Speciale Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: Caratteri generali – Norme transitorie – Modifiche fallimentari

Filippo Lamanna
29 Giugno 2015

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2015 il D.L. 27 giugno 2015, n. 83contenente «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria». Si analizzeranno, in una serie di Focus, le modifiche del decreto alla materia concorsuale (quella afferente a proposte ed offerte concorrenti, quella relativa alla nuova finanza, anche urgente, e quella relativa alle nuove figure dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria). In questo primo contributo si prendono in esame le norme relative alla procedura di fallimento (in particolare i requisiti per la nomina a curatore, i termini del programma di liquidazione, le modalità delle vendite fallimentari, la chiusura del fallimento con cause pendenti in corso).
Introduzione

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2015 il D.L. 27 giugno 2015,

n. 83

contenente «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria», che qui chiameremo – breviter - decreto “Contendibilità e Soluzioni Finanziarie” per evocare più da vicino la ratio delle più importanti novità introdotte dal D.L. medesimo in materia concorsuale (quella afferente a proposte ed offerte concorrenti, quella relativa alla nuova finanza, anche urgente, e quella relativa alle nuove figure dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria).

Anche se il suddetto D.L. è stato partorito in quasi assoluta riservatezza, la notizia che sarebbe stato emanato era già circolata di recente tra gli addetti ai lavori, e non erano nemmeno mancati gli strali di chi, pur in assenza di un testo in bozza definitiva ed “autorizzata”, aveva rinnovato le consuete critiche verso un modo di legiferare a-sistematico mediante decreti legge di cui viene puntualmente proclamata la necessità ed urgenza, ma che, all'atto pratico, si rivelano spesso inconcludenti.

Però – a mio sommesso avviso – fortunatamente non è questo il caso del

D.L. n. 83/2015

che qui mi accingo a commentare in prima lettura, poiché esso contiene una serie di modifiche normative e di nuove norme che, pur se formulate talora in modo un po' approssimativo e frettoloso, appaiono comunque in gran parte di indubbia utilità, apportando vuoi attesi chiarimenti su disposizioni che hanno dato luogo ad interpretazioni difformi, vuoi nuovi strumenti finalizzati (ed effettivamente idonei, almeno sulla carta) ad agevolare le soluzioni delle crisi d'impresa.

Pertanto si preferisce qui non indugiare sulle scontate critiche riguardanti l'abusato metodo della decretazione d'urgenza, dedicando piuttosto qualche riflessione in più sul merito delle nuove norme, anche al fine di formulare, all'occorrenza, qualche suggerimento tecnico nella non dissimulata speranza che possa essere poi apportata “solo” qualche ulteriore modifica migliorativa durante l'iter di conversione in legge.

Dico “solo” qualche ulteriore modifica migliorativa, perché il contesto legiferante in cui il nuovo D.L. si colloca desta qualche preoccupazione.

Nel caso di specie, infatti, l'intervento del Governo sembra caratterizzarsi anche per un insolito dissidio istituzionale, che ha generato non poca sorpresa tra gli addetti ai lavori.

In poche parole: il decreto sembra apertamente sconfessare utilità e funzione della Commissione recentemente istituita dal Ministero della Giustizia per approntare un testo unico delle norme concorsuali (

Cfr. le news pubblicate al riguardo in ilFallimentarista.it; nonché

G. Negri

, Testo Unico per le crisi d'impresa, e Id., Emersione con benefici. Confindustria: serve equilibrio, in IlSole24Ore, 26 maggio 2015

), completamente bypassata – sembra - dal Ministero dell'Economia, che, sua sponte, in modo del tutto autonomo, avrebbe dato impulso a questo nuovo decreto legge, mettendo completamente in non cale i lavori della suddetta Commissione.

Il gossip, per quanto credibile, sembra sottendere dissapori che non mi sembrano verosimili.

Se però il retroscena fosse vero, allora dovrebbe arguirsene o che tra gli uffici legislativi dell'uno e dell'altro Ministero davvero non corra – a voler essere eufemistici – molto buon sangue, o che quello del Ministero dell'Economia comunque poco abbia stimato ed apprezzato l'attività sinora svolta da tale Commissione.

Nell'uno e nell'altro caso l'offesa per i componenti di quest'ultima comunque ci sarebbe. Ma sembra davvero strano, allora, che nessuno abbia avvertito la necessità di rassegnare le sue dimissioni (anche se, in Italia, come ben si sa, le dimissione sono comunque rarae aves).

A parte comunque le sensibilità individuali, se la ricostruzione fosse vera, la cosa più preoccupante sarebbe il conseguente rischio di negativa incidenza che il dissidio tra Ministeri e Commissione potrebbe poi avere sull'iter di conversione in legge del decreto.

Come diceva Jago nell'Otello, “Vi sono molti eventi nel grembo del tempo che verranno partoriti” e non è arduo profetizzare che, per effetto di tensioni e torsioni, e di non governabili pulsioni politiche in contrasto l'una con l'altra, le nuove modifiche normative possano subire non solo qualche semplice rettifica migliorativa, ma piuttosto letali stravolgimenti di struttura e funzione.

Sarebbe un risultato esiziale, poiché per la prima volta, finalmente, leggiamo norme che presentano un'indubbia utilità nel quadro di un processo riformatore troppo spesso connotato da meri ed inconfessati, e volta a volta contrapposti, interessi di bottega.

L'auspicio allora è che coloro che hanno promosso l'emanazione del decreto possano efficacemente resistere fino alla fine, contrastando gli attacchi di chi può avere interesse a sminuirne utilità ed importanza.

Staremo a vedere.

Ma andiamo ora più addentro, come ci si proponeva, nel merito delle modifiche.

Il decreto legge ne apporta di corpose sia alla

legge fallimentare

, specialmente – ma non soltanto - in materia di soluzioni concordate della crisi d'impresa; sia al codice civile ed al codice di rito nella materia delle esecuzioni, ed in ispecie delle vendite immobiliari.

La parte relativa alla materia fallimentare riprende peraltro alcune proposte che il Consiglio dei Ministri aveva già esaminato nello scorso mese di gennaio con riferimento alla bozza originaria del cd. Decreto Investment Compact, proposte che, peraltro, non furono poi trasfuse nel testo finale di tale atto normativo.

In particolare, erano state già abbozzate – ma non fatte proprie dal decreto legge finale sull'Investment Compact -, le modifiche normative riguardanti le offerte competitive per l'acquisto di aziende, ora regolate dall'

art. 2 del decreto legge n. 83/2015

, e quelle riguardanti le puntualizzazioni in ordine all'autorizzabilità dei nuovi finanziamenti interinali, anche urgenti, ora inserite con l'art. 1.

Non sono state invece riproposte nemmeno ora quelle norme modificative che, nella bozza del decreto legge sull'Investment Compact, avevano avuto ad oggetto il trattamento prededucibile dei debiti pregressi relativi a prestazioni essenziali pagate in anticipo - previa autorizzazione del Tribunale - nel concordato con continuità aziendale, e una specifica deroga alla disciplina in tema di usura, che consentiva la non applicabilità delle relative norme concernenti i tassi d'interesse ai finanziamenti concessi su autorizzazione del giudice delegato o del tribunale ai sensi degli

articoli 167

o

182-

quinquies

l. fall

.

Le altre novità introdotte dal decreto in commento in tema di soluzioni delle crisi d'impresa investono la possibilità di formulare proposte di concordato competitive e concorrenti con quella del debitore, varie precisazioni in materia di contratti pendenti nel concordato, in particolare con l'inequivoca assimilazione della relativa nozione a quella valevole nella procedura fallimentare, la creazione ex novo delle due figure dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria.

Alcune modifiche del decreto legge lambiscono anche, frammentariamente, la procedura di fallimento (quanto ai requisiti per la nomina a curatore, ai termini del programma di liquidazione, alle modalità delle vendite fallimentari, alla chiusura del fallimento con cause pendenti in corso).

L'accentuata frammentarietà di tali ultime modifiche, peraltro, non sembra a prima vista comprensibile nemmeno dando per scontata la consustanziale a-sistematicità degli interventi riformatori realizzati mediante decreto-legge.

E proprio a causa di tale dislocazione e frammentarietà delle norme modificative in materia di fallimento sembra opportuno commentarle subito per prime, non prima di avere peraltro brevemente dato contezza della data e delle modalità di entrata in vigore del

D.L. n. 83/2015

e del previsto regime transitorio, con ciò chiudendosi la prima parte del commento.

Che, come un tempo i romanzi d'appendice, essendo alquanto corposo è stato suddiviso per esigenze editoriali in quattro parti.

La seconda e la terza lasciano maggiore spazio, secondo una ragionevole scala di gradata importanza, alla trattazione delle modifiche che hanno avuto ad oggetto il concordato preventivo.

La quarta ed ultima parte è dedicata alle norme che hanno introdotto le nuove figure dell'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria.

Entrata in vigore e disciplina transitoria

L'

art. 24 del D.L. n. 83/2015

ne fissa l'entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il medesimo giorno dell'emanazione (27 giugno 2015).

Meritoriamente è stata inoltre approntata, caso ormai quasi unico, con l'art. 23, una disciplina transitoria, peraltro alquanto articolata, anche se essa non copre espressamente tutte le norme modificative di rilievo fallimentaristico, lasciandone scoperte tre.

L'applicazione delle norme nuove o modificative è programmata alla stregua di 8 diversi criteri temporali, che gravitano però attorno a 2 criteri principali: quello dell'immediata applicazione contestualmente all'entrata in vigore del D.L., e quello dell'applicazione rinviata all'entrata in vigore della legge di conversione.

Al riguardo può ipotizzarsi che la scelta fatta dal Governo in un senso o nell'altro sia stata certamente motivata, in prima battuta, dalla valutazione d'urgenza, evidentemente non identica per tutte le nuove disposizioni.

Personalmente credo non dimeno che la diversa calibratura del momento di prevista applicazione dipenda anche dal diverso grado di resistenza che si è supposto le norme

possano avere rispetto alle modifiche apportabili durante l'iter di conversione: grado di resistenza maggiore per le norme applicabili subito, minore per quelle la cui applicazione è stata posticipata alla legge di conversione.

Queste ultime devono perciò considerarsi quelle più a rischio.

Esaminiamo brevemente il regime transitorio alla luce dei suddetti criteri.

I) L'immediata entrata in vigore.

IA)

Entrano immediatamente in vigore e possono applicarsi anche a procedure fallimentari e concordatarie pendenti alla data di entrata in vigore del D.L. gli artt. 2, comma 2, lettere a), b), primo periodo e lettera c) (cessione di beni e vendite competitive) e 11 (rateizzazione del prezzo).

Sono norme, dunque, di cui è probabile un forte grado di resistenza, oltre che norme che sarebbe utile applicare subito anche per agevolare l'attività liquidativa in sede concordataria.

IB)

Vi è poi una norma che, pur entrando in vigore alla data di pubblicazione del decreto, è applicabile soltanto ai procedimenti di concordato iniziati dopo.

Si tratta dell'art. 2, comma 1 (offerte concorrenti).

Questa variante va ricollegata al fatto che la disciplina delle offerte concorrenti, pur meritevole di immediata applicazione in quanto utile ad incentivare le vendite al miglior prezzo, è comunque innovativa e quindi si sarà ritenuto opportuno renderla applicabile in modo da non influenzare piani già anteriormente predisposti in base alla disciplina antevigente.

IC)

Seguendo un analogo criterio, vi sono norme che, pur entrando in vigore alla data di pubblicazione del decreto, sono applicabili soltanto ai procedimenti di fallimento iniziati dopo.

Si tratta degli artt. 5, comma 1, lett. a) e b)(requisiti per la nomina a curatore) e 6 (programma di liquidazione).

Mutatis mutandis

, la spiegazione appena proposta non cambia.

ID)

Una norma, l'art. 8 (contratti pendenti), si applica alle istanze di autorizzazione allo scioglimento depositate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto. L'applicazione è dunque riferibile ai concordati già pendenti, ma giustamente può riguardare solo le nuove istanze di autorizzazione, così evitandosi indebite retroazioni.

II) L'entrata in vigore/applicabilità posticipata alla legge di conversione.

IIA)

Una sola norma è applicabile – senza che sia stato fatto alcun maggior chiarimento - dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Si tratta dell'art. 7 (chiusura della procedura di fallimento).

In mancanza di altre specificazioni, deve reputarsi – secondo le regole generali (tempus regist actum) - che essa possa applicarsi anche ai fallimenti già pendenti.

IIB)

Anche altre norme entrano in vigore alla data di entrata in vigore della legge di conversione, ma sono applicabili ai soli procedimenti di concordato preventivo iniziati dopo.

Si tratta degli artt. 3 (proposte concorrenti) e 4 (integrazione del contenuto della proposta di concordato).

Non solo in tal caso sembra che il Governo dubiti della perfetta tenuta di tali disposizioni in sede di conversione, ma, a parte ciò, reputa anche, verosimilmente, che l'innovatività delle stesse ne consigli l'applicazione alle sole nuove procedure, visto che altrimenti si inciderebbe con efficacia retroattiva su proposte già presentate.

IIC)

Vi è poi una norma che si applica sessanta giorni dopo la pubblicazione sul sito internet del Ministero della Giustizia delle specifiche tecniche previste dall'

articolo 16-

bis,

comma 9-

septies

, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179

, convertito, con modificazioni, dalla

legge 17 dicembre 2012, n. 221

.

Si tratta dell'articolo 5, comma 1, lettera b), terzo capoverso(istituzione del registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali).

La ragione è del tutto evidente, essendo implicata un'attività di regolamentazione del registro. È appena il caso di notare che il termine presuppone in re ipsa che già vi sia stata la conversione in legge.

IID

) Infine, con previsione in parte analoga alla precedente, vi è una norma, l'art.

2, comma 2, lettera b) (nella parte in cui, per effetto di rinvii ad altre disposizioni, introduce l'ultimo periodo dell'

articolo 107, comma

1, l

.

fall

.), che si applica – secondo la medesima ratio - decorsi

trenta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle specifiche tecniche previste dall'

articolo 161-

quater

delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile

, ossia le specifiche tecniche relative alle modalità della pubblicazione da effettuarsi sul portale delle vendite pubbliche.

Il D.L. non detta altre norme transitorie, sì che non risultano specificamente considerate le seguenti norme:

art. 1 (finanza interinale);

art. 9 (accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria);

art. 10 (disposizioni penali).

In base ai già richiamati principi generali, tali norme devono considerarsi di immediata entrata in vigore.

Ciò è evidente per l'art. 9, che disciplina istituti nuovi e non può che applicarsi di conseguenza solo da quando essi verranno a loro volta posti in essere. E la soluzione vale anche per le disposizioni penali, che a tali istituti fanno riferimento, ma naturalmente con riguardo a fatti reato che potranno essere compiuti solo successivamente.

L'art. 1, infine, che puntualizza le modalità di autorizzazione dei finanziamenti interinali, deve ritenersi applicabile anche ai procedimenti concordatari e preconcordatari in corso, essendo mera puntualizzazione di norme preesistenti.

Le modifiche alla disciplina fallimentare

Il

D.L. n. 83/2015

propone quattro modifiche alla

legge fallimentare

, del tutto dislocate – come già notato - rispetto alla materia delle soluzioni concordate delle crisi d'impresa e l'una rispetto alle altre.

In tema cioè di:

1) requisiti per la nomina a curatore (art. 28);

2) di termini del programma di liquidazione (art. 104-ter);

3) di modalità delle vendite (art. 107, comma 1);

4) di chiusura del fallimento in presenza di giudizi pendenti (art.118).

Requisiti per la nomina a curatore fallimentare

L'

art.

5

del D.L. n. 83/2015

apporta

all'

art. 28

l

.

fall

. le seguenti modifiche.

I)

Non può essere ora nominato curatore chi nei cinque anni anteriori alla dichiarazione di fallimento – mentre prima il periodo di tempo era biennale – abbia concorso al dissesto dell'impresa.

Evidentemente il Governo ha ritenuto che il periodo di due anni fosse troppo breve per cancellare la colpa causam dans del professionista che abbia concorso a creare il dissesto.

Francamente, però, sarebbe stato meglio non porre alcun termine limitativo, poiché davvero non si comprende che senso abbia consentire che tale professionista svolga le funzioni di curatore, qualunque sia stato il momento in cui la sua partecipazione alla determinazione del dissesto sia avvenuta.

II)

Innovativamente si prevede che non possa altresì essere nominato curatore chi abbia svolto la funzione di commissario giudiziale in relazione ad una procedura di concordato (preventivo) per il medesimo debitore, nonché chi sia unito in associazione professionale con chi abbia svolto tale funzione.

La nuova ragione di incompatibilità sembra a prima vista alquanto eccentrica, ma va verosimilmente collegata alla possibilità che il commissario giudiziale nominato nel concordato preventivo possa avere la tentazione di esprimere valutazioni negative sull'ammissibilità del concordato, spingendo per la revoca o per la non omologa, nella prospettiva di poter poi raddoppiare il suo compenso svolgendo, in caso di fallimento, anche la funzione di curatore.

La preoccupazione è tutt'altro che peregrina, tanto che una circolare della Sezione fallimentare del Tribunale di Milano del 2010 (alquanto nota, mi si consenta dirlo) (cfr.

il punto A.11. del Testo unificato della circolare n. 2/2010 del 23 marzo 2010 aggiornata ed integrata in base alla circolare n. 4/2010 del 27.9.2010, pubblicato sul sito internet del Tribunale di Milano

) già evidenziava, e chiaramente proprio per la suddetta ragione, come si fosse ritenuto preferibile, alla luce di varie criticità riscontrate quando viene nominato come curatore fallimentare (laddove una procedura di concordato preventivo si converta in fallimento) lo stesso professionista che abbia già svolto le funzioni di commissario giudiziale, non procedersi in alcuni casi a tale duplice e consecutiva nomina in favore del medesimo professionista, nominandosi quindi come curatore un soggetto diverso da colui che abbia svolto le funzioni di commissario.

Ora il

D.L. n. 83/2015

codifica tale cautela, ma trasformandola, con soluzione per ciò stesso esorbitante, in una vera e propria causa non superabile di incompatibilità, quando più semplicemente ci si sarebbe potuti limitare a demandare al Tribunale, magari con un'apposita avvertenza, la valutazione di opportunità, nell'esercizio del suo prudente apprezzamento, circa la nomina del commissario giudiziale anche a curatore, tenuto conto che in talune procedure molo complesse avere già acquisito conoscenza delle varie problematiche è un atout di non poca importanza ed utilità.

Senza considerare poi come i professionisti non siano tutti uguali, e che occorre talora anche soppesare il rischio contrario a quello che si è voluto evitare; ossia il rischio che il commissario, sapendo di non poter essere poi nominato curatore, indulga a favorire la prosecuzione del concordato preventivo, da ciò potendo derivare l'aspettativa ad un compenso maggiore e tendenzialmente integrale.

III)

Si impone inoltre un requisito dimensionale e funzionale aggiuntivo: il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall'articolo 104-ter, ossia del termine per la predisposizione del programma di liquidazione (che ora dovrà avvenire entro sessanta giorni dalla redazione dell'inventario e in ogni caso non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento), e del termine (non superiore, di norma, a due anni) entro il quale deve completarsi la liquidazione dell'attivo.

La norma precisa che la sentenza di fallimento deve motivare specificamente in ordine alla sussistenza del requisito in oggetto e deve tener conto, anche alla luce delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all'articolo 33, comma 5, delle eventuali indicazioni in ordine alla nomina del curatore espresse dai creditori nel corso del procedimento di cui all'articolo 15.

Queste ulteriori precisazioni sono per la verità contraddittorie, poiché la sentenza di fallimento evidentemente precede i successivi rapporti riepilogativi di cui all'art. 33 (intesi come rapporti relativi al medesimo fallimento dichiarato), e quindi non ha senso che essa debba tenerne conto.

A meno che non si sia voluto intendere che il Tribunale debba tener conto dei rapporti riepilogativi depositati da professionisti – segnalati da qualche creditore nel corso del procedimento prefallimentare - che già siano stati nominati come curatori in altri fallimenti, eventualità, quella della segnalazione, peraltro rarissima, e finanche di sospetto significato, non apparendo evidentemente del tutto asettica un'indicazione di tal fatta.

Ad ogni modo, se così dovesse intendessi la norma, sarebbe di applicazione davvero residuale e non avrebbe attitudine ad intaccare, in modo così apparentemente eccentrico e strambo, i poteri decisori del Tribunale, che nella nomina dei curatori segue sì, di norma, criteri rotativi di equa distribuzione, ma senza certo dimenticare i curricula degli interessati e se i precedenti comportamenti giustifichino il perdurare di un indispensabile rapporto fiduciario.

Non condivisibile è in ogni caso la previsione secondo cui il Tribunale deve motivare specificamente in ordine alla sussistenza del requisito concernente il possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall'articolo 104-ter, poiché, a meno di ritenere che il Tribunale possa limitarsi ad adottare formule di stile (come ad es.: “si nomina il dr. X in quanto in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiono adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall'articolo 104-ter”), una motivazione davvero specifica risulterebbe essere l'ennesima goccia capace di “cavare lapidem”, aggiungendosi (in modo del tutto superfluo, e solo corrivo ad un burocratismo stolido) alla miriade di incombenti cui deve già far fronte il Tribunale, in tempi quanto mai ristretti, e con carichi di lavoro ormai insopportabili.

Non ultimo, la norma istituisce presso il Ministero della Giustizia un registro nazionale nel quale confluiranno i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali (in base ad una comunicazione che costituirà a sua volta un ulteriore incombente che andrà a gravare in tal caso sulle altrettanto oberate cancellerie).

Nel registro si prevede che vangano altresì annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse. Il registro è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico.

Che dire al riguardo?

Che un registro contenente i provvedimenti di nomina dei curatori possa servire astrattamente quale base informativa per eventuali controlli su nomine pilotate o non corrette può anche giudicarsi positivamente; si dubita tuttavia che poi tale iniziativa possa sfociare in una concreta utilità, in difetto di criteri sulla cui base poter valutare le nomine (se non in senso puramente numerico, o della loro frequenza statistica).

Non si comprende peraltro come mai analogo registro non sia stato istituito relativamente ai provvedimenti di nomina dei commissari nelle procedure di amministrazione straordinaria, che, promanando da fonte sostanzialmente politica, prima ancora che amministrativa, sono notoriamente ben più a rischio di quelli di nomina dei curatori da parte di un organo terzo e di controllo come il Tribunale.

Una strana forma di strabismo, dunque, che vede con maggior sospetto le nomine fatte dal Tribunale, anziché quelle fatte da autorità politico-amministrative.

Meno strana è la previsione che statuisce siano altresì annotati nel registro i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse.

Si tratta infatti semplicemente di dati da utilizzare per ricerche statistiche sulle tipologie di fallimenti e di concordati.

Termini del programma di liquidazione

Il Governo, come si diceva, ha ritenuto di dover intervenire anche sui tempi di redazione ed attuazione del programma di liquidazione di cui all'

art. 104-

ter

l

.

fall

. stabilendo che il curatore, già tenuto a predisporre il programma entro sessanta giorni dalla redazione dell'inventario, non può in ogni caso superare il termine di centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento.

La norma precisa ora che il mancato rispetto di tale termine senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore.

Viene poi aggiunta una lettera f), puntualizzandosi che il curatore deve anche indicare il termine ultimo entro il quale sarà completata la liquidazione dell'attivo, termine che non può eccedere i due anni, salvo che, limitatamente a determinati cespiti dell'attivo, il curatore ritenga necessario un termine maggiore, poiché in tal caso è tenuto a motivare specificamente in ordine alle ragioni che giustificano tale maggior termine.

Anche il mancato rispetto di questo termine, come di tutti quelli previsti dal programma di liquidazione senza giustificato motivo, è giusta causa di revoca del curatore.

Un insieme di paletti, questo, che – nel quadro più generale del contenimento dei tempi del fallimento nei limiti della “ragionevole durata” - appare finalizzato ad una complessiva sollecitazione del curatore ad adempiere con la massima rapidità alle procedure di vendita, anche se poi dovrà valutarsi in concreto come tale rapidità possa conciliarsi con una crisi generale del mercato immobiliare come quella attuale, che non consente affatto di vendere a prezzi ragionevoli di mercato, e che comunque impone molteplici tentativi di vendita che richiedono tempi lunghi.

Si stabilisce infine che il curatore, fermo restando quanto disposto dall'articolo 107, può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo non solo ad altri professionisti, ma anche a società specializzate.

Non si comprende però il senso di tale specificazione, che in realtà appare del tutto superflua, visto che nulla di sostanziale aggiunge alla previsione, già contenuta nel richiamato art. 107 (che la norma fa salvo), che attribuisce al curatore il potere di avvalersi per le vendite di soggetti specializzati.

Modalità delle vendite

Utile può giudicarsi invece l'integrazione apportata all'art. 107, statuendosi la possibilità di rateazione del versamento del prezzo di vendita.

Si applicano, in quanto compatibili, soggiunge la norma, le disposizioni di cui agli

articoli 569,

comma 3, terzo periodo,

574, comma

1, secondo periodo e 587,

comma

1

, secondo periodo, del codice di procedura civile

.

Si tratta, in sostanza, delle analoghe norme del codice di rito che, in materia di esecuzione ordinaria, prevedono ora, sulla base delle altre concomitanti modifiche normative disposte dal

D.L. n. 83/2015

, la possibilità di rateazione del prezzo (ma non oltre dodici mesi).

È superfluo rilevare che proprio in una situazione di crisi del mercato immobiliare come quella attuale, cui abbiamo testè fatto cenno, diventa importante offrire una possibilità di rateazione (entro limiti comunque compatibili, però, con la ragionevole durata del fallimento).

Chiusura del fallimento e giudizi pendenti

Assicurata la più celere liquidazione dei beni – almeno in teoria – con la previsione di termini stringenti a carico del curatore, restava da assicurare una modalità di accelerazione della chiusura del fallimento per rendere più concreto l'allineamento della sua durata a quella “ragionevole”, eliminando lo scoglio dei giudizi pendenti, che spesso si trascinano per anni.

Modificando l'

art. 118

l. fall

., il

D.L. n. 83/2015

ha perciò previsto che la chiusura della procedura di fallimento nel caso di riparto finale dell'attivo cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell'

articolo 43 l. fall

.

Siccome in tal caso matureranno necessariamente nella fase di prosecuzione dei giudizi successiva alla chiusura del fallimento vari costi processuali, la norma si preoccupa di precisare che le somme necessarie per le spese future relative ai suddetti giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall'articolo 117, comma 2, ossia secondo il regime degli accantonamenti relativo ai casi in cui la condizione apposta ad un provvedimento di ammissione al passivo non si sia ancora verificata ovvero un provvedimento provvisoriamente esecutivo che abbia disposto un pagamento a favore del fallimento non sia ancora passato in giudicato.

Dopo la chiusura della procedura di fallimento le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi sono fatte oggetto di riparto supplementare fra i creditori, sempre secondo il regime ordinario previsto per gli accantonamenti, come del resto poteva considerarsi già previsto dall'art. 117, comma 2.

In nessun caso – soggiunge il nuovo testo dell'art. 120, come modificato dal

D.L. n. 83/2015

- i creditori possono agire su quanto è oggetto dei giudizi medesimi, trattandosi di realizzi destinati ex ante al concorso e quindi in via derivativa attratti nella sfera dello spossessamento e nella regola della sottrazione del patrimonio responsabile a singole procedure esecutive.

Per lo stesso motivo le eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non possono dar luogo a riapertura del fallimento. Si tratta, appunto, di sopravvenienze in senso improprio, avendo radice nel fallimento pregresso e non in fatti successivi.

Sempre perché le sopravvenienze sono riferibili al pregresso fallimento, d'altronde, se alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti supplementari delle sopravvenienze, il venir meno dell'impedimento all'esdebitazione di cui al comma secondo dell'articolo 142 (vale a dire se non sia stato possibile soddisfare neppure in parte i creditori concorsuali), il debitore può chiedere l'esdebitazione nell'anno successivo al riparto che lo ha determinato. Viene quindi in tal modo rimesso in termini al suddetto fine.

In previsione poi dell'opportunità che i suddetti giudizi vengano chiusi in via conciliativo-transattiva, si prevede che, in deroga all'articolo 35, anche le rinunzie alle liti e le transazioni possano essere autorizzate dal giudice delegato (anziché dal comitato dei creditori).

Del resto, per il periodo post-chiusura, è sempre stata prevista un'ultrattività delle funzioni giudiziali per l'esaurimento delle attività concorsuali residuate e non prima compiute, ma tale ultrattività non ha mai riguardato il comitato dei creditori.

Dando esplicita veste a tale risalente opinione interpretativa, ne risulta modificato ora anche l'art. 120, ove si precisa infatti espressamente che, nell'ipotesi di chiusura in pendenza di giudizi ai sensi dell'articolo 118, comma 2, terzo periodo e seguenti, il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto.

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