Profili problematici dei crediti tributari (erariali) nel fallimento

Luigi Amerigo Bottai
30 Aprile 2015

L'Autore propone uno “stato dell'arte” sul tema dell'insinuazione al passivo e dell'accertamento dei crediti tributari nel fallimento. Con un continuo riferimento alle recenti pronunce della Corte di legittimità vengono esaminati i profili che negli ultimi anni sono stati oggetto di dibattito quali la legittimazione nonché gli atti e titoli necessari all'insinuazioni, le eccezioni che il curatore può formulare, le questioni in merito al rango privilegiato di tali crediti, degli aggi e dei compensi di riscossione e i termini massimi per l'insinuazione.
Premessa

Il tema dell'insinuazione e dell'accertamento dei crediti tributari nel fallimento ha avuto una trattazione piuttosto tralatizia fino a pochi anni orsono, allorché – dapprima per la riforma fallimentare del 2006 (segnatamente della fase di verifica del passivo) e poi in occasione della revisione del ruolo, con la c.d. concentrazione della riscossione nell'accertamento (cfr.

art. 29 D.L. n. 78/2010

, applicabile agli atti emessi dal 1° ottobre 2011 per imposte sui redditi, IVA e IRAP) - ha iniziato a suscitare nuovo interesse in dottrina e giurisprudenza. In effetti la

bulimia legislativa, particolarmente accentuata nel settore fiscale, ha creato un reticolo normativo complesso da ricostruire e coordinare a fini applicativi.

A seguito di una serie di discordanti pronunce dei giudici di legittimità degli ultimi anni, che vanno però attenuandosi in direzione di un'auspicata univocità interpretativa, sembra propizio il momento per riassumere lo “stato dell'arte” nella materia de qua.

I profili che meritano maggiore attenzione concernono:

  • la legittimazione all'insinuazione (Agenzia delle Entrate e/o Agente-concessionario della riscossione),

  • gli atti e i titoli necessari (ruolo, cartelle esattoriali, avvisi di accertamento, dichiarazioni dei redditi, etc.),

  • le eccezioni formulabili dal curatore,

  • gli effetti del rango privilegiato assunto da pressoché tutti i crediti erariali

    ex art. 23 D.L. n. 98/2011

    ,

  • la questione degli aggi o compensi di riscossione,

  • i termini massimi per l'insinuazione al passivo.

Di tali aspetti si occupa il presente contributo, sulla scorta delle più recenti decisioni della Corte di Cassazione, le quali – pur a fronte della argomentata critica dottrinaria - consentono di pervenire ad un approccio assai favorevole all'Amministrazione finanziaria, fors'anche per un implicito contributo al recupero della c.d. evasione necessitata (ossia per motivi di autofinanziamento delle imprese in crisi), responsabilizzando al contempo i curatori fallimentari e i debitori falliti nelle scelte impugnatorie delle pretese erariali.

L'insinuazione al passivo dei tributi erariali

In ordine ai primi due profili sopra enunciati, soltanto per rendere l'idea della congerie di disposizioni legislative (tralasciando quelle regolamentari e le circolari amministrative) interessate dalle varie fattispecie giunte al vaglio del Supremo Collegio si possono menzionare principalmente, oltre agli

artt. 52

e

93 ss. della legge fallimentare

:

  • gli

    artt. 1,

    10

    ss.,

    25,

    26

    e

    45 del

    DPR 29.9.1973, n. 602

    , che definiscono i modi e i termini di riscossione delle imposte (mediante ritenuta diretta, versamenti diretti e tramite iscrizione nei ruoli con riscossione coattiva entro termini decadenziali),

  • gli

    artt. 87 e 88

    del medesimo DPR 602/73

    , che disciplinano l'insinuazione al passivo dei crediti tributari nelle procedure concorsuali delle imprese debitrici,

  • gli

    artt. 36-

    bis

    e ss. del DPR 29.9.1973, n. 600

    , insieme agli

    artt. 54-

    bis

    e

    60 del DPR n. 633/72

    per l'

    iva

    , che regolano le attività di liquidazione, verifica e accertamento delle imposte;

  • gli

    artt. 2

    e

    19 ss. del

    D. Lgs. 31.12.1992, n. 546

    , che stabiliscono l'ambito della giurisdizione tributaria (esclusiva) e gli atti impugnabili nel processo tributario,

  • il

    D. Lgs. 26.2.1999, n. 46

    e s.m.i., che riordina la disciplina della riscossione mediante ruolo,

  • l'

    art. 29 del D.L. 31.5.2010, n. 78

    (conv. in

    L. 30.7.2010, n. 122

    ), con il quale è stato nuovamente riformato il sistema di riscossione mediante sostituzione dell'iscrizione a ruolo con gli avvisi di accertamento – esecutivi dopo 60 giorni - e affidamento del credito tributario agli agenti della riscossione anche ai fini dell'esecuzione forzata.

Il contesto disciplinare, come si vede, è frammentato e frutto di stratificazioni normative (e di collisione tra principi settoriali) che hanno determinato orientamenti divergenti, anche a causa della non agevole combinazione tra disposizioni tributarie e fallimentari, oltre che della sovente diversa estrazione dei giudici delle Sezioni della Cassazione competenti in materia (la 1^ Civile e la 5^ Tributaria). Di qui l'inevitabile contrasto giurisprudenziale sull'interpretazione delle norme, che giova brevemente ripercorrere, per dare conto del nuovo indirizzo intrapreso dalla Corte regolatrice con evidente funzione nomofilattica (

la funzione nomofilattica è propria della Corte di cassazione (v.

art. 65 Ord. Giud

.), “cui il legislatore sembra aver voluto negli ultimi tempi dare maggior rilievo, anche nell'intento di recuperare, sul piano della stabilità della giurisprudenza, quanto la certezza del diritto ha perso in termini di sistematicità e chiarezza della normativa”, così R. Rordorf,

Giudizio di cassazione. Nomofilachia e motivazione

, in www.treccani.it

).

Legittimazione e titoli

La questione su cui era aperto il confronto, poi composto dalle Sezioni Unite nel 2012 e dalle successive decisioni, atteneva ai modi e alle forme delle attività di riscossione coattiva in sede concorsuale dei crediti erariali di natura tributaria.

In particolare, si poneva il problema a) se l'Amministrazione finanziaria avesse o meno legittimazione diretta a far valere nell'ambito della procedura fallimentare il credito di cui assume essere titolare; b) se fosse o meno necessario che la pretesa creditoria azionata direttamente dall'Amministrazione in sede fallimentare dovesse essere preceduta dalla relativa iscrizione a ruolo.

1.

La legittimazione a presentare l'insinuazione al passivo da parte dell'Agenzia delle Entrate si profilerebbe problematica, secondo un'opinione (

L. Del Federico, Innovazioni giurisprudenziali sui crediti tributari nel fallimento, Fall., 1/2013, 45 ss., § 2.; nonché M. Montanari,

Il nuovo verbo delle sezioni unite in materia di titolo e legittimazione ad agire per l'ammissione al passivo dei crediti tributari

, Riv. giur. trib., 7/2012, 557 ss. In giur., cfr.

Cass. civ., 1^ Sez., 18.12.2010

,

n. 23338

), in ragione del fatto che l'

art. 87, comma 2, del DPR n. 602/73

presuppone la preventiva iscrizione a ruolo delle somme richieste, quale strumento per la riscossione coattiva, e affida l'attività necessaria al fine indicato al concessionario del servizio: “Se il debitore (…) è dichiarato fallito, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell'Agenzia delle Entrate l'ammissione al passivo della procedura”.

Sussisterebbe dunque un riparto di competenze fra Agenzia delle Entrate e Agente della riscossione, che non sarebbe di natura meramente processuale (nel qual caso la legittimazione sarebbe pacificamente concorrente, come avviene per la presentazione dell'istanza di fallimento: art. 87, comma 1;

Cass. n. 23338/2010

), ma di amministrazione attiva – la gestione della riscossione ex

DPR n. 602/73

-, in cui i poteri rappresentativi del concessionario/Agente della riscossione ineriscono appunto alla sfera sostanziale delle diverse potestà amministrative stabilite dalla legge. Di conseguenza, non residuerebbe spazio per una legittimazione concorrente dell'Agenzia delle Entrate, di là dalle ipotesi nelle quali un ruolo non sia ancora stato formato (e per taluni neppure in siffatte eventualità, stante la responsabilità da ritardo dell'Amministrazione).

Cass. 27.6.2011, ord. n. 14116

– che, sollevando la questione di massima importanza circa i modi e le forme dell'insinuazione al passivo dei crediti tributari, ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite (v. poi la sent. n. 4126/2012) -, opina persino che la domanda di ammissione del credito proposta non dal concessionario, ma dall'Agenzia delle Entrate non sia conforme alla rigida tipicità degli atti e delle forme del procedimento di riscossione coattiva del credito tributario.

Anche la formulazione dell'

art. 182-ter

l. fall

. deporrebbe per la legittimazione esclusiva del concessionario della riscossione, in quanto soggetto votante nel concordato (

Rocco, Le domande di insinuazione al passivo ultratardive: titoli, legittimazione e scusabilità del ritardo, Riv. giur. trib., 2014, 53

).

Il potere di agire in capo all'ente impositore, già piuttosto inequivoco in virtù dell'inciso nell'art. 87 “per conto dell'Agenzia delle Entrate”, quale titolare del credito, è stato tuttavia ribadito dalla Cassazione nella sua più alta composizione con la sentenza 15.3.2012, n. 4126, richiamando gli

artt. 52

e

93

l. fall

. e statuendo, al contrario delle opinioni sopra riportate, che il

DPR n. 602/73

conferisce al concessionario la legittimazione per la proposizione della domanda di ammissione al passivo di un credito dell'Amministrazione finanziaria in base ad una norma (l'art. 87 cit.) che riveste una “valenza esclusivamente processuale” (v. già

Cass. n. 24963/2010

e

n. 23338/2010

), sia perché il legislatore non ha dettato alcuna disciplina speciale derogatoria rispetto alla normativa vigente in materia fallimentare, sia in quanto un'interpretazione di segno opposto si porrebbe in contrasto con gli

artt. 3

e

24 Cost.

, sotto il duplice aspetto delle irragionevoli limitazioni al diritto di azione del creditore e del trattamento deteriore rispetto agli altri creditori che l'Amministrazione finanziaria, senza alcuna valida ragione, finirebbe per subire.

2.

Collegato all'aspetto soggettivo è il problema centrale affrontato dalle Sezioni Unite e dalle successive decisioni della 1^ e della 6^ Sezione della stessa Corte: occorre stabilire se, nel quadro normativo vigente al momento della presentazione dell'istanza di ammissione, questa dovesse essere o meno preceduta dalla iscrizione a ruolo dei crediti erariali azionati e dalla notifica della cartella di pagamento.

Fermo restando che il credito fiscale insinuabile è quello il cui presupposto impositivo si è verificato anteriormente all'apertura della procedura, indipendentemente dalla circostanza che l'atto di imposizione sia stato notificato dopo – l'obbligazione tributaria nasce con l'inadempimento al precetto legislativo e non al momento dell'accertamento (che riveste dunque natura dichiarativa) -, l'orientamento precedente al 2012 pareva ritenere necessario ma non sufficiente il semplice ruolo, occorrendo anche la previa notifica della cartella esattoriale alla curatela, che poteva contestare l'an o il quantum della pretesa erariale, in difetto di detta notifica, determinandone finanche l'esclusione dallo stato passivo (v.

Cass. 16.6.2011, n. 13242

, e 27.6.2011

, ord.

n. 14116

, cit., per menzionare solo le più recenti della 1^ Sezione,

v. G. La Croce, La prova del credito tributario erariale insinuato dall'agente della riscossione, Fall., 8-9/2014, 882 ss.

): ciò rappresenterebbe un bilanciamento dell'innegabile potere autoritativo di cui gode il fisco, il quale predispone unilateralmente gli atti impositivi e grava il contribuente dell'onere di impugnarli, a pena della loro definitività, avanti alle commissioni tributarie (considerata l'insindacabilità del merito tributario da parte del giudice fallimentare) (

A.

Guiotto, L'insinuazione al passivo dei crediti tributari, Fall., 12/2011, 1416

).

In realtà, acquisito che la presentazione della dichiarazione fiscale ricognitiva del debitore, non rettificata dall'Amministrazione finanziaria, costituisce titolo per chiedere e ottenere l'ammissione al passivo fallimentare dell'Agenzia delle Entrate (

Cass. S.U. n. 4126/12

, cit.;

Cass. 16 giugno 2011, n. 13242

, in tema di dichiarazione IVA), vi è la necessità che il creditore Erario, al pari di tutti gli altri creditori, dimostri il proprio diritto con atti idonei da allegare alla domanda

ex art. 93

l. fall

. (

A. Carinci, L'ammissione al passivo dei crediti tributari, in Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, a cura di F. Paparella, Milano, 2013, 552

).

Quali possano considerarsi atti idonei, opponibili alla massa, oltre all'iscrizione nel ruolo della riscossione di cui all'

art. 87 DPR 602/73

– con il corollario dell'art. 88 (“Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia presentata in via tardiva a norma dell'

art. 101

l. fall

.”) – è presto detto: dall'auto-dichiarazione appena ricordata [es. la dichiarazione IVA

ex art. 60 DPR n. 633/72

(v.

Cass. n. 4.3.2009, n. 5165

; 20.7.2007, n. 16120; 10.2.2006, n. 2994)] alle sentenze delle CTP e CTR, agli avvisi di accertamento ovvero di pagamento (limitatamente al credito senza sanzioni e interessi).

E' vero che l'

art. 93

l. fall

. non richiede un titolo sacramentale per l'ammissione al passivo (

Cass. S.U. n. 4126/12

), tuttavia il 6° comma dello stesso onera il creditore di allegare i documenti dimostrativi del diritto di credito e siccome questo deve risultare opponibile alla massa (a mezzo di data certa), ecco che un documento avente tale efficacia probatoria dev'essere prodotto.

Il ruolo rientra tra questi atti?

Esso, com'è noto, è un semplice elenco di partite creditorie contenente l'identificazione del debitore (estratto da un elenco con più nominativi), delle ragioni di credito, del periodo di imposta, delle somme versate e di quelle dovute, che viene formato e trasmesso dall'ente impositore

(artt. 10-12 DPR n. 602/73

) al soggetto incaricato della riscossione, il quale riporta quelle medesime partite sulla cartella di pagamento da notificare al debitore.

Dal momento che, come si è visto, la legittimazione dell'Agente della riscossione ai fini dell'insinuazione è solo eventuale o concorrente con quella dell'Amministrazione, parimenti eventuale e non necessario va concepito l'adempimento della formazione del ruolo (

A. Carinci, op. cit., 553

).

Ma quando ad agire è il concessionario l'emissione e la trasmissione del ruolo da parte dell'ente – si badi, non anche la notifica al contribuente:

Cass. 9.12.2014, n. 25863

-, seppur di tipo straordinario e/o provvisorio

(artt. 11-15-

bis

DPR 602/73

), è stabilita dalla legge proprio per l'affidamento della riscossione e per l'insinuazione al passivo (

Cass. S.U. n. 4126/12

). L'

art. 33 del D.lgs. 13.4.1999, n. 112

(di riordino del servizio nazionale della riscossione), statuisce che “Relativamente ai debitori sottoposti alle procedure concorsuali di cui al

R.D. 16 marzo 1942, n. 267

(…), l'ente creditore iscrive a ruolo il credito ed il concessionario provvede all'insinuazione del credito in tali procedure”.

Nei casi in cui il ruolo assolve solo una funzione di atto di riscossione, agli effetti per così dire di titolo esecutivo (non indispensabile per l'insinuazione), non occorre quindi la previa notifica della cartella di pagamento. Come avviene per la liquidazione formale a seguito di constatazione dell'omesso versamento di imposte comunque dichiarate o per gli avvisi di accertamento, con esclusione di sanzioni e interessi (per i quali accessori si esige sia l'iscrizione a ruolo sia la notifica della cartella anche per l'ammissione al passivo) ovvero in presenza di avvisi di accertamento oppure di sentenze tributarie.

Quando il ruolo assume anche la natura di atto impositivoe.g. all'esito dei procedimenti di liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni

(artt. 36-bis e ter DPR n. 600/73

e 54-bis

DPR n. 633/72

) – sarà obbligatorio per l'Agente della riscossione procedere alla notifica del ruolo al contribuente, la quale ai sensi dell'

art. 21 D. lgs. n. 546/92

si compie mediante la notifica della cartella di pagamento (

A. Carinci, ibidem, 556

).

Per converso, qualora il fallimento venga dichiarato prima della formazione del ruolo, sarà l'Amministrazione procedente ad instare per l'insinuazione al passivo, avvalendosi della sola dichiarazione tributaria presentata dall'impresa poi fallita.

A riprova di quanto affermato, si può constatare come in mancanza del ruolo il debitore o la curatela ben potranno contestare le pretese erariali e poiché il giudice delegato del fallimento non ha modo di verificare la fondatezza delle censure, essendo le relative questioni rimesse al giudice tributario, l'esito della domanda di ammissione dovrà essere necessariamente sfavorevole per il creditore, attesa l'impossibilità, per il giudice delegato, di formulare giudizio di merito al riguardo (così

Cass. S.U. n. 4126/12

, cit.).

Il Supremo Collegio conclude, quindi, chiosando “che il ruolo rafforza la posizione del creditore che, ove ritenga preferibile depositare istanza di ammissione al passivo senza la preventiva formazione del ruolo, assume il rischio dell'iniziativa adottata e, nel caso di contestazione da parte del debitore, subisce le conseguenze della sua inerzia” (

F. Paparella, L'ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali a seguito della soppressione del ruolo, Dir. e prat.

trib., 2011, 1206

).

Laddove, invece, il ruolo sia stato emesso e ciononostante il curatore o il debitore sollevino contestazioni su an o quantum della pretesa tributaria, il disposto dell'art. 88 sopra riprodotto ne impone l'ammissione al passivo con riserva dell'esito del giudizio tributario - aggiungendo così un'ipotesi a quelle già contemplate dall'

art. 96

l. fall

. -, posto che le controversie in ordine all'esistenza e alla consistenza del tributo non possono essere demandate agli organi fallimentari, ma devono essere rimesse all'esame del giudice tributario (

ex art. 2 D. lgs. n. 546/92

).

La ratio di tale principio è fondata sulla natura del ruolo, il quale – come anticipato - costituisce titolo esecutivo formato in via amministrativa (

art. 45 DPR n. 602/73

), che viene ritenuto ex lege sufficiente per l'ammissione con riserva dei crediti in esso indicati nel fallimento del debitore; circostanza che impone, appunto, una verifica giudiziaria (nella sede tributaria propria) in caso di contestazioni sollevate dal contribuente o dalla curatela (v.

Cass. 14.3.2013, n. 6520

;

Cass. 24.5.2012, n. 8223 e 31.5.2011

,

n. 12019

).

3.

Dopo l'arresto della più volte menzionata

Cass. S.U. n. 4126/12

si registrano ulteriori interventi della Suprema Corte tendenti a precisare o ad affinare i principi enunciati nella predetta pronuncia. Per limitarsi alle più recenti, giova partire da

Cass., 1^ Sez., 17.3.2014, n. 6126

(resa in fattispecie di rigetto dell'opposizione a stato passivo di un fallimento, proposta da Equitalia Sud, sul rilievo che il ruolo su cui si basavano i crediti tributari non era stato notificato al curatore, il quale non aveva potuto contestare la pretesa davanti al giudice tributario), in cui si ribadisce che gli

artt. 87

e

88 DPR n. 602/73

non fanno alcun riferimento alla preventiva notifica del ruolo o della cartella: “Nel nuovo contesto normativo questa Corte ha superato quel precedente prima con la sentenza n. 5063 del 2008, poi con l'ordinanza n. 12019 del 2011 e infine con le sentenze nn. 6520 e 6646 del 2013, sempre affermando la non necessità della previa notifica del ruolo ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari basati su di esso, ammissione da disporsi con riserva (da sciogliere poi ai sensi del

DPR n. 602 del 1973, art. 88,

comma 2, allorché sia stata definita la sorte dell'impugnazione esperibile davanti al giudice tributario) in presenza di contestazioni da parte del curatore”.

Cass., Sez. 6^-1, 9.12.2014, n. 25863

, invece, nel richiamare i precedenti di

Cass. n. 5063/08

e

Cass. ord. n. 12019/11

- per i quali i crediti iscritti a ruolo ed azionati dalle concessionarie per la riscossione seguono, nel fallimento del debitore, l'iter procedurale prescritto per gli altri crediti concorsuali dall'

art. 92 e ss.

l. fall

., legittimandosi la domanda di ammissione al passivo, se del caso con riserva (ove vi siano contestazioni), sulla base del solo ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale al curatore -, riafferma il principio secondo cui l'organo del fallimento è pienamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda di ammissione e che, ai sensi del

D. lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ha da quel momento la possibilità di opporsi a detta pretesa impugnando il ruolo dinanzi alle competenti Commissioni Tributarie, senza alcuna necessità che gli venga previamente intimato il pagamento

.

Il dies a quo per l'impugnazione dovrebbe tuttavia rimanere il decreto di esecutività dello stato passivo (

art. 96

l. fall

.). Sul punto l'ordinanza interlocutoria di

Cass. 11.7.2014, n. 16055

ha rimesso alle Sezioni Unite la soluzione della contrastata questione “dell'autonoma impugnabilità dell'estratto di ruolo tributario che sia pervenuto a conoscenza del contribuente tramite qualsivoglia mezzo informale”.

Ma i curatori, d'ora innanzi, faranno bene ad affrettarsi ad esaminare le domande di ammissione di Equitalia o dell'Agenzia delle Entrate (divenute ormai celeri nei depositi e invii telematici) onde avvisare il fallito e verificare se sussistano i presupposti per impugnare i ruoli [v., però,

Cass. 15.3.2013, n. 6610 e 20.3.2013

,

n. 6906

(e numerose altre), per le quali l'estratto di ruolo non sarebbe impugnabile perché ritenuto "atto interno", come tale autonomamente impugnabile solo allorquando sia stato notificato autonomamente rispetto alla cartella (assurgendo così alla funzione di atto impositivo), mentre in via di principio esso deve essere impugnato unitamente all'atto impositivo nel quale viene trasfuso ed a mezzo del quale viene notificato. Ciò in quanto "mancherebbe un interesse concreto ed attuale

ex art. 100 c.p.c.

, ad impugnare una imposizione che mai è venuta ad esistenza" atteso "che il processo tributario ha semplice struttura oppositiva di manifestazioni di volontà fiscali "esternate" al contribuente, senza cioè che possa farsi luogo a preventive azioni di accertamento negativo del tributo"].

Infine,

Cass. 5.3.2015, n. 4483

, ribadisce che l'ammissione al passivo può aver luogo sulla base del semplice ruolo, ai sensi del

DPR n. 602 del 1973, art. 87,

comma 2, (nel testo introdotto dal

D. lgs. 26 febbraio 1999, n. 46

), ferma restando, in presenza di contestazioni, la necessità dell'ammissione con riserva, ai sensi dell'art. 88 del DPR n. 602 cit., da sciogliersi soltanto a seguito della definizione dell'impugnazione proponibile dinanzi al giudice tributario (restando irrilevante la nullità della cartella esattoriale per difetto di un requisito formale o per l'avvenuta notificazione dell'atto in copia non autentica).

Tra i giudici di merito si segnala la posizione assunta al riguardo dal Tribunale di Roma, in un plenum della Sezione fallimentare del 17 ottobre 2014 all'uopo dedicato (prot. 1051/14, il quale, condividendo i più recenti decisa della Corte di legittimità (cita le sentt. n. 6126/14, 6646/13, 6520/13, 12019/11), ritiene sufficiente l'estratto di ruolo a fondare l'ammissione al passivo “anche quando il credito abbia natura previdenziale”. Al pari di

Cass. n. 25863/14

, cit., rileva come il curatore sia reso edotto della pretesa erariale con la produzione del solo ruolo insieme alla domanda - considerata quale comunicazione formale, perché effettuata via pec

- e quindi da tale momento possa impugnare autonomamente l'estratto di ruolo avanti il giudice tributario

ex art. 19 D. lgs. n. 546/92

(che conterrebbe un'elencazione non tassativa).

I nuovi avvisi di accertamento “esecutivi” di cui all'art. 29 D.L. n. 78/2010 e il termine massimo per l'insinuazione tardiva dei crediti fiscali

Dal 1° ottobre 2011 gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate (per i crediti maturati dal periodo d'imposta 2007 relativamente a IRES, IRPEF, IRAP, IVA e connesse sanzioni) sono diventati “esecutivi”, decorsi 60 giorni dalla notifica, e quindi tendono a sostituire la cartella di pagamento (

fra gli altri, AA.VV., La concentrazione della riscossione nell'accertamento, a cura di C. Glendi e V. Uckmar, Padova, 2011; AA.VV., La riscossione dei tributi, a cura di M. Basilavecchia-S. Cannizzaro-A. Carinci, Milano, 2011; F. Paparella, L'ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali a seguito della soppressione del ruolo, Dir. e prat. trib., 2011, cit.

).

Anche per i crediti contributivi vantati dall'INPS l'

art. 30 del medesimo D.L. n. 78/2010

prevede la riscossione coattiva mediante la notifica (anche via pec)

di un avviso di addebito, che sostituisce il ruolo e la cartella di pagamento e viene consegnato agli Agenti della riscossione con valore di titolo esecutivo anche per aggi e spese

ex art. 17 D.

L

gs. n. 112/99

.

Lo scopo dichiarato è di rendere più efficiente il sistema di recupero coattivo delle imposte, le cui statistiche ufficiali fino al 2011 ponevano il nostro paese agli ultimi posti in Europa con recuperi effettivi nell'ordine di percentuali minime (dati UIF e Istat

); a tal fine occorreva inevitabilmente “tagliare” le lungaggini tra emissione del ruolo, trasmissione al concessionario e notifica della cartella esattoriale, che creavano una notevole dispersione di risorse e incassi.

Sicché ora sono state introdotte nuove modalità di concentrazione della riscossione nell'accertamento, con le quali viene superato il meccanismo del ruolo, rendendo esecutivo l'atto di accertamento e anticipando la riscossione alla fase dell'accertamento (art. 29, lett. a-b). L'atto di accertamento viene, infatti, munito di formula esecutiva e di intimazione di pagamento entro i termini per la proposizione del ricorso alla Commissione tributaria; in mancanza di adempimento o di opposizione (con contestuale versamento parziale, a titolo provvisorio, dell'imposta accertata

ex

art. 15 DPR 602/73

) il recupero del credito viene affidato all'Agente della riscossione, il quale, non dovendo più emettere la cartella di pagamento, procederà ad espropriazione forzata con i poteri, i termini, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo (art. 29, lett. e).

Ciò all'evidenza aumenta i poteri coercitivi per esigenze di finanza pubblica in pregiudizio della stabilità precedentemente connaturata all'atto accertativo, comportando di conseguenza una più complessa composizione degli interessi in gioco nelle procedure concorsuali a tutela della parità di trattamento fra creditori (

L. Del Federico, Innovazioni giurisprudenziali sui crediti tributari nel fallimento, cit., § 5

).

Per quanto concerne la legittimazione a presentare la domanda d'insinuazione al passivo nulla muta, atteso che l'art. 29, lett. g), del D.L. n. 78 fa rinvio alla disciplina della riscossione del DPR n. 602, sostituendo gli avvisi di accertamento esecutivi nei riferimenti normativi al ruolo e alla cartella di pagamento: legittimazione dell'Agente della riscossione – per effetto dell'affidamento ad esso della riscossione (con modalità analoghe a quelle per l'affidamento dei ruoli), decorso il termine stabilito per l'affidamento: 30 giorni dalla scadenza dell'avviso o prima in caso di pericolo nel ritardo – insieme a quella concorrente dell'Agenzia delle Entrate, anche in virtù della circostanza che l'unico atto notificato al contribuente è l'avviso di accertamento da quest'ultima emesso. In tale seconda eventualità non sarà ovviamente dovuto l'aggio.

Quanto al titolo, si è visto che sarà necessario e sufficiente detto avviso di accertamento notificato, qualificato espressamente “titolo esecutivo” nelle ipotesi previste dall'art. 29, lett. b), c) ed e) e, come tale, idoneo a fondare la domanda di ammissione al passivo.

Nell'ipotesi in cui l'avviso di accertamento non venga notificato – ciò che costituisce causa di nullità - lo si potrà impugnare innanzi alla Commissione tributaria in uno con l'atto di pignoramento o, dal curatore, con la domanda d'insinuazione al passivo, alla stregua di quanto avviene con i ruoli non notificati.

Si è rilevato che l'Agente della riscossione, in caso di impugnazione dell'avviso, potrà domandare l'insinuazione del credito nei soli limiti della somma intimata, che fino alla definizione del gravame è pari al 30% dell'imposta accertata (

A. Carinci, op. cit., 563. Contra, L. Del Federico, Gli accertamenti esecutivi e le procedure concorsuali, in (a cura di C. Glendi – V. Uckmar) La concentrazione della riscossione nell'accertamento, cit., Padova, 2011, 178

). Ma se il titolo per l'ammissione è l'avviso di accertamento notificato (esecutivo), la spiegata opposizione indurrà il giudice delegato ad ammettere al passivo il credito pieno con riserva dell'esito del giudizio tributario (anche per ragioni di prudenza verso gli altri creditori).

A fronte dell'introduzione del nuovo sistema di accertamento-riscossione e delle contestuali disposizioni agevolative del processo telematico anche nelle procedure concorsuali, l'Erario non ha più alcuna giustificazione per ritardare l'invio delle domande di insinuazione al passivo dei fallimenti. E infatti la giurisprudenza sembra essersi ormai saldamente attestata sul convincimento che l'eventuale inosservanza del termine massimo di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (

art. 101

l. fall

.) costituisca una causa di ritardo riferibile all'organizzazione interna dell'ente creditore e, pertanto, imputabile a quest'ultimo:

Cass. 13.10.2011, n. 21189

,

Cass. 11.10.2011, n. 20910

;

Trib. Roma, 4.11.

2010

.

Proprio siffatte questioni, unitamente all'acquisito rango privilegiato di pressoché tutti i tributi erariali, dimostrano il carico di responsabilità che ormai grava sui curatori fallimentari, i quali devono dedicare massima attenzione alla contestazione degli atti impositivi (con le note difficoltà di raccolta della documentazione presso il fallito), dipendendo da tale scelta la soddisfazione più o meno elevata dei crediti chirografari.

Le eccezioni proponibili dal curatore

Le ipotesi che si presentano alle curatele in sede di verifica dei crediti tributari sono di due tipologie: a) istanze di ammissione, anche se tardive, basate su estratti di ruolo mai notificati prima, né al contribuente né al curatore, e b) istanze fondate su cartelle previamente notificate.

A)

Di fronte a una domanda d'insinuazione al passivo di crediti tributari fondata sul solo estratto di ruolo, il curatore dovrebbe anzitutto astenersi dal proporre l'esclusione del credito erariale sulla base della ricorrente (quanto sbrigativa) motivazione concernente il vizio formale dell'omessa notifica del ruolo o della cartella di pagamento.

Nel caso in cui il curatore intenda contestare il credito erariale per fatti impeditivi di qualunque genere dovrà, quindi, proporre l'ammissione con riserva ex art. 88 DPR 602 ed esplicitare le ragioni che giustificano il ricorso in Commissione tributaria (avente giurisdizione esclusiva) avverso il ruolo comunicato con la domanda

ex

art. 93

l. fall

., giudicato autonomamente impugnabile ai sensi dell'

art. 19 D. lgs. 546/92

dalla illustrata giurisprudenza (si è visto come la più recente posizione della Cassazione consideri sufficiente tale produzione:

Cass. n. 25863/14

,

6126/14

,

6646/13

,

6520/13

,

12019/11

).

Sull'autonoma impugnabilità dell'estratto di ruolo si attende però la decisione delle Sezioni Unite, sollecitata dalla menzionata ordinanza di rimessione di

Cass. 11.7.2014, n. 16055

.

Si ricorda, per inciso, che l'iscrizione a ruolo dei tributi deve avvenire entro i termini previsti dalla legge, il cui superamento implica la decadenza dalla pretesa impositiva (da far valere sempre dinanzi al giudice tributario previa ammissione al passivo con riserva).

Parimenti impugnabili davanti al giudice tributario sono gli atti motivati dell'ente impositore con i quali si comunicano al contribuente una o più pretese tributarie specifiche, al di fuori dell'elencazione di cui all'art. 19 citato.

Circa i crediti da inosservanza degli obblighi previdenziali, invece, l'omessa notifica della cartella esattoriale (altrimenti da impugnare dinanzi al giudice del lavoro) fa sì che qualsiasi eccezione estintiva del credito possa essere proposta anche al giudice fallimentare stante la esclusività della cognizione del tribunale investito della procedura concorsuale.

B)

Il curatore che intenda contestare la cartella esattoriale risultata notificata per ragioni di rito (vizi formali) o di merito (opponendo fatti estintivi o modificativi del credito) ha l'onere di impugnare la cartella dinanzi alla Commissione tributaria nei termini prescritti dalla legge per ciascun tributo (ovvero dinanzi al giudice del lavoro se trattasi contributi previdenziali o al giudice ordinario avverso l'ordinanza-ingiunzione di cui alla

L. n. 689/81

).

L'omessa impugnazione della cartella nei termini stabiliti produce la cristallizzazione delle pretese, una sorta di giudicato (improprio) analogo al decreto ingiuntivo non opposto, che rende incontestabile qualunque voce di credito in essa riportata, seppure la notifica fosse affetta da vizi che la renderebbero nulla.

In tal caso i soli fatti estintivi che la curatela può eccepire attengono alla prescrizione dell'azione esecutiva (in genere 10 anni dalla notifica della cartella: v.

Cass. n. 4838/2014

).

Qualora, però, il concessionario/agente della riscossione agisca in forza di cartella asseritamente notificata ma non prodotta in atti, il curatore deve eccepirne la mancata allegazione tra i documenti al fine di impedire l'ammissione di tutti diritti di credito da essa derivanti: la prova del credito, come si è anticipato, resta valutazione di competenza esclusiva del giudice delegato del fallimento (a differenza di quella su esistenza e consistenza delle pretese e sui vizi formali della cartella, devolute al giudice tributario).

C)

Alla curatela sono comunque opponibili solo gli atti del procedimento tributario formati in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento del contribuente; se formati in epoca successiva, ma sempre con riferimento a presupposti verificatisi anteriormente, devono essere notificati (anche) al curatore (v.

Cass. n. 9434/2014

; mentre

Cass. n. 12789/2014

ha ritenuto l'accertamento notificato alla società fallita dopo il fallimento invalido presupposto per l'emissione della cartella a carico del fallimento medesimo) (

Cass. 31.3.2014, n. 7493

).

D)

Com'è noto,

sul credito tributario (privilegiato) maturano interessi nei limiti del combinato disposto degli

artt. 2749 c.c.

e 54, u.c.,

l. fall

.; di ciò non sempre si tiene conto nella fase di accertamento (come pure in sede di predisposizione delle domande di concordato preventivo).

La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata sul principio per cui "l'accessorietà degli interessi rispetto all'imposta, se può giustificare la collocazione del relativo credito con il medesimo privilegio previsto da quello principale, non è però sufficiente a far ritenere che la prelazione si estenda all'intero importo dovuto, senza limitazioni di carattere temporale o quantitativo, non rinvenendosi nella disciplina dell'imposta o del privilegio norme specifiche che introducano deroghe alla disposizione di carattere generale contenuta nell'

art. 2749 c.c.

" (così

Cass. n. 16084/2012

; in termini anche Cass. n. 610 e 611/2013).

Il curatore dovrà, pertanto, verificare che il privilegio del credito per interessi riferito al mancato pagamento di un tributo privilegiato sia stato computato conformemente al disposto dell'

art. 2749 c.c.

coordinato con l'

art. 54, ultimo comma,

l. fall

. e cioè con l'estensione agli interessi dovuti per l'anno in corso alla data della dichiarazione di fallimento e per quelli dell'anno precedente. Gli interessi successivamente maturati hanno privilegio nei limiti della misura legale fino alla data di deposito del piano di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.

E)

Un cenno conclusivo merita l'eccezione di revocabilità dell'ipoteca fiscale di cui all'

art. 77 del DPR n. 602/73

, ove non consolidata; l'ipoteca fiscale ha la funzione di rafforzamento delle garanzie del credito erariale, in genere subordinato nella graduatoria agli altri privilegi generali sui beni mobili del debitore, rendendolo prevalente rispetto a quelli. Peraltro essa ha una connotazione particolare, dal momento che non è di tipo giudiziale né volontario (ha natura amministrativa) e, dunque, non può essere oggetto di revocatoria – neppure in via breve, in sede di accertamento del passivo - ai sensi dell'

art. 67

l. fall

. (

Cass. 1°.3.2012, n. 3232

;

Cass. 5.3.2012, n. 3397

e

Cass. 18.5.2012, n. 7911

).

La natura chirografaria degli aggi di riscossione

Nonostante gli Agenti della riscossione rivendichino il privilegio in sede fallimentare per il credito relativo alla remunerazione del servizio prestato (aggio), la giurisprudenza si è ormai attestata univocamente sul loro rango chirografario (

P. Vella, La

legge fallimentare. Commentario teorico-pratico

, a cura di M. Ferro, Padova, 2014, sub art. 93, 1210

).

La norma di riferimento è l'

art. 17 del D. lgs. 13.4.1999, n. 112

(successivamente modificato in più occasioni), che riconosce agli Agenti della riscossione il “diritto al rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato, da determinare annualmente, in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, che tenga conto dei carichi annui affidati, dell'andamento delle riscossioni coattive e del processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia Spa. Il rimborso è a carico del debitore:

a) per una quota pari al 51 per cento, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. In tal caso, la restante parte del rimborso è a carico dell'ente creditore;

b) integralmente, in caso contrario” (…).

Orbene, sulla base dell'inequivoca disposizione legislativa e del recente orientamento della Corte di Cassazione, l'aggio (o compenso di riscossione) nelle procedure concorsuali potrà essere riconosciuto in via chirografaria (Cass., 1^ Sez., n. 7868/2014 ;

Cass. n. 11230/2013

e

Cass. 1°.3.2010, n. 4861

), trattandosi di mero corrispettivo per il servizio reso e non esistendo una norma di legge che ne stabilisca la prelazione e tantomeno la collocazione nel medesimo grado di privilegio del tributo da riscuotere.

E ciò solo nell'ipotesi in cui la cartella sia stata notificata prima della dichiarazione di fallimento (

Cass. 15.3.2013, n. 6646

e

6647

).

Qualora detta notifica sia avvenuta dopo il fallimento il rimborso in parola non è affatto dovuto, non potendosi qualificare come debito concorsuale (

Cass. n. 7188/2013

;

Cass. n. 3216/2012

;

Cass. n. 8765/2011

) e men che meno prededucibile.

Il curatore in sede di verifica dei crediti ne deve proporre, quindi, l'esclusione tutte le volte in cui gli estratti di ruolo posti a fondamento della domanda gli siano stati notificati unitamente alla cartella esattoriale dopo la dichiarazione di fallimento. Se, al contrario, sull'estratto di ruolo sia stato stampigliato il numero della cartella esattoriale che si assume notificata e la data di notifica – e la cartella venga effettivamente prodotta, magari su eccezione del curatore - l'aggio spetta allorché la cartella esattoriale risulti notificata prima dell'apertura della procedura concorsuale e l'insinuazione non sia tardiva ai sensi dell'

art. 101

l. fall

., poiché in tale evenienza anche il concessionario deve sopportare le spese conseguenti al ritardo (v.

Cass. n. 5662/1996

; Trib. Milano, 28.9.2006).

Nel nuovo sistema degli avvisi di accertamento esecutivi, introdotto con

D.L. n. 78/2010

cit., il tema degli aggi viene affrontato indirettamente dall'art. 29, lett. f), laddove si afferma soltanto che “all'agente della riscossione spettano l'aggio, interamente a carico del debitore, e il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, previsti dall'

articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112

”. Evidente la voluntas sanzionatoria, che prescinde dallo svolgimento di qualsiasi attività recuperatoria.

Anche nell'attuale regime, dunque, la dichiarazione di fallimento intervenuta prima del decorso dei termini per l'affidamento dell'accertamento all'Agente (30 giorni dalla scadenza del termine per impugnare, salvo pericolo nel ritardo) dovrebbe precludere il riconoscimento del credito a titolo di aggi.

Effetti dell'acquisita prelazione dei crediti tributari ex art. 23 D.L. n. 98/2011

A conclusione di questa rassegna dedicata agli aspetti controversi dell'insinuazione dei crediti tributari nel fallimento non si poteva omettere un pur breve riferimento all'inatteso upgrade operato dall'art. 23, commi da 37 a 40, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (all'interno di un Decreto c.d. omnibus recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla

L. 15 luglio 2011, n. 111

, con cui è stato ampliato e rafforzato il sistema dei privilegi attribuiti ai crediti dello Stato per le imposte dirette (v.

art. 2752 c.c.

), estendendolo anche alle sanzioni irrogate ed eliminando il riferimento temporale ai crediti iscritti nei ruoli resi esecutivi nell'anno in cui il concessionario della riscossione procede o interviene nell'esecuzione e nell'anno precedente (accordando, quindi, il privilegio anche ai crediti relativi agli anni antecedenti).

Ad appena due anni dalla sua entrata in vigore la disposizione de qua è stata però dichiarata costituzionalmente illegittima da

Corte cost. 4.7.2013, n. 170

, nella parte in cui estendeva il nuovo regime dei privilegi erariali anche ai crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge, alterando così “i rapporti tra creditori, già accertati con provvedimento del giudice ormai consolidato dall'intervenuta preclusione processuale e favorendo le pretese economiche dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private”.

Merita sottolineare che a fondare la decisione della Corte, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sulla CEDU), è il rilievo riconosciuto alle seguenti circostanze: il consolidamento delle aspettative dei creditori incise dalla disposizione retroattiva; l'imprevedibilità dell'innovazione legislativa; l'alterazione, a favore dello Stato parte della procedura concorsuale, del rapporto tra creditori concorrenti, determinata dalle norme in discussione; l'assenza di congrui motivi che giustifichino la retroattività della legge. Pertanto, la disciplina impugnata palesa la sua illegittimità sia per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'

art. 3 Cost.

, sia per violazione dell'

art. 117, primo comma, Cost.

, in relazione all'

art. 6 della CEDU

, in considerazione del pregiudizio che essa arreca alla tutela dell'affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti (tale non essendo ritenuto, nella specie, quello economico dello Stato a rimpinguare le finanze pubbliche).

La sentenza del Giudice delle leggi ha tuttavia originato minori difficoltà operative, nei fallimenti in cui lo stato passivo fosse già esecutivo, di quelle occorse al momento dell'entrata in vigore delle norme poi “cassate”, stante l'efficacia esplicitamente retroattiva delle pronunce di accoglimento, che spiegano i loro effetti sui rapporti giuridici ancora pendenti (nel fallimento, ad es., fino all'avvenuto riparto).

Nel 2011 il primo problema fu quello di stabilire se la portata retroattiva del novellato

art. 2752 c.c.

incontrasse un limite nel c.d. giudicato endo-fallimentare e, quindi, se fosse possibile (o meno) riconoscere il rango privilegiato a crediti erariali già ammessi al chirografo in uno stato passivo ormai esecutivo e definitivo (

M. Spadaro, Costituzionalmente illegittima la disciplina retroattiva dei nuovi privilegi erariali, Fall. 2014, 151)

.

Sulla questione tanto la dottrina quanto la giurisprudenza di merito (

M. Ferro, La nuova legislazione nelle procedure concorsuali: norme di settore e agevolazioni alla gestione della crisi, Fall., 2011, 909

) si orientarono, da subito, nel senso di ritenere ammissibile tale riconoscimento e ciò sia in ragione del rimedio espressamente introdotto dal comma 40 dell'art. 23 per contestare le eventuali intervenute variazioni dello stato passivo, sia in considerazione delle pregresse statuizioni della Suprema Corte che, chiamata a pronunziarsi su interventi normativi sostanzialmente analoghi, aveva già ritenuto che il titolare di un credito ammesso al passivo fallimentare al rango chirografario avesse diritto di avvalersi del privilegio istituito successivamente alla definitiva formazione dello stato passivo, fino a quando il riparto non fosse divenuto definitivo (

Cass. n. 3744/04

, Cass. n. 235/80, Cass. n. 157/79).

Circa le modalità mediante le quali riconoscere tale privilegio, si sostenne alternativamente che, essendo il nuovo rango privilegiato imposto dalla legge, il riconoscimento andasse effettuato d'ufficio, anche su semplice richiesta in tal senso da parte dell'Ente creditore o dell'Agente della riscossione; altri invece pretesero che il nuovo rango privilegiato, con conseguente modifica dello stato passivo, seguisse un idoneo provvedimento giudiziale su precisa istanza (

ex art. 101

l. fall

.) del creditore.

Ora i medesimi rimedi, a seconda della tesi ritenuta preferibile, dovrebbero valere nel procedimento inverso di variazione – semplice annotazione nello stato passivo (analogamente a quanto dispone l'

art. 115, 2° comma, 2° periodo,

l. fall

.) ovvero impugnazione del riparto

ex art. 110

l. fall

. -, pur sempre nel rispetto dei due diversi principi contenuti nell'

art. 114

l. fall

.

Conclusioni

A chiusura di queste note sorge spontanea una domanda: per quale ragione altri ordinamenti europei (inglese e francese, tedesco e austriaco) hanno abolito o fortemente ridotto, nel corso del tempo, i privilegi fiscali del creditore Erario, viceversa ancora soggetto a particolare favor nella legge e nella giurisprudenza italiane? E' una questione di efficienza o, più profondamente, culturale?

Come è stato osservato, in presenza di un esteso privilegio del fisco imposto dalla legge, le tasse del fallito vengono pagate sostanzialmente dai creditori più deboli (chirografari) in una misura che non ha alcun rapporto con la loro capacità contributiva. Il privilegio tributario, quindi, non è difendibile sul piano della “giustizia” distributiva, ma è motivato solo da esigenze di cassa (

F. M. Mucciarelli, Quell'ingiusto privilegio del fisco nei fallimenti, www.lavoce.info

).

E una conferma indiretta di tale notazione viene proprio dalla Corte Costituzionale nella sentenza di cui si è detto.

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