Contro il sindacato sul c.d. abuso del diritto nel concordato preventivo

26 Febbraio 2014

Per “abuso” del concordato si intende il suo utilizzo distorto ed opportunistico, deviato da quello tipico; tale abuso può venire in considerazione tanto nell'accesso stesso alla procedura concordata quanto nella gestione della stessa. Il contributo ricostruisce un quadro normativo che autorizza la conclusione che possa dubitarsi che il diritto concorsuale vigente lasci spazio per un sindacato sull'abuso del concordato e nel concordato.
Introduzione

Il tema dell'abuso del concordato preventivo è fra i più attuali nel dibattito – specialistico e non solo - degli ultimi anni. Per “abuso” del concordato si intende il suo utilizzo distorto ed opportunistico, deviato da quello tipico che sarebbe la composizione della crisi per evitare il fallimento. Una prima affermazione nell'ambito concorsuale si rintraccia in

Cass. 3274/2010

: “L'ordinamento tutela il ricorso agli strumenti che lo stesso predispone nei limiti in cui questi vengano impiegati per il fine per cui sono stati istituiti senza procurare a chi li utilizza un vantaggio ulteriore rispetto alla tutela del diritto presidiato dallo strumento e a chi li subisce un danno maggiore rispetto a quello strettamente necessario per la realizzazione del diritto dell'agente”(

Cass, 20106/09

;

Cass. S.U., 23726/07

).

Il fondamento testuale di questa costruzione non è espresso nel sistema fallimentare; ma se ne individua il riferimento normativo in una particolare esplicazione del principio di buona fede in senso oggettivo, ossia del canone di lealtà dei comportamenti codificato agli

artt. 1175

e

1375 c.c.

, assurti al rango di norme di chiusura dell'intero sistema, a segnare il limite all'esercizio dei diritti.

L' applicazione sul terreno fallimentare è favorita dal processo di tendenziale privatizzazione del diritto della crisi d'impresa, cioè del crescente utilizzo in ambito concorsuale di istituti di natura privatistica. E, come ovvio, è con riferimento alle procedure concordate che questa elaborazione di

matrice negoziale attecchisce più facilmente; in aggiunta, va considerato che è in relazione alle stesse che si riscontra il maggior rischio di condotte tese ad approfittare degli effetti liberatori/esdebitativi (cfr.

Cass. 2695/2013

;

Cass., 29 luglio 2011, n. 1673

8

).

E' possibile scomporre il discorso in due tranches, per considerare, prima, le possibili forme di abuso

nell'accesso stesso alla procedura concordata; e, in secondo luogo, le possibili forme di abuso nella gestione di una procedura, pur correttamente avviata.

L'abuso “del” concordato

Quanto al rischio di abusi nella fruizione dello strumento concordatario, si suole ripetere che lo spazio a comportamenti opportunistici del debitore sarebbe lasciato aperto dalla mancata tipizzazione di un presupposto oggettivo, giacché lo stato di crisi è confessato dal debitore in modo autereferenziale, ma sfugge ad una verifica o ad un contraddittorio. Per vero questo rischio non sembra attuale: si è ancora lontani da un approccio laico alle procedure concorsuali, intese come la modalità più efficiente di comporre una crisi, e gli effetti tuttora infamanti delle stesse inducono il debitore ad accostarvisi quando la decozione è più che grave. Il punto è, piuttosto, che, essendo venuti a mancare i requisiti di meritevolezza soggettivi, da una parte, ed il quid minimo di consistenza della proposta, dall'altra, si è optato per non precludere soluzioni negoziali, se valutate positivamente dai creditori, indipendentemente dalle cause del dissesto e dalla condotta pregressa del debitore.

Ciò non toglie che l'ordinamento contenga più di un filtro teso a tenere arginato l'accesso pretestuoso ed opportunistico al concordato.

Si considerino, in estrema sintesi:

  • il ruolo e responsabilità dei professionisti attestatori variamente coinvolti nella redazione dei piani e delle proposte;

  • l'irrilevanza dei trasferimenti di comodo della sede di una società ai fini della fissazione della

    competenza giurisdizionale territoriale (art. 9;

    art. 161 l. fall

    .);

  • la conversione del concordato in fallimento per “atti di frode” secondo l'

    art. 173 l. fall

    .; atti di frode da intendersi non già come qualunque comportamento volontario idoneo a pregiudicare le aspettative di soddisfacimento del ceto dei creditori, ma come

    “la condotta tesa ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi, tali che, se conosciute, avrebbero ragionevolmente provocato una diversa valutazione della proposta”, rilevando “la formazione di una posizione informata in capo ai creditori”: risultano così sanzionati anche i pregressi occultamenti e depauperamenti dell'attivo in danno dei creditori anteriormente alla proposta (

    Cass.

    23 giugno 2011, n. 13817

    );

  • lo strumento di reazione dato dall' annullamento del concordato omologato, sempre per la scoperta di atti di frode (

    art. 186 l. fall

    .);

  • la previsione di limiti temporali per il reiterato accesso a procedure con effetti esdebitativi, al fine di evitare lo scardinamento del principio dell'

    art. 2740 c.c.

    (

    art. 142 l. fall

    .;

    art. 7 l. 3/2012

    sulle procedure di sovraindebitamento;

    art. 161,

    comma

    9

    , l. fall

    .); quanto in particolare all'

    art. 161,

    comma

    9

    , l. fall

    ., è dato osservare che la preclusione a reiterare domande di concordato (in pieno o in bianco) nel biennio successivo al ricorso di preconcordato fa sì che questo strumento, rispondendo all'istanza anticipatoria, debba rappresentare il primo approccio del debitore ad una soluzione concordata, senza poter essere utilizzato all'interno di un

    iter già avviato (

    Trib. Milano, 4 ottobre 2012; Trib. Parma, 2 ottobre 2012; Trib. Messina, 30 gennaio 2013

    );

  • l'irrigidimento della disciplina sul concordato in bianco dopo il decreto del fare del 2013, che all'art. 81 integra l'

    art. 161, commi 6-7-8,

    l. fall

    ., così arricchendo l'onere informativo a carico del debitore col deposito di lista nominativa dei creditori; tipizzando l'obbligo di monitoring mensile già noto alla prassi; consentendo l'anticipazione della nomina del commissario giudiziale; rendendo applicabili sia la sanzione

    ex

    art. 173 l. fall

    . per atti di frode sia l'accorciamento del termine già fissato per la presentazione del piano definitivo(

    LAMANNA, Il decreto del “fare” e le nuove misure di controllo contro l'abuso del preconcordato, ilFallimentarista.it

    ).

A fronte di questo complesso dato normativo, quanto alla fruizione del concordato due sembrano i comportamenti simulatori ed abusivi più temuti:

a)

un utilizzo disinvolto del preconcordato, col

rischio che siano prenotati gli effetti del concordato approfittando dell'apertura dell'ombrello protettivo dell'

art. 168 l. fall

. (e pare anche dell'

art. 169 l. fall

.) senza

poi dare luogo a nessuna soluzione negoziale. Se è vero che in questo caso l'ammissione viene meno ex tunc, sussistono effetti di atti legalmente compiuti che restano irreversibili, quali: - la sospensione (o, secondo alcuni, financo lo scioglimento) da contratti ex

art. 169-

bis

l. fall

.;- i pagamenti preferenziali autorizzati

ex

art. 182-

quinquies

, 5° comma,, l. fall

., mediante prenotazione di un concordato in continuità; - la prededucibilità dei finanziamenti autorizzati

ex

art. 182-

quater

e

182-

quinquies

, comma 1, l. fall

.; - il compimento di atti esenti da revocatoria, secondo l'

art. 67, comma 3, lett. e), l. fall

.

E' ovvio che questi effetti non possono che dispiacere ai creditori. Ed è sotto gli occhi di tutti che la disciplina positiva sul concordato in bianco sia criticabile e perfettibile. Ma hoc iure utimur: non pare che sia responsabile di sfruttamento abusivo dello strumento concordatario il debitore che, rispettando le prescrizioni di legge; ricevendo l'attestazione del professionista; ottenendo le necessarie autorizzazioni giudiziarie; sottostando al monitoraggio ed agli oneri informativi imposti; accede – si deve presumere: virtuosamente - al preconcordato.

b)

il coltivare, con l'accesso ai concordati, un

intento meramente dilatorio, ritardando ad libitum i tempi per la dichiarazione di fallimento. Questo timore, per vero, era attuale fino a che si sosteneva l'improcedibilità di istanze di fallimento fino alla decisione sul concordato (

Cass. 28 agosto 1997, n. 8152

; Trib Forlì 13 marzo 2013)

. Ma secondo l'insegnamento giurisprudenziale oggi largamente accolto, pur restando il fallimento l'extrema ratio e pur andando favorito l'attivismo del debitore, non si deve ritenere preclusa l'istanza di fallimento in pendenza di concordato: la pendenza del concordato preventivo “non implica de jure l'improponibilità del procedimento per la dichiarazione di fallimento, una volta che il giudice adito abbia elementi – non importa se di legittimità o di opportunità - per considerare prevalente quest'ultima procedura rispetto allo strumento concordatario” (

Cass. 19214/2009

; adde

Cass. 24 ottobre 2012, n. 18190

); si tratta di “un'esplicazione del diritto di difesa, che non può tradursi nel disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare, venendo così a paralizzare le iniziative recuperatorie del curatore ed incidere negativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo”(

Cass. S.U., 23 gennaio 2013, n. 1521

). Si aggiunga che

le Linee guida del Tribunale di Milano presentano come opportuno che il tribunale disponga la riunione del procedimento prefallimentare alla procedura di concordato preventivo, sospendendo il prefallimento fino alla definizione della decisione sul concordato, in un apprezzamento sinottico dell'esito della crisi.

Quindi pare che nel diritto vivente attuale una simile strategia meramente dilatoria del debitore non possa riuscire a sortire buon esito.

L'abuso “nel” concordato

Quanto all'abuso misurabile nella

gestione della procedura concordataria occorre considerare almeno due profili:

a) quello della formazione delle classi;

b) quello dell'esercizio del voto.

a)

Va premesso che è fisiologico e consentito dall'ordinamento classificare i creditori, ossia, articolare la proposta in modo da agevolarne l'approvazione, evitando di dover

tenere livellata la profferta da indirizzare a tutti i creditori, ma viceversa, calibrando diversi trattamenti per diverse categorie di coloro che abbiano “posizione giuridica ed interessi economici omogenei”; l'operazione, come noto, incide sulle modalità di approvazione della proposta stessa. Sindacare se di questa opportunità legittima si abusa, cioè se sussiste esercizio deviato della chance di intercettare proficuamente il gradimento dei creditori richiede una delicatissima valutazione (

AIELLO, Tre questioni in tema di concordato preventivo: abuso del diritto nella formazione delle classi, atti di frode e legittimazione del liquidautore giudiziale all'esperimento delle azioni di responsabilità,

ilFallimentarista.it

)

poiché è chiaro che il debitore tenderà ad isolare in classi ad hoc i creditori che potrebbero votare sfavorevolmente, oppure a “spalmare” i favorevoli in modo da fare passare la proposta nella maggioranza delle classi; oppure, a creare classi anche unipersonali di soggetti favorevoli per raggiungere la maggioranza delle classi (

Trib Milano 19 luglio 2011

). Ma il metro per la valutazione di questi comportamenti deve essere quello della legalità: in sede di ammissione ed in sede di omologazione (indipendentemente, qui, dall'opposizione di un creditore) il giudice è comunque chiamato a verificare l'osservanza delle regole che presidiano la corretta formazione delle classi, vale a dire: il rispetto della graduazione dei crediti; il mantenimento delle condizioni minime garantite ai prelatizi; la sussistenza di una “posizione giuridica ed interessi economici omogenei” che giustifichi ciascuna classificazione. Il riscontro di tutte queste condizioni è sufficiente per escludere l'ammissibilità di un classamento che, nell'essere pretestuoso ed abusivo, urta inevitabilmente con tale catalogo di regole inderogabili, così da non poter superare l'esame sui profili tipici di legalità; senza che

resti spazio per valutare ulteriormente e utilmente scenari di “abusi del diritto” (

Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274

).

b)

Sul voto nel concordato il discorso sarebbe assai complesso. Valga osservare che si tende ad importare nella materia

i principi e le regole sul voto in assemblea di s.p.a., ed in particolare, sul conflitto di interessi del socio, secondo l'

art. 2373 c.c.

Questa operazione sconta da sempre la difficoltà non tanto che i creditori possono essere portatori di interessi eterogenei (nella stessa situazione, infatti, possono versare i soci titolari di diverse categorie di azioni); quanto che i creditori, diversamente dai soci, non

hanno aderito a un programma comune e non sono tra loro legati da un contratto, da eseguirsi con buona fede e correttezza, ma si trovano accomunati in modo contingente – né più né meno, si suole dire, degli occasionali i passeggeri dello stesso tram- . Inoltre, manca all'insieme dei creditori quella soggettivizzazione in una sovradimensione ulteriore – la società - alla quale imputare un interesse, rispetto al quale è vietato porsi in contrasto; e ciò sull'assunto che il conflitto di interessi possa rilevare solo se inquina il comportamento di un soggetto al quale una volontà è imputabile.

Per vero, e tralasciando la complessa questione della assenza di soggettivizzazione, resta che

il voto è senz'altro manifestazione di autonomia privata; e che al suo esercizio si applicano i principio di buona fede e correttezza ex

artt. 1175

e

1375 c.c.

;

e che si può dare che un creditore abbia, oltre ad un interesse tendenzialmente comune a tutti i creditori (id est: la massimizzazione del trattamento e la speditezza della procedura) anche un interesse incompatibile con questo.

In taluni casi questo conflitto è tipizzato: si pensi alle preclusioni al voto degli

artt.

127 e

177 l. fall

.; nonché alle sanzioni penali per il mercato di voti (art. 233 l fall.); e all'esclusione dal voto – interpretativamente ricostruita (Maffei Alberti, Commentario breve alla l. fall., Padova, 2013, 860) - del creditore proponente nel concordato fallimentare (mentre non pare pertinente richiamare l'

art. 40 l. fall

. sul conflitto di interessi del membro del comitato creditori e l'

art. 37-

bis

l. fall

. sulla sostituzione del curatore, norme riferite a soggetti che ricoprono e svolgono una funzione nell'economia della procedura). Queste previsioni, lungi dal poter essere considerate tassative, autorizzano, piuttosto, la ricerca di altri possibili casi in cui un creditore miri a un vantaggio particolare non condiviso dagli altri. Si esemplifica ipotizzando il creditore che vota a favore a fronte della promessa di rapporti commerciali dopo la chiusura del concordato; o vota a favore a fronte dell'impegno al rimborso delle spese; o rischia altrimenti di subire una revocatoria ovvero lo scioglimento di un contratto; o ha interesse a non subire azioni revocatorie e/o risarcitorie, già promosse e oggetto di rinuncia nella proposta di concordato fallimentare; si osserva che i creditori forti, poi, hanno strumenti e professionalità tali da potere monitorare maggiori informazioni, delle quali non mettono a parte gli altri, sfruttandole per premunirsi egoisticamente di garanzie individuali.

Di questi scenari l'ordinamento non può disinteressarsi completamente, poiché il meccanismo maggioritario impone di tutelare la posizione delle minoranza: occorre, cioè, tenere rispettate le regole che consentono di comprimere l'autonomia privata ed invadere la sfera giuridica del dissenziente. Per giustificare la regola che la maggioranza vince e per attribuire (nel rispetto dei principi costituzionali:

art. 3 Cost.

) a un soggetto un potere su di un altro imponendogli le proprie decisioni si ritiene necessario – lo si affermerà qui apoditticamente, poiché il discorso sarebbe davvero troppo lungo e complesso - che sussista una comunanza di interesse che fonda la decisione collettiva.

Occorre però la massima prudenza nell'invadere il piano di quei motivi soggettivi che necessariamente sono sottesi ad ogni autodeterminazione a votare contro o a favore di una proposta. Anche nel caso limite che un creditore, trascurando il proprio interesse economico, decida di votare sfavorevolmente perché prova una antipatia o un'inimicizia personale nei confronti del debitore, non pare proprio che le ragioni – personali,

intime o comunque, non oggettivamente riscontrabili - della sua scelta possano formare oggetto di sindacato in termini di “abuso del diritto”.

Ma non solo, quindi, è assai arduo individuare fattispecie atipiche di “abuso di voto nel concordato”; anche il conseguente strumento di reazione è alquanto incerto, fronteggiandosi la soluzione della sterilizzazione del voto su intervento del giudice, a presidio della regolarità della votazione; la soluzione che, argomentando dal carattere necessario e non facoltativo della classificazione dei creditori, prevede di isolare il creditore in conflitto in una classe ad hoc; e la soluzione che individua la sanzione del voto dato in conflitto di interessi nell'opposizione all'omologazione (se la proposta è

passata col voto determinante del creditore in conflitto) o mediante opposizione ex

art. 26 l. fall

. al provvedimento del Tribunale

che dichiara inammissibile il concordato (se la proposta è stata rigettata) (

SACCHI, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Fall., 2009, 1063; D'ATTORRE, Il conflitto d'interessi tra creditori nel concordato, orizzontideldirittocommerciale.it, 2010: CALANDRA BUONAURA, Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in Giur. comm., 2012, I, 14

). Come si vede, sono talmente

gravi le difficoltà applicative e le incertezze interpretative che si sono prospettate, da lasciare l'impressione che la fattispecie dell'abuso di voto nel concordato sia ancora tutta da costruire, anche a livello di disciplina positiva.

Conclusioni

Il quadro normativo che si è sommariamente ricostruito autorizza la conclusione che possa dubitarsi che nel diritto concorsuale vigente trovi molto spazio un sindacato sull'abuso “del” concordato e “nel” concordato.

Ed infatti, delle due, l'una: o viene in considerazione una specifica violazione di legge (nel proporre il concordato, nel prenotare il preconcordato, nel votare, nel costruire le classi e così via), e allora si tratta di

comportamento che risulta di per sé contra legem, senza che si renda necessario invocare la clausola generale di buona fede oggettiva; e per ogni precetto violato l'ordinamento indica volta volta il rimedio tipico.

Oppure, in mancanza di infrazioni alla disciplina concordataria e, anzi, nel rispetto di tutte le prescrizioni e delle condizioni che la legge fissa per la fruizione della procedura, si dovrà ritenere che colui che sfrutta nel proprio interesse gli strumenti che – piaccia o no - la vigente disciplina del concordato offre, stia usando e non già abusando del proprio diritto.

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