Chiose in tema di responsabilità civile del professionista attestatore

11 Febbraio 2015

Il professionista chiamato a predisporre le attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3, 161, comma 3, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis, nell'ambito di procedure di concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti, svolge funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice, con caratteristiche di indipendenza e professionalità.L'Autore si concentra, in particolare, sulla responsabilità dell'attestatore, analizzando gli elementi che fanno propendere per l'affermazione della sua natura civile, e non aquiliana, ed esponendo le conseguenze, anche in ordine ai termini di prescrizione dell'azione.
Il ruolo del professionista attestatore: indipendenza e professionalità

Nelle trattazioni dottrinali e, per vero, anche in alcuni obiter contenuti in pronunce di giudici di merito, è frequente l'affermazione per la quale la responsabilità del professionista attestatore (nel piano attestato, negli accordi di ristrutturazione e nel concordato preventivo) si atteggia come responsabilità contrattuale nei confronti del debitore (e su ciò non possono esservi dubbi), mentre avrebbe natura extracontrattuale nei confronti dei creditori (

cfr. S. Fortunato, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi d'impresa, in Fall., 2009, 889. Per altri interessanti profili cfr. Galletti, La responsabilità civile dell'attestatore nel fallimento, in ilFallimentarista.it

).

Secondo le Sezioni u

nite (

Cass. n. 1521/2013

), il piano e la documentazione di supporto relativa all'aggiornamento sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, allo stato analitico ed estimativo delle attività dell'imprenditore (in essi compresi l'elenco dei creditori), all'indicazione dei titolari di diritti su beni del debitore, alla segnalazione del valore dei beni, oltre che dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili, devono essere poi accompagnati dalla relazione di un professionista, "che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo" (

L. Fall., art. 161,

comma 3).

Alla stregua della non equivoca formulazione della disposizione da ultimo citata non sembra potersi dubitare del fatto che il legislatore ha inteso demandare esclusivamente al professionista il compito di certificare la veridicità dei dati rappresentati dall'imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dallo stesso proposto.

Al detto attestato deve infatti essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall'interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice.

Ne consegue dunque che, pur non essendo un consulente del giudice - come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo -, il professionista attestatore ha le caratteristiche di indipendenza (ulteriormente indirettamente rafforzate dalle sanzioni penali previste dalla

L. Fall., art. 236-

bis

, introdotto con il

D.L. n. 83 del 2012

) e professionalità idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo.

Deve dunque ritenersi che egli svolga funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice, come pure si desume dal significativo ruolo rivestito in tema di finanziamento e di continuità aziendale (

L. Fall., art. 182-

quinquies

, di cui al

D.L. n. 83 del 2012

), circostanza questa che esclude che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori, e viceversa comporta che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario.

La responsabilità contrattuale del debitore nella giurisprudenza

Da tempo le

Sezioni Unite

(

Cass., Sez.

un., 26 giugno 2007, n. 14712

) hanno evidenziato che è opinione ormai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta" (

art. 1218 c.c.

) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne dà il successivo

art. 1321 c.c.

, ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte. In tale contesto la qualificazione "contrattuale" è stata definita da autorevole dottrina come una sineddoche (quella figura retorica che consiste nell'indicare una parte per il tutto), giustificata dal fatto che questo tipo di responsabilità più frequentemente ricorre in presenza di vincoli contrattuali inadempiuti, ma senza che ciò valga a circoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe altrimenti suggerire.

Pur non senza qualche incertezza, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. Così, ad esempio, è stato attribuito carattere contrattuale non soltanto all'obbligazione di risarcimento gravante sull'ente ospedaliero per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico operante nell'ospedale, ma anche all'obbligazione del medico stesso nei confronti del paziente, quantunque non fondata sul contratto, ma sul solo contatto sociale, poiché a questo si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi che si manifestano e sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (cfr., tra le altre,

Cass. n. 9085 del 2006

,

Cass. n. 12362 del 2006

,

Cass. n. 10297 del 2004

); e natura contrattuale è stata riconosciuta anche alla responsabilità del sorvegliante dell'incapace, per i danni che quest'ultimo cagioni a se stesso in conseguenza della violazione degli obblighi di protezione ai quali il sorvegliante è tenuto, sul presupposto che quegli obblighi derivino da un rapporto giuridico contrattuale che tra tali soggetti si instaura per contatto sociale qualificato (cfr

.

Cass. n. 11245 del 2003

).

Ne deriva che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti).

In quest'ottica deve esser letta anche la disposizione dell'

art. 1173 c.c.

che classifica le obbligazioni in base alla loro fonte ed espressamente distingue le obbligazioni da contratto (da intendersi nella più ampia accezione sopra indicata) da quelle da fatto illecito. Si potrebbe in verità anche sostenere - ed è stato sostenuto - che la nozione di obbligazione contrattuale contenuta in detto articolo ha una valenza più ristretta, e che le obbligazioni derivanti dalla violazione di specifiche norme o principi giuridici preesistenti ricadono nell'ulteriore categoria degli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, cui pure la medesima norma allude. Piuttosto che obbligazioni di natura contrattuale le si dovrebbe insomma definire obbligazioni ex lege.

La questione sembra avere, in verità, un valore essenzialmente classificatorio, giacché in linea generale il regime cui sono soggette tali obbligazioni ex lege non si discosta da quello delle obbligazioni contrattuali in senso stretto. Ma, comunque, tenuto conto del carattere assai vago della definizione adoperata per individuare siffatta ulteriore categoria di obbligazioni (essendosi peraltro i redattori del vigente codice civile espressamente rifiutati sia di ripetere la preesistente espressione di obbligazioni derivanti dalla legge, sul presupposto che tutte le obbligazioni si fondano sulla legge, sia di evocare le antiche figure del quasi-contratto e del quasi-delitto, prive di un reale contenuto determinato), e considerate le difficoltà in cui la stessa dottrina si è sempre trovata nell'interpretare questa espressione normativa (che taluno non ha esitato a definire "sgangherata"), appare probabilmente preferibile circoscriverne la portata alle sole obbligazioni che con sicurezza ne costituiscono la base storica: quelle integranti la cosiddetta responsabilità da fatto lecito - in primis la responsabilità derivante dalla gestione di affari altrui o dall'arricchimento privo di causa - la quale nè presuppone l'inesatto adempimento di un obbligo precedente (di fonte legale o contrattuale che sia), nè dipende da comportamenti illeciti in danno altrui.

La responsabilità del professionista

Da tali premesse – secondo la pronuncia delle Sezioni u

nite – si ricava la natura contrattuale della responsabilità del professionista, il quale abbia espletato la sua attività in violazione delle specifiche regole poste dalla legge; e nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate, i quali, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno: prima di tutti il debitore che abbia conferito l'incarico di redigere la relazione, ma eventualmente anche i creditori, i quali abbiano fatto affidamento sulla completezza, veridicità e ragionevolezza dell'attestazione, nonché, se del caso, qualsiasi terzo che abbia instaurato rapporti con la procedura (o con il debitore – piano attestato e accordi di ristrutturazione).

Induce a ciò la considerazione che quelle regole di redazione dell'attestazione ricavabili dall'

art. 236-

bis

l. fall

. (veridicità e completezza in relazione ai dati rilevanti), pur certamente svolgendo anche un'indiretta funzione di rafforzamento dell'interesse generale alla regolare definizione concordata dell'insolvenza, appaiono essenzialmente volte a tutelare i diritti di coloro che all'attestazione di fattibilità di quello specifico accordo (o piano o proposta) sono interessati: ciascuno dei quali ha ragione di confidare sul fatto che il proprio credito verrà soddisfatto con le modalità e nei termini che l'accordo prevede, la cui concreta fattibilità, proprio per questo, è rimessa dalla legge all'attestazione di un professionista indipendente “ordinato”, ossia ad un soggetto dotato di specifica professionalità a questo riguardo.

Ed è appena il caso di aggiungere che tale professionalità dell'attestatore si riflette necessariamente sull'intera gamma delle attività da lui svolte nell'esercizio della professione, posto che il professionista stesso dispone di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti interessati non hanno. Dal che appunto dipende, per un verso, l'affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento, da parte dell'attestatore, dei compiti inerenti alla professione svolta e, per altro verso, la specifica responsabilità in cui il professionista medesimo incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quella attività, ove, viceversa, egli non osservi le regole al riguardo prescritte dalla legge.

La previsione del citato

art. 236-

bis

l. fall

., in virtù della quale il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, comma 3, lettera d), 161, comma 3, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro, letta in combinazione con le norme dettate dalle disposizioni della

legge fallimentare

richiamate in ordine ai soggetti interessati ad una informazione completa e veridica, sta appunto a significare che la responsabilità del professionista dipende dalla violazione di quelle norme.

È bensì vero che l'ordinamento conosce anche casi di responsabilità aquiliana contemplati da norme specifiche, che costituiscono attuazione del principio generale posto dall'

art. 2043 c.c.

, ma deve pur sempre trattarsi di situazioni nelle quali la responsabilità si manifesta primariamente nell'obbligo risarcitorio. Qui, invece, in capo al professionista attestatore sorge, prima d'ogni altro, un obbligo professionale - derivante dalla sua stessa funzione, in considerazione della quale la legge stabilisce, appunto, che l'attestazione contenga dati veridici e informazioni complete - di far sì che gli interessati possano adeguatamente valutare le proposte del debitore esprimendo un consenso informato.

E la responsabilità deriva appunto dalla violazione di un siffatto obbligo di protezione, che opera nei confronti di tutti i soggetti interessati a quella corretta informazione e al buon fine della procedura (o accordo o piano): obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto. Il che, per le ragioni dianzi chiarite, necessariamente conduce fuori dall'ambito della responsabilità aquiliana, non permette di configurare un caso di responsabilità ex lege (intesa come responsabilità da atto lecito) e porta invece a concludere per la natura (lato sensu) contrattuale della responsabilità ricadente sull'attestatore.

Conclusioni

La conclusione cui si è pervenuti circa la natura della responsabilità di cui si discute ha un'ovvia quanto immediata conseguenza in ordine al termine di prescrizione cui è soggetta l'azione di risarcimento proposta dal danneggiato. Esclusa la natura aquiliana di detta responsabilità, è infatti evidente che nessuno spazio può trovare, in un caso come questo, la disposizione dell'

art. 2947 c.c.

, secondo cui il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato. Resta invece applicabile, in difetto di altra disposizione che più specificamente si attagli alla fattispecie, il regime della prescrizione ordinaria decennale stabilito dall'

art. 2946 c.c.

Le stesse considerazioni valgono per ciò che concerne l'onere della prova gravante sui creditori e sull'attestatore convenuto in giudizio.

Peraltro, non sarà sfuggito, ai più, che nei paragrafi precedenti sono state riportate quasi testualmente (salvo le necessarie interpolazioni, quanto alla sentenza n. 14712/2007) due pronunce delle Sezioni unite, l'una in tema di concordato preventivo, l'altra in tema di responsabilità da contatto, le quali farebbero propendere per la natura contrattuale (da contatto) anche della responsabilità del professionista attestatore nei confronti dei creditori.

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