Mutui ipotecari pendenti nel concordato con continuità aziendale e scadenza immediata del debito di restituzione ex art. 55 l. fall.

Filippo Lamanna
20 Febbraio 2015

E' dibattuta la possibilità di prevedere un piano di concordato con continuità aziendale con prosecuzione della rateazione di mutui ipotecari stipulati anteriormente al deposito della domanda, senza che sia stato raggiunto un accordo con il mutuante garantito dall'ipoteca.L'Autore, ritenendo necessario l'accordo con tale soggetto, analizza le problematiche aperte, legate principalmente alla scadenza anticipata dei ratei futuri, ex art. 55 l. fall., richiamato dall'art. 169, e all'inapplicabilità della disciplina sui rapporti pendenti.
Concordati con continuità aziendale e mutui ipotecari: scadenza anticipata dei ratei futuri ex art. 55 l. fall. e inapplicabilità della disciplina sui contratti pendenti

Con una certa frequenza la prassi ancora segnala piani di concordato con continuità aziendale nei quali viene prospettata la perdurante prosecuzione della rateazione di mutui ipotecari stipulati anteriormente al deposito della domanda, ma senza che il debitore proponente abbia previamente ottenuto a tal fine, sulla base di un'apposita negoziazione, il consenso del mutuante ipotecariamente garantito.

Ottenere tale specifico e novativo consenso, invece, deve considerarsi assolutamente necessario, poiché, mancando esso, la rateazione non può più proseguire a causa del contemporaneo operare di due insormontabili ostacoli normativi.

Per un verso, infatti, l'art. 55 (comma 2)

l. fall

., richiamato, in materia di concordato preventivo, dall'

art. 169

l. fall

., prevede l'anticipata scadenza di tutti i debiti concorsuali di natura pecuniaria, il che significa che un debito che alla data di presentazione della domanda di concordato non sia ancora scaduto, come appunto può essere il debito di restituzione del mutuatario per i ratei futuri laddove non si siano verificati fatti risolutorii, vada pagato illico et immediate se il piano di continuità non preveda la liquidazione del bene ipotecato (giacchè altrimenti il pagamento deve e può effettuarsi solo dopo la liquidazione), o tutt'al più, se il debitore si avvalga in tal caso della possibilità di moratoria

ex art. 186-

bis,

comma 2, lett. c),

l. fall

., non oltre il termine di un anno decorrente dalla data dell'omologa.

Per l'altro, l'operatività di tale regola non potrebbe nemmeno essere paralizzata da un'eventuale inclusione del mutuo fra i contratti pendenti, che sembra poter essere l'unico caso in cui l'anticipata scadenza dei debiti pecuniari non scaduti

ex art. 55

l. fall

. non opera. Solo se tale inclusione fosse possibile, infatti, anche il mutuo potrebbe proseguire, giacchè, com'è noto, nel concordato preventivo i contratti pendenti proseguono almeno fino a quando il debitore non ottenga, se lo reputi più conveniente, l'eventuale autorizzazione a sciogliersene

ex art. 169-

bis

l. fall

., ciò che appunto consentirebbe di distinguere, nei casi in cui l'altro contraente non abbia azionato la risoluzione del contratto per inadempimento del debitore concordatario, la sorte dei ratei pregressi eventualmente rimasti insoluti, che, come qualunque altro debito scaduto, dovrebbero essere comunque pagati subito (o almeno alla scadenza dell'anno di moratoria), da quella dei ratei non ancora scaduti, da pagare di volta in volta alle successive scadenze in ragione della prosecuzione del contratto.

Sennonchè il mutuo, a prescindere dal nesso commutativo che può sussistere tra erogazione del prestito pecuniario e corresponsione di interessi corrispettivi (in aggiunta alla restituzione del tantundem

ex art. 1813 c.c.

), resta inequivocabilmente un contratto reale unilaterale, nel quale, cioè, la prestazione del mutuante è già interamente adempiuta al momento della consegna della res, che è contestuale alla stipula e allo scambio del consenso, residuando solo l'obbligazione restitutoria (e di pagamento degli interessi) del mutuatario, il che esclude che tale contratto possa rientrare nella categoria dei contratti pendenti, almeno se si condivide l'idea – peraltro di gran lunga più convincente e comunque maggioritaria - che in questa categoria possano rientrare, in modo identico che per il fallimento (

art. 72

l. fall

.), solo i contratti a prestazioni corrispettive ancora bilateralmente inseguiti, del tutto o parzialmente.

Alla luce di tali ostacoli normativi, dunque, i piani di concordato contenenti la previsione (unilaterale) di una perdurante restituzione rateale delle somme mutuate dovrebbero considerarsi sic et simpliciter inammissibili, quanto meno in tale parte.

Nuove proposte interpretative: dall'ipotizzata inapplicabilità dell'art. 55 alla inclusione dei contratti unilaterali tra i contratti pendenti

Tuttavia è doveroso segnalare che, recentemente, sono state prospettate anche soluzioni interpretative orientate in senso opposto, e questo stesso portale ha voluto, per completezza informativa, darne atto e darvi spazio (

Galletti, La disciplina dei rapporti in corso di esecuzione nel concordato si applica anche ai contratti di finanziamento, e Frè, Mutuo ipotecario – possibile conservazione nell'ambito di un concordato preventivo in continuità, in ilFallimentarista.it

), aprendo così un dibattito in contraddittorio con chi – ed è il caso di chi scrive queste brevi note in replica – dissente da tali proposte sia per il metodo che nel merito.

La prima evidenza emergente dall'esame di tali proposte innovative è infatti l'oggettiva inconciliabilità, se non proprio contraddittorietà, dei motivi che le ispirano e che da esse traspaiono.

Da un lato, infatti, si paventa espressamente che, se il debitore mutuatario, applicandosi l'

art. 55

l. fall

., dovesse soddisfare subito (o non oltre l'anno di moratoria) l'intero debito di restituzione, ciò gli consentirebbe comunque di conservare la proprietà degli immobili, per di più ormai liberati dal vincolo ipotecario, risultato che si realizzerebbe però (solo a favore del debitore) in danno dei creditori chirografari, atteso che, in ultima analisi, i mutuanti verrebbero pagati non con il prezzo di realizzo degli immobili ipotecati, ma con risorse (i flussi aziendali) altrimenti destinate a questi ultimi (così Frè, Mutuo ipotecario cit.).

Dall'altro, invece, si paventa la difficoltà, per le imprese che vogliano proseguire l'attività aziendale con piani di continuità, di pagare subito, o entro l'anno, con i soli flussi aziendali, l'intero debito di restituzione del mutuo, ravvisandosi dunque in tal caso un danno potenziale non per questo o per quel creditore, ma per la proseguibilità stessa dell'attività d'impresa, sul rilievo che “la prosecuzione dei rapporti finanziari può costituire un valore fondamentale, ed una condizione di riuscita della ristrutturazione” (così Galletti, La disciplina dei rapporti cit.).

Se per l'uno, dunque, l'inapplicabilità dell'art. 55 andrebbe suggerita per evitare soprattutto che siano le banche, nella sostanza le più frequenti creditrici ipotecarie da mutuo, a trarre dall'immediato obbligo di pagamento del debito di restituzione un ipotetico vantaggio in danno dei creditori chirografari; per l'altro il medesimo suggerimento trae causa dalla convinzione che, prescindendosi - tutt'all'opposto - da ogni valutazione circa l'interesse di questo o quel creditore, solo posticipando tale pagamento sia possibile agevolare la riuscita del piano di continuità.

Fragilità argomentativa e confutazione delle nuove ipotesi interpretative

Sta di fatto che tale apparente inconciliabilità/contraddittorietà dei moventi da cui prendono le mosse le suddette proposte interpretative innovative non poteva che sottendere – come accade talora quando prenda il sopravvento la tendenza a ragionare in senso prevalentemente teleologico - anche un'intrinseca fragilità dell'apparato argomentativo, che vede non a caso contrapporsi ragioni in conflitto l'una con l'altra, e tali da confutarsi a vicenda.

Infatti, mentre secondo una delle nuove proposte interpretative (Frè) la non riconducibilità del mutuo ai contratti pendenti è conclusione pacifica ed insormontabile, concentrandosi semmai la nuova ipotesi interpretativa a motivare per l'inapplicabilità dell'art. 55 (quale norma dettata in asserto solo per una procedura di natura liquidatoria) ad una figura di concordato introdotta successivamente e proiettata verso la continuità dell'impresa; viceversa l'altra proposta innovativa sembra confutare apertamente tale impostazione, dando per indiscutibile questa volta l'applicabilità dell'art. 55 (“in realtà non esistono due concordati, uno in continuità ed uno liquidatorio, con discipline radicalmente differenti; l'

art. 169

l. fall

. rinvia all'art.

55

tanto nel concordato con riserva, quanto in quello liquidatorio o con continuità… La prosecuzione del finanziamento, d'altro canto, così come di qualsiasi altro rapporto, può essere concretamente strumentale anche ad un piano concordatario liquidatorio, e non solo ad un piano ristrutturativo”), e preferendo invece spostare il focus, in senso diametralmente opposto, sulla riconducibilità del mutuo ai contratti pendenti sull'assunto secondo cui

l' “espulsione” esplicita dei rapporti contrattuali “unilaterali” dal campo applicativo dell'

art. 72

l. fall

. voluta dal legislatore in ambito fallimentare non sarebbe stata riproposta in materia di concordato (“

Nel regime del nuovo

art. 169-

bis

l. fall

., invece, nulla autorizza a credere che un'analoga scelta sia stata compiuta: nessuna “espulsione” dei contratti unilaterali, ma soltanto dei meri rapporti obbligatori”).

Sta di fatto che è già poco appropriato, a mio vedere, prospettare l'opportunità o finanche la necessità, nel concordato preventivo (in particolare con continuità aziendale) di un'interpretazione parzialmente o totalmente abrogativa dell'

art. 55

l. fall

. o della classica nozione di contratti pendenti muovendo dal soggettivo ed effettuale asserto che quella norma e/o quella nozione sarebbero di ostacolo ad una equanime tutela della par condicio o ad un funzionale inserimento del mutuo ipotecario nel piano concordatario di continuità.

La legge va infatti interpretata per quello che dice, non per quello che si vorrebbe dicesse, e almeno il giudice, più degli altri, deve esprimere interpretazioni rispettose del diritto positivo, senza lasciarsi tentare da visioni e fughe de jure condendo, potendo formulare interpretazioni innovative e funzionali a dare maggior coerenza al sistema solo dinanzi ad un testo che si presti a plurime letture e nel difetto di un'interpretazione consolidata di diritto vivente.

Ebbene, secondo le correnti regole interpretative e secondo un diritto vivente ormai risalente, non si può, anzitutto, proporre un'interpretatio abrogans dell'

art. 55

l. fall

., nemmeno solo limitatamente al concordato con continuità aziendale, assumendo che (solo)

in quest'ultimo “l'interesse giuridico tutelato è il superiore soddisfacimento dei creditori” (v. Frè, op. cit.)

quasi che tale interesse non fosse riconoscibile nei concordati non in continuità; né sul rilievo che l'art. 169 sarebbe norma dettata in un'ottica meramente liquidatoria, sì che il rinvio fatto da essa all'art. 55 non sarebbe tout court applicabile in caso di concordato preventivo con continuità, essendo stato questo introdotto dal legislatore successivamente e con diversa finalità.

A parte ogni altra considerazione, infatti, non si vede come una norma dettata palesemente per ogni tipologia di concordato in ragione della invariabile funzione esdebitatoria di tale procedura e della sua invariabile natura concorsuale possa non applicarsi selettivamente ad una particolare tipologia di concordato che pure da quella funzione e da quella natura è comunque caratterizzata, e senza che il legislatore abbia dettato in modo espresso per essa una speciale norma derogatoria.

È appena il caso di ricordare, a questo riguardo, come, sul piano della struttura, il concordato con continuità aziendale non sia una tipologia di concordato morfologicamente diversa ed autonoma rispetto alle altre, in particolare a quelle liquidatorie, ben potendo accedere anche a queste ultime, come ci fa comprendere con solare chiarezza il primo comma dell'art. 186-bis, che ravvede la continuità anche quando l'azienda debba essere ceduta a terzi o conferita in una diversa società, tipiche ipotesi, queste, di concordato liquidatorio. E dunque davvero non si vede per quale ragione l'art. 55 non dovrebbe operare in situazioni ove il concordato consista proprio nella liquidazione dell'azienda da realizzare nel più generale contesto di una cessione dei beni, pur essendo qualificabile come in continuità aziendale alla stregua della definizione datane dall'art. 186-bis, comma 1.

Peraltro il concordato con continuità aziendale è anch'esso, di norma, sul piano della funzione, un concordato esdebitatorio, e ha quindi natura non diversa da quella delle altre tipologie di concordato preventivo.

In ragione di tale comune effetto, che consente al debitore di liberarsi di tutti i suoi debiti, la legge esige che essi vengano pagati, sia pure solo nei termini e nei limiti previsti dalla proposta concordataria accettata dai creditori aventi diritto di voto.

Per tale motivo l'art. 55 è norma che ancor oggi caratterizza funzionalmente il concorso, almeno nei casi in cui questo propriamente presupponga la soddisfazione (in concorso) dei creditori in attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore, poiché al concorso in questi casi è senza dubbio concettualmente consustanziale la necessità di porre tutti i debiti sullo stesso piano, anche quelli non scaduti, per evitare che, pagando solo quelli scaduti (o comunque prima questi), poi non resti nulla per gli altri. La par condicio rileva cioè anche nel concordato preventivo non solo sul piano orizzontale della parità sostanziale, ma anche sul piano verticale di quella cronologica.

È chiaro allora che soltanto se il concordato con continuità aziendale fosse stato considerato dal legislatore come procedura non esdebitatoria, ma funzionale piuttosto sempre ed esclusivamente ad una moratoria generale, come era la vecchia amministrazione controllata, avrebbe avuto senso, come accadeva in quella procedura, non applicare l'art. 55 (e quindi la regola di immediata scadenza di tutte le obbligazioni, che appunto nell'amministrazione controllata non scadevano, tant'è vero che l'art. 188 richiamava breviter l'applicazione degli artt. 167 e 168 dettati in materia di concordato, ma non l'art. 169 e nemmeno dunque, per tale via, l'art. 55; ma si congelavano solo provvisoriamente - al pari di quelle scadute -, riattivandosi l'obbligo di pagamento alle previste scadenze dopo la fine della fase di sospensione).

Ma è appena il caso di ricordare che, almeno tipologicamente, l'unica forma di moratoria prevista per il concordato con continuità aziendale è quella consistente nella possibilità di differire di un anno

ex

art. 186-

bis,

comma 2, lett. c),

l. fall

. il pagamento dei crediti muniti di prelazione, vantaggio accordato in via eccezionale per favorire la continuità d'impresa, ma senza contraddire affatto la regola dell'immediata scadenza di tutte le obbligazioni.

Anzi: proprio il fatto che una moratoria sia stata prevista, per quanto in via eccezionale solo per il concordato con continuità aziendale e limitatamente ad un anno e ai soli crediti con prelazione su beni di cui non sia prevista la vendita, dimostra come, per il legislatore, l'

art. 55

l. fall

. sia norma ordinariamente ed indistintamente operante in ogni forma di concordato.

Infatti solo in quanto, a causa dell'operare di tale norma, i debiti muniti di prelazione, anche se non scaduti, devono essere pagati subito, trova poi giustificazione l'eccezionale previsione della possibilità di differirne il pagamento per un anno, sì come previsto dall'art. 186-bis.

Se, invece, l'art. 55 non fosse stato applicabile al concordato con continuità aziendale, la previsione di una moratoria non sarebbe stata necessaria, già potendo il debitore avvalersi della possibilità di pagare i debiti non scaduti alle future scadenze.

Resta solo da dire, quanto all'art. 55, che la proposta volta a suggerirne la non applicazione in ragione della pretesa riferibilità dello stesso alle sole procedure liquidatorie, oltre che fare a pugni con la natura liquidatoria – come già detto – di molti concordati in continuità aziendale, dovrebbe per implicito trascinare con sé finanche l'inapplicabilità di tutte le altre norme richiamate dall'art. 169, ed in particolare di quelle – come gli artt. 56, 57, 58, 59 e 60 – che a loro volta predicano un'anticipata liquidazione e scadenza di passività prima non scadute, con un generale sovvertimento dei principi su cui si basa la procedura concorsuale satisfattiva.

D'altra parte la regola dell'immediata scadenza delle obbligazioni non può neppure essere aggirata con un'innaturale sussunzione del mutuo nella categoria dei contratti pendenti, essendo il mutuo, come già detto, contratto unilaterale, e non sembrando ragionevole che la definizione di contratti pendenti cambi nel trascorrere dal fallimento al concordato preventivo (

Lamanna, La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, in ilFallimentarista.it

).

A questo proposito può solo in aggiunta rilevarsi, in questa sede, la forte opinabilità delle affermazioni secondo cui, non applicandosi la normativa sui contratti pendenti nel concordato, comunque “la tutela del contraente in bonis sarebbe racchiusa negli

artt. 1460

e

1461 c.c.

, applicabili anche in costanza di procedura, per quei rapporti “ereditati” da quest'ultima”, e secondo cui “il finanziatore potrà sempre ricorrere agli ordinari strumenti di tutela contrattuali tipici del finanziamento, fra i quali, … gli

artt. 1460

e

1461 c.c.

” (v. Galletti, op. cit.).

Non si vede infatti in che senso e in che modo il mutuante, dopo avere per intero effettuato la sua prestazione, possa ad esempio difendersi con l' exceptio inadimplenti non est adimplendum, vale a dire rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria (

art. 1460 c.c.

). Tale eccezione ha infatti carattere preventivo nei contratti bilaterali con prestazioni corrispettive e serve per evitare di prestare quando la controparte non adempia, laddove il mutuante, invece, quale parte di un contratto unilaterale, ha già interamente prestato prima che il concordato inizi.

Già questo dovrebbe bastare per comprendere come sia inevitabile rifiutare un'accezione di contratti pendenti diversa da quella fallimentare, che ha tratto causa proprio dalla necessità di conservare efficacia anche nel concorso, a tutela dell'altro contraente, all'eccezione di inadempimento, eccezione invece non più proponibile nel mutuo dopo l'intervenuta erogazione del prestito (

Di Marzio, Rapporti pendenti in generale, in Fallimento e altre procedure concorsuali diretto da Fauceglia e Panzani, vol. 1, Torino, 2009, 731; Guglielmucci, La tutela del contraente in bonis nei rapporti giuridici preesistenti, in La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 155

).

A sovvertire tale evidenza non vale neppure appellarsi alla possibilità che il piano concordatario possa prevedere l'inclusione - nell'azienda di cui sia prevista la cessione a terzi - anche dei contratti di finanziamento ipotecario, alla stregua della possibilità (di cessione dei contratti con l'azienda cui accedono) già prevista dal diritto civile (

art. 2558 c.c.

).

Infatti, da un lato, nulla in effetti impedisce che tale inclusione del contratto di mutuo nell'azienda oggetto di cessione o conferimento si verifichi, ma, dall'altro, è assai opinabile che essa si traduca in quel vantaggio - costituito dalla prosecuzione della rateazione del debito finanziario – che si vuol prospettare come effetto conseguenziale. Tutt'altro. Basti osservare infatti che, a norma del medesimo art.186-bis, terzo comma, ultima frase, “Il giudice delegato, all'atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni”, il che significa che il debito di restituzione del mutuo garantito da una di quelle iscrizioni (ipotecarie) soggette a cancellazione all'atto della cessione deve essere pagato, se non prima, quanto meno subito dopo la cessione o il conferimento (giusta le regole del concorso concordatario), e senza nemmeno poter più fruire della moratoria annuale, atteso che la cessione o il conferimento dell'azienda integra ex se proprio quella ipotesi di vendita del bene oggetto di prelazione in relazione alla quale il debitore, ex art. 186-bis, non può fruire della moratoria.

Qualche conclusiva considerazione sia consentita infine sulle ragioni extraformali che sottendono le qui criticate nuove proposte interpretative consentanee a ritenere inapplicabile l'

art. 55

l. fall

. o la nozione fallimentaristica di contratti pendenti.

Che la prosecuzione dell'impresa possa risultare ostacolata dalla impossibilità di avvalersi della rateazione in corso del debito finanziario, o il fatto che il debitore, nei concordati con continuità in cui non sia prevista la vendita del bene oggetto d'ipoteca, debba pagare per intero un creditore mutuante ipotecariamente garantito, senza doversi privare del bene medesimo e quindi con risorse che non derivano dal realizzo di tale bene (ed in ipotesi con risorse sottratte ai creditori chirografari), sono inconvenienti – se lo sono -

nient'affatto diversi da quelli che ricorrono, e che sempre sono ricorsi, in qualsiasi concordato promissorio o per garanzia. Si tratta infatti della mera conseguenza della possibilità, insita in queste tipologie di concordati ristrutturatorii, che il debitore conservi per sé tutti o parte dei suoi beni assumendo un nuovo obbligo di pagamento (per importo decurtato) verso i suoi creditori.

Ed è ben noto come tali forme di concordato già realizzassero, prima che fosse introdotto l'art. 186-bis, quella possibilità di continuazione dell'impresa da parte del medesimo debitore che oggi la suddetta norma testualmente prevede e tutela.

Sappiamo altrettanto bene che la medesima disciplina normativa pone in tal caso quali presidi a tutela dei creditori concorsuali, secondo un criterio di assoluta normalità, la possibilità di risoluzione in caso di inadempimento (grave) all'obbligo di pagamento assunto dal proponente e, ancor prima, quella per i creditori di votare negativamente sulla proposta.

Nulla di strano e di eccentrico, dunque. E non si comprende allora come mai ci si avveda solo ora dell'ipotizzato

rischio che l'immediato pagamento dei creditori ipotecari possa sottrarre risorse ai chirografari o che la continuità dell'impresa possa esserne ostacolata, trattandosi di inconvenienti che sempre avrebbero potuto imputarsi alle forme di concordato per garanzia o promissorie attraverso le quali il debitore avesse inteso proseguire nella sua impresa senza liquidarne i beni, in tutto o in parte.

Evidenzio semmai che, mentre prima queste forme concordatarie attraverso cui il debitore poteva continuare la sua impresa non ricevevano speciale tutela normativa, oggi questa viene loro attribuita dagli artt. 186-bis e 182-quinquies e, quindi, l'impatto dei sopra esaminati inconvenienti dovrebbe tutt'al più considerarsi minore.

Scadenza dei debiti prelatizi e ordine della graduazione in senso cronologico

Allo stesso modo la preoccupazione sottesa ad almeno il primo dei due sopra denunciati inconvenienti si dovrebbe avvertire tutt'al più in senso opposto, poiché, in caso di prevista moratoria, potrebbe considerarsi in effetti ingiusto non pagare i creditori prelazionari per tutto l'anno di durata della moratoria se invece potessero essere pagati nel frattempo i creditori chirografari.

Se ciò, infatti, fosse possibile, ne risulterebbe leso nella sostanza il principio di tutela dell'ordine della graduazione espresso chiaramente, per il concordato preventivo, nell'

art. 160, comma 2,

l. fall

. (

Zanichelli,

La dilazione del pagamento dei creditori privilegiati: quando le ragioni dell'economia fanno premio su quelle del diritto,

in ilFallimentarista.it

)

.

Infatti la violazione della graduazione deriverebbe in questa ipotesi dal pagare prima chi, secondo le regole della graduazione, dovrebbe essere pagato anche temporalmente dopo (con il rischio di assorbire attivo, rendendo in ipotesi insufficiente quest'ultimo ai fini del soddisfacimento dei crediti prelazionari soggetti a moratoria).

Al riguardo mi pare che le soluzioni più gettonabili siano due:

a)

o si reputa che tale possibile pagamento antergato a favore dei chirografari sia inevitabilmente collegato alla prevista moratoria, per il modo in cui essa opera in danno dei soli prelazionari, con conseguente possibilità di violare la graduazione in odio ad essi, quale portato implicito dell'art. 186-bis;

aa)

o invece si reputa, e questa soluzione sembra la più ragionevole, che sia implicita nella detta previsione normativa, ed anche alla luce dell'id quod plerumque accidit (tenuto conto che il debitore può impegnarsi, e sempre s'impegna, a pagare i chirografari per ultimi e senza prefissati limiti temporali), la inevitabilità/necessarietà di un pagamento ai chirografi sempre successivo a quello dei prelazionari in modo da rispettare comunque l'ordine della graduazione, sia in senso gerarchico-sostanziale, sia in senso cronologico.

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