Repetita iuvant? Vecchie inammissibilità e nuove disposizioni in tema di concordato

Luigi Amerigo Bottai
03 Agosto 2012

La domanda di concordato preventivo depositata in data 29 giugno 2012 nell'erronea convinzione della vigenza dell'art. 33 del d.l. n. 83/2012, la cui entrata in vigore è invece differita alla decorrenza del trentesimo giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione, è inammissibile.
Massima

La domanda di concordato preventivo depositata in data 29 giugno 2012 nell'erronea convinzione della vigenza dell'art. 33 del d.l. n. 83/2012, la cui entrata in vigore è invece differita alla decorrenza del trentesimo giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione, è inammissibile.

Parimenti inammissibile è la proposta imperniata esclusivamente sulla liquidazione del patrimonio della società debitrice che preveda il soddisfacimento in percentuale dei creditori assistiti da una causa di prelazione generale, oltre che dei chirografari, poiché viola il divieto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione di cui all'art. 160, comma 2 l. fall.. In mancanza di apporti esterni al patrimonio del debitore non è, infatti, possibile destinare le risorse derivanti dalla liquidazione del patrimonio del debitore stesso ai creditori privilegiati di un certo grado se non dopo aver soddisfatto integralmente i creditori con causa di prelazione generale antergata.

Il caso

Una società presenta una prima domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, priva della necessaria documentazione, in data successiva alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto-legge n. 83/2012 (avvenuta il 26 giugno 2012), chiedendo di potersi avvalere del termine di 60/120 giorni previsto dal nuovo 6° comma dell'art. 161 l. fall. (inserito dall'art. 33 di quel decreto legge) per produrre tutti i documenti prescritti dall'art. 161 l. fall. Dichiarata inammissibile ai sensi del 3° comma del medesimo art. 33 - il quale posticipa l'entrata in vigore della disposizione in discorso “ai procedimenti di concordato preventivo e per l'omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti introdotti dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” -, la stessa debitrice dopo nove giorni deposita un secondo ricorso, completo della documentazione di cui all'art. 161, prevedendo il pagamento del 71,5% dei crediti privilegiati generali ex art. 2751-bis nn. 1, 2 e 5 c.c.; del 70% dei crediti privilegiati previdenziali ed erariali; e dell'8% ai chirografari. Il Tribunale, con il provvedimento in commento, rigetta la domanda per inosservanza del divieto di alterazione dell'ordine dei privilegi (art. 160, cpv., l. fall.), posto a tutela del principio secondo il quale i beni del debitore garantiscono i creditori di quest'ultimo secondo i diritti di soddisfacimento indicati negli artt. 2741 ss. c.c.

Le questioni giuridiche e le conseguenti osservazioni

Due sono le quaestiones affrontate dal Collegio milanese: l'applicabilità immediata delle “rivoluzionarie” innovazioni normative sui concordati preventivi introdotte dall'art. 33 d.l. 83/2012 e l'allocazione vincolata delle risorse provenienti esclusivamente dal patrimonio del debitore.
In ordine alla prima, il Tribunale non ha potuto fare altro che constatare l'attuale non vigenza della disposizione di cui al nuovo 6° comma dell'art. 161 l. fall. invocata dalla ricorrente, negando l'ammissione al concordato c.d. “con riserva”, ovverosia previa concessione del richiesto termine minimo di 60 giorni al fine di depositare la proposta, il piano e la documentazione indicata ai commi secondo e terzo dell'art. 161 medesimo (conforme Trib. Roma, decr. 6.7.2012, est. Di Salvo, inedito). Com'è noto, il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante "Misure urgenti per la crescita del Paese" (GU n. 147 del 26-6-2012, Suppl. Ord. n. 129), per mezzo dell'art. 33 - modificato a sua volta in maniera incisiva dalla Camera dei Deputati in sede di conversione (v. ddl 5312 approvato il 25.7.2012; poi AS n. 3426) e infine approvato definitivamente senza ulteriori modifiche dal Senato il 3.8.2012 - innesta nella legge fallimentare varie misure per incentivare l'emersione e la gestione delle crisi d'impresa in continuità aziendale, favorendo al contempo i terzi contraenti (con il pagamento integrale) affinché non abbandonino il debitore. Tra le norme di maggiore impatto vi è proprio quella in commento, che, anche a seguito degli emendamenti approvati dal primo ramo del Parlamento (sempreché vengano confermati senza modifiche dal Senato), concede all'imprenditore la facoltà di “depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni” (nuovo sesto comma dell'art. 161). Ciò sulla falsariga di quanto accade nella procedura di reorganization (Chapter 11) statunitense, laddove tuttavia, non essendo contemplata la figura del Commissario giudiziale (almeno nella ordinarietà delle ipotesi), il periodo di “salvezza” di 120 giorni è funzionale al raggiungimento degli accordi con i creditori per l'approvazione del piano.
La perplessità che si era posta già all'emanazione del decreto-legge riguardava il rischio (concreto) che ogni debitore nel corso dell'istruttoria prefallimentare depositasse una semplice istanza di pre-concordato (assai stringata) onde bloccare la dichiarazione di fallimento. Con l'emendamento apportato dalla Camera si è ovviato al pericolo, sancendo i) obblighi informativi periodici a carico del ricorrente, ii) l'inammissibilità della proposta quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo sesto comma “alla quale non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura di concordato preventivo o l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti”, e iii) la riduzione del termine al minimo (60 giorni, prorogabili solo per giustificati motivi) “quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento”.
Più in generale si può affermare come l'intervento legislativo, finalmente tempestivo, regoli fasi imprenditoriali finora lasciate alla prassi, aprendo peraltro un solco disciplinare fra le soluzioni concordatarie “in continuità” (agevolate) e quelle meramente liquidatorie, con rilevanti ripercussioni sull'attuale concezione della responsabilità patrimoniale che la dottrina non mancherà di approfondire (basti considerare la portata sistematica delle disposizioni contenute nei nuovi artt. 182-quinquies e 186-bis l.fall.).
Quanto al secondo problema, relativo alla distribuzione delle risorse rivenienti dal patrimonio del debitore, i Giudici hanno ribadito che essa non può reputarsi libera, “come sarebbe quella della finanza cd. esterna” (assente nel caso di specie, ma che, “ove esistente, legittimerebbe il soddisfacimento in percentuale dei chirografari a prescindere dall'avvenuto integrale soddisfacimento dei privilegiati generali”). Gli apporti di terzi al patrimonio del debitore – che la recente Cass. 8.6.2012, n. 9373, ritiene sottratti al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risultino neutrali rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né un incremento dell'attivo, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo - possono consistere in immissioni di finanza a titolo gratuito, nella messa a disposizione dei creditori di beni o garanzie da parte di un soggetto diverso dal debitore in crisi, in postergazioni volontarie o in rinunce a crediti condizionate all'omologazione; al di fuori di tali ipotesi il sistema normativo non consente di destinare le risorse derivanti dalla liquidazione del patrimonio del debitore ai creditori privilegiati di un certo grado se non dopo aver soddisfatto integralmente i creditori con causa di prelazione potiore, né ammette pagamenti (sia pur percentuali) ai chirografari se non dopo aver soddisfatto integralmente tutti i privilegiati generali. E', questa, la piana applicazione del disposto dell'art. 160, comma 2, l. fall., di cui ancor oggi non tutti gli interpreti mostrano di fare buon governo.
Il sistema codicistico di cui agli artt. 2741-2748 c.c. ricorda sempre che tanto i crediti aventi privilegio generale, quanto quelli assistiti da privilegio speciale o pegno o ipoteca, concorrono sul patrimonio del comune debitore, rispettivamente mobiliare e immobiliare, in un'unica graduatoria, secondo la collocazione e il grado previsti dai successivi articoli per ciascuna massa. Quella graduazione segna l'ordine da seguire anche al momento della realizzazione concorsuale (art. 111-quater l. fall.); la trasposizione di detto principio in ambito concordatario (preventivo e fallimentare) è data dal criterio approntato dagli artt. 124, comma 3, e 160, comma 2. Come ha osservato di recente autorevole dottrina, “a ben vedere, tale norma non costituisce affatto una eccezione al sistema, bensì una conferma dell'omogeneità di trattamento riservato ai creditori nel concordato e nel fallimento, e, quindi, una conferma del rispetto dell'ordine di graduazione” (a condizione peraltro che i privilegiati non ricevano un trattamento deteriore rispetto a quanto potrebbero percepire in caso di liquidazione dei beni oggetto della prelazione: Bozza, Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 381).
E seppure la Corte di legittimità abbia asserito che la norma dell'art. 160, comma 2, “attiene al trattamento aggiuntivo rispetto a quello imposto ex lege (ancorato al valore dei beni oggetto della garanzia) che viene deciso discrezionalmente dal debitore ma che trova appunto un limite nel rispetto del grado di rilevanza attribuito dal legislatore ai diversi crediti in ragione del valore sociale della loro causa” (Cass. 4.11.2011, n. 22931), in realtà essa assume un ruolo determinante nella regolamentazione della libertà del debitore nella formulazione della proposta, in quanto “per un verso esclude l'esistenza di un principio indeterminato di libera e incondizionata decurtazione dei crediti preferenziali e, per altro verso, pone il principio che i creditori preferenziali debbono essere soddisfatti per intero se la capienza patrimoniale lo consente o comunque nei limiti in cui tale capienza lo consente” (G. Bozza, ibidem).
E poiché nella proposta all'esame del Collegio in epigrafe si prevedeva, con le sole risorse endogene, la soddisfazione percentuale sia dei privilegiati di primo, secondo e quinto grado (71,5%), sia dei crediti previdenziali ed erariali (70%), come pure dell'8% al chirografo, ecco che risultava violato il disposto dell'art. 160, cpv., l. fall., vuoi nella prima parte (capienza dei crediti fino al valore di stima), vuoi nella seconda (rispetto dell'ordine di prelazione).
Un ultimo accenno merita il rilievo finale del decreto, rimasto però assorbito dal rigetto, in ordine alla errata “tecnica di formazione delle classi”. E' convinzione ancora diffusa che il trattamento da riservare ai diversi tipi di crediti (prededucibili, privilegiati e chirografari) possa dipendere dalla scelta negoziale del debitore di suddividere il ceto creditorio in classi; si assiste così di frequente a proposte concordatarie che contemplano un alto numero di “classi” di crediti essenzialmente prededotti ovvero assistiti da prelazione (ad es., spese di procedura, spese per la continuità aziendale, privilegi di varia natura, chirografi degradati per incapienza, ecc.). Orbene, il Tribunale di Milano opina correttamente che il "classamento" dei creditori non può riguardare tecnicamente i crediti privilegiati fino alla concorrenza del valore di stima dei beni su cui grava la garanzia, i quali restano indifferenti alla proposta perché disciplinati da norme inderogabili (principio di non conformabilità dell'obbligazione assistita da prelazione nella domanda di concordato: Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, Milano, 2011, 166 ss.).
L'idea che siffatte anomale proposte possano essere sottoposte all'approvazione a maggioranza delle classi di creditori non tiene conto del menzionato rapporto fra le due norme-cardine in tema, l'art. 160 (e 124) l. fall. e l'art. 2741 c.c.; inoltre classi e privilegi sono concetti non equiparabili, sia perché l'uno è di origine negoziale (il proponente può formare le classi) e l'altro legale (regola imperativa: è il legislatore che antepone alcune categorie in base alla natura o causa del credito), sia perché le classi si creano dopo la crisi, mentre i privilegi preesistono ad essa. La riprova dell'impossibilità di formare classi di crediti privilegiati è rappresentata dal chiaro tenore dell'art. 177 l. fall. (e 127) sul diritto di voto: in nessun caso i titolari di crediti prelatizi di qualunque specie (che trovino capienza nel patrimonio debitore) possono votare la proposta di concordato, a meno che non rinuncino alla (o almeno a parte della) prelazione.
La facoltà di istituire classi di creditori (chirografari) da trattare differentemente, da un lato, rappresenta una notevole potenzialità di successo della soluzione concordataria (oggi implementata dall'introduzione del silenzio-assenso in fase di votazione: nuovo 4° comma dell'art. 178); dall'altro, però, questa moltiplicazione delle categorie deliberanti mina alla base la legittimità della regola maggioritaria, a causa del venir meno sia dell'unitarietà della proposta sia dell'omogeneità generale dei votanti (ad ogni raggruppamento corrisponde un diverso interesse economico e alcuni di essi verranno penalizzati rispetto ad altri). Ciò implicherebbe l'applicazione della regola alternativa dell'unanimità. Ma tale regola, oltre ad essere inefficiente, esporrebbe il proponente al potere di veto (o di ricatto) di ogni classe. Ecco allora che, in simili ipotesi, il legislatore ha previsto il ricorso al canone costituzionale della “ragionevolezza”, rappresentato dal rimedio essenziale del cram down (art. 180, 4° comma, secondo periodo).

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