Il liquidatore giudiziale nel concordato con cessione dei beni: poteri, legittimazione attiva e passiva, casi pratici
16 Gennaio 2014
Quadro generale: il liquidatore giudiziale nel concordato preventivo con cessione dei beni
La figura del liquidatore giudiziale è richiamata espressamente dall'art. 182 l.fall., il quale recita, tra l'altro, che “Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili [...]”. La legge fallimentare prevede che con il decreto di omologazione la procedura di concordato preventivo si chiude (art. 181 l.fall.). Se - però - il concordato consiste nella “cessione dei beni” (e non dispone diversamente), il tribunale nomina uno o più liquidatori (e un comitato di creditori). Quindi, in tal caso, all'omologazione segue la fase esecutiva del concordato affidata al liquidatore (v. art. 185 l.fall.). Ma quand'è che ci troviamo di fronte ad un concordato con “cessione dei beni”? In estrema sintesi (e con un po' approssimazione) possiamo dire che ricorre la figura del concordato con “cessione dei beni” quando il debitore mette a disposizione dei creditori il suo patrimonio affinché questo venga liquidato ed il ricavato in denaro ripartito tra i suoi creditori. Per utilizzare le parole della SC: “Il dibattito sulla natura del concordato preventivo è antico e si riflette sulla possibilità di configurare la cessione dei beni, cui esso dia luogo, in termini di mandato irrevocabile conferito al liquidatore perché gestisca e liquidi i beni del debitore, come tale riconducibile - sia pure con peculiarità sue proprie - alla figura negoziale disegnata dall'art. 1977 c.c. Per risolvere il problema ora in esame (ndr: qui adattato alla legittimazione attiva e passiva del liquidatore) non sembra però davvero indispensabile prendere posizione su un tema così generale” (Cass., Sez. Unite, 16 luglio 2008, n. 19506). Ai fini del presente approfondimento occorre tener presente che “tanto più quando si sia proceduto alla nomina di un commissario liquidatore, con compiti per molti aspetti non dissimili da quelli di un curatore fallimentare, anche la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni è riconducibile ad una più vasta categoria di procedimenti di esecuzione forzata (in senso lato) al pari della procedura fallimentare” (Cass. 16 luglio 2007, n. 19506; Trib. Udine, 23 settembre 2011). Ecco perché oggi si sente parlare spesso anche di “fallimentarizzazione” della liquidazione concordataria (non intendiamo, in questa sede, entrare nel dibattito che vede contrapposta la tesi che sancisce la vincolatività sempre e comunque del modello legale di liquidazione a quella che preferisce lasciare più spazio alla regolazione negoziale della crisi e non irrigidirsi nell'applicazione delle regole fallimentari) (Trib. Milano 28 ottobre 2011. In dottrina De Simone, Le vendite immobiliari nel concordato preventivo, in ilcaso.it e Lucente, Stato dell'arte sulla nomina e sui poteri del liquidatore giudiziale e degli altri organi di direzione e controllo nel concordato con cessione dei beni, in ilFallimentarista.it). Così delimitato a grandi linee il contesto di riferimento in cui è chiamato ad operare il liquidatore giudiziale, vediamo anche di delineare - sempre brevemente - i contorni/poteri di tale figura, dalla S.C. qualificata “organo della procedura” (Cass. 15 luglio 2011, n. 15699). È stato ripetutamente affermato che “La procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione” (Cass. 13 aprile 2005, n. 7661; Cass. 11 agosto 2000, n. 10738; Trib. Modena 30 dicembre 2009; Trib. Pordenone 22 ottobre 2008). Già una risalente pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. 28 maggio 1987, n. 4779) affermava che “In virtù della sentenza di omologazione del concordato con cessione dei beni, infatti, rispetto ai crediti concordatari si determina una scissione tra titolarità del debito, che resta all'imprenditore-debitore, e legittimazione all'adempimento dell'obbligazione, cui è tenuto il liquidatore, il quale deve provvedervi con il ricavato della liquidazione. E' stato anche ripetuto che “Il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno "spossessamento attenuato”, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del concordato. In particolare, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene (oltre che la proprietà dei beni) la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dall'art. 43 legge fall. per il fallimento” (Cass. 27 febbraio 2008, n. 4728; Cass. 16 marzo 2007, n. 6211). Fissati tali principi, e sulla loro scorta, possiamo – quindi – passare ad analizzare nel dettaglio quando il liquidatore giudiziale dei beni ceduti ai creditori è (stato) ritenuto legittimato ad agire e/o resistere in giudizio, in via esclusiva e/o concorrente con altri soggetti, soprattutto con il debitore concordatario. Ed anche ad individuare i poteri che a tale figura sono stati riconosciuti. Anticipiamo che – però – persistono ancora diversità di opinioni sull'argomento sia tra i giudici di legittimità, che tra quelli di merito.
Casistica
Il problema della legittimazione passiva in ordine alla verifica dei crediti dopo l'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni è quello che ha trovato maggiore spazio nel dibattito giurisprudenziale. Poiché nella procedura di concordato preventivomanca - a differenza di quanto accade nel fallimento - la fase dell'accertamento del passivo (e dei diritti dei terzi), i crediti (o gli altri diritti) contestati dal debitore devono essere accertati attraverso un ordinario giudizio di cognizione (per essere poi soddisfatti nella percentuale concordataria prevista). Si pone allora il problema del soggetto legittimato passivamente rispetto alla domanda di accertamento di crediti proposta dal (l'asserito) creditore dell'imprenditore. Fino alla sentenza della Corte di Cassazione a SS.UU. n. 4779/1987, veniva per lo più affermato che l'unico soggetto legittimato passivo nei giudizi aventi per oggetto l'accertamento dei crediti nei confronti del debitore ammesso al concordato preventivo per cessione dei beni era il debitore medesimo e non il liquidatore giudiziale. E ciò in quanto “il liquidatore, nominato in sede di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, ha la mera veste di mandatario alla gestione e liquidazione di detti beni, e, pertanto, se è legittimato a stare in giudizio per le controversie inerenti ai beni medesimi, resta estraneo alle controversie promosse per l'accertamento di crediti nei confronti del debitore ammesso al concordato” (Cass. 28 marzo 1985, n. 2187). Le Sezioni Unite del 1987, rivisitando l'orientamento più su illustrato, giungono - invece - ad affermare che una pronuncia che accerti un debito concordatario “deve necessariamente essere resa in contraddittorio di entrambi i soggetti, nei cui confronti è destinata ad operare in modo diretto ed inscindibile”. Quindi viene ipotizzato un litisconsorzio necessario dal lato passivo tra debitore concordatario e liquidatore giudiziale. Se è vero, infatti, che la titolarità del debito resta all'imprenditore, è altrettanto innegabile che il soggetto tenuto all'adempimento di tale debito è il liquidatore, il quale deve provvedervi con il ricavato della liquidazione. Tale pronuncia non ha – però – risolto definitivamente la questione della legittimazione passiva rispetto alla domanda di accertamento di crediti concordatari. Se successivamente all'intervento delle SS.UU. del 1987 la maggior parte della giurisprudenza (Cass. 5 aprile 2001, n. 5055; Cass. 26 luglio 2001 n. 10250; Cass. 30 luglio 2009, n. 17748; Trib. Milano, 10 luglio 1987; Trib. Roma, 29 aprile 1996; App. Roma 18 settembre 2006; Trib. Benevento, 2 aprile 2008; Trib. Modena, 30 dicembre 2009; Trib. Siracusa, 11 novembre 2011; App. Firenze 15 febbraio 2012; Trib. Vercelli 18 Gennaio 2013) ha continuato ad affermare che “in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell'imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario; non sono - però - mancate, anche negli ultimi anni, pronunce di segno contrario, che hanno continuato ad affermare la legittimazione esclusiva del debitore (Cass. 14 marzo 2006, n. 5515; Trib. Bari 25 novembre 2008; Cass. 10 giugno 2009, n. 13340). Senza tralasciare – inoltre – che vi sono state anche pronunce che, ribadita la legittimazione passiva in capo all'imprenditore (nella controversia promossa per far valere una pretesa creditoria nei confronti del debitore in concordato con cessione dei beni), hanno fatta salva la facoltà di intervento in causa del liquidatore giudiziale (Cass. 10 settembre 1999, n. 9663). Anzi, s'è detto anche che “Nella procedura concordataria [...] il debitore è l'unico legittimato passivo in ordine alla verifica dei crediti dopo l'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni, sussistendo la legittimazione del liquidatore solo nei giudizi che investono lo scopo liquidatorio della procedura; tuttavia, pur non essendo il liquidatore legittimato passivo, né litisconsorte necessario del debitore nei giudizi relativi alla verifica dei crediti, ove egli intervenga in tali giudizi, trattandosi di interventore adesivo (ndr: dipendente) [...], deve necessariamente ipotizzarsi un litisconsorzio processuale nei successivi gradi di giudizio [...]; ne consegue che, ove al liquidatore, intervenuto nel giudizio d'appello non sia stato notificato il ricorso per Cassazione, deve essere integrato il contraddittorio nei suoi confronti ai sensi dell'art. 331 cod. proc. civ.” (Cass. 20 maggio 2004, n. 9643; Cass. 3 aprile 2013, n. 8102). Un'ultima pronuncia di merito sull'argomento (Trib. Vercelli 18 gennaio 2013 in ilFallimentarista.it con commento di Monica Pereno) si pone sulla scia delle sezioni unite del 1987 e ritiene il liquidatore giudiziale litisconsorte necessario nell'azione di recupero/accertamento del credito nei confronti del debitore in concordato. Con tale provvedimento è stata sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto proprio a causa della pretermissione del liquidatore giudiziale nella fase monitoria. Di fronte ad un panorama così delineato, dove l'unico comune denominatore è rappresentato da una legittimazione del debitore sempre necessaria nei giudizi di accertamento di crediti concordatari (Trib. Roma, 16 settembre 2002; Trib. Bassano del Grappa, 24 maggio 2013, decr.), forse l'opzione più prudente è quella di far partecipare a tali giudizi – sempre e comunque – anche il liquidatore giudiziale. Meglio correre il rischio di sentir dichiarare la carenza di legittimazione di una parte presente nel giudizio che rischiare di subire le conseguenze di un contraddittorio non integro. Dal riconoscimento al liquidatore giudiziale della legittimazione passiva nei giudizi dei quali si è trattato discende l'attribuzione allo stesso della legittimazione a riconoscere stragiudizialmente crediti fatti valere nei confronti del debitore, ma tale riconoscimento, data la concorrente legittimazione passiva del debitore, potrà avere effetto solo se ad esso si accompagni il riconoscimento del debitoreo, per lo meno, la mancata contestazione ad opera dello stesso (Cataudella, Concordato preventivo con cessione dei beni e legittimazione processuale del. liquidatore giudiziale, in Rivista dei curatori fallimentari, 1995)
Nel concordato preventivo con cessione dei beni la fase (esecutiva) della liquidazione è demandata al liquidatore giudiziale, al quale viene attribuito - in generale - il potere (in via esclusiva) di compiere tutti gli atti necessari e utili alla liquidazione dei beni ceduti ai creditori per poi ripartirne il ricavato. Già Cass. civ. n. 3701/1987 precisava che il liquidatore dei beni è legittimato al compimento degli atti necessari alla liquidazione del patrimonio del debitore ed in particolare, dal lato attivo, a proporre le azioni relative ai crediti compresi tra i beni ceduti, anche di accertamento, oltre che di condanna. Quindi:
Di contro:
Considerazioni conclusive Concludendo questa breve rassegna, si può affermare che - in generale - al liquidatore competono tutti quei poteri processuali e tutte quelle attività di gestione patrimoniale utili e funzionali alla più proficua realizzazione dei cespiti oggetto di cessione, dalla locazione di beni ad acquisti strumentali ad una più vantaggiosa alienazione […] (Bozza, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fall., 7,2012). Aggiungiamo: da esercitare nei limiti e nel rispetto (della legge e) delle modalità di liquidazione previste dal debitore e/o determinate dal tribunale, come indicate nel decreto di omologazione. Quanto ai poteri/doveri del liquidatore nella fase “distributiva”, nel già cit. recente provvedimento del Tribunale di Bassano del Grappa 24 maggio 2013 si legge che “il liquidatore procede alla distribuzione del ricavato tra i creditori nel modo che ritiene più opportuno, in quanto nessuna norma gli impone di procedere, in analogia a quanto prescritto per il fallimento, alla redazione di piani di riparto, la redazione dei quali può tuttavia essere utile per sollecitare, prima di procedere alla distribuzione delle somme disponibili ed a scanso di responsabilità per il liquidatore, eventuali rilievi che rendano necessaria una modificazione dei piani stessi, con la precisazione che deve, in ogni caso, escludersi che la redazione di un piano di riparto conferisca ai creditori un diritto irrevocabile ad ottenere le somme in esso iscritte”. Deve segnalarsi però che molto spesso è lo stesso tribunale a prevedere nel decreto di omologazione che il liquidatore debba procedere al pagamento dei creditori (rispettando il piano e l'ordine delle cause legittime di prelazione) mediante riparti. Riparti che, secondo alcuni tribunali, devono essere approvati dal comitato dei creditori e depositati presso la cancelleria fallimentare (Trib. Reggio Emilia, 13 ottobre 2012, decr.), mentre, secondo altri, devono essere resi esecutivi dal GD previo parere del comitato dei creditori e finanche del commissario giudiziale. Comunque, anche in quei casi (a dire il vero, oggi poco frequenti) in cui il tribunale non imponga al liquidatore di procedere ai pagamenti mediante piani di riparto, riteniamo sempre consigliabile che costui opti, anche autonomamente, per la distribuzione del ricavato tra i creditori attraverso la redazione di piani di riparto, condotta certamente più prudente, al più valutabile come praeter legem, ma certamente non contra legem. Legittimazione e poteri in capo al debitore
Segue ora, per completezza, una breve finestra riepilogativa sulla legittimazione ed i poteri (residui) del debitore concordatario. Il debitore nel concordato con cessione dei beni conserva una sua capacità processuale ed il diritto di agire e resistere in giudizio a tutela del suo patrimonio, sia per evitarne il depauperamento che per aumentarne il valore (Cass. 9 agosto 1990, n. 8086). In tale direzione è stato anche affermato che la società in concordato preventivo con cessione dei beni:
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