La dilazione del pagamento dei creditori privilegiati: quando le ragioni dell'economia fanno premio su quelle del diritto

26 Gennaio 2015

L'Autore propone un'analisi in tema di dilazione del pagamento dei creditori privilegiati. Punto di partenza dell'approfondimento è la sentenza della Cassazione del 9 maggio 2014, n. 10112 nella quale si afferma il principio secondo cui il pagamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo può essere dilazionato a condizione che gli stessi siano ammessi al voto, (pronuncia successivamente confermata anche dalla n. 20388/2014). Tale sentenza è all'origine di numerose critiche che l'Autore provvede a motivare fornendo delle possibili soluzioni al problema della dilazione dei crediti.
Premessa

Con la sentenza del

9 maggio 2014, n. 10112, la Cassazione

, suscitando una certa sorpresa e non poche critiche (

Lamanna, La pretesa indistinta ammissibilità nel concordato preventivo del pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione, in il Fallimentarista.it; Di Marzio, Il pagamento concordatario dei creditori garantiti può essere dilazionato solo per consenso o nei casi previsti dalla legge, in ilFallimentarista.it

), ha affermato il principio secondo cui il pagamento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo può essere dilazionato a condizione che gli stessi siano ammessi al voto. Prima che ci fosse il tempo di superare la perplessità causata da un sovvertimento di radicate convinzioni e di sperare (perché no?) in un mutamento di indirizzo è intervenuta una nuova pronuncia (sentenza n.

20388

del

26/09/2014) che, seppure non ha portato ad approfondimenti della motivazione, ha ribadito la nuova linea interpretativa facendo intravvedere l'inizio di un nuovo corso.

Poiché i punti motivazionali delle sentenze in questione che si prestano a serie critiche sono più d'uno, sorge il sospetto che la Corte si sia fatta carico della difficile situazione economica e delle voci che hanno evidenziato come la ristrutturazione dell'impresa in crisi attraverso il percorso concordatario trovasse un serio ostacolo nel vincolo del pagamento immediato dei creditori privilegiati, proponendo la soluzione poi adottata (

Bonfatti, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Società, banche e crisi di impresa. Liber anicorum Pietro Abbadessa, Vol III, 2982, Torino, 2014; Stanghellini, Il concordato in continuità aziendale, in Fall., 2013, 1239

), e abbia quindi seguito un'interpretazione finalizzata a spianare per quanto possibile la strada alla soluzione concordata della crisi di impresa; intendimento, questo, certamente commendevole a fronte di più soluzioni ugualmente sostenibili, ma difficilmente comprensibile nella fattispecie, in quanto confliggente con radicati convincimenti, ma soprattutto foriero di notevoli danni nei confronti della categoria dei privilegiati che si trovano ormai privi di punti fermi con ciò che ne può derivare, ad esempio, in tema di concessione di crediti a fronte di garanzie.

Ma la circostanza più sorprendente è che il principio sia stato enunciato dalla Corte in relazione non già ad un concordato in continuità aziendale, dove la questione della tempistica dei pagamenti come elemento condizionante la riuscita del piano si pone (

art. 186-

bis

l.

fall

.), ma in un concordato liquidatorio dove il pagamento dilazionato non solo non incide sulla fattibilità economica del concordato, ma può essere unicamente fonte di abusi.

Le argomentazioni della Corte sulla possibilità di dilazione

La Corte premette al suo ragionamento un dato incontestabile e cioè che nel regime previgente alla riforma il pagamento integrale ed immediato dei creditori privilegiati era un dato acquisito; ciò si desumeva senza incertezze (

Bonfatti, op. cit., 2994

), anche se implicitamente, del dettato dell'

art. 160 l. fall

. che prevedeva quanto al primo requisito il pagamento in percentuale dei soli creditori chirografari, tanto che secondo la giurisprudenza di legittimità i privilegiati dovevano essere pagati per intero non solo in caso di incapienza del bene gravato dal privilegio ma anche in ipotesi di mancato rinvenimento dello stesso, e quanto al secondo che fosse possibile per i soli creditori chirografari il pagamento dilazionato con o senza riconoscimento degli interessi a seconda che la dilazione fosse o no limitata ai sei mesi.

Ritiene tuttavia la Corte che questa impostazione sia superata dall'intervento del Legislatore, il quale con la riforma dell'

art. 160

l

. fall

. – operata con il

d.l

gs. n. 169/2007

- ha ora espressamente previsto la possibilità di un pagamento parziale dei creditori privilegiati a condizione che venga soddisfatta integralmente la quota del credito corrispondente al valore del bene realizzabile in caso di liquidazione avuto riguardo al valore di mercato, e di conseguenza ha disposto che, in tal caso, i creditori privilegiati parzialmente soddisfatti sono equiparati ai creditori chirografari per la parte residua del credito e quindi come quelli sono ammessi al voto.

Detto intervento ha avuto, come confermato dalla Relazione illustrativa, una portata innovativa ed è stato operato al fine di incentivare ulteriormente l'accesso al concordato preventivo, oltre che di eliminare un'illogica diversità di disciplina con il concordato fallimentare, per il quale fin dall'intervento operato con il

d.l

gs. 9/01/2006 n. 5

è stata prevista la possibilità del pagamento parziale del credito privilegiato.

Il principio generale della possibilità di pagamento dei creditori privilegiati non regolare e quindi anche dilazionato, ma bilanciato dal riconoscimento del diritto di voto, che per la Corte è desumibile anche solamente dal citato intervento legislativo, troverebbe conferma in ulteriori disposizioni.

La prima è costituita dall'art. 182-ter che, introducendo la transazione fiscale, prevede la possibilità del pagamento percentuale o dilazionato dei crediti tributari e per alcuni di questi solo dilazionato (IVA e ritenute).

La seconda è l'

art.

186-

bis

, comma 2, lett. c), l. fall

. (introdotto con

d.l.

n. 83/2012

, convertito, con modificazioni, dalla

legge n. 134/2012

) che, con riferimento al concordato in continuità aziendale, dispone che il pagamento dei creditori privilegiati può essere ritardato fino ad un anno senza che questi abbiano diritto al voto. In particolare, questa disposizione, che introduce una moratoria coatta paragonabile a quella dell'abrogata amministrazione controllata, sarebbe una conferma del principio della possibilità di dilazione generalizzata, in quanto mentre per i creditori del concordato liquidatorio il voto conseguirebbe a qualunque dilazione, per quelli del concordato in continuità l'accesso al voto sarebbe dovuto solo nel caso di dilazione superiore all'anno. Solo in questo caso infatti il pagamento sarebbe da considerare non integrale e quindi il pregiudizio imporrebbe il riconoscimento del diritto di voto.

Le ragioni della critica: a) sull'individuato principio generale

Giova preliminarmente ribadire (

Di Marzio, Il pagamento concordatario dei creditori garantiti può essere dilazionato solo per consenso o nei casi previsti dalla legge, in ilFallimentarista.it

) che il diritto fallimentare non costituisce un complesso di norme autosufficiente e privo di connessioni con il complesso della disciplina dei rapporti giuridici e, in particolare del diritto delle obbligazioni. Da tale scontata osservazione deriva l'altrettanto scontata conseguenza che le norme del codice civile si applicano anche in materia fallimentare laddove non sia diversamente disposto. È dunque applicabile anche al concordato preventivo l'

art. 1183 c.c.

, a mente del quale “Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita il creditore può esigerla immediatamente”. E' altresì certamente applicabile la disposizione speciale costituita dall'

art. 55, comma 2. l. fall

., richiamato per il concordato preventivo dall'art. 169, che prevede che, salve le eccezioni proprie della disciplina concordataria (es.: contratti in corso di esecuzione), i debiti pecuniari si considerano scaduti alla data di presentazione della domanda di concordato. Ne consegue, in linea di principio, che i debiti debbono essere pagati secondo le particolari regole del concordato e quindi nei termini previsti dalla proposta, se rientrano tra quelli ai quali la proposta si può riferire, oppure immediatamente, sia pure compatibilmente con i tempi della procedura, se si tratta di crediti il cui regime giuridico non viene modificato per il fatto che il concordato è stato aperto e per i quali quindi nessuna proposta può essere fatta.

Come la stessa Corte ammette, a questa ultima categoria appartengono (o appartenevano, secondo la Cassazione) i crediti privilegiati. Ritiene però la Corte che tutto sia mutato per effetto della modifica operata con il decreto correttivo che anche per il concordato preventivo ha previsto la possibilità di un pagamento in percentuale per i creditori privilegiati, sia pure con il limite del valore del bene, a fronte dell'attribuzione del diritto di voto.

Il salto logico su cui è basato l'argomento pare evidente: una disposizione che si limita ad adeguare alla realtà economica il soddisfacimento necessario dei privilegiati circoscrivendolo al valore del bene e cioè al quantum che riceverebbero in caso di liquidazione del medesimo in sede fallimentare o di esecuzione singolare, e quindi modifica sul punto la disciplina previgente quale risultava dal diritto vivente (da qui la portata innovativa e non interpretativa dell'intervento), viene elevata a principio generale secondo il quale anche i creditori privilegiati possono essere soddisfatti in modo non integrale; ciò in quanto la generale possibilità di pregiudicare i creditori privilegiati è giustificata con l'attribuzione del beneficio del diritto di voto e quindi, ancora illogicamente, quella che è una mera conseguenza necessaria del pagamento solo parzialmente obbligato e del conseguente degrado al chirografo del residuo, e cioè il voto attribuito a tutti i chirografari, viene elevato a ragione giustificativa generale dell'adempimento non integrale per mera volontà del proponente.

In definitiva la logica non condivisibile è la seguente: visto che il legislatore consente il pagamento parziale relativamente al quantum e prevede il voto, significa che se il voto viene previsto ogni altra deviazione della schema legale dell'adempimento delle obbligazioni è possibile; logica non condivisibile, in quanto porta a desumere da una disciplina dettata per una situazione particolare e oggettiva (parziale o totale incapienza del bene) un principio derogatorio di una norma generale (

art. 1183 c.c.

) sganciato da qualunque situazione oggettiva (come potrebbe essere il tempo strettamente necessario per la liquidazione del bene) lasciando il debitore arbitro di determinare i tempi di pagamento.

Segue: b) sulle norme portate a conferma del principio di dilazione

Al fine di trovare conferme del principio generale ipotizzato nelle sentenze de quibus vengono richiamate alcune disposizioni che dovrebbero avvalorare la sua esistenza nel sistema concorsuale.

La prima è l'art. 182-ter in tema di transazione fiscale, che prevede al primo comma che “Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”.

È innanzitutto curioso che a conferma di un principio giuridico venga portata una disposizione entrata in vigore in un momento in cui detto principio non poteva essere predicato per la decisiva ragione che non esisteva la disposizione sul cui tenore si fonda la tesi della sua sussistenza: mentre infatti l'art. 182-ter è stato inserito nell'ordinamento con l'

art. 146 del

d.l

gs. 9/1/2006, n. 5

, il terzo comma dell'art. 160 che prevede la possibilità del pagamento parziale dei privilegiati è stato aggiunto successivamente dall'

articolo 12, comma 2, del

d.l

gs. 12 settembre 2007, n.169

e la Cassazione ha chiarito che tale ultima disposizione non poteva applicarsi ai concordati aperti prima della sua entrata in vigore non avendo portata interpretativa, ma innovativa, ed essendo la sua anticipata nascita sostanzialmente frutto di un errore (

Cass

.

22 marzo 2010, n. 6901

, in Fall. 2010, 6, 653 nota di Genoviva

).

D'altra parte, e prescindendo dalla specialità di una disciplina di settore, la possibilità che per i crediti tributari sia possibile la dilazione nell'ambito della transazione fiscale non consente di desumere un generale principio di indiscriminata dilazionabilità di tutti i crediti privilegiati, per la decisiva considerazione che l'attuabilità della proposta avanzata nell'ambito di tale sub-procedimento presuppone una specifica accettazione da parte del creditore f

isco senza la quale, e cioè per il solo volere della maggioranza, la proposta non può essere omologata. Ma allora la dilazionabilità del credito non poggia più sul principio presupposto dalla Corte, ma sull'accordo con il singolo creditore, che ovviamente è ben possibile anche nel concordato preventivo con riguardo ad ogni tipo di credito, sia privilegiato che chirografario, a condizione che venga stipulato prima del deposito della proposta o contestualmente ad una modifica del piano, in quanto, diversamente, non passerebbe il vaglio dell'ammissibilità.

L'altra disposizione che viene portata a conferma della tesi in discussione è l'innovativo disposto dell'art. 186-bis, introdotto con il

d.l.

22 giugno 2012, n. 83

che per i concordati in continuità aziendale consente la dilazione dei privilegiati fino ad un anno senza attribuzione del diritto di voto.

Anche in questo caso il procedimento logico è quanto meno discutibile, in quanto si dà per scontato che il principio della generale dilazionabilità sussista e si attribuisce alla disposizione il valore di una limitazione a tale principio nel senso che il diritto di voto è riconosciuto solo se il ritardo nel pagamento è superiore ad un anno mentre entro tale limite la moratoria sarebbe “coatta”, nel senso di non costituire pregiudizio, analogamente alla disciplina dell'abrogata amministrazione controllata, e quindi di non comportare il voto.

Tale interpretazione, che la Corte assume senza tentennamenti e senza motivare la scelta, in realtà è quantomeno discutibile ed anzi appare, ad avviso di chi scrive, la più improbabile, in primo luogo sotto il profilo della mera tecnica redazionale, in quanto se effettivamente la volontà fosse stata quella di consentire una dilazione senza limiti temporali bilanciata dal voto in caso di termine eccedente l'anno non si sarebbe presumibilmente affidata la voluntas legis ad una norma che a prima vista sembra affermare il contrario, prevedendo la possibilità di posticipare il pagamento dei privilegiati fino ad un anno e l'esclusione del voto, quasi a voler solo chiarire che in tali termini non vi è pregiudizio, ma avrebbe più chiaramente disposto, ad esempio, che “Per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca può essere proposta una moratoria, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Se la moratoria non è superiore ad un anno, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto” (

Bozza, Una lettura controcorrente dell'art. 186-bis comma secondo, lett. c) della Legge fallimentare, in ilcaso.it

).

In secondo luogo, se effettivamente il principio generale fosse quello enunciato dalla Corte, non vi sarebbe stato alcun bisogno di ribadire la possibilità della moratoria, ma il legislatore si sarebbe semmai dovuto limitare a disciplinare il voto nel caso di proposta di moratoria superiore ad un anno, che invece è proprio la disciplina che manca e che la Corte ha cercato di individuare e di cui subito infra (

Di Marzio, op. cit.

).

Segue: c) sul criterio di individuazione del quantum del voto dei privilegiati con dilazione ultrannuale.

L'affermazione più sorprendente, tuttavia, è quella secondo la quale è il giudice del merito che deve individuare la misura del credito per il quale il privilegiato con dilazione ultrannuale, e quindi pregiudicato dal concordato, deve essere ammesso al voto.

Che la Cassazione ritenga che sia l'ammontare del pregiudizio che determina l'ammontare del credito da prendere a riferimento per calcolare il peso di ogni voto pare pacifico, in quanto si legge in motivazione che il pagamento dilazionato comporta una perdita per i creditori e quindi costituisce un pagamento non integrale, “Ciò a causa della perdita economica conseguente al ritardo (rispetto ai tempi "normali") con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti.

La determinazione in concreto di tale perdita (rilevante ai fini del computo del voto dei privilegiati) costituisce, ovviamente, accertamento in fatto che il giudice del merito dovrà compiere, alla luce anche della relazione giurata

ex

art. 160, comma 2,

l

. fall

. e tenendo conto di eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati nell'ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta nonché della disciplina degli interessi di cui agli

artt. 54

e

55

l

. fall

. (richiamata dall'

art. 169

l

. fall

.)”. È infatti evidente che se il valore della parte di credito che determina il peso del voto fosse immediatamente individuabile, come avviene per il pagamento parziale dei creditori con privilegio su beni incapienti, la Corte avrebbe affermato un principio di diritto di immediata applicazione senza l'intermediazione del giudice che, invece, secondo la Corte, deve accertare, caso per caso e quindi con riferimento ad ogni singolo creditore, quale sia il danno economico che ha sofferto a causa del pagamento ritardato rispetto ai tempi normali.

Ora, a parte la difficoltà di individuare criteri certi per la quantificazione del danno (

Stanghellini, op. cit. 1242

) e il problema che pone, anche in termini di gestione dell'adunanza e di soluzione di inevitabili controversie che sorgeranno in materia, l'accertamento del danno per ogni singolo creditore destinatario della dilazione ultrannuale, e a parte ancora la sostanziale irrilevanza del voto limitato al danno, posto che non è predicabile l'obbligatorietà della formazione di classi se la proposta è identica per tutti i chirografari (

Cass. Civ., 10 febbraio 2011, n. 3274

, in Fall. 2011, 4, 403 con nota di NISIVOCCIA e in Giur. comm. 2012, 2, 276 con nota Fabani)

, è proprio il principio di diritto secondo il quale il valore del voto è dato dall'ammontare del pregiudizio inteso come danno che non può essere condiviso.

E' noto che la norma base da cui trarre il principio che qui interessa è quella dell'

art. 177 l. fall

. che in proposito dispone, nella seconda parte del comma 2, che “Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari” e al comma 3 che “I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”.

Da tale disposizione non consegue certamente il principio dell'equivalenza tra ammontare del pregiudizio inteso come danno economico e voto, in quanto quest'ultimo è espresso per l'intero credito degradato al chirografo e non per la parte di questo che non trova soddisfacimento nella proposta; in altri termini, se per la parte degradata al chirografo la proposta prevede il pagamento del 30% del credito, il voto non spetta per il residuo 70% che resta insoddisfatto, ma per il 100% del credito degradato; alla stessa stregua due creditori per uguale importo privilegiato ed entrambi con previsto degrado al chirografo per il 50% del credito complessivo, ma posti in classi diverse con trattamento differenziato quanto alla percentuale di soddisfacimento della parte in chirografo, votano entrambi per il 50% non in privilegio indipendentemente dalla percentuale per la quale questa parte è oggetto di proposta di pagamento.

In realtà ciò che si desume dalla normativa citata è che il voto è parametrato a quella parte di credito il cui regime ordinario muta per effetto dell'ingresso del debitore nella procedura di concordato e che può essere pertanto oggetto di modifica nella proposta.

E allora, così come in caso di pagamento in percentuale del credito privilegiato il creditore vota per l'intera parte di credito degradata al chirografo, perché è quella parte nella sua interezza che può essere oggetto di pagamento parziale, mentre non vota per la parte in privilegio e coperta dal valore del bene, in quanto per questa non può che esservi prospettiva di pagamento integrale, alla stessa stregua il creditore privilegiato con privilegio capiente deve essere chiamato a votare per l'intero credito se la proposta prevede il suo pagamento oltre l'anno, in quanto è il regime giuridico dell'intero credito che muta per effetto del concordato, non essendo applicata la disciplina comune sulla scadenza delle obbligazioni, ma quella speciale dettata per il concordato (

anche Stanghellini, ivi.; Filocamo, sub art. 177 l.f

.

in La legge fallimentare, a cura di M. Ferro, 2008, 334; Jachia, Il concordato fallimentare, in La riforma organica delle procedura concorsuali, a cura di S. Bonfatti, L. Panzani, 2008, 614; Bozza, op. cit., 22

).

Criticità

La soluzione adottata dalla Cassazione, al di là delle obbiezioni circa i canoni ermeneutici utilizzati, è particolarmente difficile da condividere laddove pare disancorare completamente la tempistica dei pagamenti ai creditori privilegiati da parametri oggettivi lasciando alla immotivata e quindi insindacabile discrezione del debitore la decisione.

L'

art. 160 l. fall

. laddove prevede la possibilità de pagamento parziale dei creditori con privilegio incapiente richiede innanzitutto che, perché il debitore possa avvalersi di tale facoltà, debba sussistere un presupposto oggettivo ed àncora a tale presupposto la discrezionalità del debitore stesso: il presupposto è dato dall'accertamento effettuato da un perito circa la sussistenza di un valore del bene in caso di liquidazione inferiore all'ammontare del credito e la facoltà di riconoscimento parziale del privilegio è limitata a quella parte del credito che non è coperta dal valore stimato.

Non risulta esplicitamente dalla motivazione della Corte se un qualche limite sussista, ma parrebbe di no, visto che si legge che “non vi è chi non veda che, se la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati, allora il pagamento dei crediti medesimi con dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della stessa liquidazione, in caso di concordato c.d. «liquidativo») equivale a soddisfazione non integrale di essi”. E dunque pare possibile per la Corte pagare con una dilazione “superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura” e quindi non immediatamente dopo l'omologa o dopo l'anno, oppure, in caso di concordato liquidatorio, superiore non solo ai tempi tecnici della procedura ma anche a quelli tecnici “della stessa liquidazione” e quindi ai tempi strettamente necessari per la medesima, quando non addirittura prescindendo dall'avvenuta liquidazione.

Non è chi non veda come tale soluzione difficilmente possa essere ritenuta accettabile, in quanto si presta ad evidenti abusi.

In primo luogo non si richiede alcuna motivazione circa la necessità di un pagamento dilazionato. Se questo non è giustificato nel concordato liquidatorio non lo è neppure nel concordato in continuità aziendale, in quanto sarebbe lecito attendersi che la dilazione oltre l'anno (quella infrannuale per definizione legislativa è considerata irrilevante tanto da non comportare il voto) debba essere quantomeno motivata (e attestata) con la necessità di non gravare finanziariamente il piano e consentire la continuità aziendale così da dar modo al tribunale di valutare la legittimità del sacrificio imposto ai prelazionari.

In secondo luogo, se una giustificazione può avere la dilazione del pagamento dei prelazionari quando i beni vincolati vengono utilizzati per la gestione dell'impresa, nessuna giustificazione avrebbe il ritardo nella liquidazione dei beni non funzionali alla stessa con conseguente ritardato pagamento: si pensi, ad esempio, alla detenzione di un pacchetto di titoli azionari detenuti a scopo meramente speculativo oggetto di pignoramento e prontamente liquidabili, che, in difetto di limitazioni, il debitore sarebbe facoltizzato a cedere in tempi anche assai superiori all'anno senza che si pongano questioni sull'ammissibilità di una proposta e di un piano che tanto prevedano.

La tesi della dilazione indiscriminata oltre l'anno dei privilegiati pone un ulteriore problema dato dall'esistenza del principio sancito dall'art. 160, comma 2, sull'ordine delle cause legittime di prelazione in quanto, secondo la tesi prevalente, non si dovrebbero soddisfare i creditori di rango inferiore fino a quando non vengono soddisfatti quelli di rango superiore, per cui delle due l'una: o non si possono pagare i creditori fino a quando quelli con privilegio di rango superiore non vengono soddisfatti oppure si segue l'ordine dei pagamenti indicato nella proposta con il rischio che i creditori muniti di privilegio subiscano un trattamento deteriore; si pensi ad un creditore ipotecario quando il piano non prevede la liquidazione del bene gravato, ma il pagamento dilazionato a cinque anni: se non viene integralmente pagato alla scadenza e si scopre che il bene ha un valore inferiore alla garanzia è possibile che il patrimonio residuo non sia sufficiente a garantirgli un pagamento neppure parziale della parte degradata al chirografo, soprattutto se si accede alla tesi, peraltro qui non condivisa, dell'insussistenza del diritto al concorso con i chirografari sancito dall'art. 54, comma 2, in quanto non richiamato dall'art. 169.

Conclusioni e possibili soluzioni

Volendo tuttavia concludere in modo costruttivo e accettando, in linea di ipotesi pur non condividendolo, il principio della possibilità della dilazione ultrannuale enunciato dalla Corte, quali potrebbero essere i correttivi da apportarsi in via interpretativa alla tesi dell'indiscriminata facoltà di dilazione dei privilegiati?

Innanzitutto dovrebbe quantomeno affermarsi il principio che almeno nel concordato liquidatorio, nel quale il rinvio dei pagamenti non ha alcuna giustificazione, nessuna dilazione può essere programmata e che i beni debbono essere liquidati immediatamente con i soli tempi tecnici della procedura e del comportamento del mercato, fermo restando che i creditori con privilegio speciale concorrono come chirografari sul ricavato della liquidazione degli altri beni

ex

art. 111 n. 3 l. fall

., posto che la disposizione di cui al comma 2 dell'art. 54, non richiamato per il concordato, è in realtà ultronea, in quanto i creditori con privilegio speciale sono comunque creditori che hanno garanzia generica su tutto il patrimonio e non vi è ragione per cui non partecipino come tali al ricavato della liquidazione degli altri beni. Adottando tale interpretazione non vi sarebbe spazio per il voto dei privilegiati, posto che gli stessi non verrebbero in alcun modo pregiudicati rispetto agli alternativi modi di liquidazione singolare o fallimentare.

Quanto al concordato in continuità aziendale, dovrebbe escludersi ogni applicabilità della dilazione ai beni non funzionali da liquidarsi immediatamente, adottando quindi lo stesso regime previsto per il concordato liquidatorio.

Per i beni destinati alla gestione dell'impresa il ritardo nel pagamento dovrebbe essere innanzitutto oggetto di attestazione circa la necessità di disporre della finanza per la gestione dell'impresa, posto che, diversamente, manca la giustificazione per il pregiudizio arrecato ai privilegiati (

vedi Stanghellini, op. cit. 1239, e Vella, Autorizzazioni, finanziamenti, e prededuzioni nel nuovo concordato preventivo, in ilFallimentarista.it

); a fronte della disposizione che ritiene comunque rilevante, ai fini del voto, solo il ritardo superiore all'anno, non vi è spazio per la valutazione dei tempi di liquidazione che sarebbero strettamente necessari anche perché, diversamente, non solo non vi sarebbe differenza con i tempi di pagamento consentiti nel concordato liquidatorio, ma soprattutto verrebbe vanificato l'intento, su cui si basa sostanzialmente la giurisprudenza che si commenta, di favorire in ogni modo la soluzione concordataria anche a scapito dei creditori privilegiati. Ne consegue che se la dilazione è ultrannuale si deve prescindere da quelli che potrebbero essere i tempi della liquidazione alternativa per verificare se vi è stato pregiudizio, e quindi spetta comunque il diritto di voto, da calcolarsi, per le ragioni esposte, sulla base dell'intero valore della garanzia.

Un discorso a parte deve farsi per i creditori con privilegio generale che parrebbero esclusi dalla possibilità di moratoria; l'art. 186-bis, invero, sembra prendere in considerazione solo i crediti assistiti da privilegio speciale dal momento che esclude esplicitamente la possibilità di moratoria se per tali beni è prevista la liquidazione: poiché il privilegio generale si esercita non solo sui beni per i quali è prevista la cessione, ma anche sui crediti incassati e qualunque utilità che sopravvenga nel patrimonio del debitore, la precisazione riferita a tali creditori non avrebbe molto senso, posto che è inevitabile che entro l'anno l'attività dell'impresa generi incassi per i beni o i servizi prodotti e venduti.

Sia che si ritenga che i creditori con privilegio generale debbano essere pagati immediatamente, sia che si opti per la possibilità di una loro moratoria annuale, dovrebbe comunque farsi applicazione analogica dell'

art. 42, comma 2, l.

fall

. per il quale “Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi”. Se infatti, entro l'anno ma anche dopo tale termine, dovesse essere devoluto al pagamento del creditori tutto ciò che in seguito alla gestione entra nel patrimonio, è evidente che l'impresa non potrebbe proseguire l'attività; è dunque solo la differenza tra le entrate e quanto è necessario per la gestione dell'impresa, e quindi il pagamento dei crediti in prededuzione generati dalla stessa, che può essere utilizzato per l'adempimento della proposta in favore dei titolari di crediti pregressi, oltre ovviamente al ricavato di eventuali dismissioni.

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