Ancora sull'Iva e le ritenute nel concordato preventivo senza transazione fiscale

Giulio Andreani
26 Novembre 2013

Alcune recenti pronunce dell'Autorità Giudiziaria (Trib. Milano, 28 - 29 maggio 2013, Trib. Cosenza, 29 maggio 2013, Trib. Brescia, 5 - 11 giugno 2013, Trib. Campobasso, 29 - 31 luglio 2013 e App. Genova. 10 - 27 luglio 2013) e taluni approfondimenti dottrinali (Lamanna, Graduazione tra iva, ritenute fiscali e altri privilegi generali nel concordato in caso di incapienza dei beni su cui farli valere, in ilFallimentarista.it) confermano che quella della falcidiabilità dei debiti erariali inerenti all'IVA e alle ritenute fiscali operate e non versate, nel concordato preventivo non assistito da transazione fiscale, costituisce una querelle ancora viva.
I diversi orientamenti in tema di falcidiabilità dei debiti IVA: un dibattito ancora aperto

Alcune recenti pronunce dell'Autorità Giudiziaria (Trib. Milano, 28 - 29 maggio 2013, Trib. Cosenza, 29 maggio 2013, Trib. Brescia, 5 - 11 giugno 2013, Trib. Campobasso, 29 - 31 luglio 2013 e App. Genova. 10 - 27 luglio 2013) e taluni approfondimenti dottrinali (Lamanna, Graduazione tra iva, ritenute fiscali e altri privilegi generali nel concordato in caso di incapienza dei beni su cui farli valere, in ilFallimentarista.it) confermano che quella della falcidiabilità dei debiti erariali inerenti all'IVA e alle ritenute fiscali operate e non versate, nel concordato preventivo non assistito da transazione fiscale, costituisce una querelle ancora viva.

Come è noto, con le sentenze

n. 22931

e

22932 del 4 novembre 2011

la Corte

di Cassazione

ha statuito l'intangibilità di tali crediti. In senso conforme alla Suprema Corte si sono successivamente espressi, tra gli altri, il Tribunale di Rossano (31 gennaio 2012), il Tribunale di Roma (1 febbraio 2012) e il Tribunale di Vicenza (27 dicembre 2012), i quali hanno rigettato domande di omologazione del (o di ammissione al) concordato preventivo, contenenti la falcidia del credito iva

, non accompagnate da transazione fiscale.

La tesi della Suprema Corte è stata inoltre ribadita, anche con l'impiego di ulteriori argomenti, dal Tribunale di Brescia (5 - 11 giugno 2013), il quale ha affermato che essa costituisce una posizione non solo in via di consolidamento (alle iniziali pronunce della Corte di Cassazione è infatti seguita la n. 7667/2012), ma addirittura giustificata in una prospettiva sistematica del sopravvenuto

art. 18 del D.L. n. 179/2012

, che - nel novellare la disciplina (ora indiscutibilmente concorsuale) della crisi da c.d. “sovraindebitamento” - ha sì attribuito al debitore la possibilità di declassare i crediti privilegiati secondo un criterio analogo a quello di cui al secondo comma dell'

art. 160

l. fall

., facendo, tuttavia, salva l'obbligatorietà dell'integrale pagamento dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, dell'iva

e delle ritenute operate e non versate, in ordine alle quali il piano può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento.

Invece, altri giudici (

Trib

.

Perugia 16 luglio 2012

;

Trib

.

Varese 30 giugno 2012

;

Trib

.

Como 29 gennaio 2013

; Trib. Cosenza 29 maggio 2013; Trib. Campobasso 29 - 31 luglio 2013; App. Genova 10 - 27 luglio 2013

) hanno disatteso il principio affermato dalla Corte di Cassazione.

Non pare quindi che le menzionate sentenze della Cassazione abbiano risolto la controversia interpretativa concernente l'intangibilità del credito erariale per iva

e ritenute.

L'orientamento giurisprudenziale e dottrinale favorevole alla falcidiabilità dei crediti tributari di cui trattasi faceva leva soprattutto sul disposto del comma 2, ultimo periodo, dell'

art. 160

l. fall

., ai sensi del quale “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine della cause legittime di prelazione”; ne discende, secondo tale orientamento, che, in assenza della possibilità di soddisfare solo parzialmente i crediti per iva

e ritenute, l'impresa debitrice dovrebbe pagare integralmente non solo questi ultimi ma, in virtù della citata disposizione, anche tutti i crediti assistiti da privilegio di grado anteriore (cioè quasi tutti), il che vanificherebbe, nella sostanza, la possibilità di soddisfacimento parziale dei crediti privilegiati prevista dal medesimo articolo (comma 2, primo periodo) e renderebbe impossibile l'attuazione di un rilevante numero di concordati, in contrasto con lo spirito della recente riforma della

l. fall

.

Il “superprivilegio”: limiti della tesi della Cassazione sull'intangibilità dei crediti fiscali

La Corte di Cassazione ha ritenuto di superare l'ostacolo rappresentato da tale argomento escludendo che la necessità dell'integrale pagamento di detti crediti comporti anche quella dell'integrale pagamento di tutti i crediti privilegiati di grado anteriore. Secondo la Suprema Corte, infatti, il credito relativo all'iva

(e conseguentemente anche quello avente ad oggetto ritenute operate e non versate, ancorché questo tema non fosse oggetto dei giudizi inerenti alle richiamate pronunce) sarebbe assistito, sulla base di una disposizione eccezionale, da una sorta di “superprivilegio” o sarebbe addirittura da considerare “quasi prededucibile”; conseguentemente il loro integrale pagamento non inciderebbe automaticamente sul trattamento degli altri crediti e quindi quelli assistiti da privilegio anteriore potrebbero ciò nonostante essere pagati parzialmente.

E' questo, ad avviso di chi scrive, l'argomento più serio tra quelli su cui la Suprema Corte ha fondato le proprie decisioni; esso consente tuttavia solo apparentemente di evitare l'emersione di un contrastotra il disposto dell'

art. 182-ter, comma 1, l. fall.

, laddove si prevede l'integrale pagamento dei crediti per iva

e ritenute, e quello dell'art. 160, comma 2, sopra citato e genera effetti distorsivi non meno rilevanti, che ne rivelano la fallacia, rendendo nella sostanza inattuabile un elevato numero di proposte di concordato, se queste dovessero essere formulate nel suo rispetto.

Infatti, attesa la natura “superprivilegiata” dei crediti fiscali di cui trattasi, da essa discende che, nel non infrequente caso di insufficienza dell'attivo a soddisfare tutti i crediti privilegiati, la domanda di concordato dovrebbe prevedere innanzitutto l'integrale pagamento dei crediti per iva

e ritenute e quindi il soddisfacimento parziale di quelli assistititi da privilegio di grado anteriore a questi ultimi nei limiti della capienza dell'attivo (Lamanna, Graduazione tra iva, ritenute fiscali e altri privilegi generali, cit.

).

Ne conseguirebbe però la sostanziale inattuabilità di siffatte proposte di concordato, per i seguenti motivi:

  • il comma 2, primo periodo, dell'

    art. 160

    l. fall

    . stabilisce che la proposta di concordato può prevedere che “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'

    art. 67

    , terzo comma, lettera d)”. Applicando la tesi della Suprema Corte, nel caso di incapienza dell'attivo a soddisfare integralmente i crediti privilegiati, il presupposto della possibilità di pagamento parziale dei crediti privilegiati richiesto da tale norma non si verifica, perché mediante la liquidazione fallimentare dell'impresa, nell'ambito della quale non ricorre l'obbligo di pagamento integrale dei crediti per iva

    e ritenute, i creditori privilegiati anteriori al Fisco verrebbero soddisfatti in misura più elevata di quella realizzabile in sede concordataria, grazie all'utilizzabilità delle risorse che nell'altra ipotesi verrebbero destinate all'Erario in virtù del carattere “superprivilegiato” del suo credito;
  • una domanda di concordato siffatta sarebbe quindi non conveniente per i creditori privilegiati anteriori all'Erario, comunque inammissibile

    ex

    art. 160

    l. fall

    .

Per evitare tale effetto e rendere la proposta di concordato ammissibile e omologabile, se trovasse applicazione il principio di intangibilità dei crediti di cui trattasi affermato dalla Corte di Cassazione sarebbe necessario prevedere il pagamento integrale non solo di iva

e ritenute, ma anche dei crediti privilegiati di grado anteriore, seppure entro i limiti del valore di liquidazione dell'attivo, in base alla graduazione ordinaria prevista dalla legge (Si veda, ancora, sul punto, Lamanna, Graduazione tra iva, ritenute fiscali e altri privilegi generali, cit.

).

Ciò significa, però, che la Suprema Corte ha superato solo apparentemente il contrasto tra il disposto dell'ultimo periodo del comma 2 dell'

art. 160 della

l. fall

. e quello dell'art.

182-

ter

sull'intangibilità dei crediti tributari per iva

e ritenute, poiché dalla ricostruzione che precede emerge che l'(eventuale) obbligo di pagamento integrale di tali crediti finisce comunque per comportare il pagamento (almeno entro la capienza dell'attivo) anche di quasi tutti gli altri crediti privilegiati. E' evidente che ciò comporta la violazione (e la sostanziale abrogazione) della menzionata disposizione dell'

art. 160

l. fall

., introdotta allo scopo di agevolare la soluzione delle crisi d'impresa, ed ostacola il superamento di queste ultime, in contrasto con la volontà del legislatore della riforma della

l. fall

..

Conclusioni: integrale pagamento dei debiti solo nei concordati assistiti da transazione fiscale

Ne discende che l'unica lettura dell'

art. 182-

ter

l. fall

. conforme alla ratio legis e all'esigenza di favorire il superamento delle crisi di impresa appare quella che limita il campo di applicazione di detta norma ai casi in cui il concordato è assistito da transazione fiscale e ne esclude il rilievo con riguardo al concordato senza transazione fiscale. Questa conclusione trova inoltre conferma nella lettera della legge. Infatti, come ha recentemente rilevato la Corte di Appello di Genova, se si esamina il testo del citato

art. 182-

ter

l. fall

. (che recita: “con riguardo all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento”), si può constatare che il legislatore ha configurato il divieto di falcidia del credito iva

come un limite imposto espressamente alla “proposta” di transazione fiscale, per cui ritenerne l'operatività anche nel caso in cui il debitore non abbia inteso far ricorso a tale procedura costituisce, non solo una interpretazione estensiva non consentita per difetto della eadem ratio, ma anche una interpretazione che contrasta con la lettera stessa della legge.

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