Verifica dello stato passivo e principio di non contestazione: una discutibile convivenza

16 Giugno 2015

Il principio di non contestazione, ossia quel principio secondo cui un fatto non contestato dalla controparte deve essere considerato dal giudice come sussistente senza necessità di ulteriori prove, rappresenta uno dei capisaldi dell'attuale processo civile. È corretta l'applicazione di tale principio anche in fase di verifica dello stato passivo? L'assenza di osservazioni da parte del creditore è preclusiva dell'opposizione allo stato passivo? La questione rappresenta un argomento “caldo” della materia; l'Autore, dopo una disamina delle più recenti decisioni giurisprudenziali, propone una sua soluzione al problema.
Il problema

Il principio di non contestazione rappresenta sicuramente uno degli aspetti caratterizzanti l'attuale processo civile. Di creazione giurisprudenziale ed oggi recepito dall'

art. 115 c.p.c.

(così come modificato dalla

legge 18 giugno 2009, n. 69

), esso porta a valorizzare a fini decisori il comportamento tenuto dalle parti nella concreta vicenda processuale, al di là dell'onere probatorio astrattamente configurabile. Può infatti definirsi, in prima approssimazione, come quel principio in forza del quale un fatto non specificamente contestato dalla controparte costituita in giudizio può darsi per “pacifico” e, come tale, il giudice deve considerarlo sussistente senza necessità di ulteriori prove.

Discussa è l'applicabilità del principio di non contestazione nella fase di verifica dello stato passivo fallimentare, governata dagli

art. 93 e ss. l.

f

all

.

Argomenti a favore dell'operatività del principio in commento potrebbero, forse, trarsi dall'

art. 94

l. fall

., secondo cui “la domanda di cui all'art. 93 produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”, nonché dal combinato disposto dell'

art. 95, co

mmi 2 e 3, l. fall

., a tenore dei quali

“2. Il curatore deposita il progetto di stato passivo nella cancelleria del tribunale almeno quindici giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo. I creditori, i titolari di diritti sui beni ed il fallito possono esaminare il progetto e presentare osservazioni scritte e documenti integrativi fino a cinque giorni prima dell'udienza. 3. All'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati. Il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento”.

Va peraltro notato che il comma 2 appena citato è stato così riformulato a seguito del

d

.

l

. 18 ottobre 2012, n. 179

(convertito nella

L. 17 dicembre 2012, n.

221

) e che la nuova disposizione, pur segnando un ritorno al dato testuale antecedente la modifica operata dal

d.l

gs. 169/2007

, non prevede espresse decadenze o sanzioni per il mancato tempestivo esercizio della facoltà di contestazione o produzione integrativa.

Gli indici normativi dianzi ricordati, pertanto, non possono essere sopravvalutati, posto che gli stessi valgono sì a rimarcare come anche nella fase di formazione dello stato passivo davanti al G.D. si applichi la regola della domanda (ne procedat iudex ex officio) e come anche in tale sede si possano prospettare domande ed eccezioni in senso tecnico, ma non sembrano introdurre quel dovere (o meglio onere) di prendere posizione espressa sulle avverse conclusioni che costituisce il presupposto logico-giuridico per l'affermazione del principio di non contestazione (si noti che l'

art. 95, co

mma

2,

l. fall

. continua a prevedere che i creditori ed il fallito “possono” e non “debbono” presentare osservazioni e documenti integrativi).

Inoltre, la operatività di detto principio appare comunque discutibile, considerando che nella fase davanti al G.D. le parti possono stare in giudizio personalmente, non potendo perciò imputarsi ad un soggetto “presente” ma non “costituito”, molto spesso privo di conoscenze tecnico-giuridiche e di ius postulandi, le conseguenze che l'attuale art. 115, comma 1, ultima parte, c.p.c. ricollega alla mancata contestazione. L'

art. 93, co

mma

2,

l

.

fall

. consente che il ricorso contenente la domanda di ammissione allo stato passivo possa essere sottoscritto “dalla parte personalmente” e nessuno dubita che non vi sia un'esigenza di difesa tecnica nel corso dell'udienza di verifica dei crediti condotta dal G.D. (c.d. fase necessaria di verifica), rimanendo demandata all'attività di un difensore tecnico la successiva e del tutto eventuale fasi di impugnazione dei provvedimenti di ammissione o rigetto adottati dal G.D. (c.d. fase eventuale di verifica).

L'orientamento giurisprudenziale

Il tema del rapporto fra assenza di osservazioni da parte del creditore e successiva opposizione allo stato passivo, proposta nei confronti del provvedimento del G.D. che abbia escluso (o accolto in misura minore) la richiesta di ammissione, è stato più volte trattato dalla giurisprudenza.

Una recente sentenza della Cassazione ha affrontato espressamente la questione, ritenendo che la presentazione di osservazioni o di documenti integrativi da parte del creditore – nei confronti del progetto di stato passivo formulato dal curatore – sia una semplice facoltà, il cui mancato esercizio non costituisce accettazione delle conclusioni del curatore, né, tantomeno, rende inammissibile la successiva ed eventuale opposizione allo stato passivo. Si tratta della decisione resa da

Cass. 9 gennaio 2014, n. 321

. Il Tribunale di Piacenza, in sede di opposizione proposta dall'agente riscossore avverso il provvedimento di esclusione adottato dal G.D., aveva ritenuto che la mancata presentazione di osservazioni al progetto da parte del creditore costituisse acquiescenza rispetto alle conclusioni negative del Curatore, determinando l'inammissibilità dell'opposizione ex

artt. 98

e

99

l. fall

. Il S.C. ha invece respinto tale conclusione, rilevando che l'

art. 95, co

mma

2,

l. fall

. prevede una semplice facoltà per il creditore di esaminare il progetto di stato passivo e presentare osservazioni, senza porre a suo carico un onere di replica alle difese e alle eccezioni del curatore entro la prima udienza fissata per l'esame dello stato passivo.

Deve aggiungersi che tale decisione, pur adottata rispetto al previgente testo dell'

art. 95, comma

2,

l. fall

. introdotto dalla c.d. “controriforma” fallimentare del 2007, può trovare ancora spazi applicativi rispetto al dato normativo modificato nel 2012 e sopra richiamato, posto che l'anticipazione del termine per proporre osservazioni (5 giorni prima dell'udienza) continua a non essere accompagnata da sanzioni esplicite.

In questo senso appare ancora attuale la considerazione espressa da

Trib. Milano, 2 agosto 2013

, secondo cui “la mancata formulazione di osservazioni al progetto di stato passivo contro l'esclusione del credito non rende inammissibile l'opposizione allo stato passivo successivamente proposta dall'interessato, perché siffatta inammissibilità non è sancita da alcuna espressa previsione di legge e, comunque, non supererebbe il vaglio di costituzionalità sotto il profilo dell'effettività del diritto di difesa, considerati l'estrema ristrettezza del tempo tra il deposito del progetto ed il termine per la formulazione di osservazioni e la non necessità della difesa tecnica nella fase della verifica dei crediti dinanzi al Giudice Delegato”.

La citata decisione del S.C. del 2014

si rifà ad un proprio precedente, costituito da

Cassazione 10 aprile 2012, n. 5659

, che ancora una volta respinge quell'orientamento che ricollega effetti preclusivi alla mancata presentazione da parte dei creditori di osservazioni al progetto del curatore entro i termini all'uopo previsti. Deve escludersi, secondo il S.C., che nella predetta fattispecie possa trovare applicazione il disposto dell'

art. 329

c.p.c.

: l'acquiescenza, intesa come manifestazione espressa o tacita della volontà della parte soccombente di non volersi avvalere dell'impugnazione non può infatti essere rivolta ad un atto di parte (quale è il progetto depositato dal curatore), né può essere prestata in via preventiva (pena la sua nullità) rispetto ad un provvedimento giudiziale non ancora emesso (in questo senso anche

Cass. n.83/96

). Neppure, secondo la Corte, può condividersi un eventuale utilizzo atecnico del termine acquiescenza, fondato su una lettura alquanto semplicistica delle norme fallimentari (da cui si parte correttamente per evidenziare che il curatore è tenuto a depositare il progetto di stato passivo almeno 15 giorni prima dell'udienza per consentire ai creditori di esercitare compiutamente il diritto di difesa, e che fino all'udienza può modificare le conclusioni formulate, anche aderendo a quelle dei creditori), per giungere con un vero e proprio “salto logico” a ritenere che la mancanza di osservazioni costituisca adesione alle conclusioni del curatore, siccome non contestate, con conseguente venir meno, per difetto di soccombenza, dell'interesse del creditore ad impugnare il provvedimento del G.D. che le abbia fatte proprie.

Qui si apre il passo più interessante (ed ai nostri fini pertinente) della motivazione: “va in proposito, sotto un primo profilo, considerato che il principio di non contestazione, di cui al novellato

art.

115 c

.

p

.

c

, opera soltanto sul piano probatorio, consentendo al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti allegati da una parte che non siano specificamente contrastati dalla controparte costituita. Il principio, però, (a parte le difficoltà connesse alla sua applicazione in un procedimento, quale quello di verifica, in cui il curatore assume la posizione di terzo e nel quale è strutturalmente previsto l'intervento dì tutti i creditori concorrenti) certamente non può estendersi alle questioni giuridiche dedotte dalla parte in via di mera difesa o di eccezione, sulle quali il giudice è tenuto a pronunciare secondo diritto e che dunque, ove infondate, devono essere respinte indipendentemente dal fatto che la controparte le abbia o meno contestate o le abbia, persino, condivise. D'altro canto, non potendo ipotizzarsi una regola che valga nei confronti di una sola delle parti del processo, se davvero nell'ambito del giudizio di verifica il principio dovesse ricevere l'interpretazione prospettata dal Tribunale, il G.D. si vedrebbe obbligato ad ammettere allo stato passivo tutte le domande non contestate dal curatore”.

Va aggiunto che la soluzione del S.C. è condivisa, con diverse motivazioni, anche dalla prevalente giurisprudenza di merito: cfr.

Trib. Palermo, 23 ottobre 2011

, in iusexplorer.it, Trib. Firenze, 29 febbraio 2012, in Riv. Dott. Comm., 2012,

458, Tri

b. Milano 2 agosto 2013

, in ilcaso.it (contrario

Trib. Mantova, 30 marzo 2011

e in dottrina ZANICHELLI, 2008, 257); cfr. altresì

Cass. 4 novembre 2014, n. 23462

, in riforma della decisione del Trib. di Reggio Emilia che aveva ritenuto inammissibile l'opposizione allo stato passivo proposta da un creditore che non aveva avanzato osservazioni al progetto del curatore.

La posizione del curatore

Le medesime difficoltà a configurare l'operatività del principio di non contestazione in sede di verifica dello stato passivo davanti al G.D. valgono, tuttavia, anche se il problema viene osservato dal lato del curatore. Infatti, non può ritenersi che a fronte di una domanda di insinuazione allo stato passivo il comportamento inerte del curatore, omissivo o che si limiti a richiedere il rigetto dell'avversa domanda senza svolgere contestazioni o eccezioni specifiche valga di per sé a condurre all'accoglimento della richiesta del creditore. In primo luogo, a fronte della domanda di insinuazione il curatore è tenuto a predisporre una mera proposta, un progetto di stato passivo. In secondo luogo, per entrambe le parti – creditore istante e curatore – non vale l'obbligo di costituzione a mezzo di un difensore tecnico. Ancora, se pure è vero che spetta al curatore proporre eventuali eccezioni non rilevabili d'ufficio, afferma l'

art. 95, comma 3, l

.

fall

. che “il giudice delegato, anche in assenza delle parti, decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati”.

Trattasi di una disposizione rilevante, poiché evidenzia:

a)

che può parlarsi di mera “assenza” e non di contumacia in una fattispecie priva di obblighi di costituzione e di difesa tecnica;

b)

conseguentemente l'assenza del creditore (o, in ipotesi di scuola, dello stesso curatore) non comporta ipso iure l'accoglimento od il rigetto della domanda, restando integro il dovere decisorio del G.D. rispetto alle domande e conclusioni proposte dalle parti;

c)

inoltre, a differenza di altri giudizi, gli altri creditori e lo stesso fallito ben possono muovere eccezioni rispetto alla domanda di ammissione proposta dal creditore, sì che comunque un contegno di non contestazione del curatore non determina alcuna decadenza o conseguenza automatica, né rende inammissibile la proposizione di eccezioni (ed a maggior ragione di mere difese o richieste di istruzione probatoria, con il limite della compatibilità con la sommarietà della fase avanti al G.D.) da parte

degli altri interessati.

La disciplina che precede ha rilevanti conseguenze, potendo ritenersi che, almeno nella fase di verifica necessaria avanti al G.D., la mancanza di difensore e la sommarietà dell'approfondimento istruttorio trovino un bilanciamento processuale nella concessione eccezionale a soggetti che normalmente sarebbero terzi della facoltà di muovere eccezioni rispetto ad un rapporto giuridico cui sono estranei dal punto di vista puramente sostanziale (si pensi agli altri creditori, il cui rapporto obbligatorio è in nulla collegato rispetto a quello dell'istante cui muovono contestazioni). Si tratta di una facoltà che trae le sue premesse dalla regola della par condicio creditorum e del concorso formale dei creditori nello stato passivo fallimentare, che si spiega solo ritenendo che ciascun creditore sia in realtà portatore non soltanto di un proprio interesse particolare, ma anche di quello, più generale

e di valenza pubblicistica, affinché la formazione dello stato passivo non contenga violazioni della par condicio, né sopravvalutazioni dei crediti che potrebbero, in ipotesi, derivare da contegni negligenti o, peggio, collusivi.

La giurisprudenza è giunta a riconoscere ai creditori la legittimazione attiva a proporre – anche al posto del curatore inerte e quindi in via surrogatoria – l'eccezione di revocabilità, quale tipica eccezione propria impeditiva, e ciò nonostante la corrispondente azione revocatoria sia data unicamente al curatore: “dal momento che il creditore che impugni lo stato passivo fallimentare può esercitare tutte le azioni volte ad escludere o postergare i crediti ammessi, ivi compresa l'azione revocatoria, in quanto portatore non solo del proprio interesse, ma anche di quello degli altri creditori, deve a maggior ragione essergli consentito, in sede di verifica, di contestare, eccependone la revocabilità, il titolo di prelazione di un credito di cui sia domandata l'insinuazione, e il giudice delegato è tenuto, ai sensi dell'

art. 95

l

.

fall

., a decidere su detta eccezione” (così

Cass. 27 febbraio 2013, n. 4959

).

Favorevole alla più generale possibilità del curatore (e degli altri creditori) di svolgere, in via di eccezione anche in assenza della corrispondente azione revocatoria, la contestazione di un credito fondata sulla revocabilità dell'atto che ne costituisce causa, è

Cass. 27 novembre 2013, n. 26504

, con la precisazione che l'eccezione finalizzata a paralizzare la pretesa creditoria è ammissibile anche nel caso in cui sia prescritta la relativa azione.

Ed allora appare difficile concepire l'operatività del principio di non contestazione in una fase, si ripete, nella quale si danno facoltà di contestazioni senza decadenze preclusive assolute, né si impone l'obbligo della difesa tecnica a mezzo difensore (sul punto, il fatto che il Curatore possa, ma non debba, rivestire la qualità di avvocato non contraddice quanto sino ad ora opinato, considerato, fra l'altro, che egli,

ex

art. 31, ult. comma

,

l

.

fall

.,

“non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento”).

Pertinente anche il richiamo a

Cass. 4 giugno 2012, n. 8929

, dove in motivazione si legge che: “nel giudizio d'opposizione a stato passivo, espressione di giurisdizione cognitiva piena a carattere contenzioso seppur semplificata nelle forme rispetto al processo ordinario, nonostante la sua natura impugnatoria non opera la preclusione posta dall'

art.

345 c

.

p

.

c

.

, in materia di jus novorum. L'opponente non incontra il limite delle prove che opera nella fase della verifica dei crediti, ed il curatore non è tenuto a circoscrivere le sue difese nell'ambito delle sole eccezioni dedotte nella fase precedente” (negli stessi termini anche Cass. 4 aprile 2013).

Il curatore “non smentisce” se stesso. Semplicemente, per un principio di “parità delle armi” rispetto alla posizione del creditore, implicato dalla stessa superiore regola del “giusto processo” di cui all'

art. 111 C

ost.

, una volta esaurita la fase a cognizione sommaria e priva di difesa tecnica necessaria, qualora sia vocato in giudizio dal creditore opponente potrà muovere eccezioni anche diverse ed ulteriori rispetto a quelle dedotte avanti al G.D., sia in senso lato (ad es. la contestazione di carenza di “data certa”) sia in senso stretto (ad es. eccezione di inadempimento, recesso, novazione, risoluzione e annullabilità del contratto da cui scaturisce il preteso credito). Questo deve portare a ritenere perfettamente ammissibile una situazione nella quale il Curatore, che nel proprio progetto di stato passivo aveva proposto l'accoglimento con rango chirografario dell'altrui credito, possa, a fronte dell'opposizione del creditore ed una volta munitosi di difensore, eccepire e concludere per la stessa esclusione della pretesa o, ancora, dopo aver proposto per una ammissione parziale pretenderne

il totale rigetto.

Pertanto, anche riguardando il problema dal lato curatore possono confermarsi le difficoltà accennate in ordine all'operatività del principio di non contestazione nella fase di verifica dei crediti avanti al G.D. Come il creditore può infatti proporre opposizione allo stato passivo – magari sulla scorta di nuovi argomenti e documenti – adottando un contegno processuale diverso da quello inizialmente tenuto, del pari può ritenersi che lo stesso curatore non sia avvinto dal proprio precedente contegno inerte o non specificamente contestativo, ma possa svolgere eccezioni nuove, non avanzate davanti al G.D. che, in ipotesi, potrebbero portare all'integrale esclusione di un credito che in sede di verifica sommaria era stato invece parzialmente ammesso.

Nella fase di opposizione

Il principio di non contestazione, invece, a parere di chi scrive, può utilmente applicarsi ed assumere un ruolo regolatore dell'onere probatorio una volta in cui la decisione del G.D. sia oggetto di opposizione allo stato passivo, ex

artt. 98

e

99

l

.

fall

. In tale procedimento lato sensu impugnatorio, infatti, il rapporto processuale recupera la propria tipica dimensione bilaterale (creditore-fallimento nel caso tipico di opposizione), mentre l'obbligo della difesa tecnica assicura che l'eventuale contegno di non contestazione specifica promani da una parte formalmente costituita e quindi legalmente avvertita delle conseguenze del proprio contegno processuale. Del pari, l'esistenza di una stringente barriera preclusiva (ai sensi dell'

art. 99, comma 2 n. 4, l

.

fall

. il ricorso deve contenere “a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti”) giustifica quelle esigenze di celerità, semplificazione processuale ed onere difensivo che stanno alla base della stessa affermazione del principio in commento.

Tale conclusione non sembra potersi smentire neppure dopo

Cass. 14 luglio 2014, n. 16101

(che ha ritenuto ammissibile l'istanza di acquisizione di documenti già prodotti dall'opponente in sede di insinuazione e non depositati all'atto dell'opposizione), trattandosi di pronuncia allo stato isolata e distonica rispetto a più numerosi precedenti di legittimità (cfr.

Cass. 13 giugno 2014, n. 13429

ed in precedenza

Cass. n. 493/2012

e

Cass. 24972/2013

, volta ad escludere la possibilità di disporre una consulenza tecnica su documentazione non agli atti del giudizio di opposizione; fra i giudici di merito cfr.

Trib. Reggio Emilia, 15 dicembre 2014

, che evidenzia la non applicabilità dell'

art. 90 L.F.

al Collegio chiamato a decidere l'opposizione ed il carattere residuale dell'

art. 210

c.p.c.

).

Bibliografia

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, L'eccezione riconvenzionale della curatela nei giudizi di opposizione a stato passivo e la pendenza di giudizi ordinari “paralleli”, in IlFallimentarista.it; 2014;

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, La non contestazione della domanda d'insinuazione o di rivendica/restituzione nella verifica del passivo”

, in Giurisprudenza Commerciale, 2008, 1, 57 e ss.;

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, L'accertamento del passivo nel fallimento: lineamenti generali, in Fall., 2011, 1021;

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, Torino, 2008;

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Sul principio di non contestazione in generale, ci si permette di rinviare a

Farolfi

, Il principio di non contestazione nel processo civile, Giuffrè, Milano, 2015; ivi ulteriori riferimenti bibliografici.

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