Il procedimento per l'adozione dei provvedimenti cautelari prefallimentari

14 Ottobre 2015

Gli aspetti procedurali relativi all'adozione dei provvedimenti cautelari c.d. “prefallimentari” previsti dall'art. 15, comma 8, l. fall. sono fonte di numerose incertezze interpretative dovute alla laconicità del dato normativo che ha lasciato ampio spazio agli interpreti nella ricostruzione della disciplina processuale dell'istituto. L'Autore approfondisce la tematica, anche sulla base degli spunti offerti da un recente provvedimento del Tribunale di Como che, pur dando seguito ad uno degli orientamenti giurisprudenziali in materia, non è in grado di offrire elementi utili a comporre i contrasti di opinione che impegnano dottrina e giurisprudenza.
Premessa

Un recente provvedimento del Tribunale di Como (ord. 20 aprile 2015) offre lo spunto per alcune considerazioni su un tema in merito al quale, in presenza di un dato normativo assai scarno, si registrano molte incertezze interpretative: si tratta degli aspetti procedurali relativi all'adozione dei provvedimenti cautelari c.d. “prefallimentari” previsti dall'

art. 15, comma 8, l. fall

.

Tali incertezze, come detto, sono in parte imputabili alla laconicità del dato normativo, che lascia ampio spazio all'opera degli interpreti; questi ultimi, d'altro canto, non sempre riescono a raggiungere uniformità di opinioni, perpetuando a loro volta le incertezze che sarebbero invece chiamati a dissipare.

Prima di esaminare la suindicata decisione e di approfondire le tematiche sulle quali essa si incentra, sembra opportuno offrire una sintetica ricognizione della disposizione in oggetto, del suo contenuto e della sua ratio.

I provvedimenti cautelari in fase prefallimentare: funzioni e contenuto

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento (cfr. F. De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, Padova, 2012, 272; G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 76) è disciplinato dall'

art. 15

l. fall

.

I caratteri essenziali di tale procedimento sono ben messi in luce dalla giurisprudenza di legittimità. Si tratta di un giudizio “di natura contenziosa, ma appunto a rito camerale, maggiormente idoneo ad assicurare le esigenze di snellezza, semplicità di forme e celerità che connotano la procedura concorsuale” (così,

Cass., 7 ottobre 2010, n. 20836

;

Cass., ord. 4 aprile 2012, n. 5420

; in dottrina, sui caratteri generali assunti dal procedimento per la dichiarazione di fallimento dopo la riforma, A. Saletti, La tutela giurisdizionale nella

legge fallimentare novellata

, Riv. dir. proc., 2006, 3, 981). Il procedimento si svolge con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio (così dispone l'

art.

15, comma 1,

l. fall

.), è attivabile ad istanza di parte ed è informato al rispetto dei principi costituzionali della tutela del contraddittorio, della difesa paritaria delle parti e del diritto alla prova. La legge disegna, quindi, “un tipo di giudizio in camera di consiglio, che vorrebbe essere al contempo rapido e rispettoso dei principi fondamentali del giusto processo” (A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese - Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 84).

In tale contesto si inseriscono le misure cautelari “prefallimentari”. La norma dettata dall'

art. 15, comma 8,

l. fall

. conferisce al Tribunale, su domanda di parte, il potere di emettere provvedimenti volti ad evitare che nelle more dell'istruttoria prefallimentare si verifichino alterazioni del patrimonio del debitore tali da pregiudicare la futura (eventuale) esecuzione concorsuale o ledere la par condicio creditorum (

cfr. E. Frascaroli Santi, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova, 2012, 97; F. De Santis, Le misure cautelari ed inibitorie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, Padova, 2010, 402).

È stato osservato che l'attribuzione di tale potere, conferito per la prima volta con la riforma del 2006, trova fondamento proprio nella “processualizzazione” dell'iter per la dichiarazione di fallimento e nel conseguente (presumibile) allungamento dei tempi dell'istruttoria prefallimentare che non deve andare a discapito della conservazione del patrimonio e dei valori aziendali del debitore (c

osì, S. De Matteis, Istanza di fallimento del debitore. L'istruttoria prefallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali - 1 Fallimento: presupposti, istruttoria, organi, revocatoria e piani attestati, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, 208; F. De Santis, commento all'

art. 15, l. fall

., in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, Bologna, 2006, 327; C. Cavallini, commento all'

art. 15 l. fall

., in Commentario alla

legge fallimentare

, diretto da C. Cavallini, Milano, 2010 p. 328; I. Pagni, Nuovi spazi per le misure cautelari nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fall., 2011, 7, 854; F. De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento, cit., 481; P. De Cesari, G. Montella, Le misure cautelari e conservative nell'istruttoria prefallimentare, Riv. dir. proc., 2011, 4, 792). L'utilità di tale previsione si coglie ancor più considerando che, com'è stato pure notato, la fase dell'istruttoria prefallimentare “può presentarsi come altamente pericolosa rispetto ad atti di distrazione: difatti, in tale fase, mentre l'imprenditore è avvertito del rischio che corre, la domanda di fallimento non produce alcun effetto conservativo” (

R. Bellè, I provvedimenti cautelari e conservativi a tutela del patrimonio e dell'impresa, in Fall., 2011, 1, 5

).

Quanto all'oggetto ed al contenuto dei provvedimenti adottabili, l'ampia formulazione della norma consente di configurare la tutela cautelare in oggetto come atipica, nel senso che è rimesso alla parte che richiede il provvedimento ed al Tribunale (che tale provvedimento deve emettere) di valutare quale misura sia in concreto più idonea a perseguire l'obiettivo della tutela interinale del patrimonio o dell'impresa (

C. Cecchella, Le misure cautelari e conservative, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F: Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, vol. II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, 66). Nella casistica giurisprudenziale sin qui maturata la tutela cautelare di cui si discute è stata accordata in una molteplicità di forme: sequestri conservativi della liquidità o dei beni dell'imprenditore; sequestri giudiziari di singoli beni, dell'azienda o di rami della stessa; misure atipiche incidenti sulla governance dell'impresa (nomina di custodi, revoca degli organi sociali con nomina di amministratori giudiziari, inibitoria di atti incidenti sull'assetto dell'impresa, quali operazioni straordinarie o operazioni sul capitale), sulle dinamiche tra debitore e ceto creditorio (sospensione di pagamenti, sospensione di azioni esecutive individuali già avviate, liberazione dal vincolo di pignoramento di beni già pignorati) e più in generale, nei rapporti con i terzi (ordine di non interrompere determinate forniture,

cfr. anche, P. Roncoletta, commento all'

art. 15 l. fall

., in P. Pajardi, Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola e A. Paluchowski, Milano, 2009, 225; P. Marzocchi, I provvedimenti cautelari nell'istruttoria prefallimentare: i limiti agli effetti anticipatori, Fall., 2010, 10, 1182; contrario alla possibilità che le misure cautelari in parola possano esplicare effetti anche nei confronti dei creditori o di terzi, M. Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della

legge fallimentare,

a cura di A. Didone, Torino, 2009, 293).

Di entrambi gli aspetti appena esaminati, ossia le finalità ed il contenuto dei provvedimenti cautelari prefallimentari, si deve tener conto nell'affrontare il tema del presente lavoro. Ed infatti, come si vedrà meglio nel prosieguo, né la ratio della norma, né l'ampiezza dei poteri cautelari riconosciuti in capo al Tribunale in attuazione dell'

art. 15, comma 8,

l

.

fall

. restano irrilevanti rispetto alle forme procedurali mediante le quali tali poteri possono essere esercitati.

Il procedimento cautelare prefallimentare: le posizioni della dottrina

Se nel disciplinare gli aspetti sostanziali e contenutistici dei provvedimenti in parola il legislatore ha adottato una formulazione volutamente ampia ed elastica; con riguardo agli aspetti procedimentali, invece, è stato del tutto assente, salvo la specificazione della necessaria domanda di parte e la previsione di assorbimento dei provvedimenti emessi nella pronuncia che dichiara il fallimento o respinge la relativa istanza. La ricostruzione di tale disciplina è, dunque, quasi interamente rimessa all'attività degli interpreti (

C. Cavallini, commento all'

art. 15 l. fall

., in Commentario alla

legge fallimentare

, diretto da C. Cavallini, cit., 331). È su tale aspetto, dunque, che si registrano le maggiori divergenze di opinione.

Come noto, nel codice di procedura civile vi è un corpus di norme (gli artt. da 669-bis a 669-quaterdecies) che regola il “processo cautelare uniforme”, ovvero la procedura applicabile per l'adozione dei provvedimenti cautelari previsti nel medesimo codice di rito (salvo quelli di istruzione preventiva); in virtù di quanto disposto dal citato

art. 669-

quaterdecies

c.p.c.

, inoltre, le norme sul rito cautelare uniforme si applicano, “in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali”, ovvero alle misure cautelari c.d. “extravaganti”.

Prescindendo qui dalle questioni sollevate dalla disposizione citata (

S. Recchioni, Diritto processuale cautelare, Torino, 2015, 147; cfr., C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, tomo I - Le cautele, Padova, 2004, 284; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, IV - L'esecuzione forzata, i procedimenti sommari, cautelari e camerali, Torino, 2015, 274; G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, vol. XI, Le cautele - Il processo cautelare, Padova, 2012, 42), si può in sintesi affermare che gli Autori pronunciatisi sul punto si dividono tra quanti sostengono la compatibilità (e quindi l'applicabilità) del rito cautelare uniforme ai fini dell'adozione delle misure cautelari prefallimentari e quanti, invece, con varie sfumature la negano (

M. Sciacca, L'istruttoria prefallimentare: profili processuali, Dir. fall., 2007, I, 64

).

Chi propende per l'applicabilità delle norme sul rito cautelare uniforme (

cfr., C. Cecchella, Le misure cautelari e conservative, cit., 63; nello stesso senso, F. De Santis, commento all'

art. 15, l. fall

., in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 329; id., Le misure cautelari ed inibitorie, in Trattato di diritto fallimentare, cit., 403; id., Il processo per la dichiarazione di fallimento, cit., 486; sulla stessa posizione, S. De Matteis, Istanza di fallimento del debitore. L'istruttoria prefallimentare, cit., 213), ritiene che nel silenzio dell'

art. 15, comma 8, l

.

fall

., l'emissione dei provvedimenti previsti da tale disposizione debba avvenire secondo il modulo procedimentale delineato dall'

art. 669-

sexies

c.p.c.

In sostanza, secondo tale impostazione, nell'ambito del procedimento per la dichiarazione di fallimento verrebbe ad inserirsi un subprocedimento cautelare, attivato ad istanza di parte e strutturato secondo il modello del processo cautelare uniforme, a sua volta ispirato ai principi della libertà delle forme e del contraddittorio tra le parti in posizione di parità (contraddittorio che, nel caso di particolare urgenza può essere solo differito, ma mai omesso, cfr.

G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, vol. XI, Le cautele - Il processo cautelare, cit., 102 e ss.), con la possibilità che le parti devolvano ad altro Giudice il controllo del provvedimento cautelare medesimo, mediante il reclamo (

G. Scarselli, Procedimento prefallimentare e procedimenti in camera di consiglio, Foro it., 2006, 5, 179, e A. Saletti, La tutela giurisdizionale nella legge fallimentare novellata

, cit., 989).

Altra parte della dottrina ha manifestato perplessità in ordine all'applicabilità del rito cautelare uniforme nell'ambito dell'istruttoria prefallimentare (

cfr. B. Inzitari, Sostituzione cautelare dell'amministratore per l'istruttoria prefallimentare

ex art. 15, penultimo comma, l. fall.

, in Dir. fall., 2008, II, 358; F. Cordopatri, Appunti sulla tutela cautelare nella preistruttoria fallimentare, in Dir. fall., 201, I, 381; dubitativa, M. Cordopatri, Le procedure concorsuali e le misure urgenti di cui all'

art. 15 legge fallim.

, in Dir. fall., 2011, II, 324), considerando il “peculiare «ambiente» nel quale viene ad inserirsi tale bisogno di tutela cautelare” e ritenendo, dunque, che “l'instaurazione di un microprocedimento cautelare nel corso dello svolgimento del giudizio prefallimentare […] si possa rivelare perfino sovrabbondante rispetto all'esigenza, comunque specificamente avvertita dal legislatore, di mantenere un carattere snello e celere al procedimento volto all'accertamento dei presupposti del fallimento” (

C. Cavallini, commento all'

art. 15 l. fall

., in Commentario alla

legge fallimentare

, diretto da C. Cavallini, cit., 333).

Secondo tale diversa impostazione, dunque, atteso il particolare “ambiente” nel quale la tutela cautelare in questione va ad inserirsi (ovvero un procedimento camerale ispirato ai principi di “

snellezza, semplicità di forme e celerità”), l'emanazione dei provvedimenti cautelari prefallimentari non dovrebbe ritenersi soggetta alla rigida scansione procedimentale dettata dal rito cautelare uniforme.

Ne conseguirebbe che il provvedimento cautelare richiesto dovrebbe essere emesso “senza indugio, e quindi anche e soprattutto inaudita altera parte”, mentre il contraddittorio tra le parti potrebbe essere instaurato ex post, e potrebbe “efficacemente ed esaustivamente aversi con e nell'udienza ora obbligatoriamente prevista per la discussione della domanda del creditore, senza che si debba rendere necessaria la fissazione di un'apposita udienza ad hoc […], come invero prevede la norma generale del processo cautelare” (C. Cavallini, commento all'art. 15 l. fall., in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, cit., 333).

Peraltro, nella ricostruzione appena esposta, la fissazione di un'udienza apposita per la trattazione della domanda cautelare nel contradditorio delle parti non sembra radicalmente preclusa, restando una possibilità rimessa alla valutazione discrezionale del Tribunale (

M. Ferro, commento all'

art. 15 l. fall

., in La

legge fallimentare - Commentario teorico pratico

, a cura di M. Ferro, Padova, 2007, 121; id., I poteri del giudice delegato nell'istruttoria sull'insolvenza, in Fallimento, 2008, 9, 1043). Ed ancora, secondo la tesi qui in commento, sarebbe legittimo ipotizzare la non reclamabilità dei provvedimenti in questione, nel presupposto che “le difese dell'imprenditore (e anche del creditore istante) spendibili con il reclamo cautelare ai sensi dell'art. 669-terdecies risultano comunque spendibili nell'udienza di comparizione personale” (

C. Cavallini, commento all'

art. 15 l. fall

., in Commentario alla

legge fallimentare

, diretto da C. Cavallini, cit., 333; anche M. Ferro, I poteri del giudice delegato nell'istruttoria sull'insolvenza, cit., 1046; G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, vol. XI, Le cautele - Il processo cautelare, cit., 741).

A conclusioni più nette è giunta altra dottrina, secondo la quale dal tenore dell'

art. 15, comma 8, l

.

fall

., si dovrebbe evincere che i provvedimenti in parola siano adottati “strutturalmente - e non solo normalmente - inaudita altera parte nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento” e che, “l'adozione senza necessità di instaurare il contradditorio nei confronti delle altre parti del procedimento, e principalmente del debitore destinatario della cautela stessa,costituisce non solo la regola, e non un'eccezione soggetta alla presenza di specifici presupposti e a specifica disciplina procedimentale, ma anzi l'unica modalità compatibile con la struttura procedimentale prevista dalla

legge fallimentare

” (

M. Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della

legge fallimentare,

a cura di A. Didone, cit., 298; id., commento all'art. 15, in La

legge fallimentare dopo la riforma, Disposizioni generali, Fallimento

, cit., 218-219). Ne consegue in definitiva, secondo l'Autore citato, che “il contraddittorio in relazione alla domanda cautelare proposta da una delle parti si realizza non in un distinto procedimento (quello cautelare, appunto), ma nell'ambito dello stesso procedimento per la dichiarazione di fallimento” (

Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della legge fallimentare,

a cura di A. Didone, cit., 300; id., commento all'art. 15, in La

legge fallimentare dopo la riforma, Disposizioni generali, Fallimento

, cit., 218-219). L'impossibilità di individuare due distinti procedimenti, uno “principale” per la dichiarazione di fallimento ed uno “incidentale” per l'emissione dei provvedimenti cautelari, deriverebbe dalla struttura propria del procedimento per la dichiarazione di fallimento alla quale si è sopra fatto cenno, strutturalmente incompatibile con la previsione di un subprocedimento cautelare strutturato secondo il rito delineato dal codice. Peraltro, e sembra questa la differenza rispetto alla tesi “intermedia” sopra illustrata, secondo l'Autore appena citato la formazione del contraddittorio nell'ambito del procedimento della dichiarazione di fallimento e non in un subprocedimento apposito non potrebbe costituire oggetto di valutazione di opportunità effettuata dalle parti o dal Tribunale, ma un dato normativo preciso, ritraibile dalla lettura dell'

art. 15, comma 8,

l

.

fall

.

Per lo stesso motivo sarebbe esclusa, infine, anche la possibilità del reclamo cautelare, poiché fino alla dichiarazione di fallimento la misura è ancora soggetta a conferma o revoca da parte del medesimo collegio che lo ha adottato, mentre dopo la sentenza che dichiara il fallimento o il decreto che respinge la relativa istanza non vi sarebbe più alcun interesse al reclamo cautelare (

M. Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della

legge fallimentare,

a cura di A. Didone, cit., 307).

(segue) e della giurisprudenza

Le stesse divergenze registrate in dottrina trovano rispondenza nella prassi giurisprudenziale, dove si riscontrano precedenti che spaziano dalla tesi favorevole alla piena applicabilità del rito cautelare uniforme nell'ambito nel procedimento prefallimentare a quella della necessarietà della pronuncia inaudita altera parte e senza possibilità di reclamo.

Sulla prima posizione, tra gli altri, il Tribunale di Pavia che con il decreto del 6 luglio 2011 ha affermato che “i provvedimenti cautelari di cui all'

art. 15 l. fall

. possono essere inquadrati tra le misure cautelari c.d. extravaganti in quanto non disciplinate direttamente dal c.p.c. ma da legge speciale (quella fallimentare), ma sono sottoposte, in quanto compatibili,

ex art. 669-quaterdecies c.p.c.

alle norme sul procedimento cautelare uniforme” (

Trib. Milano, decreto, 25 marzo 2010).

Dubbi sull'applicabilità del rito cautelare uniforme erano invece già stati sollevati dal Tribunale di Monza con l'ordinanza dell'11 febbraio 2009, secondo la quale “

è assai dubitabile che questi provvedimenti interinali condividano anche lo schema del nuovo processo cautelare riformato, di cui all'art. 669-bis e seguenti, sia per quanto riguarda l'emissione che il possibile reclamo”.

Vi sono poi due ordinanze del 2013, una del Tribunale di Torre Annunziata (

ordinanza 12/18 marzo 2013

) ed una della Corte d'Appello di Napoli (

ordinanza 3/17 aprile 2013

), entrambe relative alla medesima vicenda di fatto, ma che raggiungono conclusioni opposte. La fattispecie all'esame dei due Giudici è quella di un provvedimento emesso inaudita altera parte (seppure denominato ordinanza) con il quale il Tribunale autorizzava la curatela di un fallimento di una società di capitali a procedere al sequestro conservativo di beni appartenenti a soggetti contro i quali la stessa curatela aveva proposto istanza di fallimento (presumibilmente nella qualità di partecipanti, insieme alla società fallita, di una società di fatto), senza altro disporre con riguardo all'eventuale conferma del provvedimento nel contraddittorio delle parti. Entrambi i Giudici aditi si interrogano sul regime giuridico cui lo stesso provvedimento debba ritenersi soggetto e raggiungono, come detto, conclusioni opposte.

Secondo la Corte d'Appello il reclamo è inammissibile perché “l'ottavo comma dell'

art. 15 l. fall.

induce infatti a ritenere che, secondo la mens legis, essi [i provvedimenti cautelari prefallimentari; n.d.a.] possano essere emessi (o negati) soltanto inaudita altera pars e con un decreto il cui vaglio (nel primo caso) è riservato al momento (fisiologicamente assai prossimo) in cui il medesimo tribunale dovrà, a contraddittorio integro, decidere se accogliere o rigettare l'istanza di fallimento. Né può sospettarsi che quest'interpretazione sia in contrasto con la costituzione, che non impone al legislatore di prevedere l'impugnabilità dei provvedimenti cautelari”.

I provvedimenti cautelari prefallimentari sarebbero quindi strutturalmente pronunciati inaudita altera parte e non soggetti ad alcuna forma di riesame, salvo la conferma o la revoca in sede di sentenza che pronuncia il fallimento o di decreto che rigetta la relativa istanza.

Pochi giorni prima, tuttavia, con una più motivata ordinanza il Tribunale di Torre Annunziata aveva rigettato tale impostazione, osservando tra l'altro che: “a ben vedere, il principale argomento che viene speso per escludere, se non in modo estremamente ridotto, l'applicabilità del procedimento cautelare uniforme è di carattere metagiuridico: evitare una proliferazione di fasi (da reclamo allo stesso contraddittorio di conferma se la misura è emessa inaudita altera parte) che potrebbe minare le basi di celerità cui tali provvedimenti dovrebbero restare ancorati”; ed ancora: “nel caso di specie, l'unico argomento che indurrebbe ad escludere la reclamabilità del provvedimento contenente la misura è rappresentato proprio dall'

art. 15, comma 8, l.

f

all

., […] Si potrebbe, cioè, essere tentati dal sostenere che, dovendo essere il provvedimento iniziale nuovamente vagliato in sede di decisione finale, non vi sarebbero margini per la reclamabilità. Tuttavia […] non vi è chi non veda che le finalità della conferma o della revoca al momento della decisione finale e della conferma o revoca limitata alla misura lato sensu cautelare sono sostanzialmente differenti”.

Secondo il Tribunale, in sintesi, il potere di confermare o revocare la misura con la sentenza che dichiara il fallimento sarebbe previsto “nell'ottica di autorizzare una protrazione degli effetti operativi delle misure adottate” anche successivamente alla dichiarazione di fallimento; il Tribunale, pertanto, conclude affermando che: “essendo questa la ratio legis sottesa alla previsione normativa, è evidente che non coglie nel segno la pur autorevole opinione (peraltro, anch'essa metagiuridica) secondo cui sarebbe accettabile un limitato sacrificio sul piano delle garanzie, tenuto conto del lasso tendenzialmente breve che intercorre tra l'adozione delle misure e l'esito del procedimento. Invero, a prescindere dal fatto che il concetto di brevità del tempo è estremamente vago e relativo, non vi è una sovrapposizione degli ambiti di controllo della sentenza (o del decreto di rigetto) conclusiva della procedura prefallimentare e del reclamo, potendosi riconoscere solo a quest'ultimo istituto la natura esclusiva di revisio prioris instantiae”. In definitiva, per il Tribunale di Torre Annunziata, non vi è alcun motivo giuridico per negare l'applicabilità del rito cautelare uniforme, né nella fase di emissione delle misure cautelari prefallimentari, né in quella di reclamo.

Nel frastagliato panorama dottrinale e giurisprudenziale sin qui delineato si colloca l'ordinanza del Tribunale di Como del 20 aprile 2015, nella quale vengono risolutamente ribaditi due punti:

  • il provvedimento cautelare

    ex

    art. 15, comma 8, l

    .

    fall

    . può essere concesso o negato solo inaudita altera parte;

  • detto provvedimento non è soggetto ad altro riesame se non a quello dello stesso Tribunale chiamato a pronunciarsi sull'istanza di fallimento, non essendo ammissibile alcuna forma di reclamo cautelare.

Il provvedimento del Tribunale di Como non si distingue, invero, per profondità di analisi delle problematiche affrontate. In primo luogo, appare quanto meno opinabile l'affermazione secondo cui l'art. 15, comma 8, “stabilisce la regola secondo cui essi [i.e. i provvedimenti cautelari] possono essere concessi o negati solo inaudita altera parte e con decreto suscettibile di riesame da parte dello stesso tribunale chiamato a pronunciarsi sull'istanza di fallimento”, quasi che tale regola emergesse per tabulas dal dato normativo e non costituisse una delle (diverse e tutte motivate) interpretazioni possibili. Né sembra del tutto rispondente al vero, come visto, che “

la tesi della reclamabilità

ex

art. 669-

terdecies

c.p.c.

risulta invero assolutamente isolata”, mentre quella della non reclamabilità sarebbe supportata dalla “più parte degli autori” e che non vi sarebbero nemmeno precedenti giurisprudenziali favorevoli all'applicazione del rito cautelare uniforme e, più in particolare, alla reclamabilità del provvedimento

ex

art. 15, comma 8,

l. fall

.

Insomma, il recente pronunciamento del Tribunale di Como, pur accogliendo e dando seguito ad un filone dottrinale e giurisprudenziale autorevolmente sostenuto (M. Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della

legge fallimentare,

a cura di A. Didone, cit., 298 e ss., ripresa sempre da M. Montanaro, nel commento all'art. 15, in La

legge fallimentare dopo la riforma, Disposizioni generali, Fallimento

, cit., 218-219, ed accolta nelle ordinanze del Tribunale di Monza dell'11 febbraio 2009 e, più esplicitamente, della

Corte d'Appello di Napoli del 3/17 aprile 2013

), non sembra offrire spunti utili a comporre i contrasti di opinione maturati sul punto.

Considerazioni di sintesi e conclusioni

Da quanto si è sin qui detto emerge che, nonostante l'istituto in esame abbia trovato diffusa applicazione pratica ed abbia suscitato non poco interesse nella dottrina, intorno ad esso resti ancora grande incertezza.

Tentando di svolgere alcune considerazioni utili (si spera) ad orientarsi in tale situazione, è dunque opportuno prendere le mosse dai pochi punti davvero certi. È il caso di chiarire che alcuni di tali punti fermi sono propriamente “giuridici”; ad altri, com'è stato rilevato, si può attribuire valenza “metagiuridica”, ma ciò nondimeno sembrano significativi.

A tal proposito è sufficiente ricordare che il processo (qualsiasi processo) è (deve essere) strumentale alla tutela o all'ottenimento di un “bene della vita”, che è per definizione “metagiuridico”.

A ben vedere, dunque, l'attività processuale trova il proprio stesso fondamento in elementi ed interessi di ordine metagiuridico, ragion per cui non sembra che detti elementi ed interessi possano essere trascurati o del tutto tralasciati da chi cerchi di interpretare le norme relative al modo di svolgersi di tale attività.

Il primo punto fermo è che i provvedimenti di cui all'

art. 15, comma 8,

l. fall

. costituiscono provvedimenti cautelari extravaganti inseriti nell'ambito di un procedimento (quello per la dichiarazione di fallimento) contenzioso

a rito camerale, caratterizzato dal principio di libertà delle forme e strutturato in modo da garantire, da un lato, la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti e, dall'altro, snellezza e celerità.

Altro punto fermo è che tali provvedimenti sono

in grado di incidere su interessi e posizioni giuridiche delle parti di tale procedimento, nonché, stando all'analisi della giurisprudenza e della prevalente dottrina, su quelli di soggetti terzi, estranei allo stesso.

L'ultimo punto fermo consiste, infine, nel fatto che l'introduzione dello strumento in parola trova la sua ratio nella processualizzazione del procedimento per la dichiarazione di fallimento operata con la riforma del 2006-2007 e nel conseguente normale allungamento dei tempi dell'istruttoria prefallimentare.

Se tutto ciò è vero, la tesi secondo cui i provvedimenti de quibus sarebbero strutturalmente destinati ad essere emessi senza contraddittorio e sarebbero suscettibili di riesame soltanto da parte dello stesso Tribunale chiamato a pronunciarsi sull'istanza di fallimento, non sembra condivisibile. Tale impostazione equivarrebbe nella sostanza a privare del tutto (nel caso in cui le misure siano destinate a produrre effetti nei confronti di terzi) ovvero a limitare fortemente il diritto costituzionale di difesa, estrinsecantesi tra l'altro nel diritto al contraddittorio ovvero nel diritto della parte a partecipare in concreto alla formazione del provvedimento destinato ad esplicare effetti nei propri confronti (

cfr., nella dottrina processualistica, C. Consolo e F. Godio, commento all'

art. 101 c.p.c.

, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, Torino, 2012, Vol. II, 22; per la dottrina costituzionalistica, cfr., A. Police, commento all'art. 24, e A. Andronio, commento all'art. 111, in Commentario alla Costituzione, a cura di F. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2006, rispettivamente 512 e 2113).

Accogliendo tale tesi, infatti, dovrebbe ritenersi ammissibile l'emissione di provvedimenti cautelari incidenti sui diritti di un terzo senza che questi abbia mai la possibilità di contraddire alla domanda cautelare altrui, né nel corso del sub-procedimento cautelare (in ipotesi, non configurabile) né nel procedimento per l'istruttoria prefallimentare (poiché estraneo a tale procedimento). In sostanza, il terzo si troverebbe inciso (in alcune ipotesi, irrimediabilmente) in una propria situazione giuridica soggettiva senza aver avuto alcuna possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Così ricostruito, il sistema non pare del tutto razionale nemmeno in assenza di soggetti terzi incisi dal provvedimento. Ed infatti, da un lato, il legislatore avrebbe inteso garantire una tutela interinale alle situazioni ed agli interessi delle parti coinvolte nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, consapevole del normale allungamento dei tempi dell'istruttoria prefallimentare; dall'altro, avrebbe volutamente previsto un meccanismo processuale in cui tale tutela viene strutturalmente fornita inaudita altera parte ed in cui il contraddittorio è sempre e necessariamente rinviato al momento (non necessariamente vicino) in cui tale procedimento si conclude.

Non sembra in verità che, così ricostruita la mens legis, questa possa dirsi del tutto rispettosa del canone di ragionevolezza, oltre che dei già richiamati principi costituzionali di tutela del diritto di difesa e del contraddittorio, considerando anche che il ridetto procedimento può concludersi tanto con la dichiarazione di fallimento (nel qual caso, il più delle volte, la misura cautelare avrà avuto effetti latu sensu anticipatori rispetto quelli prodotti dalla sentenza) quanto con il decreto di rigetto dell'istanza e che, in tale ultimo caso, il destinatario dell'istanza di fallimento potrebbe essere assoggettato per un periodo di tempo non sempre accettabilmente breve a misure pesantemente incisive nella propria sfera giuridica senza che sussistano né i presupposti per la dichiarazione di fallimento, né quelli, diversi, per la concessione delle misure cautelari.

Ancor meno sembra che, a fronte degli aspetti problematici appena evidenziati, tale impostazione possa essere desunta in via meramente interpretativa, in assenza di riferimenti normativi certi ed inequivocabili.

Al contrario, sembra che la pacifica qualificabilità delle misure in parola come provvedimenti cautelari extravaganti, unitamente ai caratteri propri del procedimento per la dichiarazione di fallimento nel cui ambito tali misure vanno ad inserirsi, dovrebbero indurre a riconoscere l'applicabilità, se non dell'intera disciplina del processo cautelare uniforme, quantomeno dei principi ispiratori di tale disciplina. In particolare, dovrebbe riconoscersi la necessità che, salva la possibilità di disporre inaudita altera parte nel caso di particolare urgenza, i provvedimenti cautelari in parola vengano pronunciati a contraddittorio integro (comprendente sia le parti del procedimento prefallimentare sia i terzi estranei al procedimento per la dichiarazione di fallimento, ma destinati ad essere incisi dalla misura) e non necessariamente procrastinato fino al momento della pronuncia sulla domanda di fallimento. Rientrerà nell'esercizio dei poteri di governo del procedimento, rimessi dalla legge al Tribunale senza rigide predeterminazioni, valutare se i tempi della procedura siano tali da consentire la trattazione congiunta della domanda cautelare e dell'istruttoria sull'insolvenza oppure se, attese le circostanze del caso, sia opportuna la fissazione di un'udienza ad hoc più prossima.

Quanto alla reclamabilità del provvedimento emesso all'esito del contraddittorio, ricordando la necessaria rilevanza anche degli elementi di valutazione “metagiuridici”, non sembra del tutto priva di pregio la tesi secondo cui il peculiare “ambiente” nel quale viene ad inserirsi la tutela cautelare in esame potrebbe legittimare

“un limitato sacrificio sul piano delle garanzie […] così rinviandosi all'esaurimento della istruttoria ogni decisione sulla stabilizzazione della misura e salvo il contraddittorio” (

M. Ferro, I poteri del giudice delegato nell'istruttoria sull'insolvenza, cit., 1046; cfr., anche, C. Cavallini, commento all'

art. 15 l. fall

., in Commentario alla

legge fallimentare

, diretto da C. Cavallini, cit., 333). Peraltro, è anche opportuno ricordare che, a differenza che nel processo cautelare uniforme (dove il provvedimento cautelare è pronunciato dal giudice monocratico ed è soggetto a reclamo dinanzi al collegio) nell'istruttoria prefallimentare i provvedimenti cautelari sono sempre di competenza collegiale; sembra quindi che anche tale elemento (invero, non del tutto “metagiuridico”) possa essere portato a sostegno della tesi della non reclamabilità di tali ultimi provvedimenti, a condizione che essi siano stati emessi nel contraddittorio tra tutte le parti interessate.

Ricostruita nei termini appena indicati, la disciplina in oggetto sembra in grado di contemperare gli opposti interessi in gioco: quelli dei creditori a non vedere pregiudicato il loro diritto a partecipare al concorso sul patrimonio del debitore, grazie alla possibilità di chiedere provvedimenti cautelari prefallimentari; quelli del debitore e degli eventuali terzi, a non vedersi unilateralmente incisi da provvedimenti anche gravemente pregiudizievoli senza avere possibilità di difendersi; infine, quelli pubblici alla celerità del procedimento prefallimentare.

In particolare, con riguardo a questi ultimi, sembra che i penetranti poteri di direzione del procedimento riconosciuti al Tribunale mediante la previsione del rito camerale, unitamente alla plausibile non reclamabilità dei provvedimenti cautelari emessi nel contraddittorio delle parti, sembrano far venir meno il pericolo, paventato da alcuni, che il procedimento prefallimentare risulti in tal modo “appesantito ed allungato in modo intollerabile” e che la decisione sulle misure cautelari giunga dopo quella sull'istruttoria prefallimentare.

Resta invece fermo che, laddove dovesse ritenersi che i provvedimenti in parola siano strutturalmente destinati ad essere emessi inaudita altera parte fino alla pronuncia sulla domanda di fallimento, la possibilità di proporre reclamo, quale strumento per sollecitare un riesame del provvedimento nel contraddittorio delle parti, appare innegabile, pena la violazione dei principi costituzionali dettati in materia di esercizio dell'attività giurisdizionale (anche in ambito fallimentare ed anche di natura cautelare).

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