Dichiarazione di fallimento in pendenza di ricorso per concordato preventivo con nomina di curatore collegiale

Melania Ranieli
25 Settembre 2012

Il deposito in cancelleria di una domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non legittima la sospensione della procedura fallimentare, né impone di valutare l'ammissibilità alla procedura concordataria prima di dichiarare il fallimento.
Massima

Il deposito in cancelleria di una domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non legittima la sospensione della procedura fallimentare, né impone di valutare l'ammissibilità alla procedura concordataria prima di dichiarare il fallimento.

Le notevoli dimensioni dell'impresa e la presumibile complessita' della procedura giustificano la nomina di un collegio di curatori.

Il caso

Nel corso dell'udienza camerale di un procedimento per la dichiarazione di fallimento, il difensore della società debitrice informa il Collegio che la propria assistita ha appena provveduto a depositare in cancelleria il ricorso per l'ammissione al concordato preventivo. Il Tribunale ritiene la circostanza ininfluente sulla procedura fallimentare in corso e, a scioglimento della riserva, emette sentenza dichiarativa di fallimento, senza pronunciarsi sull'ammissibilità della proposta di concordato.

Con la sentenza il Tribunale provvede a nominare un collegio di tre curatori con indicazioni in ordine alle modalità di adozione delle decisioni, alla rappresentanza ed al compenso.

Le questioni giuridiche

Il Tribunale di Torre Annunziata affronta la controversa questione del coordinamento delle procedure in caso di contemporanea pendenza di un'istanza di fallimento e di una domanda di ammissione al concordato preventivo. Nel caso in esame, l'istanza di fallimento ha preceduto la domanda di concordato, la quale è stata comunque avanzata tempestivamente, ossia prima del fatto preclusivo costituito dal deposito della sentenza dichiarativa di fallimento. Ad avviso del Collegio, la pendenza della domanda di concordato non influisce sulla procedura volta alla dichiarazione di fallimento, né richiede una sospensione della stessa. In coerenza con tale convincimento, il Tribunale procede a dichiarare il fallimento senza una preventiva pronuncia, né un preliminare vaglio, della ammissibilità della proposta di concordato.
Con la sentenza dichiarativa di fallimento, il Tribunale campano provvede altresì - conformandosi ad un indirizzo applicato anche da altri giudici di merito e soprattutto dal Tribunale di Milano - a nominare un curatore collegiale composto da tre membri. La pluripersonalità dell'organo, ad avviso del Tribunale, che in ciò si conforma ai ricordati precedenti di merito, sarebbe funzionale a una maggiore efficienza e rapidità nella gestione di una procedura complessa e di notevole impatto sociale. Il silenzio normativo in merito alla possibilità di nomina di un curatore collegiale non è considerato di per sé ostativo e comunque viene ritenuto astrattamente qualificabile in termini di lacuna normativa. Tale qualificazione giustificherebbe l'applicazione analogica delle norme in tema di liquidazione coatta amministrativa (art. 198 l. fall.) e di amministrazione straordinaria (artt. 8, 15 e 38, D.lgs. 270/1999). La sentenza dispone che il collegio investito della curatela possa decidere a maggioranza, che la rappresentanza spetti congiuntamente ad almeno due membri e che il compenso, determinato secondo quanto spettante al curatore unico, sia ripartito paritariamente tra i componenti.
La sentenza offre, quindi, l'occasione di formulare alcune osservazioni sia in merito al coordinamento delle procedure di fallimento e concordato preventivo, in caso di contestuale pendenza; sia in merito alla composizione della curatela fallimentare.

Osservazioni

A seguito della riforma della legge fallimentare è stata soppressa la previsione, contenuta al previgente art. 160 l. fall., la quale disponeva che il debitore potesse proporre un concordato preventivo fino a quando il suo fallimento non fosse dichiarato. Tale previsione era stata intesa come assertiva della improcedibilità del procedimento per la dichiarazione di fallimento in caso di intervento di una proposta di concordato. Nella attuale disciplina nessuna disposizione si premura di regolare il coordinamento tra le procedure, nel caso di contemporanea pendenza. Tuttavia, la circostanza che l'ammissione alla procedura concordataria escluda la dichiarazione di fallimento e la natura tuttora preventiva del concordato inducono a ritenere che la decisione sull'ammissione a tale procedura debba precedere quella sulla eventuale dichiarazione di fallimento; ciò a prescindere da quale tra le due domande sia stata avanzata per prima (cfr. Trib. Novara, 21 maggio 2012, in DeJure; Trib. Udine, 10 maggio 2011; Trib. Roma, 22 giugno 2010, consultabili su ilcaso.it). Del resto, l'alternativa tra l'ammissione al concordato o la dichiarazione di fallimento non pare dover essere rimessa al mero accidente del tempo necessario per decidere l'una e l'altra domanda (così Scarfoni, Riflessioni minime sul concordato preventivo alla luce del decreto legislativo correttivo della legge fallimentare, in Giur. mer., 2007, 3232). Un tale esito potrebbe, peraltro, essere foriero di pratiche processuali opportunistiche volte ad abbreviare o a ritardare una delle decisioni.
Tali considerazioni di ordine sostanziale devono tuttavia misurarsi con la concreta possibilità di ricorso ad uno strumento processuale il quale consenta di decidere la domanda di concordato prima di quella di fallimento (secondo un iter diverso da quello seguito nel caso in esame). Le incertezze ricostruttive e la varietà di posizioni espresse sul punto sono, infatti, imputabili proprio alla difficoltà di selezione di un tale strumento processuale, soprattutto se in tale selezione si privilegi una rigorosa valutazione dei presupposti degli istituti processuali di possibile rilievo.
E' stato pressoché unanimemente escluso che l'intervento di una domanda di concordato in pendenza di istruttoria pre-fallimentare determini l'improcedibilità della prima procedura. Ciò, non soltanto per la soppressione dell'inciso di cui al previgente art. 160 l. fall., ma soprattutto perché ad un'eventuale dichiarazione di inammissibilità del concordato non consegue necessariamente, né automaticamente, la dichiarazione di fallimento. Ad escludere il ricorso alla improcedibilità contribuisce, altresì, la circostanza che il divieto di azioni esecutive individuali decorra dal provvedimento di apertura del concordato preventivo (art. 168 l. fall.).
La giurisprudenza ha, altresì, negato, anche nell'intento di scoraggiare pratiche dilatorie, che possa trovare applicazione l'istituto della sospensione di cui all'art. 295 c.p.c., per l'insussistenza di pregiudizialità tale da determinare un conflitto di giudicati. Tuttavia è stata sostenuta la possibilità di una sospensione atecnica (cfr. App. Torino, 17 luglio 2008, in Fall., 2009, 53).
Minori ostacoli si intravedono nella riunione dei giudizi ex art. 274 c.p.c., sebbene la posizione motivatamente espressa in tal senso anche dal Tribunale di Milano (cfr. Trib. Milano 10 novembre 2009, in Fall., 2010, 206, dove si afferma la priorità logica della valutazione dei presupposti di cui all'art. 182-bis l. fall. sulla valutazione dello stato di insolvenza) non raccolga unanime consenso (F. De Santis, in Trattatto di Diritto fallimentare, diretto da Buonocore-Bassi, I, 2012, 332 e ss.).
Anche altra giurisprudenza ha comunque recentemente ribadito la necessità di una trattazione congiunta (disponendo la riunione), al dichiarato fine di decidere prima la domanda di concordato (cfr. Trib. Novara, cit.) anche sulla scorta del materiale istruttorio proveniente dal creditore istante.
La riunione appare, del resto, coerente con la ratio sottesa all'art. 162 l. fall. e consente l'emanazione di un unico provvedimento, adottato sulla scorta delle risultanze dell'uno e dell'altro procedimento. Ad evitare l'aggravio della procedura contribuisce la possibilità, affermata in più occasioni dalla giurisprudenza, che il debitore sia sentito una sola volta.
Sicché, a parere di chi scrive, la decisione in commento non risulta convincente e adeguatamente motivata. Peraltro, sul piano sostanziale, il Tribunale di Torre Annunziata afferma in modo piuttosto apodittico la prevalenza degli interessi pubblicistici della procedura fallimentare su quelli privatistici propri della procedura concordataria. Nell'operare tale bilanciamento, il Tribunale non riserva alcuna rilevanza al favor concordati emergente dalla legge fallimentare ed agli interessi, essi pure a rilevanza generale, sottesi all'istituto (conservazione dei complessi produttivi e contenimento dei tempi e dei costi di giustizia). La scelta del Tribunale campano finisce anche con il sottovalutare l'interesse dei creditori a valutare la convenienza della proposta concordataria in alternativa al fallimento.
La seconda questione segnalata concerne la legittimità della nomina di un curatore collegiale, seppure solo in caso di procedure complesse. Una tale possibilità è stata sostenuta, anche prima della recente riforma, da alcuni Tribunali sulla base dell'assunto della inesistenza di un principio di necessaria unipersonalità dell'organo e in ragione della mancata individuazione di norme che vietino espressamente o implicitamente tale opzione (cfr. tra gli altri Trib. Ivrea, 30 maggio 2006, in Fall., 2007, 71 e ss., con nota critica di Vacchiano; Trib. Como, 3 febbraio 1994, in Foro pad., 1996, 349).
Peraltro, in tema di nomina del curatore, l'intervento del legislatore della riforma è stato nel senso dell'ampliamento dei possibili destinatari dell'incarico, anche se tale intervento estensivo non è giunto fino all'espresso riconoscimento della possibilità di nomina di un organo pluripersonale.
Resta quindi da verificare se il silenzio normativo sia interpretabile secondo il principio ubi lex noluit tacuit e/o possa comunque non precludere l'adozione di una siffatta decisione, anche in forza di estensione analogica delle previsioni contenute in procedure diverse da quella fallimentare (come sostenuto dal Tribunale campano che ha adottato il provvedimento in commento).
Invero, la circostanza che in altre procedure sia ammessa la nomina di una pluralità di commissari deve ritenersi nota al legislatore della recente riforma, sicché la mancata riproduzione di tale possibilità potrebbe considerarsi indicativa della diversità della soluzione perseguita. Del resto, tanto nella procedura di amministrazione straordinaria che in quella di liquidazione coatta amministrativa emergono interessi ed esigenze diverse dalla procedura fallimentare.
In merito alla possibilità di applicazione analogica al curatore fallimentare di regole aliunde dettate sembra opportuno precisare che la qualificazione del silenzio in termini di lacuna debba essere operata all'esito di un'indagine volta a stabilire se le disposizioni espressamente dedicate alla curatela fallimentare siano o meno idonee ad apprestare rimedio alle esigenze di rapidità, efficienza e pluralità di competenze sottese a procedure particolarmente complesse. La qualificazione del silenzio in termini di lacuna presuppone l'assenza di una norma chiamata a risolvere uno specifico problema concreto, il quale nello specifico caso non pare poter essere individuato nella mera mancanza di una previsione circa la nomina di un curatore pluripersonale.
In tale prospettiva, rileva la circostanza che la legge fallimentare preveda la possibilità di affidare l'incarico a società tra professionisti e studi associati (eventualmente interdisciplinari) e quindi consenta il “reclutamento” di una pluralità di professionalità e di professionisti. Il ricorso a tali opzioni soddisferebbe quindi l'esigenza che la procedura sia “gestita” da più soggetti. La complessità della procedura potrebbe del resto essere affrontata tramite il ricorso alla delega di funzioni espressamente prevista dall'art. 32 l. fall.. La legge fallimentare sembra, quindi, offrire strumenti specifici volti alla soluzione dei problemi sottesi a procedure complesse e tale circostanza potrebbe ostacolare la qualificazione del silenzio normativo, in tema di curatore pluripersonale, in termini di lacuna ed il conseguente ricorso all'analogia.
Peraltro, il curatore collegiale potrebbe non garantire un risultato di rapidità ed efficienza della procedura, in quanto onerato da procedure decisionali necessariamente meno rapide rispetto al corrispondente organo unipersonale. La struttura collegiale impone cautele volte a scongiurare una responsabilità oggettiva, o per fatto altrui (ai sensi dell'art. 38 l. fall.), in capo ai singoli componenti. La procedura decisionale dovrebbe, infatti, assicurare trasparenza e certezza, nonché consentire la formalizzazione del dissenso e dell'assenza (mancato concorso alla decisione). Occorrerebbe, inoltre, integrare la regola che impone al curatore di annotare su un registro, giorno per giorno, le operazioni relative alla sua amministrazione (art. 38 l. fall.). La rappresentanza congiunta affidata a due su tre dei componenti potrebbe, infine, complicare i rapporti con i terzi e con gli altri organi della procedura. Tuttavia è anche vero che si tratta di aspetti che non impediscono la nomina collegiale, come già detto, nelle procedure di A.S. e di L.C.A.
In ultima analisi, anche nel diritto fallimentare riformato potrebbero considerarsi ancora valide le considerazioni di quella parte della dottrina (Ferrara-Borgioli, Il fallimento, Milano, 1995, 292), la quale rilevava, già prima della riforma, come l'unicità del curatore rispondesse all'esigenza di garantire unitarietà di indirizzo all'amministrazione fallimentare. Tale unitarietà di indirizzo unitamente alla prescrizione di esercizio personale delle funzioni dell'ufficio (art. 32. l. fall.) trovano conferma nella disciplina attuale, ed in particolare nella prescrizione (art. 28 l. fall.) che impone allo studio professionale ed alle società tra professionisti, nominati curatori, di designare la persona fisica responsabile della procedura.

Conclusioni

La decisione in commento, nella prima parte, appare in frontale contrasto con la giurisprudenza e la dottrina che si sono occupate della medesima questione. Infatti la contestuale pendenza di un'istanza di fallimento e di una domanda di ammissione al concordato preventivo richiede una trattazione congiunta delle richieste e/o comunque una pronuncia sul concordato cronologicamente precedente a quella sul fallimento.
Meno sicura la soluzione della seconda questione. Il silenzio del legislatore in materia di nomina di un curatore collegiale potrebbe anche intendersi espressivo della volontà di negare tale possibilità e tale silenzio potrebbe considerarsi non superabile tramite il ricorso all'analogia.

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