale del commissario straordinario è quanto mai ampia e tale non può che essere quella determinata dall'apertura del fallimento, con la conseguente riconducibilità dei rapporti in corso al curatore del fallimento.

Nella conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento non è prevista la medesima regolamentazione dettata per i procedimenti in corso dall'art. 34 d.lgs. quando alla fase della dichiarazione d'insolvenza fa seguito quella conservativa o fallimentare. Sotto tale aspetto dovrebbero valere gli effetti dell'interruzione del procedimento prevista in tema di fallimento, interruzione che segue oggi automaticamente

ex art. 43 l.

fall

. alla dichiarazione di fallimento, senza necessità della dichiarazione in udienza o notificazione dell'evento da parte del procuratore costituito secondo la disciplina generale di cui all'

art. 300 c.p.c.

La conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento non modifica il quadro complessivo della situazione sostanziale e processuale regolata dalla disciplina di quest'ultima procedura, salvo la regola introdotta dall'art. 48 sul divieto delle azioni esecutive individuali anche speciali.

Tuttavia, si potrebbe ancora porre l'interrogativo sulla sorte del procedimento di esecuzione di credito fondiario regolato dall'art. 41 del T.U. 1° settembre 1993, n. 385 in materia bancaria e creditizia. Non si può escludere, infatti, che l'improcedibilità di tale esecuzione, nell'amministrazione straordinaria, possa presentare, invece, un qualche interesse per il creditore e per lo stesso curatore, sicché non è da escludere che il procedimento possa essere riassunto od instaurato ed operare parallelamente al fallimento.

Le azioni d'inefficacia e le revocatorie ordinarie e fallimentari, a seguito della conversione dell'amministrazione in fallimento, proseguono e quelle sospese in presenza di un programma di ristrutturazione dell'impresa possono essere riassunte nello stesso termine sancito dall'

art. 60 del decreto legislativo n. 270/1999

.

Viceversa, quelle aggravate, che fossero state esperite dal commissario straordinario, divengono improcedibili.

L'art. 50 prevede la facoltà del commissario straordinario di sciogliersi da tutti i contratti ineseguiti o non ancora eseguiti, anche ad esecuzione continuata o periodica, salvo quelli di lavoro subordinato e di locazione d'immobili nei quali sia subentrato il commissario della procedura del locatore.

Nell'ipotesi di conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento si pone l'interrogativo se l'avvenuto esercizio di tale facoltà di scioglimento possa considerarsi definitivo ed efficace anche nel fallimento consecutivo.

Mutuando dall'interpretazione seguita nell'ipotesi del ritorno in bonis dell'imprenditore si potrebbe sostenere che, se la facoltà di scioglimento è stata esercitata in corso di amministrazione straordinaria per un contratto per il quale essa non è prevista dalla

legge fallimentare

, il rapporto non possa più riacquistare la sua validità ed efficacia. Diversamente, se tale iniziativa non è stata ancora assunta, dovrebbero trovare ovviamente applicazione le regole previste nel fallimento. Così pure, tenuto conto degli orientamenti giurisprudenziali assunti dalla Cassazione in materia di somministrazione e di prosecuzione del rapporto da parte del commissario straordinario, ci pare che il problema dell'esclusione della prededucibilità dell'intero credito del somministrante, a prescindere dall'esplicita previsione normativa di cui all'art. 51, non possa porsi neppure con riguardo al fallimento, attesa la natura non unitaria del negozio e la concorsualità del debito inerente alle prestazioni riflettenti il periodo anteriore all'inizio della procedura.

Secondo quanto espressamente previsto dall'

art. 52 d.lgs. n. 270/1999

, i crediti sorti nel corso della procedura mantengono il beneficio della prededucibilità previsto dall'

art. 111 n. 1 l. fall

. anche nel successivo fallimento. Tuttavia manca una presa di posizione del legislatore sulla sorte dei finanziamenti concessi alla grande impresa nell'ipotesi di successiva conversione dell'amministrazione straordinaria in fallimento. Secondo parte della dottrina, considerato il rilevante ruolo svolto dagli operatori finanziari nell'attuazione della procedura, sarebbe stato opportuno prevedere almeno l'irrevocabilità dei pagamenti finalizzati al ripianamento della finanza concessa (

G. Alessi, La riforma dell'amministrazione straordinaria, in Corr. Giur., 1998, 113 ss.

).

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