L'art. 182-sexies l. fall. e la sospensione delle norme di salvaguardia del capitale sociale al tempo della crisi dell'impresa: effetti positivi, controindicazioni ed effetti collaterali da overshooting

Filippo Lamanna
29 Settembre 2015

L'Autore dedica il proprio contributo a quello che viene definito il nuovo “diritto societario della crisi”, un'intersezione normativa frutto dei più recenti interventi riformatori del Legislatore per fronteggiare una crisi finanziaria dilagante. In particolare viene appronfondita la riflessione sulla disposizione di cui all'art. 182-sexies l. fall., sugli effetti positivi e negativi della norma, nonché sui problemi interpretativi e applicativi.
Le interferenze tra misure di salvaguardia del capitale sociale e soluzioni concordate della crisi nel diritto societario della crisi d'impresa

Com'è ben noto, è stato soprattutto l'anno 2012 quello in cui, dinanzi ad una crisi finanziaria sempre più devastante, il legislatore, anche sotto la spinta delle istituzioni europee, ha emanato – inaugurando un trend destinato ad ulteriori sviluppi - una legislazione particolarmente alluvionale nell'intento, purtroppo raggiunto solo in minima parte, di arginarla e superarla.

La particolare intensità degli interventi normativi e la circostanza che essi, avendo avuto ad oggetto incentivi di varia natura per la ripresa economica, abbiano interessato soprattutto, da un lato, le imprese costituite in forma societaria, e, dall'altro, gli istituti concorsuali deputati a perseguire una soluzione concordata delle crisi d'impresa, facendo emergere una vasta area d'intersezione e di sempre maggiore interferenza tra diritto societario e diritto concorsuale, hanno in via consequenziale dato impulso all'elaborazione di un nuovo “diritto societario della crisi” (

v. Tombari, I finanziamenti dei soci e i finanziamenti infragruppo dopo il decreto sviluppo: prededucibilità o postergazione? Prime considerazioni sul diritto societario della crisi, in ilFallimentarista.it).

Tra le varie norme emanate in quest'ambito spiccano quelle dei cd. Decreti Sviluppo.1 e Sviluppo.2 susseguitisi a distanza di circa 4 mesi, ossia – rispettivamente – il

D.L. 22 giugno 2012, n. 83

conv. in

L. 7 agosto 2012, n.134

, e il

D.L. 18 ottobre 2012, n. 179

conv. in

L. 17 dicembre 2012, n. 221

.

Il primo, in particolare, ha introdotto varie norme che hanno modificato l'impianto della

legge fallimentare

al fine di agevolare l'accesso alle procedure di concordato preventivo e di ristrutturazione dei debiti

ex

art. 182-

bis

l. fall

., dando inoltre particolare risalto alla nuova figura del concordato con continuità aziendale delineata nell'art. 186-bis.

Tuttavia, tra le varie norme innovative, quella che forse con maggiore evidenza si è posta a cavaliere tra il diritto concorsuale e il diritto societario è l'art. 182-sexies, che ha disposto la temporanea paralisi, per tutta la durata del concordato, delle norme del codice civile contenenti misure poste a salvaguardia del capitale sociale in occasione di perdite superiori al terzo, specie se capaci di intaccare o finanche di assorbire il capitale nella sua interezza.

La sospensione è stata prevista, quanto alle misure di salvaguardia per perdite superiori al terzo, idonee o meno che siano ad incidere sul capitale minimo, per tutte le società di capitali che, appunto, sono tenute ad avere un capitale minimo; mentre è stata prevista per le misure che scattano in caso di perdita dell'intero capitale quanto alle cooperative, per le quali, invece, essendo esse di norma

caratterizzate dalla variabilità del capitale, non è prescritta una misura minima di quest'ultimo.

Più specificamente, con l'art. 182-sexies è stato disposto che,

dalla data del deposito della domanda per l'ammissione al concordato preventivo, anche nella forma del concordato in bianco, nonché della domanda per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis ovvero della proposta di accordo di ristrutturazione a norma del sesto comma dello stesso articolo, e sino all'omologazione, non si applicano gli

artt. 2446, commi 2 e 3, e 2447 c.c., nonché gli artt. 2482-bis, commi 3, 5, 6, e 2482-ter c.c.

, cioè le disposizioni che, rispettivamente in materia di s.p.a. e di s.r.l., impongono – in presenza di perdite superiori al terzo del capitale – l'adozione di due diverse tipologie di comportamenti sostanzialmente simili per le società sopra indicate.

Quando le perdite siano superiori al terzo, ma non abbiano intaccato il capitale minimo

, l'organo amministrativo ha l'obbligo di convocare sollecitamente l'assemblea dei soci per informarli e aggiornarli con apposita relazione sulla situazione patrimoniale della società.

Nell'assemblea, i soci sono liberi di adottare i provvedimenti ritenuti più opportuni. Infatti l'art. 2446 per le s.p.a., e l'art. 2482-bis per le s.r.l., non pongono per i soci obblighi od oneri particolari da adempiere nell'immediatezza, ma si limitano a statuire che, se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'organo preposto all'approvazione del bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza, l'organo amministrativo o di controllo devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio e il tribunale provvede con un decreto che è soggetto a reclamo e ad iscrizione nel registro delle imprese.

Obblighi, o meglio oneri, cui far fronte immediatamente sono previsti invece quando la erosione oltre il terzo abbia intaccato anche il capitale minimo di legge. Per tale evenienza l'assemblea dei soci – che ancora una volta deve essere convocata dall'organo amministrativo senza indugio - deve decidere o la riduzione del capitale in proporzione delle perdite ed il successivo aumento fino almeno al minimo di legge, ovvero, in alternativa, la trasformazione (regressiva) in una società di tipo diverso che richieda un capitale minimo più basso (ad es. da s.p.a. a s.r.l.) o addirittura non richieda alcun capitale minimo (come nel caso delle società di persone). In mancanza, opera la causa di scioglimento della società per riduzione del capitale al disotto del minimo legale o, rispettivamente, per perdita del capitale sociale, prevista, da un lato, per s.p.a., s.r.l. e s.a.p.a., dall'

art. 2484, comma 1, n. 4,

c.c.

e, dall'altro, per le cooperative, dall'

art. 2545-

duodecies

c.c.

Questa causa di scioglimento, però, non opera più, secondo quanto dispone l'art. 182-sexies, dal momento in cui vengono presentate le sopra ricordate domande di concordato o preconcordato o di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti o una proposta di preaccordo di ristrutturazione, fino a quando non sopraggiunga l'omologa.

Resta peraltro ferma, soggiunge il secondo comma dell'art. 182-sexies, nonostante la “sospensione” della causa di scioglimento, ma solo per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta suddette, l'applicazione dell'

articolo 2486 c.c.

, che, nel regolare i poteri degli amministratori in seguito al verificarsi di una causa di scioglimento, li limita alla gestione della società ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale, divenendo, nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi, personalmente e solidalmente responsabili dei danni conseguenti ad atti compiuti in eccesso rispetto ai limiti dei loro poteri.

Questo, in sintesi, il contenuto della nuova norma, e, al contempo, delle norme che disciplinano le misure di salvaguardia di cui la prima dispone la sospensione.

L'

art. 182-

sexies

l. fall

., però, non è stata l'unica norma che ha bloccato l'operatività delle misure poste a salvaguardia del capitale, poiché, a distanza di soli quattro mesi, come si diceva, è intervenuto il “Decreto Sviluppo bis”, che ha introdotto la nuova figura della start up innovativa, e per essa ha a sua volta disposto, con l'art. 26, comma 1, il rinvio fisso, per la durata di un esercizio (ossia, in sostanza, di anno), delle misure da adottare ai sensi degli artt. 2446, comma secondo, e 2482-bis, comma quarto, 2447 o 2482-ter del codice civile, precisando che, fino alla chiusura dell'esercizio successivo,non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, punto n. 4), e 2545-duodecies del codice civile”.

In concreto, qui il blocco delle misure di salvaguardia non dipende dall'accesso ad una procedura di composizione concordata della crisi ed opera autonomamente come mera ragione di proroga di tali misure per una durata che, diversamente da quella stabilita variabilmente dall'art. 182-sexies in rapporto alla diversa durata che può avere ciascun procedimento di composizione della crisi, è qui predeterminata in quella di un esercizio.

Alla luce di questo doppio intervento normativo può farsi subito una prima considerazione: il legislatore ha ritenuto che, in una situazione di crisi, fosse necessario tutelare a tutti i costi l'impresa e promuoverne la conservazione, anche a scapito degli interessi degli altri soggetti del mercato che si pongono in rapporto con essa, in primis evidentemente i creditori, poiché ha temporaneamente privato costoro di quella pur minimale tutela costituita dalle misure poste a presidio dell'integrità del capitale, riguardato soprattutto in quella sua funzione di garanzia, che, peraltro, solo de residuo ancora gli viene riconosciuta, in aggiunta a quella produttiva e a quella informativa.

Non entro nel merito dell'utilità e dell'efficacia – finora apparentemente alquanto modeste - di questo duplice intervento normativo.

Mi limito ad osservare però, da un lato, che quella situazione generalizzata di crisi che ha propiziato l'intervento normativo si spera non duri per sempre, mentre il legislatore non ha circoscritto affatto temporalmente la durata delle nuove norme, e da questo punto di vista non è irragionevole preconizzare il sopravvenire di un effetto da overshooting.

Dall'altro, forse la fretta ha giocato in senso fortemente negativo sull'emanazione della norma in commento, poiché la disciplina sospensiva introdotta con l'art. 182-sexies sembra solo in parte coerente con lo scopo prefigurato dal legislatore, per altra parte risultando invece quanto meno inutile e superflua, amplificando il suddetto effetto da overshooting, come fra poco cercherò di evidenziare.

Non senza prima osservare che una verifica in termini di effetti da overshooting dovrebbe peraltro costituire un dato costante nell'esame dei nuovi istituti normativi introdotti per risolvere i più diversi problemi socio-economici.

Tali istituti, infatti, sono rimedi che agiscono allo stesso modo dei farmaci: producono quasi sempre qualche effetto positivo sulla patologia che si vorrebbe curare, ma hanno anche inevitabilmente controindicazioni e negativi effetti collaterali.

Di seguito cercherò di segnalare – per quanto in modo necessariamente sommario - prima gli effetti positivi che l'art. 182-sexies può o vorrebbe realizzare, e subito dopo le controindicazioni e gli effetti collaterali che possono derivarne in sede applicativa.

Gli effetti positivi

Il primo effetto positivo che può riconoscersi all'art. 182-sexies è quello di aver eliminato un margine d'oggettiva incertezza che prima sussisteva circa l'applicabilità o meno delle norme in materia di salvaguardia del capitale per perdite oltre il terzo, anche eventualmente tali da azzerarlo, ove una società di capitali o una cooperativa intendessero accedere al concordato preventivo.

Mi riferisco a tali società perché evidentemente la questione non si è mai posta per le società di persone o per gli imprenditori individuali, visto che quelle norme di salvaguardia del capitale di cui stiamo discorrendo sono state tradizionalmente correlate alla responsabilità limitata, e quindi sono rimaste sempre estranee ai soggetti tenuti – istituzionalmente - ad una illimitata responsabilità.

Dicevo che la soluzione circa l'applicabilità di quelle norme in caso di concordato era controversa, anche se la maggioranza di dottrina e giurisprudenza si era espressa nel senso di ritenere sospesa l'applicazione di quelle norme, sia per effetto della prevista riduzione delle passività attraverso il concordato, che avrebbe inciso sulla stessa emersione delle perdite stanti le sopravvenienze attive realizzate per effetto della falcidia concordataria, con conseguente modificazione (in senso migliorativo) della situazione patrimoniale della società; sia per la sussistenza, nell'ambito del procedimento concordatario, di garanzie formali per i creditori e per i terzi, comparabili, se non superiori, a quelle sottese alla disciplina codicistica, attesa la presenza ed il controllo pervasivo del Tribunale e la previsione di una pubblicità informativa sulla situazione di crisi dell'impresa ancor più efficiente di quella posta in essere con le dette norme civilistiche.

Il legislatore, quindi, si è deciso a far propria - semplicemente – la tesi giurisprudenziale prevalente, e lo ha non a caso esplicitamente ammesso nella stessa Relazione al disegno di legge per la conversione del

decreto legge n. 83/2012

nella parte relativa all'art. 33, ove si legge infatti che «la norma recepisce un orientamento interpretativo diffuso in tema di concordato preventivo (per la verità formatosi soprattutto con riguardo al concordato liquidatorio piuttosto che rispetto a quello con continuità aziendale), ma lo estende anche al procedimento di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis, commi primo e sesto» (

Lamanna, La

legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo

”, in Il civilista, Milano, 2012, 30 ss.).

Questa spiegazione va però colta in un duplice risvolto.

Uno positivo, laddove appunto il legislatore riconosce di aver fatto propria una determinata soluzione giurisprudenziale eliminando l'incertezza interpretativa prima esistente, e per di più non limitandola al concordato, ma estendendola anche agli accordi di ristrutturazione.

Uno negativo, laddove, come vedremo fra poco, ha sintomaticamente ricordato che l'orientamento pregresso si era formato in realtà con riguardo al concordato liquidatorio piuttosto che rispetto a quello con continuità aziendale. Su tale aspetto, però, che merita specifiche riflessioni, torneremo fra poco.

Per il momento intendo tener fede al proposito di limitarmi ad evidenziare solo gli aspetti positivi della nuova norma.

Tra i quali va annoverata, in primo luogo, come si diceva, l'eliminazione dell'anteriore incertezza interpretativa.

Si potrebbe però obiettare che l'aver semplicemente dato il crisma della legge ad un orientamento che, nei fatti, si era già imposto, sembrerebbe piuttosto sminuire l'importanza dell'intervento normativo, anziché valorizzarlo. Del resto, si potrebbe soggiungere, anche se la nuova norma si applica, per esplicita previsione del Decreto Sviluppo, solo alle procedure iniziate dopo la sua data di entrata in vigore, sì che le operazioni realizzate prima dell'11 settembre 2012 non godono delle agevolazioni previste dal sopracitato articolo, di fatto sia le une che le altre, per effetto della comune derivazione della nuova norma dalla giurisprudenza prevalente anteriore, finiscono per essere disciplinate in modo pressocchè identico.

Tuttavia occorre per onestà anche osservare che non senza difficoltà l'orientamento giurisprudenziale prima affermatosi avrebbe potuto continuare a giustificare la soluzione interpretativa della sospensione appellandosi ai poteri di sorveglianza e controllo del Tribunale a tutela di creditori e terzi (

Nobili, Spolidoro, La riduzione di capitale, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, 1993, 330). Sappiamo infatti come la S. Corte abbia di fatto progressivamente ridotto fino al lumicino tali poteri, rendendo quasi risibile affermare oggi che la tutela codicistica del capitale in caso di perdita possa trovare un equivalente compensativo nei poteri di intervento del Tribunale, possibile – secondo la Cassazione - solo nei limiti della cd. legittimità formale e sostanziale.

Inoltre, distonica poteva apparire quella giustificazione alla luce dei neo-introdotti accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis

l.

fall

., che non prevedono alcun pur solo residuale controllo sulla gestione della società da parte del tribunale.

Alla luce di tali circostanze, deve quindi doverosamente rivalutarsi l'introduzione di una norma, come l'art. 182-sexies, che ha disposto la sospensione come istituto di diritto positivo, evitando che restasse frutto di un'incerta opzione interpretativa.

La dottrina ha peraltro posto in luce altri aspetti positivi.

Da un lato, infatti, si è evidenziato che con la nuova norma si è incentivato ulteriormente – e utilmente, data la situazione di crisi globale - il ricorso alle soluzioni concordate della crisi, poiché queste usualmente prevedonouna ristrutturazione del debito che, incidendo sul passivo reale dello stato patrimoniale, sono in grado, allorché dispiegano la loro efficacia, di restituire alla società quell'equilibrio patrimoniale che aveva perso a seguito dell'incidenza della perdita sul capitale sociale. In altri termini, il legislatore consente alla disciplina del capitale sociale di restare alla finestra, per assistere all'epilogo della ristrutturazione del debito (…): qualora il percorso della ristrutturazione si chiuda positivamente, detta disciplina non avrà ragione di attivarsi ovvero si attiverà (verosimilmente) per rimediare ad uno sbilancio inferiore a quello iniziale” (

cfr. A. Rossi, La governance dell'impresa in fase di ristrutturazione, Relazione svolta al V Convegno annuale dell'Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale, Roma, 21-22 febbraio 2014).

Si è altresì evidenziato, proponendo un raffronto con la coeva disciplina dei finanziamenti prededucibili, come il legislatore abbia fatto una scelta opportuna anche sul piano pragmatico, poiché “Sia quando sospende (…) gli obblighi di ricapitalizzazione (…) sia quando provoca il finanziamento dei soci con il miraggio della prededuzione, il legislatore constata pragmaticamente che la crisi è di norma il frutto della sfiducia degli stessi soci nelle capacità di remunerazione dei conferimenti, sì che sarebbe ben poco praticata una disciplina che incentivasse il loro rilancio nella partecipazione al capitale di rischio, sembrando invece più realistico attendersi dai soci, attraverso il loro finanziamento, un più flebile segnale di fiducia nelle possibilità di restituzione del debito da parte della società risanata” (

A. Rossi, ibidem).

Ancora, questa volta sotto un profilo più specifico, ma colto ancora sul piano pragmatico, si è altresì rimarcato che, secondo lo stato dell'arte precedente, “pur potendosi affermare l'inesistenza di un obbligo di “ricapitalizzazione”, trovava comunque applicazione la norma dell'

art. 2484, comma 1, n. 4, c.c.

, con conseguente scioglimento di tutti i rapporti contrattuali che prevedono, per regola legale o convenzionale, lo stato di liquidazione di una delle parti quale causa di risoluzione. Il tutto con il rischio che la risoluzione di detti contratti potesse pregiudicare il tentativo di continuazione dell'impresa da parte della società e senza la possibilità di essere tutelati da norme come quelle dettate dall'

art. 72, comma 6, l. fall

. in caso di fallimento” (c

fr. G. D'Attorre, I limiti alla disciplina societaria sulla perdita di capitale, in questo portale).

In tal caso, come si vede, è stata più specificamente posta in luce l'utilità dell'art. 182-sexies non tanto nella parte in cui sospende l'applicazione delle norme poste specificamente a salvaguardia del capitale, quanto piuttosto nella parte in cui ha disposto la sospensione della regola che fa scattare lo stato di scioglimento-liquidazione quando le perdite idonee ad intaccare il capitale minimo non siano state rimosse.

Intesa in questo senso più specifico, l'utilità della norma è in effetti indiscutibile, e non solo perché evita che possa attivarsi la risoluzione di contratti a causa di clausole in essi contenute che possono rendere tale risoluzione operante in presenza di una intervenuta situazione di liquidazione, ma ancor prima con riferimento a tutte le procedure di soluzione della crisi che si propongano di conservare la continuità dell'impresa.

Infatti, se mai nessuno (o solo qualcuno) ha ipotizzato che non possano accedere ad un concordato liquidativo le società che già si trovino in stato di scioglimento-liquidazione, visto che lo stesso concordato diventa in tal caso una modalità per liquidare la società; invece l'operare già in atto di una causa di scioglimento può costituire effettivamente un ostacolo alla continuazione dell'impresa, e quindi all'accesso a procedure che tale continuazione presuppongano.

In fase di liquidazione, infatti, fase destinata a provocare l'estinzione dell'ente societario, si è giustamente segnalato che “non è possibile l'adozione di qualunque piano, risultando in particolare incompatibile con il suo necessario esito estintivo un piano in continuità aziendale c.d. soggettiva, che preveda «la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore

ex

art. 186-

bis

l. fall

.»” (

A. Rossi, ibidem).

Non è un caso, d'altra parte, che lo stesso art. 182-sexies, al secondo comma, disponga che l'organo amministrativo vede limitato il potere gestorio in senso conservativo solo per il periodo antecedente alla presentazione delle domande, riacquistando per ciò stesso l'ordinario potere gestorio – ancorchè questo sia poi ovviamente limitato dalle specifiche previsioni del piano e dai poteri di controllo del Tribunale o del Giudice delegato sugli atti di straordinaria amministrazione - nella fase andante dalla presentazione delle domande fino all'omologa. Tale riacquisizione dell'ordinario potere gestorio si giustifica solo nella prospettiva di una continuità dell'impresa, che a sua volta può sussistere solo in mancanza dell'operare di una causa di scioglimento/liquidazione.

Bene quindi ha fatto il legislatore a prevedere la sterilizzazione per tutta la durata del procedimento concordatario dello stato di scioglimento/liquidazione che consegue quando i soci non intendano adottare deliberazioni atte ad eliminare la causa di scioglimento (

A. Rossi, ibidem). Se tale causa di scioglimento non opera, infatti, la società può proseguire l'attività d'impresa e predisporre un piano di continuità.

Infine, è stato rilevato come “l'introduzione dell'art. 182-sexies ha fatto sì che gli amministratori, dinanzi ad una erosione del capitale minimo, si trovino non più solo di fronte all'alternativa tra ricapitalizzazione e liquidazione, residuando per costoro anche la facoltà (…) di ricercare e attuare (…) soluzioni alternative volte al risanamento dell'impresa” (

Cfr. G. Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. soc., 2012, 605 ss.).

In sostanza è stata aggiunta, a quelle previste dal codice civile, un'altra opzione, quella “secondo la quale, ai sensi dell'articolo in commento, gli amministratori possono evitare lo scioglimento per perdite rilevanti, non solo con la ricapitalizzazione della società in perdita o con la sua trasformazione, ma anche mediante una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo oppure di omologazione di un accordo di ristrutturazione” (Dimundo,

La sospensione dell'obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite rilevanti nelle procedure alternative al fallimento

, in Fall., 2013, 1167).

E con ciò direi che gli effetti positivi possono dirsi esauriti e sufficientemente illustrati, ed è dunque giunto il momento di indicare gli effetti negativi collaterali e le vere e proprie controindicazioni.

Gli effetti collaterali e le controindicazioni

Inutile e superflua sembra anzitutto quella parte dell'art. 182-sexies orientata a sospendere anche le più blande misure previste dagli artt. 2446 e 2482-bis, laddove, cioè, le perdite oltre il terzo non abbiano intaccato il capitale minimo.

Tali misure, non a caso nella prassi definite come meramente “attendiste” e “neutre”, consentono in realtà di non assumere alcuna misura di salvaguardia del capitale, quanto meno nell'immediatezza, accontentandosi di imporre agli amministratori solo un obbligo di informativa per i soci.

Questi si vedranno costretti ad assumere sì una misura obbligatoria, ma solo alla fine dell'esercizio successivo. Sennonché la misura che poi dovranno obbligatoriamente assumere non garantisce affatto l'integrità del capitale, poiché obbliga solo a ridurlo in proporzione delle perdite.

Come è stato ben rilevato a questo riguardo, al postutto “quella consistente nella riduzione del capitale (nominale), e dunque del passivo (c.d. ideale), si presenta (…) in termini di (una sorta di) privilegio concesso ai soci, che vale, in particolare, a legittimarli a sottrarre gli (eventuali) utili futuri a quel vincolo di indisponibilità al quale sarebbero stati altrimenti assoggettati, in modo da renderne possibile, se del caso, la distribuzione” (c

fr. G. Ferri, Capitale sociale e società di persone, in Riv. notariato, 2012, 247 ss.).

È appena il caso di osservare, ad ogni modo, come la soluzione normativa non sembri certo valorizzare molto la funzione di garanzia del capitale, visto che non solo il provvedimento di riduzione deve assumersi a distanza di non meno di un anno, ma soprattutto che è obbligatoria la riduzione, non invece l'aumento del capitale per riportarlo allo status quo ante.

Ciò in ultima analisi significa che il legislatore si è preoccupato solo di rendere veritiera la risultanza contabile rispetto alla realtà dimensionale del capitale, in modo che i creditori e i terzi sappiano che le perdite hanno diminuito la garanzia su cui prima potevano contare, ma non si è preoccupato affatto di garantirli con un ripristino in integrum di quella garanzia.

Può quindi dirsi che avere previsto, per il concordato preventivo e per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la sospensione di una misura già così debole ai fini della salvaguardia del capitale, sia stato un rimedio sostanzialmente inutile, da un lato essendo davvero pochi i concordati (ma anche gli accordi di ristrutturazione, che sono spesso preceduti da preaccordi o addirittura da preconcordati), che tra domanda ed omologa vedano trascorrere più di un anno, ossia il tempo prima della cui fine i soci non sono tenuti a ridurre il capitale; dall'altro non apparendo l'obbligo di ridurre il capitale un sacrificio reale per i soci, e dunque un sacrificio tale da meritare, per agevolare l'accesso al concordato o agli accordi, che fosse introdotta la nuova misura della sospensione.

A tal riguardo è stato poi giustamente osservato che, “se la finalità della norma in esame è effettivamente quella di evitare che l'impossibilità di procedere alla ricapitalizzazione (….) precluda il ricorso a soluzioni concordate della crisi d'impresa idonee al risanamento economico-finanziario dell'impresa, sembra ingiustificata la disapplicazione degli artt. 2446, comma 2, e 2482-bis, commi 4, 5, 6, i quali non determinano l'attivazione della regola “ricapitalizza o liquida” ma soltanto l'adeguamento della cifra nominale del capitale sociale a quella effettiva, operazione neutra sul piano finanziario per i soci. Nel caso in esame dunque il “sacrificio” delle esigenze informative che deriva dall'esposizione nel bilancio d'esercizio di una cifra del capitale non più esistente non pare giustificato da alcuna esigenza sostanziale nell'ottica della preservazione del valore del complesso aziendale mediante il ricorso a soluzioni concordate della crisi d'impresa” (

Strampelli, op. cit.).

Del resto, come osservavo prima, nella stessa Relazione al disegno di legge per la conversione del

decreto legge n. 83/2012

, nel riconoscere che «la norma recepisce un orientamento interpretativo diffuso in tema di concordato preventivo», si avvertiva che esso si era formato «soprattutto con riguardo al concordato liquidatorio piuttosto che rispetto a quello con continuità aziendale».

E l'esplicito riferimento al concordato con continuità aziendale tradiva chiaramente quale fosse il retropensiero del legislatore del Decreto Sviluppo: la sospensione delle misure di salvaguarda del capitale avrebbe dovuto avere, come sua connaturata finalità, quella di agevolare la riuscita delle procedure concordatarie risanatorie e conservative di imprese in grado di proseguire la propria attività, non invece delle procedure di natura meramente liquidativa e dissolutoria.

Sennonché l'art. 182-sexies risulta confezionato in modo da potersi applicare sia ai concordati con continuità aziendale, che a quelli liquidativi, e sospende l'applicazione non solo delle misure che potrebbero in qualche modo ostacolare le imprese in continuità, ma anche delle misure che non hanno affatto tale attitudine, come, appunto, quelle degli artt. 2446 e 2482-bis, previste per il caso in cui le perdite oltre il terzo non abbiano intaccato il capitale minimo.

Queste misure, infatti, in nessun caso impediscono la continuità dell'impresa, che ben può proseguire sia che esse vengano assunte, sia che non lo siano.

Da un lato, infatti, se i soci provvedono, nulla questio; dall'altro, se non lo fanno, non scatta affatto quell'unica conseguenza che potrebbe bloccare la continuità d'impresa, ossia lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, perché la legge una tale eventualità non la considera affatto, prevedendo che, al posto dei soci, la riduzione del capitale nominale venga ordinata dal Tribunale in modo coattivo. Lo scioglimento, dunque, non è contemplato: tertiumnon datur.

Ma se così è, ne risulta ulteriormente dimostrato quanto si voleva dimostrare: ossia che la sospensione di tali misure è del tutto ultronea ed inutile, anche perché non è previsto in tal caso che scatti la conseguenza dello scioglimento, che potrebbe, in ipotesi, impedire l'accesso ad una procedura concordataria con continuità aziendale per incompatibilità (ancorchè solo relativa) tra scioglimento/liquidazione della società e prosecuzione dell'impresa.

La sospensione delle misure in esame appare poi non solo inutile, ma anche contraddittoria, laddove venga proposto un concordato liquidativo: non si comprende infatti la ragione per cui, dinanzi a tale esito liquidativo, la cui attuazione è già in corso, l'amministratore, se lo scioglimento non sia stato già dichiarato prima, possa continuare a gestire la società non in modo semplicemente conservativo/liquidativo, ma con i poteri propri della gestione in continuità, come gli consente l'art. 182-sexies, senza distinguere tra caso e caso.

Quell'utilità che non può riconoscersi alla sospensione delle misure di salvaguardia del capitale previste per il caso in cui le perdite oltre il terzo non abbiano intaccato il capitale minimo, sembrerebbe a prima vista, ma solo a prima vista, da riconoscersi invece alle misure che, per contro, sono previste quando tale capitale minimo risulti diminuito.

In tal caso la legge prevede, come già detto, tre possibili alternative.

La prima è costituita dalla riduzione del capitale e dal suo aumento almeno entro il minimo di legge.

La soluzione legislativa sembrerebbe questa volta più funzionale alla conservazione del capitale come garanzia, sia pure nel minimo legale conformativo del tipo.

Sennonché l'obbligo di aumento entro detto minimo non è cogente, poiché, in via alternativa, ossia se i soci non vogliano deliberare l'aumento, o comunque non vogliano nemmeno per altra via ripianare le perdite, l'assemblea dei soci può deliberare la trasformazione della società; solo quando poi neppure la trasformazione venga deliberata, la società si scioglie.

Lo scioglimento quindi è, a sua volta, un'alternativa, che conferma la non cogenza dell'obbligo di aumento, il quale assume piuttosto la funzione di un onere se si vuole proseguire nell'attività d'impresa, quanto meno conservando l'identità del tipo sociale originario, visto che con la alternativa soluzione della trasformazione è possibile proseguirla con un tipo sociale diverso.

Sta di fatto che, ridottosi il capitale sotto il minimo, se si vuol far proseguire l'impresa occorre o ricapitalizzare la società o trasformarla. In mancanza, la società è destinata a chiudersi previa liquidazione.

Ma proprio per questo non è affatto detto che la sospensione delle misure in esame fosse la via unica ed obbligata per consentire la continuazione dell'attività in una procedura concordataria.

Da un lato, si può fare oggi, alla luce di vari interventi normativi susseguitisi in materia, una banale osservazione pragmatica: ormai la disciplina delle s.r.l. costituisce una quanto mai facile modalità di uscita dall'impasse in cui si trovino i soci quando il capitale minimo risulti intaccato.

Infatti ricapitalizzare una società con un capitale minimo che può essere anche di un solo euro, quando appunto si tratti di s.r.l., non sembra impresa particolarmente ardua, e tanto meno lo è assicurare la presenza di questo capitale minimo (che diverrebbe un capitale iniziale) quando si opti per la trasformazione da s.p.a. ad s.r.l.

Se, dunque, l'art. 182-sexies sospende la necessità di dar corso a tali alternative, esse sarebbero di poco impegno anche ove l'art. 182-sexies non ci fosse.

Ma la conclusione trova una definitiva ed ulteriore conferma diretta – al di là del pragmatismo dell'osservazione appena fatta - se viene correttamente compresa la pur circoscritta utilità che all'art. 182-sexies va senz'altro riconosciuta nella parte in cui, come ho già detto, tale norma ha disposto la sospensione delle norme che fanno dipendere dalla riduzione o dalla perdita del capitale minimo lo scioglimento/liquidazione della società.

Infatti, partendosi dal presupposto che i soci non intendano ricapitalizzare o trasformare la società, per garantire la prosecuzione dell'attività in fase endo-concordataria sarebbe bastato conseguentemente prevedere la sospensione della sola causa di scioglimento.

l

'intervento normativo finalizzato a tutelare le imprese in continuità avrebbe dunque avuto senso solo se avesse eliminato, e per la sola parte in cui avesse eliminato, l'ostacolo costituito dallo scioglimento che può conseguire alla mancata adozione delle misure di salvaguardia del capitale; e non è seriamente dubitabile che tale ostacolo, previsto, come si è già detto, in caso di perdite che intacchino il capitale minimo ove non siano deliberate le altre misure di ripristino del capitale o di trasformazione della società, potesse rimuoversi anche senza sospendere tali altre misure.

Da ultimo, non può sottacersi che, se certamente l'art. 182-sexies comunque è una forma, per quanto indiretta, di incentivo ad accedere alle misure concordate della crisi quando non solo sussista una sottocapitalizzazione, ma al tempo stesso anche una situazione di crisi-insolvenza da intendersi nella (diversa) accezione finanziaria rilevante per il diritto concorsuale (e solo allora, tenuto conto che quando vi sia solo la sottocapitalizzazione troverà applicazione unicamente la disciplina codicistica di salvaguardia del capitale, mentre, ove la crisi sia solo finanziaria, troveranno applicazione unicamente le norme e le soluzioni concorsuali), rischia tuttavia di determinare un quanto mai inefficiente effetto da overshooting laddove non sospende, per il periodo anteriore al deposito delle domande, l'obbligo per gli amministratori di attenersi ad un gestione meramente conservativa.

È chiaro, infatti, che se le domande di concordato o di preconcordato o di omologa di un accordo o di protezione in base ad una proposta di ristrutturazione, sono divenute, in forza dell'art. 182-sexies, una modalità alternativa per superare anche la crisi da sottocapitalizzazione, gli amministratori, per evitare il rischio di rispondere di danni per omissione di convocazione dell'assemblea dei soci o per la mancata attuazione della pubblicità inerente allo scioglimento o per aver ritardato nel presentare una di tali domande, saranno fortemente tentati di presentarle – in modo improprio e dannoso - anche quando non ricorrano tutti i relativi presupposti, specie le domande di concordato con riserva

ex

art. 161, co

mma

6, l. fall

., le sole tra le domande protettive evocate dall'art. 182-sexies che non richiedano una previa e seria verifica dei dati aziendali e delle concrete possibilità di ristrutturazione del debito (

Rossi, ibidem).

Si alza quindi, da un lato, il livello di responsabilità degli amministratori (e forse finanche dei soci, quanto meno quelli di controllo, se consapevoli della mancata adozione di misure idonee al riequilibrio finanziario o al tempestivo accesso alle soluzioni concordate); dall'altro, il rischio di una rincorsa generalizzata ed inefficiente alle soluzioni concordate.

E con ciò potrebbe dirsi esaurita anche l'illustrazione degli effetti collaterali e delle controindicazioni dell'art. 182-sexies, anche se, da un certo punto di vista, in tale categoria tematica potrebbero farsi rientrare anche i vari profili e problemi interpretativi ed applicativi che tale norma comunque trascina con sé.

Nonostante la sua lineare sinteticità, infatti, ma forse proprio a causa di essa, la norma sottende varie problematiche.

Intersecandosi la materia societaria e quella concorsuale, alcuni problemi derivano dalla incertezza che ancora vi è su alcuni aspetti della prima, mentre altri problemi derivano dal modo in cui l'art. 182-sexies ha disciplinato la sospensione delle misure di salvaguardia del capitale distinguendo nettamente tre diversi periodi: quello che precede il deposito delle domande, quello che va dal deposito fino all'omologa, quello che va dall'omologa in poi.

I profili e i problemi interpretativi ed applicativi: la controversa applicabilità delle norme di salvaguardia alle s.r.l. semplificate

Cominciando ad analizzare i profili che originano dalla normativa societaria, uno si è posto di recente in forza dell'introduzione delle s.r.l. semplificate, e, a seguito della soppressione della s.r.l. a capitale ridotto, per la possibilità che anche la s.r.l. ordinaria possa essere costituita con un capitale inferiore ad Euro 10.000, manon minore di un euro.

Ci si è infatti chiesti al riguardo se le misure di salvaguardia del capitale siano applicabili anche alle s.r.l. che abbiano un capitale assai ridotto e alle s.r.l. semplificate, stante in tal caso il richiamo alle disposizioni in materia di s.r.l. “in quanto compatibili” contenuto nell'

art. 2463-

bis,

ultimo comma, c.c.

(

L. Restaino, Capitale sociale e crisi dell'impresa, reperibile in deltaservizimeeting.it/assets/restaino.pdf).

La soluzione positiva sembra prevalere, soprattutto tra la dottrina notarile, che ha ritenuto incompatibile la disapplicazione delle dette misure con la responsabilità limitata dei soci.

Si è detto al riguardo che “la s.r.l. semplificata resta pur sempre società di capitali con responsabilità limitata dei soci e, quindi, non pare ammissibile il permanere di detta responsabilità limitata in una situazione di deficit del capitale sociale causata dalle perdite subite, e ciò anche se la linea di confine sia posizionata oggi ad 1 Euro, cioè ad un livello inferiore rispetto a quello delle vecchie s.r.l.. In breve, (…) le s.r.l. semplificate non possono definirsi società a capitale assente(

Restaino, op. cit). Inoltre vi è “una serie precisa di indici sistematici che orientano verso l'applicazione degli articoli in discorso anche alla s.r.l. semplificata. Alludo in primo luogo all'

art. 2545-

duodecies

c.c.

dettato per le società cooperative – prive come è noto di un capitale minimo - che qualifica come causa di scioglimento “la perdita del capitale sociale”, con il che appare abbastanza chiaro che anche le società senza capitale minimo non possono continuare ad esistere senza capitale (…) Tanto più che quando il legislatore ha ritenuto di dover prevedere una disapplicazione delle norme in tema di riduzione del capitale sociale non ha mancato di farlo. E' quanto è accaduto con le start up innovative (…) il cui art. 26 prevede il differimento di un esercizio degli obblighi di ricapitalizzazione (…) con conseguente inoperatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, n. 4), e 2545-duodecies c.c.. (…) Di conseguenza (…) le sospensioni previste dall'art. 182-sexies sono destinate a trovare applicazione anche ai sottotipi di s.r.l. di recente introduzione nel nostro ordinamento, che contemplano la possibilità di costituzione della società con un capitale anche di solo 1 Euro, e precisamente la società a responsabilità limitata semplificata e quella ordinaria con capitale inferiore a Euro 10.000” (

Restaino, ibidem).

Indubbiamente un po' più ostica si presenta la problematica relativa al coordinamento dell'art. 182-sexies con l'art.

26 D.L. 179/2012

in tema di start up innovative: “La deroga alla disciplina del capitale sociale presenta nelle start up innovative portata più ampia ed è destinata a trovare applicazione anche al di fuori del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione. Si pone allora la questione se i criteri di sospensione dettati dall'art. 182-sexies siano destinati a prevalere sulla disciplina in questione o viceversa. In realtà le due deroghe operano secondo criteri differenti, uno di tipo temporale rigido, l'altro di durata ricavabile per relationem, in quanto collegata all'apertura di procedure di soluzione concordata della crisi ed alla durata delle procedure stesse. Dunque, la sospensione ai sensi dell'art. 182-sexies è destinata ad operare anche qualora non siano ancora trascorsi i termini, come si è detto allungati di un anno rispetto al diritto comune, affinché nelle start up scattino gli obblighi di riduzione, e se necessario anche di ricapitalizzazione. Una prevalenza della disciplina delle start up innovative potrà invece prospettarsi qualora, nella fase di esecuzione del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione, si ripresenti l'esigenza di affrontare le perdite di capitale non ripianate dalla procedura adottata e dalle modalità predisposte nel piano” (

Restaino, ibidem).

Le misure di salvaguardia e gli obblighi degli amministratori nei tre periodi contemplati dall'art. 182-sexies

I) Nella fase anteriore alla presentazione delle domande

Passando ora ad esaminare le problematiche derivanti dalla distinzione in tre periodi sottesa all'art. 182-sexies, con riferimento al primo periodo occorre rilevare che la norma, da un lato, nel far scattare la sospensione delle misure di salvaguardia solo dopo la presentazione delle domande, implicitamente le lascia sopravvivere tali e quali nella fase anteriore; dall'altro, con il secondo comma, espressamente precisa che “Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l'applicazione dell'

articolo 2486 del codice civile

”.

Sono quindi due gli aspetti da considerare, ancorché siano in parte connessi l'uno con l'altro in ragione di come gioca la responsabilità dell'organo amministrativo.

Può darsi, così, che una qualsiasi causa di scioglimento si verifichi prima che si arrivi al deposito delle domande. La prima osservazione da fare è allora che l'art. 182-sexies sospenderà solo la causa di scioglimento che derivi dalla perdita di capitale oltre il terzo con diminuzione contestuale del capitale minimo, mentre non sospenderà le altre cause di scioglimento.

L'art. 182-sexies dispone peraltro la sospensione solo a partire dal deposito delle domande.

Quando, dunque, prima del deposito delle domande, si sia verificata una perdita superiore al terzo, ma senza incidenza sul capitale minimo, non è dubbio che gli amministratori abbiano in tal caso l'obbligo di convocare senza indugio l'assemblea relazionando i soci sulla situazione patrimoniale.

L'art. 182-sexies produrrà in tal caso i suoi effetti sospensivi solo se prima della decisione da assumere subito per l'adozione degli opportuni provvedimenti, o entro l'esercizio successivo sub specie di riduzione obbligatoria del capitale, gli amministratori presentino una domanda di soluzione della crisi.

Non è poi dubbio che anche quando, prima del deposito delle domande, si sia verificata la perdita superiore al terzo con incidenza anche sul capitale minimo, gli amministratori abbiano l'obbligo di convocare senza indugio l'assemblea relazionando i soci sulla situazione patrimoniale, anche se gli artt. 2447 e 2482-ter non prevedono esplicitamente tale incombente informativo.

Si reputa infatti, da parte della maggioranza degli interpreti, che, siccome l'obbligo informativo è previsto per i casi di perdite oltre il terzo, tra i quali rientra comunque anche quello di contestuale diminuzione del capitale minimo regolato dagli artt. 2447 e 2482-ter, anche in tale ipotesi l'obbligo informativo vada assolto.

L'art. 182-sexies produrrà in tal caso i suoi effetti sospensivi sulle misure contemplate in dette norme solo se prima della decisione da assumere subito da parte dei soci per la ricapitalizzazione o trasformazione gli amministratori presentino una domanda di soluzione della crisi.

Se, invece, l'assemblea sia stata già convocata e i soci non abbiano deciso nell'uno o nell'altro senso, si sarà già verificata in tal caso prima del deposito delle domande la causa di scioglimento (purché iscritta nel registro delle imprese, evento solo a partire dal quale prende giuridicamente avvio il procedimento di liquidazione).

La sospensione del procedimento di liquidazione, di conseguenza, per effetto della presentazione delle domande, potrà avvenire in qualsiasi stadio esso si trovi in quel momento, senza la necessità di procedere alla revoca della liquidazione (

F. Briolini, La gestione dell'impresa azienda e la conduzione della società nelle procedure di composizione negoziale delle crisi, Relazione svolta al Convegno di Lanciano, 25-26 gennaio 2013), sia che la nomina dei liquidatori sia intervenuta, sia, viceversa, che non sia ancora intervenuta (

Restaino, ibidem

).

Nel primo caso, è da ritenere che rientri nei poteri di questi ultimi quello di proporre una domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione. Nel secondo caso, viceversa, spetterà ancora agli amministratori procedere all'iscrizione della causa di scioglimento e nello stesso tempo gestire la società secondo i criteri conservativi di cui all'

art. 2486 c.c.

, sino al giorno del «passaggio delle consegne» ai liquidatori o della revoca dello stato di liquidazione (

art. 2487-

ter

c.c.

) o del deposito della domanda di concordato preventivo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione o della proposta

ex

art. 182-

bis

, comma 6, l. fall

. (

cfr. Brizzi, Responsabilità gestorie in prossimità dello stato di insolvenza e tutela dei creditori, in Riv. dir. comm., 2008, I, 1040 ss., 1083 ss.; Miola, Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità dell'insolvenza, in Studi in onore di Umberto Belviso, I, Napoli, 2011, 611 ss., 628 ss.; Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell'impresa priva della prospettiva della continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 838 ss.; Galletti, Gli obblighi degli organi sociali dopo il deposito della domanda di concordato o di omologazione di accordo di ristrutturazione, in ilFallimentarista.it; Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. soc., 2012, 630 ss., 649 s.)

È altresì opinione prevalente che non occorra invece in tale ipotesi convocare l'assemblea anche per la nomina dei liquidatori, essendo assorbente l'avvio della procedura di soluzione concordata della crisi, rispetto alla quale, da un lato, lo stato liquidativo resta sospeso, e, dall'altro, risulta conseguentemente superflua o comunque ancora prematura la nomina dei liquidatori.

Sotto altro profilo, peraltro, si pone anche il problema di stabilire in che modo coordinare i poteri conservativi degli amministratori ante-domanda, con la presentazione stessa della domanda.

Secondo un'opinione, l'interpretazione “coordinata” degli

artt. 152

e

161 l.

fall

. e degli artt. 2446-2447 e 2482-bis/ter c.c. induce a ritenere necessario, per la salvaguardia dei diritti partecipanti al capitale e senza pregiudizio dell'interesse dei creditori, il coinvolgimento dell'assemblea dei soci nel processo decisionale di “scelta” e “definizione” della soluzione negoziale, nell'ipotesi (peraltro statisticamente più frequente) in cui la crisi d'impresa si collega alla perdita del capitale sociale (

F. Guerrera, M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di "riorganizzazione", in Riv. soc., 2008, 17).

Questa tesi, che non può condividersi nella sua assolutezza laddove sembra suscettibile di espropriare in via indistinta ed omnicomprensiva l'organo amministrativo, senza che lo consenta alcuna deroga normativa, dell'autonomo potere – conferitogli dall'

art. 152

l. fall

. salva diversa previsione statutaria - di presentare le domande di soluzione concordata della crisi, può considerarsi plausibile solo quando queste abbiano ad oggetto la continuità dell'impresa.

Qualora infatti si presenti già da subito, o – se si tratti di preconcordato - si preveda già da subito di depositare successivamente un piano di continuità pura, è ragionevole credere che occorra una delibera sociale integrativa, poiché la prosecuzione dell'impresa presuppone che dopo l'omologa si adottino le misure di salvaguardia del capitale, che, inutile dirlo, possono deliberarsi già da subito, ma con patto di condizionamento all'omologa, e che in ogni caso pertengono ai poteri dei soci.

II) Nella fase intermedia compresa tra la presentazione delle domande e l'omologa

Quanto alla fase intermedia compresa tra la presentazione delle domande e l'omologa,

occorre ancor più rimarcare che non soltanto quella disposta dall'art. 182-sexies non è – trattandosi solo di sospensione – una disapplicazione definitiva, ma che non è neppure totale rispetto alle misure di salvaguardia del capitale.

Gli specifici richiami soltanto ai commi secondo e terzo dell'art. 2446 per le s.p.a., e ai commi quarto, quinto e sesto dell'art. 2482-bis per le s.r.l., lasciano desumere infatti che la sospensione non riguarda gli obblighi di convocazione dell'assemblea dei soci e di informativa posti a carico dell'organo amministrativo dal comma primo dell'art. 2446 e dai primi 3 commi dell'art. 2482-bis.

Quest'obbligo (con i relativi doveri di informativa), che poteva – nell'interpretazione data alla disciplina previgente – considerarsi anch'esso sospeso in corso di procedura concordataria, è invece espressamente sottratto alla sterilizzazione. Il che fa ritenere che la sua cogenza e vigenza sia stata volutamente affermata dal legislatore, il quale lo ha intenzionalmente sottratto alla deroga.

Ebbene, la maggioranza degli interpreti condivide l'idea che anche dopo il deposito delle domande di accesso alle soluzioni concordate della crisi l'organo amministrativo – se non lo abbia fatto già prima - debba convocare l'assemblea dei soci e illustrare la situazione patrimoniale, obbligo di convocazione che – quanto alla società per azioni – trova fonte anche nell'art. 17 della Seconda direttiva CE in materia di società, benché poi i soci restino liberi di adottare, ma anche di non adottare, alcuna misura di salvaguardia del capitale, stante l'effetto sospensivo che ad esse si applica in forza dell'art. 182-sexies.

Tale obbligo di convocazione vale peraltro, per quanto già detto poc'anzi, anche nel caso in cui le perdite superiori al terzo abbiano intaccato il capitale minimo, sebbene, non essendo articolati in più commi gli articoli 2447 e 2482-ter che disciplinano tale evenienza, l'art. 182-sexies si

limiti a disporne la disapplicazione tout court, senza ulteriori precisazioni (

Strampelli, ibidem

).

Si ritiene infatti che tale differenza derivi appunti solo dal modo in cui le norme richiamate sono state formulate e che però, nella sostanza, non muti – stante l'identità di ratio - la necessità di effettuare sempre la convocazione, anche in caso di diminuzione del capitale minimo, ai fini dell'informativa ai soci e della possibilità di adottare le misure di salvaguardia ritenute adeguate, pur non essendovi i soci obbligati a causa dell'operare della sospensione.

D'altra parte, si soggiunge, proprio perché la sospensione, durando solo fino all'omologa, non ha carattere definitivo, può essere interesse dei soci assumere in previsione di quel momento, sin da ora, magari condizionatamente all'omologa, le misure di salvaguardia del capitale idonee ad evitare lo scioglimento ed a proseguire nell'attività d'impresa, operazione che, da un lato, come sottolineato dal Consiglio Notarile di Firenze, “per le sue intrinseche caratteristiche, non richiede alcuna autorizzazione giudiziale e in nessun caso pone problemi di compatibilità con la procedura” (

Consiglio Notarile di Firenze, Crisi d'impresa, concordato preventivo ed incrementi del patrimonio netto); dall'altro, appare non solo legittima, giacchè “la norma in esame determina una sospensione dell'obbligo di procedere alla ricapitalizzazione durante la procedura, ma non sopprime certo la facoltà di procedervi(

D'Attorre, op. cit.

), ma che deve anzi finanche reputarsi necessaria quando il piano di soluzione della crisi preveda tale perdurante prosecuzione dell'attività, atteso che, altrimenti, essa non sarebbe giuridicamentefattibile, ostandovi lo stato di scioglimento-liquidazione.

Fatto si è che quasi mai nei piani in continuità è concretamente e in dettaglio regolata tale fase.

In sostanza, nelle domande di ammissione al concordato preventivo e nei piani, la previsione della ricostruzione del capitale non viene quasi mai dettagliata, e su ciò conviene richiamare l'attenzione degli operatori, poiché non è escluso che il Tribunale possa ravvisarvi un'ipotesi di inammissibilità della domanda.

Abbastanza ragionevole è poi la precisazione che, pur non operando la causa di scioglimento sopradetta, nulla peraltro vieta che i soci possano, comunque, deliberare lo scioglimento della società dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo, sia perché, come già detto, la sospensione opera solo con riferimento allo scioglimento derivante dalla mancata adozione delle misure di salvaguardia del capitale minimo, e non ove esso dipenda dalle altre cause previste dalla legge, a partire da quella costituita da una delibera di scioglimento che i soci possono sempre liberamente assumere, sia anche perché la sospensione è una facoltà, non un obbligo.

III) Nella fase successiva all'omologa

Quando poi l'omologa sopraggiunga, se i soci non abbiano provveduto prima ad adottare le misure di salvaguardia del capitale, dovranno farlo senza dubbio allora, ma, beninteso, solo se ed in quanto permanga, e nella misura in cui permanga, lo stato di sottocapitalizzazione.

Può infatti accadere che, per effetto della possibile sopravvenienza attiva che deriva dall'esdebitazione concordataria (o dall'accordo di ristrutturazione), la perdita sia stata riassorbita e non vi sia più la necessità di procedere alla copertura della stessa.

La dottrina non ha mancato inoltre di precisare, a questo proposito, che “l'obbligo di rispettare le previsioni in tema di capitale sociale minimo non potrebbe essere legittimamente pretermesso o sospeso da una condizione del piano di concordato che preveda la facoltà per la società debitrice di continuare ad operare, in deroga agli artt. 2484, n. 4, 2545-duodecies e 2486 c.c., dopo l'omologazione e per tutto il tempo della esecuzione. Per vero, il piano di concordato, approvato dalla maggioranza dei creditori ed omologato dal Tribunale è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura (

art. 184, comma 1, l. fall

.), ma non può pregiudicare le posizioni e gli interessi di eventuali creditori successivi al decreto. Proprio tale situazione si verificherebbe laddove il piano di concordato prevedesse la facoltà per la società di operare sul mercato senza il capitale minimo, ledendosi in tal modo le ragioni dei creditori sociali e dei terzi tutelati dalle norme in materia di riduzione del capitale sociale per perdite” (

D'Attorre, ibidem).

Riflessioni finali

Giunto al termine dell'analisi che mi ero proposto di fare, resta da svolgere solo qualche breve considerazione conclusiva sul significato sistemico dell'intervento normativo.

Mi limiterò a farne solo due.

La prima è che, se certamente meritevole era ed è lo scopo di sostenere l'impresa, specie in una fase di crisi generalizzata, è anche vero che tutte le soluzioni estremizzanti ed assunte senza mediazioni rischiano, ex se, di determinare un effetto da overshooting, potendo esse,

dall'altro lato della bilancia, risultare eccessivamente penalizzanti in primo luogo per i creditori, tra i quali però sono compresi, non dimentichiamolo, anche gli altri imprenditori, sui quali scaricare il dissesto può rivelarsi, in un'ottica sistemica, a causa del noto effetti epidemico delle situazioni di crisi, e per eterogenesi dei fini, molto più dannoso che cercare a tutti i costi di risanare un'impresa incurabile.

Sta di fatto che, come si è puntualizzato in dottrina, “il sommarsi della disapplicazione della disciplina della riduzione obbligatoria del capitale per perdite con la possibilità

ex

art. 182-

quinquies

legge fall

. (…) di contrarre ulteriori finanziamenti legittima l'aggravamento dello squilibrio patrimoniale della società con l'effetto sostanziale di far gravare principalmente sui creditori sociali (…) il rischio dell'eventuale insuccesso del tentativo di risanamento” (

Strampelli, ibidem).

Ciò senza poi considerare che nessuna impresa in crisi può veramente superare quest'ultima solo sulla base di interventi di geometria normativa, specie quando le ragioni della crisi risiedano nelle carenze dei progetti industriali o nella pura e semplice incapacità di realizzarli.

La seconda riflessione finale è questa: a mio avviso, ma credo che tale constatazione sia un dato comune ormai acquisito, già prima che fosse introdotta la sospensione delle misure di salvaguardia del capitale in caso di perdite rilevanti, la funzione in sé del capitale come garanzia dei creditori era già divenuta quanto mai evanescente.

Del resto, e questo è un aspetto che ha un significato dirimente, la possibilità di costituire una s.r.l. ordinaria con un capitale minimo prossimo allo zero, che di fatto supera e rende inapplicabile – come si è rimarcato in dottrina - la regola “ricapitalizza o liquida” (

Strampelli, ibidem), lascia intuire che

il legislatore ha in realtà inteso risolvere il problema della “sottocapitalizzazione” delle società italiane con la loro “decapitalizzazione”, cioè eliminando se non il capitale, quanto meno il ruolo che il capitale sociale svolgeva fino ad oggi.

Riflessione che, sotto il brillante gioco di parole, contiene forse anche l'auspicio che, per risolvere definitivamente i problemi delle società sottocapitalizzate, il legislatore non arrivi anche, di riforma in riforma, alla loro completa “decapitazione”.

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