L'impatto economico del licenziamento collettivo, una procedura nella procedura

10 Giugno 2014

Il legislatore non ha mai compiuto un intervento specifico al fine di coordinare la legge fallimentare con quella relativa ai licenziamenti collettivi. L'Autore esamina, dunque, le prassi che finora sono intervenute nel tentativo di trovare un coordinamento tra le due discipline e ridurre al minimo i costi conseguenti ai licenziamenti collettivi in capo alle aziende in crisi sottoposte a procedura concorsuale.
Premessa

Le procedure di mobilità sono all'ordine del giorno già da un lustro, arco di tempo in cui la crisi è transitata da una fase embrionale ad una strutturale, tanto da non provocare più alcun sentimento di stupore.

A tal proposito il legislatore, stimolato dalla continua ricerca di un intervento risolutore, non potendo agire direttamente sulle casse aziendali, è intervenuto tramite l'

art. 1 della L. 92/2012

sull'aspetto meramente operativo dei licenziamenti collettivi, concedendo un'apprezzabile sanatoria dei vizi formali tramite la modifica dell'

art. 4, comma 12, della L. 223/1991

.

Mantenendo il focus sui licenziamenti collettivi, è legittima l'aspirazione ad una maggior certezza applicativa che sarebbe ben accolta dagli operatori, troppo spesso smarriti di fronte alle molteplici sfumature determinate dalle procedure di mobilità.

Il tema è legato ai capitoli di spesa inerenti le procedure di licenziamento collettivo che, pesati al momento in cui l'azienda con difficoltà tenta di sopravvivere, nel breve periodo s'incrementano a causa del contributo d'ingresso.

Già la

Legge 223/1991

precisa il possibile esonero dal versamento del contributo d'ingresso alla mobilità in caso di procedure concorsuali. Oggi, ciò che si chiede al Ministero del Lavoro è un chiarimento circa la portata totale della casistica esonerativa, utile agli organi delle procedure per operare con cognizione di causa le scelte sul personale e con una prospettiva di spesa certa.

Rapporto tra ristrutturazione del debito ed altre procedure concorsuali con riferimento agli aspetti giuslavoristici

Gran parte delle disposizioni in materia lavoristica, anche quelle precisamente collegate alla gestione delle crisi, non trovano congruo coordinamento con le disposizioni della

Legge Fallimentare

, tanto che di volta in volta si rendono necessarie acrobazie interpretative utili a comporre i tasselli delle due diverse discipline.

A fronte di definizioni troppo generiche contenute nella

Legge 223/1991

, immodificata dalla Riforma Fallimentare, e di una giurisprudenza pressoché assente su questo tema, solo la prassi ha segnato un qualche sentiero interpretativo.

Negli ultimi cinque anni, infatti, il Ministero del Lavoro si è espresso quattro volte, per chiarire quali tra gli interventi deputati al salvataggio delle aziende in crisi dovessero considerarsi assimilabili al fallimento.

In principio, con nota 14/4314 del 17/03/2009, il Ministero del Lavoro estese l'

art. 3 della L. 223/1991

, pesantemente riformato dalla

L. 92/2013

e dalle successive modifiche, anche agli accordi di ristrutturazione del debito ai sensi dell'

art. 182-

bis

l. fall

.

La strada dell'assimilazione fu intrapresa dal Dicastero sulla scorta della stabilità ed efficacia contrattuale di questi accordi, assunta tramite l'obbligatorietà della loro registrazione e la successiva omologa da parte dell'Autorità Giudiziaria.

Proprio l'intervento dell'A.G. come terzo controllore permette di considerare l'accordo di ristrutturazione alla stregua del concordato, con piena facoltà di ricorso alla cassa integrazione straordinaria per procedure concorsuali, effetto ottenibile fino all'abrogazione dell'

art.

3 L

. 223/1991

che interverrà nel 2017.

Ovviamente l'assimilazione delle fattispecie rende inapplicabile alle stesse l'intervento straordinario per crisi aziendale, di cui all'art. 1 della medesima Legge.

A distanza di un solo anno l'interpretazione del Ministero espresse effetti ancor più assorbenti tramite la nota 14/0013876 del 26/05/2010 finalizzata ad estendere l'applicazione dell'

art.

3 L

. 223/1991

a tutte le ipotesi di concordato preventivo, destinato o meno alla cessione dei beni.

Detta posizione, che si discosta chiaramente dal testo letterale in quanto quest'ultimo richiama in modo evidente il solo concordato per cessio bonorum, è stata ripresa e confermata anche dal recente interpello n° 23/2013 del Ministero del Lavoro.

In tutti i casi il Ministero si è però ben guardato dal considerare assimilabile alle ipotesi previste il piano di risanamento

ex

art. 6

7, comma 3, lett. d) della l. fall

.

In questo caso, infatti, non esiste alcun controllo di un soggetto pubblico terzo e l'Autorità Giudiziaria risulta estranea all'esecuzione del piano, asseverato esclusivamente dall'attestazione di un professionista.

In ambito di ammortizzatori sociali nelle procedure di crisi la legittimazione all'intervento si manifesta in tutta la sua efficacia già dal momento del Decreto di ammissione, senza dover attendere alcun provvedimento di omologa. Quest'ultimo, di conseguenza, produrrà esclusivamente effetti conservativi e non di legittimazione dell'intervento assistenziale.

Assunta l'incontrovertibile posizione ministeriale, si può sostenere con chiarezza come la ricerca dell'assimilazione tra le procedure sia finalizzata ad ottenere un alleggerimento di costi e di passaggi burocratici, al precipuo scopo di poter accedere agli strumenti vitali quali la cassa integrazione guadagni e i licenziamenti collettivi.

La posizione meramente amministrativa non deve destare scetticismi, considerato che tutta la procedura in ambito cigs

segue proprio binari amministrativi, dalla proposizione dell'istanza all'emissione del Decreto. La posizione Ministeriale sul tema esprime dunque piena competenza.

Procedura di mobilità e contributo d'ingresso: l'Autorità giudiziaria veicola il risparmio

In base all'

art. 5, comma 4, L. n. 223/1991

, per ciascun lavoratore licenziato nel corso dell'intervento CIGS le aziende comprese nel campo di applicazione della disciplina della CIG straordinaria sono tenute a versare in 30 rate mensili, alla gestione degli interventi assistenziali dell'INPS, una somma che va da 9 a 3 volte - con riduzione progressiva a seconda che l'azienda abbia o meno fruito di un preventivo periodo di cassa integrazione straordinaria e sia stato raggiunto un accordo sindacale - il trattamento iniziale di mobilità. Il pagamento rateale, comunque possibile, non comporta aggravio di interessi (

art. 4, comma 5, D.M. n. 142/1993

).

L'onere è dovuto per i licenziamenti effettivamente eseguiti: le procedure di mobilità, infatti, non necessariamente si concludono con il rispetto degli esuberi dichiarati, viene quindi fatta salva la possibilità di recuperare poste eventualmente pagate in eccesso.

Sono escluse dal versamento le aziende assoggettate a procedure concorsuali.

Determinanti per individuare in modo specifico il momento in cui opera l'esonero sono state le sentenze della Cass. SSUU nn. 3597, 6771 e 7505 del 2003.

Inizialmente l'Istituto considerava operante l'esonero solamente al momento dell'intervenuta omologa, mentre tutte le fasi precedenti obbligavano comunque al versamento (in questo senso cfr.

circolare INPS 171/2001

).

Le Sezioni Unite, con le pronunce richiamate, superarono già nel 2003 questa interpretazione, obbligando l'Istituto ad adeguarsi rapidamente, tanto da emettere la

circolare n. 154/2003

, sostitutiva della precedente.

La posizione della Cassazione in caso di concordato preventivo è quella infatti di garantire l'esonero anche prima dell'intervento della sentenza di omologa, a patto che ad avviare la procedura sia il Commissario Giudiziale. Questa precisazione legittima l'esonero anche in un periodo in cui l'imprenditore possiede ancora l'azienda, in quanto vede comunque l'intervento vigile di un organismo terzo (garanzia che come abbiamo visto continua ad essere richiamata anche dal Ministero del Lavoro).

Non si può negare che questa lettura contrasta in certo modo con l'

art. 167 l.f

all

., secondo cui il debitore mantiene durante tutto il procedimento l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa. Trattasi però di un esercizio comunque vigilato.

Da quanto detto deriva senza dubbio alcuno che, qualora fosse l'imprenditore a dichiarare l'intenzione di procedere con un licenziamento collettivo, questa scelta, anche a procedura concorsuale avviata, genererebbe l'obbligo di versamento del contributo d'ingresso.

È quindi proprio la nomina del soggetto che vigila sulla procedura a determinare l'esonero, situazione assimilabile allo spossessamento dell'imprenditore scaturente dalla sentenza dichiarativa di fallimento.

Questa lettura, attualizzata ai giorni nostri, deve sondarsi con riferimento al particolare istituto del concordato in bianco introdotto dal

D.L. 83/2012

. Come risaputo, il Tribunale può nominare in via anticipata il Commissario Giudiziale fin dal primo momento successivo al deposito del ricorso (

art.161, co. 6

l. fall

.). Peraltro, la prassi recentissima vede queste nomine sempre più frequenti, finalizzate a vigilare sulla corretta attuazione di una procedura che di per sé si presta spesso a strumentalizzazioni.

È da ritenere quindi che la nomina immediata del Commissario permetta, combinata con la linea assunta dalla Cassazione, l'avvio della procedura di licenziamento collettivo senza versamento della quota d'ingresso anche in caso di concordato con riserva.

Assimilazione tra ristrutturazione e concordato: ancora la prassi, solo la prassi

Occorre ora analizzare la risposta all'interpello n. 34/2013 proposto da alcuni membri del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro di Treviso.

Innanzitutto preme rilevare una certa incertezza tra le righe della risposta ministeriale.

Il primo sintomo che alimenta il dubbio si scorge quando, con riferimento all'INPS, ente deputato a ricevere il contributo d'ingresso nonché ad avviare le azioni di recupero in caso in mancato versamento, il Ministero precisa come esso, pur interpellato, non ha fornito riscontri.

La linea seguita dal Dicastero è ancora una volta quella inclusiva, pienamente rispettosa dell'assimilazione fin qui cavalcata tra il concordato preventivo, in qualunque declinazione, e la ristrutturazione dei debiti.

Si ribadisce infatti che ambedue sono da considerarsi situazioni di crisi sfocianti in una gestione dei debiti che coinvolge i creditori e ne limita l'azione. Inoltre, in entrambi i casi compare quella figura fondamentale rappresentata da un terzo garante, da individuarsi nel Tribunale.

Preme rilevare, però, come il Dicastero non abbia inteso individuare quale sia il momento dirimente, cioè in quale fase della procedura di ristrutturazione debba intervenire l'avvio del licenziamento collettivo per fruire dell'esonero.

Mentre nel caso del concordato preventivo il momento è stato individuato con precisione (Decreto di omologa o periodo antecedente nel caso di procedura avviata dal commissario), nella ristrutturazione il momento non è chiaro.

A parere di chi scrive, anche nella ristrutturazione l'omologa permette l'esonero; non altrettanto si può dire circa i periodi precedenti, stante l'assenza di una figura assimilabile al Commissario Giudiziale.

In conclusione di interpello si scorge il secondo sintomo di insicurezza palesato dal Ministero nell'esprimere questo parere. Infatti l'assimilazione tra le due fattispecie, che pare limpida nelle righe centrali del testo ministeriale, viene minata dall'ultimo capoverso ove si legge “…per tali motivi, sembra possibile una assimilazione…”. Ovviamente il precedente richiamo ai documenti di prassi che anche in questo contributo sono stati ripresi, rafforza l'interpretazione analogica delle due procedure, ma non si comprende perché il Dicastero abbia scelto una formula che non conferisce piena certezza alla tesi assunta.

Consigli operativi per alleggerire il costo del licenziamento in tempo di crisi

Delineata la questione in un quadro sinottico, la deformazione professionale porta a ricercare soluzioni operative utili ad assistere le esigenze delle imprese in crisi, anche qualora siano escluse dal perimetro delle procedure concorsuali.

Abbiamo evidenziato la tendenza inclusiva dell'interpretazione ministeriale, finalizzata ad ampliare l'effetto delle previsioni esonerative, con lo scopo di non incidere gravemente sulle situazioni di crisi finanziaria delle imprese.

Per quanto analogica, però, l'interpretazione ministeriale trova due limiti, che affossano comunque parte delle imprese in crisi.

Il primo di questi è rappresentato dalle situazioni riguardanti le aziende in crisi profonda, ma non tale da attivare un concordato, una ristrutturazione o un fallimento in proprio (chiaramente gli altri casi di fallimento non sono opzioni controllabili dall'imprenditore). Queste aziende, infatti, qualora volessero avviare una procedura di licenziamento collettivo, resterebbero comunque esposte all'onere della tassa d'ingresso, in una situazione che si profila discriminante rispetto a quelle investite dalla procedura.

Ne deriva che viene penalizzata l'azienda che, almeno nelle intenzioni, si mostra disponibile a saldare le pendenze con i creditori.

Il secondo di questi limiti è invece rappresentato dalla previsione della Riforma Fornero, che al comma 71 dell'art. 2 sostituisce dal 2017 le procedure di mobilità con licenziamenti collettivi, per i quali tutte le aziende, indipendentemente dall'area cigs

o meno, devono obbligatoriamente versare il contributo d'accesso all'ASPI. Soluzione, questa, più equa dell'attuale, ma sicuramente meno vantaggiosa dal punto di vista economico.

Si presenterà, infatti, un quadro alquanto gravoso per le aziende costrette a licenziare un numero consistente di lavoratori (o magari anche tutti, perché costrette a chiudere) in quanto il ticket ASPI, che aumenta in rapporto all'anzianità aziendale della persona che dev'essere licenziata, non conosce esoneri, compreso il caso limite del fallimento (come indicato dall'

INPS nel

messaggio n. 10358 del 27 giugno 2013

).

In chiusura ci si conceda un consiglio procedurale un po' malizioso.

Alla luce della penalizzazione descritta, che investe le aziende in crisi obbligate al versamento rispetto a quelle in concordato o ristrutturazione dei debiti, esonerate, vale la pena analizzare che cosa comporti il mancato versamento del contributo.

Il mancato versamento del contributo, così come della sua anticipazione, in effetti non comporta la sospensione della procedura di licenziamento, né la perdita da parte dei lavoratori interessati dell'indennità di mobilità. La procedura, infatti, continua il suo percorso ed i licenziamenti possono essere intimati con pieno effetto.

Ovviamente l'Istituto provvederà a recuperare quanto dovuto dall'azienda, ma la procedura potrà comunque avviarsi correttamente senza rischio di vedersi invalidare i licenziamenti irrogati.

Valutando, infine, la natura di questi contributi, si rileva che, non trattandosi di contribuzione IVS, essi risulteranno sicuramente privilegiati nel rispetto dell'ordine imposto dall'

art. 2778 c.c.

, con evidenti limiti di soddisfazione in quanto posizionati al n° 8.

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