Il ruolo e la cartella di pagamento nelle procedure concorsuali: l'accesso alla giustizia tributaria

28 Maggio 2015

L'inizio di una procedura concorsuale implica, in via generale, il divieto di azioni esecutive individuali. Fino all'entrata in vigore del d.lgs. 46/1999 la riscossione dei crediti tributari costituiva una deroga a tale divieto (art. 51, d.P.R. 602/73); con la Riforma della riscossione mediante ruolo tale deroga è venuta meno, e quindi anche per la soddisfazione dei crediti tributari dovranno applicarsi le regole del concorso formale e sostanziale (artt.51e 52l. fall.). L'Autore propone una approfondita analisi sulle funzioni del ruolo e della cartella di pagamento nelle procedure concorsuali ai fini dell'insinuazione al passivo, nonché sui rapporti tra l'accertamento dei crediti tributari in sede fallimentare e la giurisdizione tributaria.
L'accertamento dei crediti nelle procedure concorsuali

Il carattere concorsuale della procedura fallimentare implica che (tendenzialmente) tutti i crediti siano accertati e possano trovare effettiva soddisfazione soltanto nell'ambito della procedura stessa.

Tale principio si ricava dal combinato disposto degli artt. 51 (divieto di azioni esecutive e cautelari individuali) e 52 (concorso dei creditori) l. fall. , non a caso definiti “i capisaldi, letti insieme e organicamente, del concetto di <<concorsualità>>, quale precipuo fattore di caratterizzazione della procedura fallimentare e della sua <<natura giuridica>>”.

L'effettiva applicazione del principio del concorso si attua, dunque, in primo luogo con l'inibizione per i creditori a procedere con azioni esecutive individuali (che, se consentite, avrebbero come effetto di avvantaggiare il creditore procedente in danno degli altri creditori concorsuali); in secondo luogo, attribuendo al creditore che intenda ottenere soddisfazione del proprio credito, l'onere di chiederne l'accertamento e l'ammissione al passivo fallimentare, secondo le modalità dettate dagli

artt. 92 e ss. l.

f

all

. Soltanto dall'esito di tale accertamento (riguardante l'esistenza del credito e la sua opponibilità al fallimento) e dalla conseguente ammissione al passivo discende il diritto del creditore di partecipare alla ripartizione dell'attivo e, dunque, di ottenere la soddisfazione (totale o parziale) del credito medesimo.

Dal carattere di esclusività del procedimento di verifica del passivo nell'ambito della procedura concorsuale deriva che l'ammissione al passivo possa essere chiesta ed ottenuta non solo da creditori già muniti di titolo esecutivo o portatori di un credito certo, liquido ed esigibile, ma anche da soggetti portatori di un credito “non ancora consacrato in un titolo o, addirittura di un credito la cui stessa esistenza debba essere ancora accertata”. Ciò implica, a sua volta, che il procedimento di accertamento del passivo disciplinato dagli

artt. 93 e

ss.

l.

f

all

., “non può essere ridotto alla semplice verifica del diritto di partecipare al concorso o alla verifica dell'esistenza di un titolo esecutivo eventualmente formato in una diversa sede giudiziale, ma comprende e presuppone una decisione sul diritto sostanziale che giustifica la pretesa e, con essa, la realizzazione del credito”. Al procedimento di verifica del passivo, dunque, è riconosciuto il carattere di procedimento giurisdizionale contenzioso di cognizione, governato dai principi della domanda (la domanda di ammissione al passivo, proposta con ricorso

ex

art. 93 l.

f

all

.) e del contraddittorio (di cui è oggi possibile l'allargamento al fallito, oltre che al creditore ed al curatore; cfr.

art. 95, comma 4, l.

f

all

.). Oggetto di tale giudizio, in particolare, è l'accertamento della attuale esistenza del credito oggetto della domanda, della sua opponibilità al fallimento e della sussistenza di eventuali cause di prelazione che lo assistano.

Quanto appena detto è valido in via generale. Tuttavia entrambe le regole su cui si fonda il principio di concorsualità

(artt. 51

e

52, l.

f

all

.) possono subire, per esplicita previsione normativa, delle deroghe.

Tra le deroghe al divieto di azioni esecutive individuali vi era, fino alla riforma della disciplina della riscossione mediante ruolo operata con il

d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46

, quella relativa alla riscossione dei crediti tributari. L'

art. 51 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602

, nella formulazione precedente alle modifiche apportate con il

d.lgs. n. 46/1999

, disponeva infatti che: “l'esattore può procedere alla espropriazione anche quando il debitore sia dichiarato fallito ovvero sia sottoposto a liquidazione coatta amministrativa. Tuttavia l'esercizio dell'azione esecutiva può essere sospeso dall'intendente di finanza su domanda rispettivamente del curatore o del commissario liquidatore”. Secondo l'orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, tale eccezione aveva tuttavia natura strettamente processuale, inidonea ad alterare la regola della par condicio creditorum: la facoltà dell'esattore di procedere alle azioni esecutive individuali non lo esimeva dall'onere di insinuazione del proprio credito al passivo, né dall'assoggettamento del proprio credito al concorso con gli altri creditori, né, infine, dall'obbligo di restituire alla massa fallimentare la somma ricavata dall'esecuzione individuale eccedente rispetto alla quota spettantegli in sede di riparto dell'attivo (oppure l'intero importo in caso di mancata ammissione al passivo). In sostanza, l'esattore poteva procedere alle azioni esecutive individuali ma doveva in ogni caso restituire alla procedura quanto ricavato in eccesso rispetto a quanto ad esso assegnato in sede di riparto dell'attivo.

Venuta meno tale norma in seguito alla riforma del 1999, il principio sancito dall'

art. 51 l.

f

all

. è oggi applicabile anche ai crediti tributari. Anche in relazione a tali crediti, dunque, dal giorno della dichiarazione di fallimento non può essere iniziata o proseguita nessuna azione esecutiva o cautelare individuale. La soddisfazione del credito tributario vantato nei confronti di un soggetto fallito può avvenire esclusivamente a seguito dell'ammissione del credito al passivo a norma degli

artt. 93 e ss. l.

f

all

. ed ai riparti dell'attivo effettuati dalla procedura

. Anche i crediti tributari possono pertanto essere soddisfatti esclusivamente nel concorso con gli altri creditori, secondo quanto stabilito dall'

art. 52 l.

fall

.

La sussistenza della giurisdizione tributaria come limite al potere di verificazione del passivo da parte degli organi fallimentari.

Nel paragrafo precedente è stato affermato che il principio del concorso non subisce deroghe in relazione ai crediti tributari. È altresì vero, tuttavia, che la natura tributaria del credito non resta del tutto irrilevante ai fini dello svolgimento della procedura concorsuale. Tale natura implica, anzi, alcune peculiarità: tra queste, quella più rilevante deriva dall'attribuzione della materia fiscale alla giurisdizione esclusiva del Giudice Tributario e dei conseguenti rapporti tra giurisdizione tributaria e procedimento di accertamento del passivo fallimentare.

Come noto, l'

art. 2, comma

1

, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

, dispone che “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, […] nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”. Con la modifica intervenuta nel 2001, il legislatore ha inteso affidare alla giurisdizione delle commissioni tributarie l'intera materia tributaria, comprese quelle controversie che precedentemente erano rimaste affidate alla cognizione del Giudice Ordinario (ad esempio, imposte di bollo, tasse, imposte doganali e accise). In virtù del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale, inoltre, sono attratte alla giurisdizione tributaria anche le questioni inerenti le sanzioni conseguenti a violazioni di norme tributarie e gli accessori del tributo (tra cui vengono ricompresi gli interessi, le spese di notifica ed i compensi della riscossione

ex

art. 17, d.lgs. n. 112/1999

).

L'attribuzione per legge al Giudice Tributario delle controversie aventi ad oggetto entrate tributarie non può ritenersi costituzionalmente necessitata (ai sensi dell'

art. 102, comma 1, Cost.

, infatti, “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'

ordinamento giudiziario

”). Ed infatti, come visto, fino alla novella del 2001 molte entrate di indubbia natura tributaria erano attribuite alla giurisdizione del Giudice Ordinario, senza che al riguardo sia mai stata adombrata la violazione di alcun principio costituzionale. È vero, semmai, il contrario: in virtù del divieto di istituire nuovi giudici speciali sancito dal secondo comma dell'

art. 102 Cost.

, “la giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (sentenze n. 238 e n. 141 del 2009; n. 130 e n. 64 del 2008; ordinanze n. 300 e n. 218 del 2009; n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006)”.

Da quanto appena detto consegue che il legislatore avrebbe potuto legittimamente devolvere al Giudice Ordinario (fallimentare) il potere di accertare l'esistenza e l'ammontare del credito tributario ai fini concorsuali, secondo il procedimento dettato dagli

artt. 93 e ss., l.

f

all

., non diversamente da quanto avviene per la generalità delle pretese creditorie avanzate contro il fallito. Il legislatore, dunque, avrebbe potuto introdurre una deroga alla giurisdizione del Giudice Tributario per il caso in cui il debitore fosse stato dichiarato fallito, ed includere i crediti tributari nel procedimento di verificazione endoconcorsuale cui sono soggetti i crediti di altra natura.

Ciò, tuttavia, non è stato previsto. Nessuna norma dispone che nel caso di fallimento del debitore l'accertamento dell'esistenza e dell'ammontare del debito d'imposta venga sottratto alla giurisdizione del Giudice Tributario ed attribuito al Giudice fallimentare.

Risulta, invece, che il legislatore abbia inteso confermare l'intangibilità della sfera giurisdizionale del Giudice Tributario anche nel caso di fallimento del debitore. Ed infatti, l'

art. 88 del d.P.R. n. 602/1973

, come sostituito dall'

art. 16 del d.lgs. n. 46/1999

, regola il caso in cui sul credito tributario iscritto a ruolo sorgano contestazioni e, nei suoi primi due commi, stabilisce: “Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia presentata in via tardiva a norma dell'

articolo 101 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267

. Nel fallimento, la riserva è sciolta dal giudice delegato con decreto, su istanza del curatore o del concessionario, quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto”. Dunque, disponendo che il credito tributario contestato debba essere ammesso con riserva e che detta riserva debba essere sciolta “quando è inutilmente decorso il termine prescritto per la proposizione della controversia davanti al giudice competente, ovvero quando il giudizio è stato definito con decisione irrevocabile o risulta altrimenti estinto”, la norma citata implicitamente stabilisce che le contestazioni in ordine al credito tributario di cui si chiede l'ammissione al passivo non possono essere risolte dal Giudice fallimentare, come avviene per la generalità dei crediti, ma dal “giudice competente”, ovvero quello tributario.

In definitiva, l'esistenza della giurisdizione esclusiva del Giudice Tributario sui crediti ed i rapporti aventi natura tributaria rappresenta uno dei casi di deroga al principio della necessaria verifica concorsuale del passivo sancito dall'

art. 52 l.

f

all

.

Da quanto sin qui detto emerge che i crediti tributari non sono sottratti al principio del concorso, nel senso che la loro concreta soddisfazione può avvenire soltanto previa ammissione al passivo fallimentare, con le modalità disciplinate dagli

artt. 93 e ss., l.

f

all

. La peculiarità consiste nel fatto che, stante la sussistenza di una sfera di giurisdizione esclusiva del Giudice Tributario su tutte le controversie aventi ad oggetto crediti o rapporti di natura tributaria, l'accertamento circa l'esistenza e l'ammontare del credito non può essere effettuato dagli organi della procedura (Giudice delegato o Tribunale) bensì soltanto dal Giudice Tributario. Non si tratta, dunque, di una deroga al principio del concorso, ma al principio di esclusività del potere di verifica dei crediti riconosciuto agli organi della procedura dall'

art. 52 l.

f

all

.

Nasce da qui l'esigenza di individuare dei criteri precisi di coordinamento tra le due giurisdizioni e tra i relativi procedimenti.

Coordinamento tra procedura di accertamento del passivo in sede fallimentare e giurisdizione tributaria

Sulla base delle considerazioni esposte nei paragrafi precedenti, è stato osservato che “il tema dell'accertamento dei crediti tributari evidenzia un alto tasso di problematicità, dovuto all'esistenza di due regole potenzialmente configgenti ma che devono essere necessariamente coordinate”: da un lato, la soggezione di tutti i crediti al principio di esclusività della formazione dello stato passivo quale condizione imprescindibile per la partecipazione al concorso; dall'altro, la giurisdizione esclusiva del Giudice Tributario in ordine alle controversie relative all'an ed al quantum delle pretese impositive. Il coordinamento tra dette, potenzialmente configgenti, regole, viene comunemente risolto nel senso che il Giudice delegato ed il Tribunale fallimentare (in sede di opposizione) devono limitarsi a verificare l'esistenza del titolo del credito fiscale, senza entrare nel merito della pretesa, in quanto le relative controversie restano sempre devolute alla giurisdizione tributaria. Al Giudice fallimentare, dunque, è impedito il sindacato sulla legittimità del titolo del credito tributario (sia esso avviso di accertamento, ruolo o cartella di pagamento), nonché qualsiasi accertamento sull'an e sul quantum della pretesa.

Sul punto, sia la dottrina che la giurisprudenza sono ormai consolidate. Secondo la Cassazione, in particolare:

“Il giudice ordinario, nella causa d'opposizione allo stato passivo del fallimento, è chiamato ad accertare, nell'ambito di un normale procedimento contenzioso a cognizione piena, l'esistenza e l'ammontare del credito in contestazione e l'efficacia del titolo allegato a suo sostegno. La relativa indagine, in assenza di disposizioni che deroghino ai comuni criteri sul riparto della giurisdizione, non può investire materie riservate ad un giudice diverso, e, dunque, ove riguardi un rapporto tributario, il quale ricada nella giurisdizione delle commissioni tributarie ai sensi dell'

art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636

e poi dell'

art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

, deve fermarsi al riscontro dell'esistenza di un provvedimento impositivo che integri titolo per l'esercizio del credito, non potendosi estendere a quesiti sulla legittimità formale e sostanziale dell'atto, riservati al giudice tributario, nel processo che il contribuente instauri con impugnazione dell'atto stesso”.

Più in concreto, come chiarito anche dalla giurisprudenza di merito, nel caso di fallimento del debitore d'imposta, il creditore ha l'onere di proporre domanda di ammissione al passivo allegando il titolo fondante la pretesa impositiva; al Giudice delegato spetta il potere-dovere di verificare l'esistenza e l'idoneità del titolo allegato ai fini dell'ammissione del credito al passivo, mentre eventuali contestazioni circa la validità del titolo e circa l'attuale esistenza ed ammontare della pretesa tributaria possono essere sollevate dinanzi al Giudice Tributario, secondo il rito applicabile dinanzi tale magistratura speciale.

Il titolo legittimante l'insinuazione al passivo su istanza dell'agente della riscossione e l'accesso alla giustizia tributaria da parte del curatore fallimentare

Come visto, nell'ammettere al passivo un credito tributario il Giudice Fallimentare deve verificare la (sola) esistenza del titolo legittimante la pretesa. È dunque indispensabile accertare cosa si debba intendere per “titolo legittimante la pretesa”.

In particolare, ai fini che qui rilevano, si tratta di verificare quale sia il titolo legittimante l'ammissione al passivo fallimentare di un credito tributario già iscritto in un ruolo consegnato all'agente della riscossione ma in relazione al quale non sia ancora stata notificata la cartella di pagamento al momento della dichiarazione di fallimento.

Occorre qui precisare che, con la già citata sentenza a

Sezioni Unite

15 marzo 2012, n. 4126, la Cassazione ha stabilito che l'Ente creditore conserva la legittimazione a chiedere l'ammissione del proprio credito al passivo fallimentare, non essendo necessario che la domanda di ammissione sia subordinata all'iscrizione del credito a ruolo ed alla consegna di tale ruolo all'agente della riscossione. Quanto appena detto non vale, tuttavia, per le domande di ammissione avanzate dall'agente della riscossione, nel senso che quest'ultimo non può chiedere l'ammissione al passivo di un credito che non sia ancora stato iscritto in un ruolo reso esecutivo e trasmessogli dall'Ente creditore.

La problematica oggetto della presente trattazione riguarda, dunque, la seguente fattispecie: quella in cui il credito di cui si chiede l'ammissione al passivo sia già iscritto in un ruolo consegnato all'agente della riscossione ma non ancora trasposto in una cartella di pagamento che sia stata notificata prima della dichiarazione di fallimento del debitore. Ci si chiede se in tali ipotesi l'agente della riscossione abbia comunque l'onere di notificare la cartella di pagamento alla procedura fallimentare e se l'esistenza di tale notifica (o della sua prova) costituisca un presupposto indefettibile per l'ammissione del credito al passivo fallimentare.

La soluzione di tale questione,

in ordine alla quale si riscontrano in dottrina e giurisprudenza profondi contrasti, implica alcune rilevanti conseguenze, prima fra tutte quella sulle concrete modalità di accesso alla tutela giurisdizionale avverso la pretesa tributaria avanzata dall'agente della riscossione.

L'

art. 33 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112

dispone che: “Relativamente ai debitori sottoposti alle procedure concorsuali di cui al

regio decreto 16 marzo 1942, n. 267

, e al

decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26

, convertito, con modificazioni, dalla

legge 3 aprile 1979, n. 95

, l'ente creditore iscrive a ruolo il credito ed il concessionario provvede all'insinuazione del credito in tali procedure”; l'

art. 87 del d.P.R. n. 602/1973

, come sostituito dall'

art. 16 del d.lgs. n. 46/1999

dispone invece che: “Il concessionario può, per conto dell'Agenzia delle entrate, presentare il ricorso di cui all'

articolo 6 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267

. Se il debitore, a seguito del ricorso di cui al comma 1 o su iniziativa di altri creditori, è dichiarato fallito, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell'Agenzia delle entrate l'ammissione al passivo della procedura”.

In virtù di tali disposizioni, dunque, il titolo legittimante l'ammissione al passivo fallimentare dovrebbe ritenersi il ruolo, ovvero, secondo la definizione fornitane dall'

art. 10 del d.P.R. n. 602/1973

, l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall'Ente creditore e che, ai sensi dei successivi artt. 12, comma 4, e 49, comma 1, una volta sottoscritto costituisce titolo esecutivo legittimante la riscossione forzata dei crediti iscritti, secondo le norme dettate dal titolo II del

d.P.R. n. 602/1973

(tra cui vi è l'art. 87, sopra citato, che regola specificamente il caso di fallimento del debitore iscritto a ruolo).

Tale affermazione, tuttavia, rischia di apparire troppo semplicistica, soprattutto a fronte di un dibattito dottrinale assai acceso e di orientamenti giurisprudenziali oscillanti. Da più parti si sostiene, infatti, che il ruolo (o meglio, l'estratto del ruolo, ovvero lo stralcio del ruolo riguardante il solo debitore della cui posizione debitoria si tratta) pur essendo necessario ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare, non sia da solo sufficiente. Si ritiene, infatti, che l'ammissione al passivo fallimentare sia subordinata alla prova dell'avvenuta notificazione della cartella di pagamento

ex

art. 25, d.P.R. n. 602/1973

.

Nel sistema della riscossione individuale delineato dal

d.P.R. n. 602/1973

, infatti, il ruolo è un atto meramente interno all'Amministrazione Finanziaria, che viene formato e reso esecutivo dall'Ente creditore e trasmesso all'agente della riscossione, affinché questo provveda alla riscossione dei crediti ivi iscritti. In particolare, non è prevista nessuna forma di notifica al debitore del ruolo (che, si ripete, è un atto collettivo, un elenco, riguardante una serie di soggetti debitori). Per di più, all'esito dei processi di informatizzazione delle procedure di formazione, sottoscrizione e consegna del ruolo, come disciplinate dal decreto interministeriale n. 321 del 3 settembre 1999, il ruolo si risolve in un mero flusso informatico intercorrente tra Enti creditori e agente della riscossione. Anche per tale motivo, la legge prevede che le attività esecutive non possano essere avviate immediatamente dopo la sottoscrizione del ruolo. L'

art. 25 del d.P.R. n. 602/1973

prevede che al debitore venga notificata la cartella di pagamento, contenente “l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”.

Tali considerazioni hanno indotto taluni a ritenere che l'ammissione al passivo su istanza dell'agente della riscossione non possa essere disposta sulla base della sola produzione del ruolo (o, meglio, dell'estratto del ruolo), essendo invece necessaria anche la prova dell'avvenuta notifica della cartella di pagamento. Detta posizione è stata affermata dalla Suprema Corte in un ormai risalente precedente, e poi recepita dalla successiva giurisprudenza di merito e dalla dottrina.

La stessa Cassazione, che pure aveva affermato il principio della necessità della notifica della cartella, nella sua più recente giurisprudenza è tuttavia pervenuta a conclusioni opposte, affermando che l'ammissione al passivo non è subordinata alla prova dell'avvenuta notifica della cartella di pagamento. Il nuovo orientamento, già affermato in una pronuncia del 2008, v

iene più compiutamente elaborato a partire dall'

ordinanza

della sezione VI-

1

, n. 12019 del 31 maggio 2011, dove si legge: “Il

D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87,

invero, dispone al comma 2 che “Se il debitore, a seguito del ricorso di cui al comma 1 o su iniziativa di altri creditori, è dichiarato fallito, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell'Agenzia delle entrate l'ammissione al passivo della procedura”. Come risulta evidente dalla citata disposizione il titolo in base al quale il concessionario è legittimato all'insinuazione è costituito dal solo ruolo mentre nessun accenno è fatto alla necessità che l'insinuazione debba essere preceduta dalla notifica della cartella di pagamento e tanto meno che quest'ultima debba essere divenuta definitiva. Né vale argomentare la necessità della previa notificazione della cartella dal disposto dell'art. 25, del citato d.P.R. che impone al concessionario di notificarla entro un termine di decadenza in quanto, per ciò che qui rileva, tale adempimento è sostitutivo della notificazione del precetto, […] Neppure potrebbe obiettarsi, infine, che la notificazione della cartella sarebbe necessaria per consentire al curatore [di impugnare; n.d.a.], in esito all'ammissione con riserva imposta dall'art. 88 del più volte citato D.P.R., posto che l'organo fallimentare viene compiutamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda e può impugnare la medesima avanti al giudice tributario, così come autorizza il dettato del d.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, lett. d), prescindendo dalla cartella in considerazione della specificità della procedura fallimentare e di conseguenza dell'inutilità di atti volti a rendere possibile l'esecuzione singolare”. La non indispensabilità della previa notifica della cartella di pagamento ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare è stata poi ribadita dalla Suprema Corte (seppure con prese di posizioni non sempre coerenti tra loro) e recepita da una parte della giurisprudenza di merito.

Ed infatti, se nelle pronunce sopra richiamate la Cassazione si è espressa nel senso della sostanziale inutilità della notifica della cartella di pagamento e della possibilità di sollevare eventuali contestazioni mediante l'impugnazione diretta del ruolo, di cui il curatore prende conoscenza unitamente alla domanda di ammissione, in altre occasioni la stessa Suprema Corte è giunta ad affermare, da un lato, che la notifica della cartella di pagamento non solo non è indispensabile ma non è nemmeno consentita, stante il divieto di azioni esecutive individuali sancito dall'

art. 51 l.

f

all

.; dall'altro che la notifica della cartella non è indispensabile ai fini dell'ammissione con riserva al passivo fallimentare, ma resta comunque un onere al quale è subordinato il definitivo “consolidamento della pretesa tributaria”. La questione, dunque, non sembra definitivamente risolta, neppure nella giurisprudenza di legittimità.

In tale contesto, non sussistendo una norma che espressamente imponga o escluda la necessità di notificare la cartella di pagamento anche nel caso di fallimento del debitore iscritto a ruolo né, sembra, argomenti dirimenti nell'un senso o nell'altro espressi dalla dottrina, la soluzione alla questione in oggetto può essere raggiunta soltanto alla luce di un esame complessivo della disciplina relativa alla riscossione a mezzo ruolo e della ratio sottesa alle singole regole che compongono tale disciplina.

Nel sistema delineato dal

d.P.R. n. 602/1973

, la notifica della cartella di pagamento svolge una molteplicità di funzioni. È in primo luogo atto assimilabile al precetto previsto dall'

art. 480 c.p.c.

, intimando l'adempimento dell'obbligo risultante dal titolo esecutivo, con l'avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Sotto tale aspetto, la notifica della cartella di pagamento costituisce il presupposto necessario per procedere ad espropriazione forzata individuale.

La cartella di pagamento assolve inoltre una rilevante funzione “partecipativa”. Come detto, la legge non prevede l'obbligo di notificare il ruolo al debitore iscritto, che pertanto non prende conoscenza di tale atto interno. Alla cartella di pagamento, dunque, “è stata attribuita la fondamentale funzione di rendere conoscibile al contribuente la pretesa tributaria entro un tempo predeterminato normativamente”. Tale funzione assume poi maggiore rilevanza laddove l'iscrizione a ruolo non sia meramente riproduttiva di atti precedenti (come nel caso in cui segua ad un atto impositivo), ma costituisca il primo atto con cui l'Amministrazione Finanziaria esercita la propria potestà impositiva (ad esempio, in seguito ai controlli automatizzati previsti in materia di accertamento delle imposte sui redditi dagli

artt. 36

-

bis

e

36

-

ter

, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

).

Com'è stato osservato, dunque, la cartella di pagamento “ha contenuto complesso: da un lato, è titolo esecutivo e precetto; dall'altro, è comunicazione al debitore della propria obbligazione così come iscritta a ruolo dall'amministrazione”.

Alla funzione “partecipativa” della notifica della cartella di pagamento si riconnette, infine, un'ultima rilevante funzione: quella di “via d'accesso” del debitore iscritto a ruolo alla tutela giurisdizionale avverso il ruolo. Come noto, il processo disciplinato dal

d.lgs. n. 546/1992

è un giudizio a struttura impugnatoria in cui l'attore agisce contro un atto (o, nelle liti da rimborso, contro un comportamento omissivo) posto in essere dall'Amministrazione Finanziaria, con un ricorso che deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro il termine di sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato.

Tra gli atti che, per espressa previsione normativa, possono essere impugnati dinanzi al Giudice Tributario vi è il ruolo, che tuttavia, come più volte ribadito, non viene in concreto notificato al debitore. Per tale motivo l'

art. 21, comma

1

, secondo periodo, del d.lgs. n. 546/1992

, stabilisce che “La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”. Il ruolo, quindi, può essere impugnato entro il termine di 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento. In tal senso, dunque, nella procedura di riscossione ordinaria, la notifica della cartella di pagamento è strumentale all'esercizio del diritto di impugnare il ruolo da parte del debitore.

Chiarite quali sono le (due) funzioni della notifica della cartella di pagamento nel procedimento di riscossione individuale, è necessario verificare se la notifica della cartella di pagamento assolva tali scopi anche nell'ambito delle procedure concorsuali. È evidente, infatti, che un onere (quale la notifica della cartella di pagamento nel caso di fallimento del debitore iscritto a ruolo), peraltro non espressamente previsto dalla legge, può essere imposto in via interpretativa soltanto se diretto a realizzare uno scopo meritevole di tutela giuridica.

Nel caso di fallimento del debitore iscritto a ruolo non sembra che la notifica della cartella di pagamento possa svolgere la prima delle due funzioni riscontrate, cioè quella che nell'esecuzione civile è ricoperta dal precetto. A prescindere dalla qualificazione della cartella in termini di atto dell'esecuzione ovvero di atto meramente propedeutico alla stessa, è pacifico che nel caso di fallimento del debitore iscritto a ruolo, “l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata” non può avere alcun effetto nei confronti della procedura fallimentare. Da un lato, infatti, la procedura non può dare adempimento spontaneo alla suddetta intimazione; dall'altro, nonostante l'avvertimento che in mancanza di pagamento si procederà ad esecuzione forzata, l'

art. 51 l.

f

all

. vieta comunque qualsiasi azione esecutiva individuale. Dunque, seppure è dubbio che vi sia un vero e proprio divieto di notificare la cartella di pagamento, si può di certo affermare l'inutilità di tale onere ai fini della partecipazione al concorso.

La notifica della cartella alla curatela fallimentare non sembra necessaria neanche in virtù della seconda funzione, sopra denominata “partecipativa”, della notificazione della cartella. La necessità di notificare un atto finalizzato a rendere conoscibile al debitore la propria obbligazione così come iscritta nel ruolo discende dalla più volte ricordata circostanza per cui il ruolo non viene notificato al debitore, né altrimenti portato alla sua conoscenza. Tale esigenza viene pertanto meno laddove, nella procedura di verifica fallimentare del credito, il ruolo (ovvero un suo estratto, ed in particolare lo stralcio del ruolo riguardante la singola posizione del debitore fallito) venga allegato alla domanda di ammissione al passivo ai sensi dell'

art. 93, comma 6, l.

f

all

. (“al ricorso sono allegati i documenti dimostrativi del diritto del creditore ovvero del diritto del terzo che richiede la restituzione o rivendica del bene”). Già solo con il deposito della domanda di ammissione al passivo e dell'estratto di ruolo a questa allegato, il debitore prende conoscenza del ruolo iscritto a suo carico e del suo contenuto.

Né sembra fondato sostenere che la mera allegazione dell'estratto di ruolo sarebbe insufficiente a garantire agli organi della procedura una consapevole valutazione in ordine al credito di cui si chiede l'ammissione. Ciò per un duplice ordine di motivazioni.

In primo luogo, la cartella di pagamento è un atto meramente riproduttivo del ruolo: tutte le informazioni contenute nella cartella di pagamento sono già contenute nel ruolo. La produzione del ruolo (o meglio, dell'estratto del ruolo) in allegato al ricorso

ex

art. 93 l.

f

all

., è dunque in grado di assolvere alla funzione partecipativa normalmente assolta dalla notifica della cartella di pagamento.

Peraltro, come detto, l'ammissione al passivo fallimentare è in ogni caso subordinata alla presentazione, da parte del creditore, del ricorso

ex

art. 93 l. fall.

, del quale il ruolo resta un documento allegato. Pertanto, le eventuali lacune o carenze informative riscontrabili nel ruolo potrebbero (e dovrebbero) essere legittimamente colmate nel ricorso, ed in particolare nella parte del ricorso in cui la legge richiede che venga indicata “

la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda”.

In definitiva, sembra che nella procedura di ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari, la funzione “partecipativa” assolta nella procedura di riscossione individuale dalla notifica della cartella di pagamento possa essere idoneamente assolta dalla proposizione del ricorso

ex

art. 93 l.

f

all

. (necessaria in ogni caso) e dalla allegazione a tale ricorso dell'estratto di ruolo, ai sensi del sesto comma dell'art. 93 citato. Pertanto, si può concludere nel senso che la notifica della cartella di pagamento non sia indispensabile ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare nemmeno nell'ottica della “funzione partecipativa” svolta da tale atto nel procedimento di riscossione individuale.

Resta da verificare se la notifica della cartella sia indispensabile al fine di consentire l'impugnazione del ruolo, secondo il meccanismo previsto dall'

art. 21, d.lgs. n. 546/1992

e già illustrato in precedenza. Tale profilo appare, in realtà, quello maggiormente problematico; ed infatti su tale punto insiste sia la giurisprudenza (quella di legittimità, ormai superata, e quella di merito, in alcuni casi ancora non propensa a seguire le indicazioni fornite più recentemente dalla Cassazione) sia la dottrina secondo cui la notifica della cartella sarebbe sempre necessaria.

Come già ricordato, l'argomento (l'unico) sulla base del quale nella sentenza della Cassazione del 1998 si affermava l'imprescindibile necessità di notificare la cartella di pagamento anche nel caso di fallimento del debitore consisteva nel rilievo per cui, secondo la disciplina processuale tributaria, l'impugnazione del ruolo sarebbe possibile soltanto a seguito della notifica della cartella di pagamento ed entro il termine previsto dalla legge a pena di decadenza per la proposizione del ricorso dinanzi al Giudice Tributario. L'argomento, invero, non è privo di forza, tanto da essere ancora ribadito dalla dottrina critica verso la posizione giurisprudenziale ormai prevalente. La stessa Cassazione peraltro, al fine di superare l'eccezione, ancora nel 2014 ha affermato in un'isolata sentenza che: “Né vale obiettare a tale conclusione, come si fa nella motivazione del decreto impugnato, che in mancanza della notificazione sarebbe impossibile determinare con certezza la data di decorrenza del termine per impugnare la cartella. Invero, che la cartella vada notificata, ai fini del consolidamento della pretesa tributaria, è innegabile; ciò tuttavia non esclude che l'ammissione - si badi, con riserva - al passivo fallimentare possa avvenire anche in difetto di notificazione, ma significa soltanto che sarà poi onere dell'agente della riscossione provvedere alla notificazione della cartella al fine di far decorrere il termine per l'impugnazione, nella competente sede giurisdizionale tributaria, da parte del curatore, ed innescare, in tal modo, il meccanismo che conduce alla definizione della questione e allo scioglimento della riserva, ai sensi del comma 2 dell'art. 88, cit.” .

In tutte le restanti pronunce succedutesi sul punto dal 2008 ad oggi, in realtà, la Suprema Corte supera l'obiezione riconoscendo il diritto del debitore (ovvero del curatore fallimentare) a contestare la pretesa di cui si chiede l'ammissione al passivo impugnando direttamente il ruolo, senza necessità di ricevere la cartella di pagamento. In particolare, in una delle ultime pronunce in ordine cronologico, la Suprema Corte afferma: “L'assunto del tribunale, secondo cui, in difetto di notificazione della cartella, resterebbe precluso al curatore di contestare la sussistenza del credito dinanzi al giudice tributario, così che il credito possa essere ammesso con riserva, trova smentita nel mero rilievo che l'organo del fallimento è pienamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda di ammissione e che, ai sensi del D.Lgs. n. 465 del 1992, art. 19, ha da quel momento la possibilità di opporsi a detta pretesa impugnando il ruolo dinanzi alle competenti Commissioni Tributarie, senza alcuna necessità che gli venga previamente intimato il pagamento”.

Tale impostazione sembra fondarsi sul duplice presupposto della autonoma impugnabilità del ruolo anche in mancanza della notifica della cartella di pagamento (tesi oggetto di contrasto nella stessa giurisprudenza della Cassazione e sulla quale si è in attesa di una pronuncia delle Sezioni Unite) e della equipollenza ai fini che qui rilevano, tra notificazione dell'atto e sua piena conoscenza altrimenti acquisita.

In definitiva, le tesi sostenute nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità sono così riassumibili:

  • una prima impostazione, più risalente, secondo cui la notifica della cartella di pagamento sarebbe necessaria, poiché in mancanza resterebbe preclusa la proposizione dell'impugnazione dinanzi al Giudice Tributario;
  • una seconda impostazione, secondo cui il ruolo costituirebbe titolo per l'ammissione del credito con riserva, ma il “consolidamento” della pretesa resterebbe comunque subordinato alla successiva notifica della cartella, momento a partire dal quale comincerebbe a decorrere il termine per proporre impugnazione dinanzi al Giudice Tributario;
  • una terza impostazione, sostenuta nelle più recenti pronunce, secondo cui la “l'organo fallimentare viene compiutamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda e può impugnare la medesima avanti al giudice tributario, così come autorizza il dettato del d.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, lett. d), prescindendo dalla cartella in considerazione della specificità della procedura fallimentare e di conseguenza dell'inutilità di atti volti a rendere possibile l'esecuzione singolare”.
L'impugnabilità del ruolo limitatamente ai casi in cui sulla base di esso venga chiesta l'ammissione al passivo fallimentare

In attesa, come detto, che le Sezioni Unite risolvano definitivamente ed in via generale la questione della autonoma impugnabilità del ruolo, limitatamente agli effetti dell'ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari si possono formulare le seguenti considerazioni.

Ai sensi dell'

art. 100 c.p.c.

“per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”. Secondo la giurisprudenza, l'interesse ad agire costituisce una condizione necessaria di qualsiasi azione processuale e consiste nella “esigenza di provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire tutela di un diritto o di una situazione giuridica”. Tale norma, dunque, “assolve all'essenziale funzione di impedire l'esercizio dell'azione astrattamente deputata alla tutela dell'interesse, quando emerge che dalla sentenza di accoglimento non conseguirebbe alcun vantaggio obiettivo per la parte, misurato tale vantaggio attraverso il confronto tra la situazione

qua ante

e quella derivante dalla ipotetica sentenza di accoglimento”.

Pur non potendosi negare la vigenza del principio in questione nel processo tributario, è stato tuttavia affermato che, elencando esplicitamente gli atti impugnabili dinanzi al Giudice Tributario (nell'

art. 19,

c

omma

1

, d.lgs. n. 546/1992

), il legislatore abbia inteso predeterminare positivamente i casi di interesse a ricorrere avverso atti o comportamenti dell'Amministrazione Finanziaria. Pertanto, mentre negli altri processi la verifica della sussistenza dell'interesse ad agire è rimessa alla valutazione del giudice da effettuarsi caso per caso, sulla base del principio generale dettato dall'

art. 100 c.p.c.

, nel processo tributario “l'esistenza della condizione di proponibilità dell'azione (e della difesa) costituita dall'interesse ad agire è stata, infatti, praticamente assorbita dalla presenza dell'atto impugnabile”.

Tale affermazione non sembra poter essere accolta nella sua assolutezza. Qualunque azione, compresa quella proposta dinanzi al Giudice Tributario, deve essere sorretta da un interesse attuale e concreto, ovvero da una reale esigenza di tutela di una situazione giuridica soggettiva della parte che propone detta azione. Pertanto, il fatto che l'atto impugnato dinanzi al Giudice Tributario sia tra quelli indicati dall'

art. 19, comma

1

, d.lgs. n. 546/1992

, non implica che l'azione sia di per sé proponibile o proseguibile, a prescindere dalla reale sussistenza di un “bisogno di tutela” in capo al ricorrente. Così come al contrario, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, il fatto che un atto non sia ricompreso nell'elenco di cui al più volte citato

art. 19, d.lgs. n. 546/1992

, non esclude in assoluto la sua impugnabilità, da valutare sempre in concreto alla luce della sussistenza di un interesse ad agire

ex

art. 100 c.p.c.

A conferma di quanto detto, si può osservare che nonostante il ruolo sia testualmente ricompreso nell'elenco degli atti impugnabili dettato dal citato

art. 19, d.lgs. n. 546/1992

, il dibattito sorto intorno alla sua autonoma impugnabilità si incentra proprio sulla sussistenza o meno di un interesse attuale e concreto ad impugnare un ruolo non ancora seguito dalla notifica della cartella di pagamento.

Secondo l'orientamento che sostiene tale tesi, dunque, la non impugnabilità del ruolo disgiuntamente dalla cartella di pagamento non deriva dalla mancata inclusione di tale atto nell'elenco degli atti impugnabili (così non potrebbe essere, visto che il ruolo è invece testualmente compreso in tale elenco), né dalla sua mancata notificazione (mancata notificazione alla quale sopperisce, ai fini dell'impugnabilità del ruolo, la regola sancita dall'

art. 21, comma

1

, secondo periodo, d.lgs. n. 546/1992

); l'affermata non impugnabilità del ruolo deriverebbe piuttosto dalla mancanza di un interesse attuale e concreto

ex

art. 100 c.p.c.

ad impugnare tale atto prima dell'avvenuta notifica della cartella di pagamento.

In effetti, per l'insussistenza di un effettivo bisogno di tutela avverso un ruolo non ancora seguito dalla notifica della cartella di pagamento nell'ambito del procedimento di riscossione coattiva individuale sembrano deporre diversi elementi.

Sulla base del solo ruolo non seguito dalla notifica della cartella di pagamento non possono essere intraprese azioni esecutive (

art. 50, d.P.R. n. 602/1973

), né può essere iscritta ipoteca sui beni immobili (art. 77) o fermo sui beni mobili (art. 86) del debitore iscritto a ruolo. L'esistenza di una iscrizione a ruolo non seguita dalla notifica della cartella di pagamento non costituisce nemmeno presupposto per il c.d. “

fermo dei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni”, disciplinato dall'

art. 48

-bis

, d.P.R. 602/1973

.

Neppure, si possono individuare pregiudizi di tipo sostanziale nell'esistenza di una iscrizione a ruolo non seguita dalla notifica della cartella di pagamento. Al riguardo è opportuno ricordare che, secondo la disciplina in tema di interessi sui crediti iscritti a ruolo dettata dagli artt. 20 (interessi per ritardata iscrizione a ruolo) e 30 (interessi di mora) del

d.P.R. n. 602/1973

, nell'intervallo compreso tra la consegna del ruolo all'Agente della riscossione e la notifica della cartella di pagamento non corrono interessi. Ed infatti, mentre i primi (interessi per ritardata iscrizione a ruolo) maturano “a partire dal giorno successivo a quello di

scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte” (così il citato art. 20), gli interessi di mora cominciano a maturare soltanto “a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento”, e sempre a condizione che sia “decorso inutilmente il termine previsto dall'articolo 25, comma 2”, ovvero il termine concesso per il pagamento.

In definitiva, nel procedimento di riscossione coattiva individuale delineato dal

d.P.R. n. 602/1973

, la mera iscrizione di un soggetto in un ruolo reso esecutivo e consegnato all'Agente della riscossione non produce alcun pregiudizio concreto in danno del debitore medesimo, fintanto che allo stesso non venga notificata la cartella di pagamento e non sia scaduto il termine di 60 giorni previsto dalla legge per il suo adempimento.

Sotto tale profilo, dunque, si potrebbe ritenere che non sussista un interesse del debitore ad impugnare un ruolo non seguito dalla notifica della cartella di pagamento, salvo quello ad ottenere una pronuncia di mero accertamento negativo sull'esistenza del credito iscritto a ruolo (ed infatti, l'orientamento giurisprudenziale tendente ad escludere l'autonoma impugnabilità del ruolo è fondato sul rilevo per cui “il processo tributario ha semplice struttura oppositiva di manifestazioni di volontà fiscali “esternate” al contribuente, senza cioè che possa farsi luogo a preventive azioni di accertamento negativo del tributo”).

Ciò non vuol dire, tuttavia, che al ruolo non seguito dalla notifica della cartella di pagamento debba in ogni caso essere negata qualunque idoneità alla produzione di effetti giuridici nei confronti del debitore (e dunque, che debba sempre essere negata la sua autonoma impugnabilità). Vuol dire soltanto che tale idoneità manca nella procedura di riscossione coattiva individuale delineata dalla legge.

Ove, invece, la legge disponesse che in determinate fattispecie la mera iscrizione a ruolo sia in grado di produrre effetti pregiudizievoli per il debitore anche a prescindere dalla notifica della cartella di pagamento, ecco che l'interesse ad impugnare il ruolo sarebbe ravvisabile; in tali ipotesi la sua autonoma impugnazione sarebbe quindi ammissibile, senza la necessità di imporre la notifica della cartella di pagamento al solo fine di consentirne l'impugnazione.

Ebbene, una di tali fattispecie potrebbe essere riconosciuta proprio nella proposizione della domanda di ammissione al passivo fallimentare di un credito iscritto a ruolo. Con la proposizione di tale domanda il creditore agisce nelle forme previste dalla legge per ottenere soddisfazione di un credito vantato nei confronti di un soggetto fallito. È quindi incontestabile che, ex latere debitoris, la proposizione di tale domanda faccia sorgere un interesse attuale e concreto a contestare l'esistenza o l'ammontare di detto credito. A partire dalla presentazione del ricorso per l'ammissione del credito al passivo (ricorso al quale il ruolo deve essere allegato, in quanto “documento dimostrativo del diritto del creditore”, come dispone l'

art. 93, comma 6, l.

f

all

.), il ruolo medesimo dovrebbe poter essere impugnato.

L'impugnazione del ruolo, in tal caso, non sarebbe preclusa né dalla sua mancata notificazione (notificazione che non si effettua nemmeno nella procedura di riscossione coattiva individuale, ed alla cui mancanza in tale procedimento si ovvia con il principio sancito dall'

art. 21, comma

1

, secondo periodo, d.lgs. n. 546/1992

), né dalla carenza di interesse a ricorre

ex

art. 100 c.p.c.

, atteso che, come appena dimostrato, proprio la proposizione del ricorso

ex

art. 93 l.

f

all

. fa sorgere in capo al debitore l'interesse a ricorrere.

In tale ottica, la notifica della cartella di pagamento nel caso di debitore fallito non sarebbe indispensabile nemmeno al fine di consentire l'impugnazione del ruolo da parte del debitore medesimo.

La tesi appena esposta si fonda su una prospettiva opposta rispetto a quella fatta propria dalla più risalente giurisprudenza di legittimità e, ancora oggi, da parte di quella di merito e della dottrina.

Coloro che ritengono sempre necessaria la notifica della cartella di pagamento partono dall'assunto dell'impossibilità assoluta di impugnare il ruolo prima

della notifica della cartella; per tale motivo subordinano la validità della domanda di ammissione al passivo alla previa notifica della cartella, in modo da consentire agli organi della procedura di contestare il debito tributario dinanzi al Giudice Tributario. La assoluta non impugnabilità del ruolo costituirebbe quindi la ragione della necessità di notificare la cartella di pagamento anche nel caso di debitore fallito.

La posizione qui illustrata (accolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità), invece, si fonda sull'assunto per cui il ruolo è impugnabile nei casi (e solo in questi) in cui è idoneo a produrre effetti anche prima della notifica della cartella di pagamento, come nel caso in cui su di esso si fondi (per espresso disposto dell'

art. 87, comma 2, d.P.R. n. 602/1973

) una domanda di ammissione al passivo fallimentare. La proposizione di tale domanda sulla base del ruolo fa infatti sorgere un interesse concreto ed attuale alla sua impugnazione, interesse che consente al debitore (rectius: al curatore) di impugnare il ruolo dinanzi al Giudice Tributario pur in mancanza della notifica della cartella di pagamento.

In definitiva, proprio in virtù della possibilità di fondare la domanda di ammissione al passivo sulla base del ruolo (possibilità prevista espressamente dalla legge, ed in particolare dall'

art. 87, comma 2, d.P.R. n. 602/1973

), la notifica della cartella di pagamento perde anche della sua funzione di “via di accesso” alla giustizia tributaria, che viene invece assunta dalla produzione del ruolo. Nell'ambito delle procedure concorsuali, dunque, la notifica della cartella di pagamento non svolge più alcuna funzione utile.

Da ciò consegue, in ultima analisi, che l'ammissione del credito tributario al passivo fallimentare non dovrebbe essere subordinato ad un onere (la notifica della cartella di pagamento) che non è espressamente previsto dalla legge e che non ha alcuna funzione giuridicamente apprezzabile.

Come detto, tale impostazione sembra essere stata recepita dalla più recente giurisprudenza della Cassazione. Nell'ordinanza n. 4631 del 6 marzo 2015, la Suprema Corte ha infatti affermato che “il ruolo è autonomamente impugnabile quando il relativo estratto è notificato al contribuente in luogo della cartella, in quanto in tal caso assume valenza di atto impositivo. È questa, per l'appunto, l'ipotesi contemplata dall'

art. 87

,

comma 2

,

del d.P.R. n. 602/73

(così come modificato dal

d.lgs. n. 46/99

), che stabilisce che il concessionario alla riscossione può chiedere l'ammissione al passivo, per conto dell'Agenzia delle Entrate, sulla base del solo estratto del ruolo”, per poi proseguire: “l'obbligo di pagamento per il contribuente viene dunque ad esistenza con la formazione del ruolo: non v'è dubbio, pertanto, che in un sistema, quale quello di verificazione del passivo in sede concorsuale, in cui l'agente della riscossione può far accertare il credito mediante la produzione del ruolo, il curatore che intenda contestare la pretesa tributaria sia legittimato all'autonoma impugnazione del ruolo medesimo, secondo quanto previsto dall'

art. 19, lett. d), del d.lgs. n. 546/92

, e non abbia lacuna necessità di attendere la previa notifica della cartella esattoriale”.

Anche sulla scorta di quanto sancito dalla Cassazione, si può quindi ritenere che non è l'avvenuta notifica della cartella di pagamento ad incidere sull'autonoma impugnabilità del ruolo (nel senso che tale impugnazione non può essere proposta prima della notifica della cartella). Almeno nell'ambito delle procedure concorsuali, è invece l'autonoma impugnabilità del ruolo (accertata alla luce della sussistenza di un interesse concreto ed attuale a contestare la pretesa creditoria ivi iscritta) a far venir meno l'obbligo di notificare la cartella di pagamento: riconoscendo l'ammissibilità dell'impugnazione del ruolo sulla cui base è stata presentata domanda di ammissione al passivo, la notifica della cartella di pagamento diviene superflua e, quindi, irrilevante ai fini dell'accoglimento di tale domanda.

La proponibilità del ricorso avverso il ruolo entro l'ordinario termine di impugnazione previsto a pena di inammissibilità

Come già ricordato, il Giudizio Tributario si connota per essere un giudizio di tipo impugnatorio in cui l'azione deve essere esercitata in un termine previsto a pena di inammissibilità (

art. 21 del d.lgs. n. 546/1992

: “il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato. La notificazione della cartella vale anche come notificazione del ruolo”). Pertanto, dopo aver accertato la proponibilità in astratto di una domanda dinanzi al Giudice Tributario (nel caso di specie, l'impugnazione autonoma di un ruolo, da parte del curatore, non seguito dalla notifica della cartella di pagamento), è necessario esaminare se detta domanda sia o meno subordinata al termine di impugnazione previsto in via generale a pena di inammissibilità dalla disposizione sopra citata.

Anche in ordine a tale questione, le soluzioni ipotizzabili sono diverse. Secondo una prima posizione, fondata su un'applicazione letterale della disposizione di cui all'

art. 21, comma 1, d.lgs. n. 546/1992

, si potrebbe affermare che l'impugnazione autonoma del ruolo non sia soggetta a termini di decadenza. Considerato che l'art. 21 in parola dispone che “il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato” e che nel caso di specie non vi sarebbe alcuna notificazione in senso proprio della cartella di pagamento né del ruolo (ma solo il deposito dell'estratto del ruolo in allegato alla domanda di ammissione al passivo), l'impugnazione del ruolo non sarebbe soggetta al termine di decadenza previsto da tale disposizione. Tale posizione, come detto, si fonda su un'interpretazione strettamente letterale della norma in tema di termine di impugnazione, giustificabile alla luce della giurisprudenza secondo cui le norme che fissano termini di decadenza hanno carattere eccezionale e devono avere “stretta interpretazione”.

Un'altra via astrattamente percorribile è quella di equiparare, ai fini dell'applicabilità dell'

art. 21, d.lgs. n. 546/1992

, la notificazione del ruolo (o meglio, la notificazione della cartella, che vale anche come notificazione del ruolo) alla sua produzione in allegato alla domanda di ammissione al passivo.

In effetti, come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità più sopra richiamata, nel caso di proposizione della domanda di ammissione al passivo di crediti iscritti a ruolo, è indubbio che “l'organo del fallimento è pienamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda di ammissione e che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ha da quel momento la possibilità di opporsi a detta pretesa”. Sulla base di tale constatazione si potrebbe quindi affermare che, nella fattispecie in esame, il ricorso avverso il ruolo debba essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda di ammissione al passivo corredata dell'estratto del ruolo medesimo.

Una ulteriore soluzione sembra essere quella accolta dalla Cassazione nell'ordinanza n. 24736 del 2014 (secondo cui, come già detto, il ruolo costituirebbe titolo per l'ammissione del credito con riserva, ma il “consolidamento” della pretesa resterebbe subordinato alla successiva notifica della cartella). Dalla lettura di tale ordinanza risulta che il Tribunale aveva respinto la domanda di ammissione al passivo sulla base dei ruoli non seguiti dalla notifica della cartella affermando che “in mancanza della notificazione sarebbe impossibile determinare con certezza la data di decorrenza del termine per impugnare la cartella”. Sembrerebbe dunque che il Tribunale avesse negato l'ammissione motivando non tanto (o non solo) sulla assoluta non impugnabilità del ruolo, quanto sull'incertezza circa la decorrenza del termine di impugnazione in cui si troverebbe l'organo fallimentare in mancanza della notifica della cartella. Proprio per confutare tale motivazione, la Suprema Corte afferma, come già ricordato, che:

Invero, che la cartella vada notificata, ai fini del consolidamento della pretesa tributaria, è innegabile; ciò tuttavia non esclude che l'ammissione - si badi, con riserva - al passivo fallimentare possa avvenire anche in difetto di notificazione, ma significa soltanto che sarà poi onere dell'agente della riscossione provvedere alla notificazione della cartella al fine di far decorrere il termine per l'impugnazione, nella competente sede giurisdizionale tributaria, da parte del curatore”

. In definitiva, secondo tale impostazione, la notificazione della cartella non sarebbe necessaria ai fini dell'ammissione del credito al passivo, quanto piuttosto ai fini del consolidamento della pretesa creditoria ivi iscritta, ovvero per dare avvio al decorso del termine di impugnazione del ruolo dinanzi al Giudice Tributario.

Nessuna delle posizioni appena illustrate sembra priva di una propria plausibilità. Tra queste, tuttavia, quella maggiormente rispettosa della funzione e della ratio della norma in tema termine di proposizione del ricorso sembra essere la seconda, ovvero quella in base alla quale la produzione dell'estratto del ruolo, nel caso di specie, dovrebbe tenere luogo della notifica agli effetti dell'

art. 21, d.lgs. n. 546/1992

.

La previsione di un termine previsto a pena di inammissibilità per la proposizione del ricorso al Giudice Tributario è finalizzata, al pari di tutte le norme che recano decadenze (sia sostanziali che processuali) a garantire la certezza dei rapporti giuridici: stabilendo un termine non prorogabile né rimesso alla disponibilità delle parti entro il quale l'atto può essere impugnato, il legislatore indirettamente stabilisce che, superato inutilmente detto termine, l'atto diviene definitivo ed intangibile. Ovviamente, anche alla luce dei canoni costituzionali di ragionevolezza e di tutela del diritto di difesa, tale termine non può che farsi decorrere dal momento in cui il destinatario dell'atto è in grado di far valere le proprie difese, ovvero da quando ne abbia avuto piena ed integrale conoscenza. Per tale motivo, nel sistema processuale tributario, il dies a quo per il computo di tale termine è individuato nella notifica dell'atto da impugnare.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che la piena conoscenza dell'atto da parte del destinatario possa essere raggiunta soltanto con la sua notificazione, ben potendosi individuare fattispecie in cui la conoscenza dell'atto viene assicurata in altri modi. Una di tali fattispecie, come visto in precedenza, sembra potersi riconoscere nella proposizione della domanda di ammissione al passivo di un debito iscritto a ruolo che rechi in allegato l'estratto del ruolo medesimo. La proposizione di tale domanda sembra in grado di svolgere quella che è stata definitiva la “funzione partecipativa” ordinariamente svolta dalla notifica della cartella di pagamento. Da tale funzione partecipativa discende, come detto, che il destinatario acquisisce la piena conoscenza dell'atto ed è posto in grado di esercitare nei suoi confronti il proprio diritto di difesa. Anche ai fini della decorrenza del termine di cui all'

art. 21, d.lgs. n. 546/1992

, dunque, la proposizione della domanda di ammissione ex art. 93 l.fall. dovrebbe tenere luogo della notificazione della cartella di pagamento, potendosi così ritenere che dalla data della domanda di ammissione decorra il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso al Giudice Tributario.

In definitiva, la posizione qui sostenuta (ed accolta nella prevalente giurisprudenza di legittimità) sembra quella maggiormente aderente alla ratio della norma ed in grado di contemperare al meglio l'interesse generale alla certezza dei rapporti giuridici con i diritti delle parti coinvolte (sia il diritto del debitore a poter contestare la pretesa creditoria avanzata nei suoi confronti, sia quello del creditore ad essere ammesso al passivo della procedura). Alla luce di tale posizione, dovrebbe ritenersi che l'impugnazione del ruolo allegato alla domanda di ammissione al passivo è possibile dinanzi al Giudice Tributario entro il termine di decadenza previsto dall'

art. 21, comma 1, d.lgs. n. 546/1992

, decorrente dalla data in cui l'organo della procedura ne abbia integrale e legale conoscenza, ovvero da quando il ruolo è prodotto in allegato alla domanda di ammissione medesima.

Effetti pregiudizievoli della notifica della cartella di pagamento nel caso di fallimento del debitore

Nei paragrafi precedenti si è tentato di dimostrare che la notifica della cartella nei confronti di una procedura concorsuale (da alcuni ritenuta addirittura vietata, giusto il disposto dell'

art. 51 l.

f

all

.) non sembra rispondere ad alcuna funzione meritevole di tutela. In mancanza di uno specifico obbligo di legge, dunque, la mancata notifica di tale atto non dovrebbe condizionare l'ammissione al passivo del credito tributario.

Resta da verificare se, al contrario, tale notifica possa in qualche modo arrecare pregiudizio alle diverse parti coinvolte nella procedura concorsuale.

Sotto tale aspetto, l'imposizione dell'obbligo di notifica della cartella di pagamento dopo la dichiarazione di fallimento come condizione di ammissibilità del credito al passivo comporta un primo evidente pregiudizio per l'agente della riscossione e per l'Ente creditore.

Come noto, lo svolgimento delle attività ex lege demandate all'agente della riscossione comporta il sostenimento di costi, alla cui copertura è finalizzata la disciplina dettata dall'

art. 17, d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112

. In virtù di tale disciplina, all'agente della riscossione spetta una compenso della riscossione determinato in misura proporzionale alle somme iscritte a ruolo riscosse (il c.d. aggio della riscossione, previsto dal primo comma dell'articolo citato ed il cui onere è distribuito tra Ente creditore e debitore, nel caso di adempimento tempestivo alla cartella notificata, mentre grava esclusivamente sul debitore nel caso di pagamento tardivo); spetta altresì il rimborso delle spese relative alle singole procedure esecutive, a carico del debitore esecutato (comma 6 dell'

art. 17, d.lgs. n. 112/1999

) e delle spese di notifica della cartella (comma 7-ter dell'art. 17 citato), che sono a carico del debitore o, nei casi di sgravio del ruolo o di inesigibilità del relativo credito, a carico dell'Ente creditore.

In forza del principio di cristallizzazione della posizione debitoria del fallito operata dalla dichiarazione di fallimento, i crediti dell'agente della riscossione a titolo di compensi e spese di notifica della cartella possono trovare soddisfazione concorsuale soltanto se la notifica della cartella sia avvenuta prima della dichiarazione di fallimento; nel caso in cui la notifica sia successiva, invece, i crediti a titolo di aggio e rimborso delle spese di notifica non sono considerati concorsuali e

non possono perciò trovare soddisfazione nel fallimento.

Quanto appena detto comporta che, richiedendo la notifica della cartella anche nei confronti della procedura fallimentare, si impone al creditore un onere non previsto dalla legge e non funzionale ad alcuna utilità apprezzabile, ma i cui costi sono per legge destinati a restare a carico del creditore medesimo. Sulla ragionevolezza e coerenza di un tale obbligo sembra lecito dubitare.

Non è tutto. La notifica della cartella di pagamento dopo la dichiarazione di fallimento potrebbe comportare effetti pregiudizievoli anche per il soggetto fallito. É stato già ricordato che, secondo la disciplina vigente, nel periodo di tempo intercorrente tra la data di consegna del ruolo all'agente della riscossione e la data di notifica della cartella, sulla somma iscritta a ruolo non maturano interessi. Ai sensi dell'

art. 30, d.P.R. n. 602/1973

, gli interessi di mora cominciano a decorrere soltanto in caso di mancato pagamento della cartella entro sessanta giorni dalla sua notifica e decorrono dalla data di notifica della stessa. Ciò comporta che, finché non si provvede alla notifica della cartella, il debito esistente nei confronti del debitore iscritto a ruolo resta immutato, non maturando interessi. Al debito iscritto a ruolo si sommano gli interessi soltanto se la cartella viene notificata e non pagata nel termine di 60 giorni.

Nel caso di notifica di una cartella di pagamento nei confronti di una procedura concorsuale, come detto, ciò può comportare conseguenze pregiudizievoli nei confronti del soggetto fallito. Nelle procedure concorsuali, infatti, è assai proco probabile che il pagamento della cartella avvenga nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica (essendo subordinato al completamento delle operazioni di accertamento del passivo e di liquidazione e ripartizione dell'attivo); è tuttavia pacifico che gli interessi di mora maturati sulla somma iscritta a ruolo a seguito della notifica della cartella di pagamento non possano trovare soddisfazione nell'ambito della procedura concorsuale, non essendo debiti concorsuali. Gli interessi maturati in pendenza della procedura possono tuttavia essere richiesti dopo la chiusura del fallimento, nei confronti del debitorie tornato in bonis, giusto il disposto dell'

art. 120, comma 2, l.

f

all

. Ecco dunque che la notifica della cartella di pagamento, anziché essere funzionale alla migliore tutela del debitore fallito, comporta un pregiudizio nei suoi confronti, dando luogo alla maturazione di interessi di mora che, pur non potendo trovare soddisfazione nell'ambito della procedura fallimentare, potrebbero essere legittimamente richiesti al debitore dopo la chiusura del fallimento. Come conseguenza dell'avvenuta notifica della cartella di pagamento alla procedura e della giuridica impossibilità per la stessa di adempiere il debito ivi recato nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica, il debitore fallito tornato in bonis si vedrebbe chiamato a rispondere di un debito (quello a titolo di interessi di mora maturati in pendenza della procedura) che in mancanza di notifica della cartella non sarebbe mai sorto.

Quanto appena detto sembra particolarmente rilevante ai fini di una corretta valutazione delle domande di ammissione al passivo da parte del curatore fallimentare e degli organi concorsuali in generale, anche alla luce

dell'insegnamento della Suprema Corte secondo cui: “il curatore, che è investito dell'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato, non è chiamato a curare esclusivamente l'interesse dei creditori concorrenti, ma deve tutelare nel contempo quello del fallito a non trovarsi esposto, dopo la chiusura del fallimento (

art. 120

, l. fall

.) a pretese dei creditori che avrebbero potuto essere contestate con una più solerte gestione da parte del curatore”.

Richiedere in ogni caso la notifica della cartella di pagamento anche dopo l'apertura delle procedure concorsuali infatti, anziché garantire la migliore tutela dei creditori concorrenti e del debitore fallito, rischia di arrecare a quest'ultimo pregiudizi rilevanti, senza dall'altro lato assolvere ad alcuna funzione strumentale ad una “più solerte gestione della procedura”.

Conclusioni

All'esito della trattazione che precede si possono formulare alcune considerazioni conclusive e di sintesi.

In primo luogo, come detto, i crediti tributari non si sottraggono al principio del concorso formale, nel senso che possono essere soddisfatti soltanto nell'ambito delle procedure concorsuali e solo previa loro ammissione al passivo. Stante l'esistenza di una sfera di giurisdizione esclusiva del Giudice Tributario su tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti tributari, tuttavia, tali crediti sono sottratti alla verifica concorsuale cui è soggetta la generalità dei crediti di diversa natura. L'accertamento circa la loro esistenza ed il loro ammontare è rimesso in via esclusiva al Giudice Tributario.

Ciò rende necessario un coordinamento tra le due giurisdizioni, in virtù del quale al Giudice Fallimentare è riservato il controllo circa l'esistenza del titolo su cui si fonda il credito (oltre a quello relativo alla opponibilità del credito ed agli eventuali privilegi), mentre ogni sindacato sull'an e sul quantum debeatur è riservato al Giudice Tributario.

Quanto sin qui riferito appare pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza.

Maggiormente dibattute sono invece le questioni relative all'accesso alla giustizia tributaria a fronte di una pretesa avanzata nell'ambito di una procedura concorsuale ed avente ad oggetto crediti tributari iscritti a ruolo: tale dibattito è scaturito dalla constatazione della particolare natura del giudizio tributario, ovvero un giudizio a struttura impugnatoria in cui l'iniziativa processuale privata è subordinata all'esercizio espresso della potestà impositiva e può essere esercitata entro un termine previsto dalla legge a pena di decadenza.

Tali caratteri hanno indotto a ritenere che nella fattispecie in esame l'accesso alla giustizia tributaria fosse subordinato alla notifica della cartella di pagamento, ovvero all'atto con cui si porta a conoscenza il debitore dell'esistenza di un'iscrizione a ruolo a suo carico.

Esaminando la disciplina del procedimento di riscossione a mezzo ruolo e le funzioni svolte dai singoli atti di cui tale procedimento si compone (principalmente della cartella di pagamento), sembra tuttavia possibile ritenere che, dopo la dichiarazione di fallimento del debitore iscritto a ruolo, la prova della notifica della cartella di pagamento non possa più ritenersi imprescindibile ai fini dell'accoglimento della domanda di ammissione al passivo. Ciò perché, se da un lato (e per espressa disposizione normativa) la domanda di ammissione al passivo è “fondata sul ruolo”, dall'altro, l'accesso alla giustizia tributaria non dovrebbe più ritenersi subordinato alla notifica della cartella di pagamento, com'è previsto nell'ambito del procedimento di riscossione individuale.

Ed infatti, con la proposizione della domanda di ammissione al passivo fondata su un ruolo sorge indubbiamente dal lato del debitore un interesse concreto ed attuale a contestare l'esistenza o l'ammontare del debito di cui si chiede l'ammissione e viene quindi meno la ragione normalmente addotta al fine di escludere l'autonoma impugnabilità del ruolo (ovvero la carenza di interesse a ricorrere avverso tale atto).

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