Consecuzione tra concordato e fallimento e rischio revocatoria

Elisabetta Bertacchini
15 Settembre 2014

Il tema dei rapporti e della consecuzione tra diverse procedure concorsuali assume particolare rilievo in relazione alla decorrenza dei termini per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare e per la determinazione del c.d. periodo sospetto.L'Autrice analizza le diverse ipotesi di consecuzione tra concordato, anche in bianco, e fallimento, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte.
La consecuzione tra procedure prima e dopo la riforma

Come noto, i termini di cui agli artt. 64, 65 e 67 (due anni, un anno o sei mesi a seconda della tipologia di atti impugnati) decorrono dalla data della dichiarazione di fallimento. Tuttavia, nel vigore della

legge fallimentare

del 1942, la giurisprudenza aveva sostenuto che nell'ipotesi in cui prima della dichiarazione di fallimento l'imprenditore fosse stato assoggettato senza soluzione di continuità ad altre procedure concorsuali (amministrazione controllata o concordato preventivo o eventualmente ad entrambe) che non avessero sortito un esito favorevole, il "periodo sospetto" dovesse essere computato a decorrere dalla data di apertura della prima procedura e non, come invece prevede la regola generale in tema di revocatoria fallimentare, dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento.

Tale impostazione, che trovava applicazione solo nel caso di consecuzione senza soluzione di continuità tra procedure concorsuali diverse, comportava quindi la retrodatazione dei termini per la revocatoria fallimentare alla data di apertura della prima procedura.

Siffatta posizione interpretativa si fondava principalmente sull'affermazione secondo cui l'insolvenza accertata con la dichiarazione di fallimento fosse in realtà da considerare esistente sin dalla prima procedura alla quale l'impresa fosse stata sottoposta, potendosi trarre tale conclusione proprio dalla constatazione del risultato sfavorevole (la dichiarazione di fallimento) che la consecuzione tra le procedure aveva dimostrato. Tale conclusione pareva agevole in caso di consecuzione tra concordato preventivo e fallimento in considerazione dell'identità del presupposto oggettivo (lo stato di insolvenza) previsto allora per le due procedure. Più complessa appariva, invece, l'applicazione del principio della consecuzione nel caso in cui la procedura iniziale fosse l'amministrazione controllata, il cui presupposto, la “temporanea difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni” di cui all'allora vigente

art. 187 l. fall

., veniva considerato comunque riconducibile allo stato di insolvenza, dapprima giudicato reversibile e successivamente ritenuto irreversibile all'atto della dichiarazione di fallimento. A favore della legittimità di tale interpretazione è intervenuta a più riprese la Corte costituzionale (

Corte Cost. 6 aprile 1995, n. 110

,

1

°giugno 1995,

n. 224 e 23 gennaio 1997

,

n. 12

), mentre in dottrina e in giurisprudenza le posizioni non sono apparse uniformi.

Il giudizio negativo espresso da alcuni interpreti circa la retrodatazione dei termini ha fatto leva sulle esigenze di tutela della certezza e della stabilità degli effetti degli atti giuridici intervenuti tra i debitori e i terzi, in considerazione dell'incertezza che si viene a creare in relazione al momento del consolidamento definitivo dell'atto potenzialmente

revocabile.

Sul piano legislativo il principio della retrodatazione del periodo di revocabilità in caso di consecuzione tra fasi diverse di composizione dell'insolvenza è stato espressamente accolto dal

d.

lgs. 8 luglio 1999, n. 270

, che ha riformato l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Infatti l'art. 49, comma 2, prevede che, ai fine dell'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare, i termini si “computano a decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza” e che “tale disposizione si applica anche in tutti i casi in cui alla dichiarazione dello stato di insolvenza segua la dichiarazione di fallimento”.

Nel silenzio della riforma sul punto la questione si ripropone, seppure con alcune variazioni di rilievo.

In primo luogo va ricordato che l'

art. 147, comma 1, del d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5

ha abrogato l'amministrazione controllata. La consecuzione, pertanto, potrà aversi solo tra concordato preventivo e fallimento. Tuttavia, proprio al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi di conservazione e di risanamento dell'impresa pur in mancanza dello strumento dell'amministrazione controllata, il nuovo art. 160 non prevede più come presupposto oggettivo per l'accesso al concordato preventivo unicamente lo stato di insolvenza, ma più genericamente lo "stato di crisi", che, come è precisato dall'ultimo comma dello stesso art. 160, ricomprende anche lo stato di insolvenza.

La questione dell'applicabilità o meno della regola della consecuzione si riproporrà, quindi, con tutte le incertezze del passato ogniqualvolta alla procedura di concordato preventivo richiesta e concessa sulla base di una situazione di crisi dell'impresa, segua, in seguito all'accertamento dello stato di insolvenza, la dichiarazione di fallimento.

A rendere più complicata l'applicazione del principio della consecuzione e della retrodatazione dei termini per la revocatoria interviene inoltre la previsione di cui all'

art. 67, comma 3, lett.

e

) l. fall

., che esonera dalla revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato e che, come è stato osservato, "potrebbe essere letta come (implicita) esclusione proprio della retrodatazione", considerato che la norma presuppone la revocabilità di quegli atti e la revocabilità, a sua volta, presuppone la non retrodatazione".

D'altro canto, un'attenuazione dell'ambito di incertezza circa i tempi necessari per il consolidamento di atti potenzialmente revocabili potrà derivare dalla previsione di cui all'

art. 69-

bis

l.fall

., che pone dei termini di decadenza dall'esercizio dell'azione, prevedendo espressamente che le azioni revocatorie disciplinate nella Sezione III del Capo III non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e "comunquedecorsi cinque anni dal compimento dell'atto". Si evince pertanto che, anche nell'ipotesi di retrodatazione dei termini giustificata dall'applicazione del "principio" della consecuzione di procedure, va comunque rispettato il limite massimo di cinque anni dal compimento dell'atto che si intende impugnare.

L'elemento centrale dell'impianto processuale e sostanziale della revocatoria fallimentare è “lo stato di insolvenza conosciuto dal terzo”. Spostando il baricentro dallo stato di insolvenza allo stato di crisi (art. 160, ultimo comma), implicitamente si riduce lo spazio applicativo dell'istituto, sotto il duplice profilo dell'elemento soggettivo ed oggettivo.

Lo stesso art. 69-bis, al comma 2, a seguito dell'intervento legislativo del 2012, prevede infine che “Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, commi 1 e 2, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”.

L'attualità del tema della consecuzione nella giurisprudenza della Suprema Corte

Prima della riforma non sussisteva incertezza alcuna circa la possibilità di far decorrere (a ritroso) il “periodo sospetto” ai fini dell'azione revocatoria dalla data della presentazione della domanda di concordato, in applicazione del principio della consecuzione, soprattutto alla luce della coincidenza del presupposto oggettivo tra le due procedure concorsuali, lo stato di insolvenza. A seguito della riforma si è delineato qualche dubbio, potendo il concordato essere richiesto anche dall'imprenditore in stato di crisi, stato quest'ultimo non necessariamente coincidente con lo stato di insolvenza (art. 160, ultimo comma: “Ai fini di cui al primo comma, per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”). Di recente è intervenuta la Suprema Corte (

Cass. 6 agosto 2010, n. 18437

), che ha ribadito l'applicabilità del precedente orientamento, ricalcando il medesimo iter logico-giuridico, seguito in passato per consentire l'applicazione del principio della consecuzione anche alla sequenza “amministrazione controllata-fallimento”. Afferma infatti la Corte che “qualora, a seguito di una verifica a posteriori, venga accertato, con la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore, che lo stato di crisi in base al quale ha chiesto l'ammissione al concordato preventivo era in realtà uno stato di insolvenza, l'efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda, atteso che la ritenuta definitività anche dell'insolvenza che è alla base della procedura minore, come comprovata, ex post, dalla sopravvenienza del fallimento, e, quindi, l'identità del presupposto, porta ad escludere la possibilità di ammettere, in tal caso, l'autonomia delle due procedure”. L'attualità del tema della consecuzione è stata ancora più di recente ribadita dalla Suprema Corte (

Cass. 17 febbraio 2012, n. 2335

), che ha espressamente dichiarato l'intenzione di dare continuità alla precedente pronuncia (la già richiamata

Cass. 6

agosto

2010, n. 18437

), richiamando integralmente il passaggio sopra riportato.

L'applicabilità del principio della consecuzione tra concordato e fallimento nel caso di fallimento di soci illimitatamente responsabili di società di persone. Un'eccezione: il caso dei creditori personali di soci illimitatamente responsabili di società di persone 

Con la medesima decisione (

Cass. 17

febbraio

2012, n. 2335

, cit.), la Suprema Corte ribadisce inoltre il principio giurisprudenziale per il quale “nel caso in cui dopo l'ammissione di una società di persone all'amministrazione controllata (ora abrogata) o al concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento della medesima società e dei soci illimitatamente responsabili

ex art.

147, l

. fall

., anche per l'esercizio dell'azione revocatoria dell'atto personale del socio illimitatamente responsabile, il termine decorre dal decreto di ammissione della società alla prima procedura concorsuale e non dalla data della sentenza di fallimento del socio, atteso che il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società comporta che ai fini della dichiarazione di fallimento abbia rilevanza unicamente lo stato di insolvenza della società, indipendentemente dalla sussistenza dello stato di insolvenza personale del socio”.

Quanto all'applicazione del principio della consecuzione processuale tra concordato preventivo e fallimento, un'eccezione sembra ravvisabile, secondo la Suprema Corte, con riferimento ai creditori personali dei soci illimitatamente responsabili di società di persone, “in quanto l'efficacia del concordato preventivo della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili riguarda esclusivamente i debiti sociali” (

Cass. 26 marzo 2010, n. 7273

).

Consecuzione tra procedure e decorrenza dei termini per l'esercizio della revocatoria e per la determinazione del c.d. periodo sospetto. Il nuovo art. 69-bis. Il presupposto per la consecuzione: l'identità di crisi economica tra concordato preventivo e fallimento.

Come si è ricordato, l'art. 69-bis, al comma 2, a seguito dell'intervento legislativo del 2012, prevede che “Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”.

La nuova disposizione si riferisce all'ipotesi in cui, per qualsivoglia ragione, la procedura di concordato preventivo non abbia successo e su istanza del creditore o su richiesta del P.M. ed all'esito dell'accertamento dei relativi presupposti, il tribunale dichiari il fallimento del debitore: cioè nelle ipotesi di cui agli artt. 162, 173, 179, 186, 186-bis. Con essa viene dunque ufficialmente recepito nel nostro ordinamento il principio della “consecuzione “ delle procedure.

L'identità di crisi economica costituisce, dunque, il nodo centrale per l'applicazione del principio della consecuzione. In passato il percorso appariva più agevole, soprattutto nel caso di consecuzione tra concordato preventivo e fallimento, in virtù dell'identità di presupposto oggettivo - lo stato di insolvenza - che collegava le due procedure concorsuali. A semplificare lo scenario era inoltre prevista la dichiarazione di fallimento d'ufficio. Tutto ciò agevolava l'individuazione delle condizioni necessarie per l'applicazione del principio della consecuzione, in considerazione della sussistenza sia della continuità sia dell'unitarietà del procedimento.

Tra stato di crisi e stato di insolvenza è ravvisabile solo una differenza di grado, nel senso che il primo presupposto coinciderebbe con la “temporanea difficoltà” (insolvenza reversibile), richiesta per l'ammissione alla vecchia procedura di amministrazione controllata. L'abrogazione dell'istituto della dichiarazione di fallimento d'ufficio potrebbe impedire l'attuazione dell'automatica consecuzione tra procedure concorsuali, venendo meno, in ipotesi di esito negativo della prima procedura, la necessaria successione tra concordato preventivo e fallimento senza soluzione di continuità. In proposito va peraltro ricordato che la ratio della retrodatazione del dies a quo del periodo sospetto va individuata nella continuità causale e non meramente temporale delle due procedure, assumendo rilevanza, non la mera insussistenza di un intervallo di tempo, ma l'identità di crisi economica. Quindi, nell'ipotesi in cui si ravvisi un'interruzione temporale tra le due procedure, si potrà comunque far decorrere il periodo sospetto dalla data di apertura del concordato preventivo, qualora si accerti che il fallimento sia stato dichiarato in base all'accertamento dell'evoluzione negativa della stessa crisi economica, sia pur di diversa gradazione, che aveva comportato, a suo tempo, l'apertura della procedura concordataria.

Diversamente potrebbe configurarsi, sempre ai fini dell'applicabilità del principio della consecuzione, l'ipotesi di una consecuzione tra concordato ed il successivo fallimento, laddove il concordato si configuri come un concordato con continuità aziendale (art. 186-bis).

Consecuzione tra più concordati e successiva dichiarazione di fallimento

Il quadro si complica ulteriormente nel caso in cui alla dichiarazione di fallimento si pervenga a seguito della consecuzione tra più concordati. In proposito appare interessante la decisione di

Trib. Verona, 26 luglio 2012

, con la quale il tribunale ha disposto la retrodatazione a decorrere dalla data di presentazione della prima domanda di concordato preventivo.

Dopo aver affermato che “è applicabile il principio di consecuzione delle procedure di concordato preventivo e di fallimento, con conseguente retrodatazione degli effetti della sentenza di fallimento alla data della presentazione della domanda di concordato, qualora la sentenza di fallimento valuti a posteriori che lo stato di crisi dell'imprenditore aveva indotto questi alla presentazione della domanda di concordato”, il tribunale di Verona ritiene applicabile il principio della consecuzione delle procedure, con conseguente retrodatazione degli effetti della sentenza di fallimento dalla data di presentazione della prima domanda di concordato. Nel caso di specie, l'imprenditore aveva presentato due domande di concordato: la prima era stata dichiarata inammissibile, la seconda veniva accolta, ma il concordato veniva poi revocato ai sensi dell'

art. 173 l.

fall

.

In particolare si legge nelle conclusioni della decisione che “la pronuncia di fallimento (datata 3 dicembre 2010), con valutazione a posteriori ha accertato lo stato di crisi dell'imprenditore che - ancor prima – aveva indotto questi alla presentazione della domanda di concordato: depone in tal senso sia il tenore dell'originario ricorso per l'ammissione al concordato, sia l'esiguità dello spazio temporale tra la data del deposito del primo ricorso per concordato (18 giugno 2009) e quella della pronuncia della sentenza di fallimento (3.12.2010), sia lo stato di inattività della società, oltre che di liquidazione volontaria (circostanza che ben sottolinea l'unitarietà delle due procedure)”.

Anche in questo caso, diversamente potrebbe configurarsi l'ipotesi di consecuzione tra diversi concordati ed il successivo fallimento, laddove i concordati si configurino come concordati con continuità aziendale (art. 186-bis l. fall.).

Concordato (anche in bianco) e fallimento: consecuzione tra procedure e rischio revocatoria. L'applicabilità dell'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. e).

Come noto, a decorrere dalla pubblicazione (a cura del cancelliere) nel Registro delle Imprese della domanda di concordato preventivo decorrono gli effetti protettivi sul patrimonio del debitore e conseguentemente: 1) i creditori per titolo o causa anteriore non possono dare corso ad azioni esecutive o cautelari sui beni del debitore; 2) i termini di prescrizione rimangono sospesi; 3) le decadenze non si verificano. Nel caso di concordato in bianco, inoltre, sempre a far data dalla pubblicazione, decorrono anche i termini (tra 60 e 180 giorni) per l'emissione del provvedimento di ammissione o meno alla procedura concordataria definitiva. Nella pendenza di tali termini, il debitore può compiere gli atti di ordinaria amministrazione nonché, se autorizzato dal tribunale, gli atti di straordinaria amministrazione (art. 161, comma 7). Come si è ricordato, con il c.d. “d

ecreto

s

viluppo” (d.l. n. 83/2012) il legislatore ha dato nuovo impulso alla revocatoria, in quanto l'art. 69-bis fa decorrere, in caso di successivo fallimento, il periodo sospetto dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. Se vi è stato un pre-concordato (ancorché non seguito da alcuna proposta definitiva), la scelta interpretativa circa l'applicabilità della consecuzione dipende dalla qualifica che si intende attribuire al pre-concordato.

Viene dunque definitivamente affermato il principio della consecutio tra procedure concorsuali. Dato il riferimento generico alla domanda di concordato preventivo, il principio trova applicazione anche in presenza di una domanda di concordato con riserva. In tal modo il periodo sospetto decorre integralmente, senza essere eroso dai tempi dell'istruttoria prefallimentare.

Ci si chiede pertanto quali conseguenze si verifichino se nella pendenza dei suddetti termini o alla scadenza degli stessi, il tribunale non accolga la proposta di concordato e venga dichiarato il fallimento. Più precisamente, quale sarà la sorte degli atti compiuti nel periodo intercorrente tra la domanda di concordato in bianco e la dichiarazione di fallimento? In tale ipotesi si verifica un caso di estensione del periodo di riferimento per un'eventuale azione revocatoria. E ciò in quanto, in caso di consecuzione delle procedure, ai sensi del nuovo art. 69-bis, i termini per le revocatorie decorrono a ritroso dalla data di pubblicazione nel Registro delle Imprese del ricorso per il concordato preventivo, ovvero la domanda di concordato in bianco. E' evidente come la circostanza che il dies a quo per l'individuazione del periodo sospetto decorra dalla pubblicazione della domanda di concordato incide notevolmente sulla quantità di atti potenzialmente revocabili in caso di un successivo fallimento. La domanda, infatti, può essere anticipata di molto rispetto alla presentazione del piano e della proposta, con la conseguenza che il “periodo sospetto” può iniziare a decorrere molto prima della dichiarazione di fallimento e cioè fino ai 180 giorni che possono essere richiesti e concessi dal tribunale per il deposito del piano definitivo.

In pendenza dei termini per l'ammissione alla procedura concordataria, al debitore è comunque riconosciuto uno spazio di operatività per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, necessitando invece gli atti di straordinaria amministrazione di apposita autorizzazione (art.161, comma 7).

Sussiste pertanto il rischio revocatoria ex art. 67, anche se l'art. 67, comma 3, lett. e) esenta da revocatoria tutti gli atti ed i pagamenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato, ma prima del decreto di ammissione, siano essi ordinari che straordinari autorizzati.

In proposito va ricordata l'importante novità in tema di prededucibilità dei crediti sorti nel periodo di pre-concordato, introdotta con l'

art. 11, comma 3-

quater

, del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145

(c.d. decreto “Destinazione Italia”), convertito nella

Legge n. 9 del

21 febbraio 2014

(G.U. n. 43 del 21 febbraio 2014), che prevede che “

La disposizione di cui all'art. 111, comma 2, del regio decreto16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell'

art. 161, comma 6, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942

, e successive modificazioni, sono prededucibili alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell'articolo 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161, sesto comma

”. Viene dunque introdotta una sorta di “prededucibilità condizionata”, il cui riconoscimento sarà subordinato, in un eventuale fallimento, alla verifica non solo dell'avvenuta presentazione della proposta, del piano e della relativa documentazione entro i termini fissati dal giudice, ma anche dell'apertura della procedura di concordato senza soluzione di continuità. La norma, il cui intento interpretativo dell'

art. 111, comma

2, l

.

f

all

. é espressamente dichiarato, oltre a costituire un forte disincentivo ai finanziamenti-ponte, strumentali alla presentazione di una proposta definitiva di concordato (soprattutto nei casi di concordato con continuità aziendale ai sensi dell'art.186-bis), è destinata a porre qualche incertezza interpretativa anche a proposito dell'applicabilità della consecuzione nei casi in cui alla domanda di pre-concordato ex art. 161, regolarmente pubblicata nel Registro delle Imprese (ai sensi dell'

art. 161, comma

5, l

. fall

.) segua la dichiarazione di fallimento. Si potrebbe infatti essere indotti a ritenere che il richiamato intervento legislativo in tema di prededuzione dei crediti “condizionata” all'apertura di un procedimento di concordato definitivo, abbia anche - seppur implicitamente - introdotto il principio secondo cui la continuità tra procedure concorsuali, in presenza di un periodo di pre-concordato, sussista solamente nell'ipotesi in cui il fallimento faccia seguito all'ammissione del debitore ad una procedura concordataria definitiva. Secondo tale interpretazione, qualora al termine del periodo concesso dal giudice - ed eventualmente prorogato, fino ad un massimo di 180 giorni - non venga presentata una proposta definitiva di concordato (ovvero venga presentata, ma sia dichiarata inammissibile, ovvero venga presentata una domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, come peraltro consentito dall'art.161, comma 6) e successivamente venga dichiarato il fallimento, il dies a quo per l'individuazione del periodo sospetto ai fini dell'esercizio dell'azione revocatoria decorrerebbe dalla data della dichiarazione di fallimento e non dalla data di pubblicazione della domanda di pre-concordato nel Registro delle Imprese. Secondo tale interpretazione il pre-concordato non avrebbe di per sé la natura di una procedura concorsuale, fintantochè non sfocia in una proposta definitiva di concordato dichiarata ammissibile dal tribunale. A parere di chi scrive, tale conclusione appare non condivisibile. Infatti, l'intervento legislativo, espressamente riferito all'interpretazione dell'art.111, comma 2,

l

. f

all

., risponde all'esigenza di evitare che si vengano a creare nuove passività prededucibili - quindi a detrimento delle ragioni dei creditori pregressi - senza che tale aggravio possa trovare una giustificazione nella sussistenza di una proposta definitiva di concordato, accettata dal tribunale con l'apertura del relativo procedimento, e in quanto tale munita dei presupposti di ammissibilità ed in particolare di quello di fattibilità, presupposto che, alla luce della recente giurisprudenza delle Suprema Corte (

Cass. S.U., 23 gennaio 2013, n. 1521

), traducendosi in una “

prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati, implica una ulteriore distinzione, nell'ambito del generale concetto di fattibilità, tra la fattibilità giuridica e quella economica

”.

Viceversa, la ratio che giustifica l'applicazione del “principio” della consecuzione tra procedure appare profondamente diversa da quella che ispira l'intervento legislativo contenuto nel decreto “Destinazione Italia”: l'intento è quello di tutelare ancora una volta i creditori (non solo quelli pregressi, ma anche quelli prededucibili), ma in questo caso contro un diverso rischio, quello che la successione di più procedure concorsuali possa provocare lo spostamento in avanti del periodo sospetto per l'esercizio della revocatoria, sottraendo alle conseguenze della revocatoria gli atti compiuti dal debitore, già in stato di crisi, prima della pubblicazione della domanda di concordato (o di pre-concordato) nel Registro delle Imprese.

L'individuazione degli atti esenti da revocatoria: gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il ricorso di cui all'art. 161. Atti ordinari e atti straordinari autorizzati

Come noto, con il

d.l. n. 83/2012

, c.d. “D

ecreto

s

viluppo” (conv. nella

l

. n. 134 del 7 agosto 2012

) sono state previste nuove ipotesi di esenzione dalla revocatoria, finalizzate ad agevolare la concreta applicazione dei nuovi istituti e delle nuove disposizioni per la composizione negoziale e concordata della crisi d'impresa.

1)

In primo luogo vengono esclusi dalla revocatoria i pagamenti nel concordato in continuità di crediti pregressi per prestazioni di beni e servizi (art.182-quinquies, comma 4). Il beneficio dell'esenzione è subordinato al verificarsi di una duplice condizione:

a)

che venga redatta una relazione da parte di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), che ne attesti l'essenzialità alla prosecuzione dell'attività aziendale al fine del migliore soddisfacimento dei creditori (salvo che il pagamento avvenga con mezzi di terzi che rinunciano al credito o quantomeno lo postergano all'integrale soddisfacimento di tutti i creditori);

b)

che il pagamento sia autorizzato dal tribunale (in ogni caso). Si tratta di un'eccezione legalizzata al principio della par condicio creditorum. Il che porta a ritenere preferibile la tesi dell'anticipazione del pagamento in misura integrale o comunque non necessariamente corrispondente a quella prevista (o eventualmente prevista) nel piano di concordato. Altrimenti verrebbe tradito lo spirito della norma, che vuole essere quello di derogare (legalmente) al principio della par condicio al fine di proseguire l'attività d'impresa nell'interesse dei creditori. E' discutibile l'applicabilità dell'art. 182-quinquies, comma 4, a favore delle banche.

2)

Sono altrettanto esclusi dal rischio revocatoria i pagamenti di crediti pregressi per prestazioni di beni e servizi, in caso di accordo di ristrutturazione (art.182-quinquies, comma 5). Si tratta di una variante della medesima disposizione, in presenza della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o di una proposta di accordo ai sensi dell'art. 182-bis, comma 6. I presupposti necessari sono gli stessi indicati al comma 4. Si tratta tuttavia di una previsione destinata a creare incertezza circa la qualificazione degli accordi, nei quali come noto, non vige il principio della par condicio. Si tratterà a ben vedere di pagamenti a favore di creditori estranei, anteriori all'accordo, i quali dovrebbero essere pagati entro 120 giorni dalla data dell'omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data, ovvero entro 120 giorni dalla scadenza in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione. E ragionevole ritenere che la finalità della disposizione sia principalmente quella di ottenere una esplicita esenzione dalla revocatoria ex art. 67, comma 3, lett. e), nonché dall'azione penaleex art. 217-bis, anche qualora l'accordo non venisse omologato.

3)

Viene infine introdotto un principio generale, modificando l'art. 67, comma 3, lett. e), al fine di estendere l'esenzione dalla revocatoria anche agli atti, ai pagamenti e alle garanzie “legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'art. 161”, ma prima dell'omologa

.

La portata di tale espressione può essere assai ampia, comprendendo anche i casi riferibili al periodo di preconcordato. In estrema sintesi, potranno (almeno in astratto) rientrare nella suddetta categoria:

a)

gli atti urgenti di straordinaria amministrazione posti in essere dal debitore dopo il deposito del ricorso, ma prima del decreto di ammissione al concordato, se autorizzati dal tribunale ex art. 161, comma 7, primo periodo;

b)

gli atti di ordinaria amministrazione compiuti dal debitore nello stesso periodo (art. 186, comma 7, seconda parte);

c)

i pagamenti di debiti pregressi autorizzati ai sensi dell'art. 182-quinquies, in presenza di una domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche con riserva, (art.182-quinquies, comma 4), di una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di una proposta di accordo (art. 182-quinquies, comma 5);

d)

gli atti di cui all'art. 167, comma 2, posti in essere con l'autorizzazione scritta del giudice delegato dopo il decreto di ammissione al concordato ovvero quelli per i quali non necessita alcuna autorizzazione ai sensi dell'art. 167, comma 3;

e)

le garanzie (pegno o ipoteca) rilasciate dal debitore, ai sensi dell'art. 182-quinquies, comma 3, previa autorizzazione del tribunale, a favore dei finanziamenti contratti dallo stesso

debitore che ha presentato una domanda di concordato ovvero una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, ai sensi dell'art. 182-quinquies, comma 1;

f)

i rimborsi di crediti per “finanziamenti ponte”, erogati ai in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione, a condizione che tali finanziamenti siano previsti dai rispettivi piani, che ne sia espressamente prevista la prededuzione nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero che l'accordo sia omologato (art. 182-quater, comma 2).

Sotto il profilo penale si può osservare la mancanza di un perfetto allineamento tra la previsione di cui all'art. 67, comma, 3, lett. e) e quella di cui all'art. 217-bis (che peraltro non fa esplicito riferimento all'art, 67, comma 3). Tuttavia appare fondato ritenere che l'esenzione dall'azione revocatoria debba valere anche per l'esonero dalla bancarotta, in quanto da un lato l'esenzione dalla revocatoria non richiede l'omologazione del concordato, dall'altro gli atti contemplati dal'art. 67, comma 3, lett. e) sono atti “legali” sotto il profilo civilistico, che sono “protetti” dalla prededuzione in un successivo fallimento e che pertanto non possono generare una fattispecie di illecito penale.

Fallimento e altre procedure di composizione negoziale della crisi (accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati di risanamento): vi è spazio per la consecuzione?

Il tema della consecuzione tra concordato e fallimento si ricollega necessariamente a quello dell'applicabilità del principio della consecuzione anche al caso in cui il fallimento costituisca l'epilogo di un accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di un piano attestato di risanamento. La ratio del principio della consecuzione è riconducibile alla sussistenza di una sorta di procedura concorsuale unitaria, il cui presupposto oggettivo è uno stato di insolvenza, accertato sotto il profilo – fenomenico - della sua manifestazione solo nel momento della dichiarazione di fallimento, ma sussistente - sotto il profilo ontologico - già nel momento dell'apertura del primo procedimento (c.d. identità di crisi economica). In linea di massima, quindi, non dovrebbe esservi spazio per l'applicazione del principio della consecuzione nel caso in cui la dichiarazione di fallimento segua alla presentazione di un piano attestato di risanamento ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d).

Nel caso in cui la dichiarazione di fallimento avvenga a seguito dell'insuccesso di in accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis), la questione è più complessa e la risposta dipende principalmente dalla natura che si intende attribuire agli accordi

di ristrutturazione. In argomento risulta di particolare interesse il caso in cui l'accordo di ristrutturazione al quale fa seguito la dichiarazione di fallimento costituisse a sua volta l'esito di un pre-concordato. Tale situazione verrà esaminata nel paragrafo che segue.

Dal concordato in bianco all'accordo di ristrutturazione. Dal pre-accordo al concordato

Costituisce tema di notevole interesse l'analisi dell'applicabilità della consecuzione in due particolari ipotesi che si possono realisticamente configurare, in considerazione dei numerosi strumenti di superamento della crisi (almeno in linea astratta) che il rinnovato ordinamento offre all'imprenditore.

Il riferimento va a due casi e più precisamente:

  • Il caso in cui dal pre-accordo (art. 182-bis, comma 6)

    si passi al concordato preventivo (art. 182-bis, comma 8);
  • Il caso, solo per alcuni versi speculare, in cui dal pre-concordato (art. 161, comma 6) si passi all'accordo di ristrutturazione (art. 161, comma 6, ultimo periodo).

Si tratta di una situazione che configura una sorta di duplice passerella (

espressione è stata coniata da Fabiani, La “passerella” reciproca fra accordi di ristrutturazione e concordato preventivi, in ilcaso.it

), rimessa alla discrezionalità dell'imprenditore, idonea in entrambi i casi a consentirgli di ottenere il vantaggio della conservazione (espressamente prevista dalle disposizioni richiamate), degli effetti conseguiti con la prima domanda. Come è stato osservato (

Fabiani, op. ult. cit., 3, ss.

), “le due disposizioni, di per sé stringate e in apparenza nitide, celano enormi criticità, specie quando dalla domanda più ampia (il ricorso ex art. 161) si passa alla domanda più ristretta (il ricorso ex art. 182-bis)”.

Esaminiamo in estrema sintesi le due situazioni.

  1. Nel caso in cui dal pre-accordo (art. 182-bis, comma 6) si passi al concordato preventivo (art. 182-bis, comma 8), si viene a formare una “consecuzione virtuosa” (

    Fabiani, op. ult. cit.

    ) tra i due istituti, in quanto gli effetti del concordato (art.168) si saldano con il momento del deposito del pre-accordo. Ai sensi del comma 8 dell'art.182-bis (si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e settimo) si desume che restino fermi il divieto di azioni esecutive e cautelari nonché quello della formazione di titoli di prelazione non concordati. Inoltre, a seguito del decreto 83/2012, convertito nella

    l.134/2012

    , gli effetti prodotti dall'istanza di sospensione di cui all'art.182-bis, comma 6, risultano ampliati. Se, a seguito dell'istanza di sospensione, l'imprenditore, invece di un accordo di ristrutturazione definito, deposita il ricorso per concordato preventivo, tutti questi effetti si conservano, trattandosi di effetti “tipici”, conseguenti anche al deposito della domanda di concordato preventivo non preceduta dal pre-accordo. A questi effetti si cumuleranno quelli propri esclusivamente del concordato (quali, la previsione dell'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni anteriori, quella della sospensione degli interessi

    ex

    art.

    169, l

    .

    f

    all

    ., quella dell'inopponibilità degli atti ex

    artt. 45

    e

    169 l.

    f

    all

    ., quella in tema di contratti pendenti di cui all'

    art. 169-

    bis

    , l.

    f

    all

    ., quella sul concordato in continuità di cui all'

    art. 186-

    bis

    , l.

    f

    all

    .). In tema di consecuzione, tuttavia, l'art. 69-bis appare chiaro nel prevedere che i termini per l'esercizio delle eventuali revocatorie decorrano dalla data di presentazione del concordato preventivo.

    Se è vero che la consecuzione tra pre-accordo e concordato preventivo non sembra porre particolari problemi interpretativi, in quanto gli effetti prodotti dal primo sono minori di quelli prodotti dal secondo, è altrettanto vero che ormai tale percorso sia diventato assai poco competitivo rispetto a quello che inizia a ritroso, e cioè dal pre-concordato all'accordo di ristrutturazione.
  2. Il caso in cui dal pre-concordato (art. 161, comma 6) si passi all'accordo di ristrutturazione (art. 161, comma 6, ultimo periodo) appare solo parzialmente speculare a quello esaminato in precedenza, e pone per questo maggiori incertezze interpretative. Infatti da un semplice confronto tra gli effetti che si conseguono con il deposito di un pre-concordato (artt. 168, 169, 169-bis, 182-quinquies, 182-sexies, 186-bis) e quelli che discendono dal deposito dell'accordo di ristrutturazione, emerge che non vi è totale identità. Vi sono, cioè, degli effetti tipici del concordato, che non si ritrovano negli accordi (ad esempio la sospensione degli interessi).

Con riferimento all'applicabilità del principio della consecuzione in questo secondo caso, ci si chiede se nell'ipotesi in cui l'accordo di ristrutturazione dei debiti depositato a conclusione del periodo di pre-concordato non fosse omologato e fosse

dichiarato il fallimento dell'imprenditore, possa trovare applicazione, verificata l'identità di crisi economica, l'art. 69-bis, comma 2. Il dies a quo sarebbe quello della pubblicazione della domanda di pre-concordato nel registro delle imprese. Le motivazioni a sostegno di tale scelta possono essere varie. Se alcuni ripropongono soluzioni interpretative analoghe a quelle a suo tempo utilizzate per applicare il principio della consecuzione anche nei casi in cui la prima procedura aperta fosse l'amministrazione controllata, altri propendono per una lettura estensiva della norma, nel senso di precostituire un'ulteriore causa di esonero dalla revocatoria, che integra quella di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), esentando dal rischio revocatoria non solo gli atti posti in essere “in esecuzione di accordi”, ma anche quelli funzionali agli accordi (art. 182-quinquies).

Ci si chiede allora se non ci si trovi in presenza di una situazione di asimmetria. Nel primo caso, infatti, dovendo trovare applicazione l'art. 69-bis, comma 2, la consecuzione si avrebbe solo tra concordato e fallimento e quindi il dies a quo per l'esercizio della revocatoria sarebbe quello della pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, potendo quindi rientrare nel periodo revocabile anche gli atti precedentemente compiuti durante il periodo di pre-accordo (esclusi quelli autorizzati e in prededuzione ai sensi dell'art. 182-quinquies, commi 1 e 5).

Considerazioni conclusive in tema di consecuzione, fallimento e “tenuta” del sistema dell'esenzione dalla revocatoria

Il tema della consecuzione tra le procedure concordatarie di composizione della crisi e l'eventuale successivo fallimento, in relazione da un lato al rischio revocatoria degli atti compiuti nella fase di percezione della crisi, anteriore all'apertura di una procedura concorsuale, dall'altro alla concreta

“tenuta” del sistema di protezione (dal rischio revocatoria) previsto dall'art. 67, comma 3, lettere d) ed e), ripropone il tema del ruolo - e dei profili di responsabilità - degli organi sociali nella valutazione e nella diagnosi dello stato di crisi dell'impresa e nella conseguente individuazione dello strumento più adatto per il superamento della crisi stessa.

Una particolare attenzione da parte degli interpreti merita infatti la questione del ruolo della corporate governance nella crisi dell'impresa (

S. Poli, Il ruolo del collegio sindacale nelle crisi di impresa tra regole deontologiche, norme di sistema e prospettive de iure condendo; F. Bava, L'individuazione dei controlli del collegio sindacale per l'espressione delle “osservazioni” in presenza di riduzione di oltre un terzo del capitale per perdite, in Riv. Dott. comm., 2012, 523 ss.; A. Provasoli, Razionalizzazione del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, ibidem, 603 ss.

). E' sin troppo noto, infatti, il silenzio del codice civile in relazione alle funzioni ed ai

profili di responsabilità degli organi sociali nella “twilight zone”, la zona crepuscolare, nella quale si percepiscono i primi segnali di crisi. Il codice civile tace sul punto. Le uniche norme di riferimento sono quelle in tema di perdita del capitale e di cause di scioglimento e conseguente liquidazione. Con riguardo alla posizione degli organi di controllo, e del collegio sindacale in particolare, la carenza di specifiche disposizioni civilistiche in argomento è almeno in parte colmata dalle norme deontologiche e comportamentali emanate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili. In ogni caso, nonostante l'assenza di norme specifiche che impongano obblighi di diligenza più stringenti in capo agli amministratori ed ai sindaci nell'ipotesi in cui la società si trovi in stato di crisi, tali obblighi discendono principalmente, per gli amministratori dal dovere di diligenza, accentuato dallo stato di crisi/insolvenza e di corretta amministrazione, per i sindaci dall'obbligo di vigilanza sugli amministratori.

In particolare, con riguardo ai comportamenti, ai doveri ed ai profili di responsabilità devono essere tenute distinte due fasi: a) la fase di percezione della crisi e di individuazione

dello strumento più adatto; b) la fase di attuazione conseguente alla scelta dello strumento stesso.

In proposito va sottolineato che il tentativo di accesso agli strumenti di composizione concordata dalla crisi non è una facoltà per gli amministratori, ma un vero e proprio obbligo, dalla cui violazione discende l'inadempimento dei doveri di diligenza, in relazione al comportamento improntato alla corretta amministrazione (clausola generale).

Sia per gli amministratori, sia per i sindaci, non è sufficiente percepire la situazione di crisi, bisogna anche “qualificarla”, al fine di selezionare ed attivare i rimedi societari e concorsuali adeguati, soprattutto in considerazione: 1) del nuovo significato attribuito dalla riforma del 2003 alla liquidazione volontaria, in particolare ai sensi degli artt. 2486 e 2487, comma 1, lett. c), finalizzata alla conservazione dei valori aziendali e dell'integrità del patrimonio; 2) dell'ampio ventaglio di opzioni offerto dalla nuova

legge fallimentare

(concordato preventivo, anche “anticipato”, accordi di ristrutturazione di debiti, piani attestati di risanamento, concordato fallimentare), oltre alle molteplici soluzioni offerte dall'amministrazione straordinaria per le grandi (e grandissime ) imprese in stato di insolvenza. Pertanto l'inerzia degli amministratori di fronte alla crisi/insolvenza della società costituisce già per sé “inadempimento” (come tale non coperto dalla “business judgment rule”)

, dal quale discendono conseguentemente gli obblighi e le responsabilità del collegio sindacale. Come è stato di recente ricordato (S. Poli, Il ruolo del collegio sindacale, cit.), le norme introdotte dalla riforma delle società di capitali in tema di poteri, compiti e responsabilità di amministratori hanno sancito il definitivo passaggio ad un “managerialismo tecnocratico”, con un decisivo spostamento del baricentro decisionale della società per azioni verso l'organo amministrativo: si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle previsioni di cui all'art. 2380-bis, all'introduzione del principio della rappresentanza generale di cui all'art. 2384, nonché all'art. 2381, comma 5, che attribuisce ai delegati il compito di curare che “l'assetto organizzativo amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa”. Sul fronte dei poteri, dei compiti e delle responsabilità dell'organo di controllo, la riforma del 2003 appare abbastanza incisiva sul piano dei profili funzionali, introducendo da un lato il principio della separazione tra funzioni di controllo contabile e funzione di vigilanza (2409–bis) e prevedendo dall'altro l'attribuzione al collegio sindacale di una funzione di “vigilanza attiva”, con la valorizzazione dell'organo in sede di verifica della compliance e di analisi ex ante sull'adeguatezza ed efficienza delle strutture organizzative della società (infatti l'art. 2403, comma 1, attribuisce ora anche al collegio sindacale delle società “chiuse” il compito di vigilare, sia sull' adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adatto alla società, sia sul concreto funzionamento dello stesso – sul punto cfr norme di comportamento CNDCEC 2012, cit., sub §§ 3,4 e 3,5 - ); all'organo di controllo vengono inoltre attribuiti poteri di reazione nell'ipotesi in cui gli amministratori non ottemperino alle indicazioni conseguenti ad un esito negativo delle verifiche sindacali (art. 2406).

In conclusione emerge l'esigenza di costruire una governance della crisi, delineando un sistema di diritto “societario–concorsuale”, che consenta di attuare un processo di osmosi tra due sistemi normativi solo apparentemente separati, tra i quali sin dai primi accenni di crisi dell'impresa deve aprirsi un dialogo.

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