L'incerto rapporto tra gli interessi moratori per ritardato pagamento nelle transazioni commerciali e le procedure concorsuali in Italia

29 Novembre 2013

La prassi applicativa ha fatto emergere alcune difficoltà nel coordinamento tra la disciplina degli interessi per ritardato pagamento nelle transazioni commerciali e l'ipotesi di debitore sottoposto a procedura concorsuale. L'Autore affronta, quindi, la dibattuta questione dell'ammissibilità al passivo degli interessi moratori, esaminando anche la normativa europea recepita in Italia con il d. lgs. n. 231/2002.
Premessa

In Italia la disciplina degli interessi da corrispondersi in caso di ritardato pagamento nelle transazioni commerciali è contenuta nel

D.Lgs.

9 ottobre 2002, n. 231

, recante attuazione della

direttiva 2000/35/CE

, così come da ultimo modificato dal

D.Lgs.

9 novembre 2012, n. 192

finalizzato a sua volta a dare piena attuazione alla

direttiva 2011/7/UE

relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (rifusione).

A tale riguardo giova sottolineare che le disposizioni di cui al

D.Lgs. n.

231/02

si applicano ai contratti stipulati dopo l'8 agosto 2002, mentre le (nuove) disposizioni di cui al

D.Lgs. n.

192/12

si applicano alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Lo scopo del presente lavoro non è una completa disamina delle modifiche apportate dal

D.Lgs. n.

192/12

, ma unicamente quello di analizzare il modo in cui la disciplina relativa agli interessi per ritardato pagamento nelle transazioni commerciali viene applicata in caso di sottoposizione del debitore ad una procedura concorsuale. Per tale ragione mi limiterò a soffermarmi sulle sole disposizioni rilevanti a tal fine, le quali, come si vedrà, sono rimaste sostanzialmente inalterate nonostante le modifiche nel frattempo intercorse a livello europeo e, di conseguenza, a livello italiano.

Le disposizioni del D.Lgs. n. 231/02 e del D.Lgs. n. 192/12

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2,3,4 e 5 del D.Lgs. n. 231/02, in caso di ritardato pagamento del prezzo relativo ad una transazione commerciale, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori calcolati al saggio di cui all'art. 5 dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora, salvo che il ritardo non si imputabile al debitore.

L'

art. 1, comma 2, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

stabilisce che tale disciplina non si applica ai «debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore».

Infine, l'

art. 11, comma 1, del

D.Lgs. n.

231/02

stabilisce che «le disposizioni del presente decreto non si applicano ai contratti conclusi prima dell'8 agosto 2002».

Rispetto al quadro legislativo appena delineato, il

D.Lgs. n.

192/12

apporta solo marginali modifiche. Il principio generale che si ricava dal combinato disposto degli artt. 2, 3, 4 e 5 del (modificato)

D.Lgs. n.

231/02

è sempre quello per cui, in caso di ritardato pagamento del prezzo relativo ad una transazione commerciale, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori calcolati al saggio di cui all'art. 5 dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora, salvo che il ritardo non si imputabile al debitore.

Il nuovo

art. 1, comma 2, lett.

a),

del

D.Lgs. n.

231/02

ribadisce che tale disciplina non si applica ai «debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione dei debiti».

Infine, l'

art. 3 del

D.Lgs. n.

192/12

stabilisce che la nuova disciplina si applica alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013.

La disciplina europea in materia di lotta ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

Come già anticipato, i

decreti legislativi n. 231/02

e

n. 192/12

sono stati emanati in attuazione degli obblighi imposti all'Italia dalle

direttive 2000/35/CE

e

2011/7/UE

relative alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Anche con riferimento a tale disciplina ci si limita in questa sede a richiamare le disposizioni pertinenti con il tema di indagine del presente lavoro.

L'

art. 3 della direttiva 2000/35/CE

stabilisce che nelle transazioni commerciali, in caso di ritardato pagamento, il creditore ha diritto di percepire gli interessi di mora

dal giorno successivo alla data di scadenza (o alla fine del periodo di pagamento

automaticamente), senza che sia necessario un sollecito, salvo che il ritardo non si imputabile al debitore.

L'art. 6, comma 3, precisa che «nell'attuare la presente direttiva gli Stati membri possono escludere: a) i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore».

Disposizioni sostanzialmente analoghe si rinvengono nella

direttiva 2011/7/UE il cui art. 3

ribadisce il principio generale secondo cui nelle transazioni commerciali, in caso di ritardato pagamento, il creditore ha diritto di percepire gli interessi di mora

dal giorno successivo alla data di scadenza (o alla fine del periodo di pagamento

automaticamente), senza che sia necessario un sollecito, salvo che il ritardo non sia imputabile al debitore. L'art. 1, comma 3, stabilisce, inoltre, che «gli Stati membri possono escludere i debiti che formano oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito».

Alla luce di quanto sin qui illustrato, appare evidente che la facoltà concessa dal legislatore europeo agli Stati membri, di escludere dall'ambito di applicazione della normativa sulla lotta ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, sia stata pienamente esercitata dal legislatore italiano. Appare, altresì, evidente che, sotto il profilo letterale, la norma italiana è identica alla norma europea.

Portata e limiti della norma che esclude dall'ambito di applicazione della disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore secondo la giurisprudenza di merito

In Italia, l'

art. 1, comma 2, lett.

a),

del

D.Lgs. n.

231/02

ha formato oggetto di differenti, e talvolta contrastanti, interpretazioni da parte della giurisprudenza di merito, mentre, a quanto consta, la Corte di cassazione non si è ancora pronunciata sul punto (

Trib

.

Roma 31 gennaio 2013

). Il problema interpretativo di fondo emerso con riferimento all'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dei «debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore» riguarda lo stabilire se tale esclusione si riferisce soltanto agli interessi che maturano successivamente all'apertura della procedura concorsuale (teoria restrittiva), oppure anche gli interessi maturati precedentemente all'apertura della procedura concorsuale a carico del debitore (teoria estensiva).

A sostegno della teoria restrittiva, la sola pronuncia edita di cui vi è traccia è quella resa dal Tribunale di Milano in data 21 gennaio 2008, n. 833, che peraltro risulta essere stata sempre seguita da giurisprudenza conforme, in cui si afferma che «appare indubbio che gli interessi non siano dovuti per il periodo successivo alla apertura della procedura concorsuale (…). Viceversa, prima della dichiarazione di fallimento le obbligazioni contratte dal debitore producono, ai sensi dell'art. 4 del citato decreto, interessi moratori automaticamente, senza necessità di formale messa in mora, dal primo giorno successivo al mancato pagamento. Proprio la ratio della normativa esaminata è stata quella di approntare una più efficace tutela a fronte dei ritardi nell'adempimento delle transazioni commerciali sicché alla produzione degli interessi dipendenti dal ritardo corrisponde il perfezionarsi del diritto alla obbligazione accessoria. La natura sostanziale della norma esaminata e il suo tenore letterale non consentono una interpretazione tale da condurre alla affermazione di una inopponibilità alla massa dei crediti da interessi moratori da obbligazione pecuniaria già maturati» (

Trib. Milano 21 gennaio 2008, n. 833

, decr. V. L. A. Bottai, Il D.Lgs. n. 231/02 e l'ammissione al Passivo degli interessi moratori “speciali”, consultabile su studiolegaleriva.it).

In linea con tale pronuncia, e con quella che costituisce a tutti gli effetti una prassi consolidata del tribunale milanese (

sul punto v. Istruzioni comportamentali per l'accertamento del passivo indirizzate ai creditori concorsuali e ai curatori, 21 aprile 2007

), possono annoverarsi i provvedimenti di altri tribunali i quali, senza alcuna particolare motivazione, si sono limitati ad accogliere, in sede di verifica dello stato passivo, le domande di ammissione al passivo relative agli interessi moratori calcolati secondo i tassi previsti dal

D.Lgs. n.

231/02

sino alla data di apertura della procedura concorsuale senza nulla eccepire (

Trib. Varese n. 4032/2013

;

Trib. Bergamo n. 283/2012

;

Trib. Monza n. 205/2011

;

Trib. Verbania n. 8/2010

); Trib. Asti n. 2/2008).

A sostegno della teoria estensiva, di contro, il Tribunale di Pescara, con sentenza in data 10 febbraio 2009, ha stabilito che «la disposizione contenuta nell'

articolo 1 del

D.Lgs. n.

231/2002

, il quale prevede la non applicazione della speciale normativa sulle transazioni commerciali ai “debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore”, deve essere intesa, per quanto riguarda il tasso di interesse applicabile, nel senso che l'esclusione riguarda gli interessi maturati fino alla dichiarazione di fallimento». A sostegno della propria interpretazione, il Tribunale di Pescara sottolinea che:

a)

la tesi sostenuta dal Tribunale di Milano rende «sostanzialmente pleonastica ed inutile la disposizione di esclusione in esame, posto che dopo la dichiarazione di fallimento gli interessi sui crediti chirografari (categoria nella quale rientrano normalmente i crediti derivanti da transazioni commerciali, cioè da contratti che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo, secondo la definizione datane dall'

art. 2 del

D.Lgs. n.

231/02

) non decorrono, a norma dell'

art, 55 L.F.

, e che anche sui crediti prelatizi il periodo post-fallimentare di decorrenza di interessi a tasso superiore a quello legale

ex art. 1284 c.c.

è limitato dal combinato disposto degli

artt. 54 L.F.

, e 2749, 2788 e 2855 c.c.»;

b)

la formulazione letterale dell'

art. 1, comma 1, lett. a) del

D.Lgs. n.

231/02

, facendo riferimento ai debiti oggetto di procedure concorsuali, ricomprende anche i debiti per interessi moratori maturati prima della dichiarazione di fallimento;

c)

l'

art. 3 del

D.Lgs. n.

231/02

, nel dare rilievo alla non imputabilità del ritardo al debitore per escludere in ogni caso l'applicabilità dei successivi

artt. 4

e

5 del

D.Lgs. n.

231/02

, «induce anche a dubitare dell'assoluto automatismo della produzione degli interessi de quibus ritenuto dalla pronuncia [del Tribunale di Milano] sopra ricordata»;

d)

sul piano sistematico e razionale non si può prescindere dalla «considerazione che, una volta aperta una procedura concorsuale a carico del debitore, vengono in rilievo non soltanto i rapporti tra questi ed i singoli creditori, ma anche i rapporti reciproci tra i creditori, che determinano la misura della partecipazione di ciascuno di essi al concorso»;

e)

nell'ambito dei rapporti reciproci tra i creditori «il legislatore ha voluto rendere inoperante la deroga - riconducibile alla legge stessa e non all'autonomia privata - alla disciplina generale degli interessi moratori, parificando la posizione di tutti i creditori concorrenti», con la conseguenza per cui deve ritenersi che «l'apertura di una procedura concorsuale (…) produc[a], nei rapporti tra i creditori che partecipano al concorso, lo stesso effetto che, nel singolo rapporto tra creditore e debitore in bonis, deriva dalla dimostrazione da parte di quest'ultimo di una causa dell'inadempimento a sé non imputabile, facendo venire meno ab origine l'applicabilità della speciale disciplina dedicata alle transazioni commerciali».

L'interpretazione estensiva dell'

art. 1, comma 1, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

appena illustrata trova un limite, per ammissione dello stesso Tribunale di Pescara, nell'ipotesi in cui gli interessi moratori di cui si chiede l'ammissione al passivo siano stati liquidati in un provvedimento giudiziario passato in giudicato.

In linea con la pronuncia del Tribunale di Pescara si pone il decreto del Tribunale di Roma in data 31 gennaio 2013, secondo cui l'esclusione prevista dall'

art. 1, comma 1, lett.

a),

del

D.Lgs. n.

231/02

«riguarda specificamente gli interessi maturati nel periodo anteriore ed impedisce così di riconoscerli al tasso determinato

ex art. 5 del

D.Lgs. n.

231/02

(salvo il caso di una già avvenuta liquidazione con titolo giudiziale definitivo)». Secondo il Tribunale di Roma, infatti, la teoria restrittiva sostenuta dal Tribunale di Milano «verrebbe in sostanza a neutralizzare la concreta rilevanza di quella clausola di esclusione: infatti, secondo la nota disciplina generale dell'

art. 55 L.F.

la decorrenza degli interessi sui crediti chirografari (tra i quali rientrano di norma quelli derivanti da transazioni commerciali) subisce comunque una sospensione a far data dalla dichiarazione di fallimento». Inoltre, sotto il profilo letterale, il Tribunale di Roma sottolinea che l'

art. 1, comma 2, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

«fa generico riferimento senza distinzioni ai “debiti oggetto di procedure concorsuali” (fra i quali rientrano senz'altro i debiti per interessi moratori maturati ante fallimento), in piena conformità al dettato altrettanto inequivoco dell'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva comunitaria 2000/35/CE

». Secondo il Tribunale di Roma, pertanto, nel caso di specie «si tratta di un'esclusione - nello spirito della stessa direttiva - volta a consentire una parificazione di tutti i creditori partecipanti al concorso (venendo in maggior rilievo i rapporti reciproci fra questi ultimi - una volta sopraggiunta l'insolvenza del debitore - e rimanendo così pienamente giustificata l'inoperatività della deroga alla disciplina generale sugli interessi moratori prevista dalle singole legislazioni interne)» (

Trib. Roma

31 gennaio 2013

, decr.

).

In linea con le pronunce del Tribunale di Pescara e di Roma possono ritenersi tutti quei provvedimenti di altri tribunali che sono soliti respingere le domande di ammissione al passivo relative agli interessi moratori calcolati secondo i tassi previsti dal

D.Lgs. n.

231/02

sino alla data di apertura della procedura concorsuale sulla base della semplice osservazione secondo cui «le disposizioni di cui al

D.Lgs. n.

231/02

non si applicano in caso di procedure concorsuali» o altra analoga.

A completamento del panorama giurisprudenziale sopra ricordato, si segnala una “variante” alla teoria estensiva condivisa dal Tribunale di Pescara e di Roma, secondo la quale gli interessi moratori (calcolati ai sensi del

D.Lgs. n.

231/02

) maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale non possono essere ammessi al passivo neppure se liquidati in un provvedimento giudiziale coperto da giudicato. Secondo tale interpretazione, infatti, «non potranno in nessun caso riconoscersi gli interessi moratori di cui al

Decreto Legislativo 9 ottobre 2002 numero 231

in quanto non applicabili, ai sensi dell'articolo 1 comma 2 lettera a) dello stesso Decreto, alle Procedure Concorsuali. Non é di ostacolo a tale interpretazione la dedotta definitività del provvedimento, posto che la Corte di Cassazione ha statuito, affermando un principio pienamente condivisibile, che il mutato regime normativo (e la conseguente diversa regolamentazione del rapporto derivante, nel nostro caso, da un mutamento della condizione soggettiva del debitore, che é stato dichiarato fallito) travolge il giudicato formatosi sulla base di un decreto ingiuntivo non opposto (sentenza numero 9335 del 14 luglio 2000). Tali considerazioni valgono, ovviamente, solo per gli interessi (qualificati come moratori) previsti dal

Decreto Legislativo 231/2002

; nell'ipotesi in cui il decreto ingiuntivo contenesse la condanna al pagamento di interessi (anch'essi moratori) aventi fonte diversa dalla normativa appena richiamata, il provvedimento monitorio sarebbe coperto dal giudicato nella sua interezza ed andrebbero riconosciuti, quindi, anche gli interessi indicati nel decreto ingiuntivo» (

Tribunale di Busto Arsizio, Direttiva n. 4 del 21 maggio 2012

).

Quest'ultima interpretazione, seppur criticabile (per quanto si dirà nel paragrafo successivo) con riferimento all'affermata inapplicabilità degli interessi moratori di cui al

D.Lgs. n.

231/02

alle procedure concorsuali ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. a) dello stesso decreto, appare decisamente più coerente con la teoria estensiva di quanto non sia l'interpretazione accolta dal Tribunale di Pescara e dal Tribunale di Roma. Infatti, se si ritiene che l'esclusione degli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/01

maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale sia quella che assicura la corretta interpretazione ed applicazione del diritto dell'Unione europea, allora ne consegue che tale esclusione deve essere affermata anche nel caso di interessi moratori liquidati in un provvedimento giurisdizionale coperto da giudicato. Sul punto, la Corte di Giustizia ha più volte ribadito l'incompatibilità dell'istituto della cosa giudicata previsto dal nostro ordinamento nella misura in cui esso impedisce al giudice di dare corretta attuazione alle norme di diritto europeo (

Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, causa C-119/05

, Lucchini

). Di contro, se si ritiene che l'interpretazione restrittiva dell'

art. 1, comma 2, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

prospettata dal Tribunale di Milano sia quella in grado di assicurare un'applicazione della norma interna conforme allo scopo dell'analoga disposizione di diritto europeo, allora gli interessi moratori maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale devono sempre essere ammessi al passivo, a nulla rilevando che gli stessi siano stati liquidati in un provvedimento giurisdizionale coperto da giudicato, pena, altrimenti, l'introduzione di un criterio discriminatorio privo di alcun fondamento.

L'evidente esistenza di due interpretazioni della medesima norma e la necessità di una lettura della norma interna conforme allo scopo e alla finalità della norma di diritto europeo

Sulla scorta di quanto illustrato nei paragrafi precedenti, risulta evidente che l'interprete si trova al cospetto di un problema di interpretazione di una disposizione di diritto interno (

art. 1, comma 2, lett.

a),

D.Lgs. n.

231/02

) che dà attuazione ad una norma contenuta in una direttiva europea (

art. 6 n. 3, lett.

a)

direttiva 2000/35/CE

).

In tale situazione, in base ad una giurisprudenza costante e consolidata della Corte di giustizia dell'U.E., il giudice nazionale ha l'obbligo di interpretare la norma interna in conformità allo scopo e allo spirito della corrispondente norma di diritto europeo (

Corte di Giustizia,

13 giugno 2006, causa C-173/03

)

.

Da tale giurisprudenza autorevole dottrina ha tratto la conclusione secondo cui «i giudici nazionali (…) devono in ogni caso individuare, tra tutti i significati possibili della norma interna rilevante per il caso di specie, quello che appaia maggiormente conforme all'oggetto e allo scopo della direttiva disciplinante la materia. Nel far questo, essi devono utilizzare innanzitutto il metodo cd. teleologico, che consente di adattare per via ermeneutica il contenuto precettivo della disposizione interna agli obiettivi prescritti dall'ordinamento comunitario» (Tesauro, Diritto dell'Unione europea, Padova, 2012, p. 184).

Analogamente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno precisato che «l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l'obbligo, loro imposto dall'art. 5 del Trattato (divenuto art. 10 CE [ed ora, nella sostanza,

art. 4, n. 3 TFUE

]), di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire tale adempimento valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice statale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e delle finalità della direttiva, onde garantire la piena effettività della direttiva stessa e conseguire il risultato perseguito da quest'ultima, così conformandosi all'art. 249, terzo comma, del Trattato [ora

art. 288, 3° comma TFUE

]. Nell'evoluzione della giurisprudenza comunitaria il principio della interpretazione conforme del diritto nazionale, pur riguardando essenzialmente le norme interne introdotte per recepire le direttive comunitarie in funzione di una tutela effettiva delle situazioni giuridiche di rilevanza comunitaria - quale strumento per pervenire anche nell'ambito dei rapporti interprivati alla applicazione immediata del diritto comunitario in caso di contrasto con il diritto interno, così superando i limiti del divieto di applicazione delle direttive comunitarie immediatamente vincolanti non trasposte nei rapporti orizzontali - non appare evocato soltanto in relazione all'esegesi di dette norme interne, ma sollecita il giudice nazionale a prendere in considerazione tutto il diritto interno ed a valutare, attraverso l'utilizzazione dei metodi interpretativi dallo stesso ordinamento riconosciuti, in quale misura esso possa essere applicato in modo da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva» (

Cass.

, S.U., 17 novembre 2008, n. 27310

).

Poiché l'impressione che traspare dalla lettura delle (poche) sentenze in precedenza ricordate nonché dal carattere lapidario di quei provvedimenti con i quali le richieste di ammissione al passivo degli interessi moratori ex

D.Lgs. n.

231/02

maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale vengono respinte (di regola con provvedimenti del tipo: “esclusi gli interessi moratori ex

D.Lgs. n.

231/02

in quanto tale normativa non si applica alle procedure concorsuali”) è quella di una lettura dell'

art. 1, comma 2, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

in chiave esclusivamente nazionale, come dimostra, tra l'altro, il frequente richiamo alla disciplina di cui all'

art. 55 L.F.

, in questa sede si cercherà di illustrare le ragioni per le quali si ritiene che l'interpretazione che esclude dall'ammissione al passivo gli interessi moratori ex

D.Lgs. n.

231/02

maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale non sia conforme allo scopo e allo spirito della corrispondente norma di diritto europeo.

Ciò detto, il punto di partenza è necessariamente rappresentato dalla constatazione secondo cui né l'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35/CE

, né l'

art. 1, comma 2, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

stabiliscono in via generale che la normativa sui ritardi nei pagamenti non trova applicazione nei confronti di procedure concorsuali, e parimenti non sanciscono espressamente l'inopponibilità alle procedure concorsuali degli interessi moratori per ritardato pagamento maturati prima dell'apertura delle procedure medesime. Come già illustrato in precedenza, infatti, l'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35/CE

si limita a prevedere la facoltà per gli Stati membri di escludere dall'ambito di applicazione della normativa in parola «i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore»; analogamente l'

art. 1, comma 2,

D.Lgs. n.

231/2002

stabilisce che «le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per: a)

debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore» (

M

. Sinisi, F. Troncone, Gli interessi e la rivalutazione monetaria, Milano, 2012, p. 406

).

In tale contesto, risulta evidente che la corretta interpretazione della norma interna non può che passare attraverso la corretta interpretazione della corrispondente disposizione di diritto europeo, la quale non può che essere interpretata con riferimento al contesto normativo nella quale risulta inserita, vale a dire la

direttiva 2000/35/CE

, senza alcun riferimento ad eventuali norme specifiche contenute nelle varie differenti legislazioni nazionali.

Sotto tale profilo non può essere sottovalutato il fatto che il considerando n. 7 della direttiva 2000/35/CE stabilisce espressamente che «periodi di pagamento eccessivi e i ritardi di pagamento impongono pesanti oneri amministrativi e finanziari alle imprese, ed in particolare a quelle di piccole e medie dimensioni. Inoltre tali problemi costituiscono una tra le principali cause d'insolvenza e determinano la perdita di numerosi posti di lavoro»; mentre il considerando n. 16 stabilisce che «i ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri per i bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero». In sede di lavori preparatori, inoltre, il Comitato Economico Sociale ha messo in luce il fatto che «l'allungamento dei termini di pagamento è anche dovuto a due cause strutturali: da un lato l'atteggiamento deliberato di taluni soggetti economici, tanto meno scusabili quando si tratta di poteri pubblici o delle grandi imprese industriali e della grande distribuzione, e dall'altro, la “cultura dei ritardi di pagamento” che si è purtroppo sviluppata negli ultimi anni e in alcuni Stati membri tanto da divenire un comportamento economico» (

Parere del Comitato economico e sociale in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali»

).

Alla luce di quanto sopra, sembra possibile ritenere che lo scopo perseguito dalla normativa europea consista nell'approntare un efficace strumento in grado di contrastare il fenomeno dei ritardi nei pagamenti al fine di evitare che i creditori, a causa di tali ritardi e dei tassi di interesse particolarmente bassi che si registrano nei vari Stati membri, siano costretti, nel migliore dei casi, a subire rilevanti oneri amministrativi e finanziari e, nel peggiore dei casi, a dover uscire dal mercato a causa del fallimento della propria attività di impresa.

In quest'ottica, pertanto, l'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35/CE

, nella parte in cui prevede che gli Stati membri possono escludere dall'ambito di applicazione della direttiva «i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore» sembra doversi interpretare nel senso che la facoltà concessa agli Stati membri riguarda unicamente gli interessi che maturano successivamente alla data di apertura della procedura concorsuale. E ciò in quanto se si escludessero dall'ambito di applicazione della disciplina sui ritardi di pagamento anche gli interessi maturati prima dell'apertura di una procedura concorsuale si finirebbe per violare lo spirito e lo scopo della

direttiva 2000/35/CE

vanificandone l'effetto utile. Secondo la teoria estensiva, infatti, il creditore, già danneggiato per effetto del ritardato pagamento dei propri crediti, di fronte al fallimento del proprio debitore (e, quindi di fronte, alla concreta possibilità di non riuscire a recuperare una parte, sovente assai rilevante, dei propri crediti) si vedrebbe ulteriormente danneggiato dal fatto di non potersi insinuare al passivo per gli interessi moratori maturati dalla data di scadenza del pagamento alla data di apertura della procedura concorsuale.

Per ovviare a tale situazione, al creditore non resterebbe altro che pattuire per iscritto, con scrittura avente data certa, l'applicazione di un tasso uguale a quello di cui al

D.Lgs.

231/02

, posto che, in tal caso, trattandosi di interessi superiori al tasso legale, ma pattuiti per iscritto (

art. 1284,

comma

3

, c.c.

) con data certa anteriore alla procedura concorsuale, gli stessi sarebbero opponibili alla procedura, la quale sarebbe tenuta ad ammetterli al passivo. Risulta chiaro, peraltro, che per tale via l'intera finalità della

direttiva 2000/35/CE

verrebbe vanificata, posto che tale normativa ha voluto prevedere che, nell'ambito delle transazioni commerciali, una volta che il credito è divenuto liquido ed esigibile, gli interessi al tasso previsto da tale normativa devono essere riconosciuti automaticamente, di pieno diritto, senza necessità di alcuna pattuizione sul punto né di solleciti.

L'interpretazione estensiva, inoltre, sembra poter dar luogo ad altre gravi anomalie. In primo luogo, in caso di compensazione

ex art. 56

l. fall

. si dovrebbe ritenere che il creditore possa far valere soltanto il proprio credito in linea capitale (al massimo, maggiorato degli interessi al tasso legale), mentre la procedura concorsuale potrebbe pretendere dal debitore(-creditore) anche il pagamento degli interessi moratori per ritardato pagamento, determinando un'evidente (e forse illegittima) disparità di trattamento. In secondo luogo, nel caso in cui un creditore del fallito, anziché insinuarsi al passivo, venga soddisfatto da un condebitore solidale (ad es., un fideiussore), quest'ultimo sarà certamente tenuto a corrispondere al creditore non solo il capitale, ma anche gli interessi moratori per ritardato pagamento; tuttavia, se il fideiussore decidesse di insinuarsi al passivo in via di surroga non potrebbe richiedere gli interessi moratori per ritardato pagamento nonostante li abbia dovuti corrispondere al creditore.

Sotto altro profilo, si osserva che l'interpretazione estensiva sembra porsi in contrasto anche con l'

art. 3, n. 1 della direttiva 2000/35/CE

secondo cui gli interessi per ritardato pagamento decorrono automaticamente senza necessità di sollecito o messa in mora, salvo il caso in cui il ritardo non sia imputabile al debitore. Seguendo la teoria estensiva, infatti, l'intervenuta apertura di una procedura concorsuale priverebbe automaticamente il creditore, e con effetto retroattivo, del proprio diritto previsto dalla normativa dell'Unione europea agli interessi moratori per ritardato pagamento relativi al periodo antecedente l'apertura della procedura concorsuale, nonostante tali interessi siano maturati giorno per giorno (

art. 821, comma 3, c.c.

) e si siano, pertanto, pienamente cristallizzati nel patrimonio del creditore. Per contro, la tesi favorevole a riconoscere il diritto del creditore di insinuarsi al passivo per la somma dovuta dal debitore a titolo di interessi moratori per ritardato pagamento maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale consente di tutelare sia l'interesse del creditore a non vedersi privato di un diritto riconosciutogli dalla normativa europea pienamente ed interamente cristallizzatosi nella propria sfera giuridica per effetto dell'inadempimento imputabile al debitore ancora in bonis, sia l'interesse della procedura concorsuale a non dover corrispondere gli interessi per il lasso di tempo successivo all'apertura della procedura, nella quale non è ovviamente configurabile la mora debendi.

Sotto altro, ma strettamente connesso, profilo si osserva che la facoltà riconosciuta dalla

direttiva 2000/35/CE

agli Stati membri di escludere dall'ambito di applicazione della disciplina sugli interessi moratori per ritardato pagamento i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore si trova contenuta all'interno del medesimo articolo (l'art. 6) nel quale è sancito il principio secondo cui gli Stati membri non possono introdurre o lasciare in vigore norme che siano meno favorevoli al creditore rispetto a quelle necessarie per conformarsi alla direttiva.

In altre parole, il legislatore europeo ha lasciato agli Stati membri la facoltà di escludere dall'ambito di applicazione della direttiva i debiti oggetto di procedure concorsuali, ma pur sempre nel rispetto del principio generale secondo cui gli interessi moratori spettano se vi è ritardo nel pagamento e se tale ritardo è imputabile al debitore. Da questo punto di vista, se si interpreta l'esclusione di cui all'

art. 6, comma 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35

(e l'analoga disposizione di diritto interno) nel senso restrittivo indicato dal Tribunale di Milano nessuna deroga in peius viene introdotta, posto che in tal caso il mancato riconoscimento degli interessi moratori successivi all'apertura della procedura concorsuale è giustificata dal fatto che, per effetto dell'apertura della procedura concorsuale viene meno la stessa imputabilità del ritardo a carico degli organi della procedura e quindi tali interessi non sono dovuti alla luce dell'

art. 1, lett.

c)

della direttiva 2000/35/CE

. Per contro, se si interpreta l'esclusione di cui all'

art. 6, comma 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35

(e l'analoga disposizione di diritto interno) nel senso estensivo sostenuto dai Tribunali di Pescara e Roma si corre il rischio di introdurre una norma meno favorevole al creditore in quanto quest'ultimo verrebbe privato degli interessi moratori maturati in un periodo di tempo (anteriore all'apertura della procedura concorsuale) nel quale erano soddisfatte entrambe le condizioni considerate necessarie e sufficienti per far scattare il diritto agli interessi moratori: vale a dire, il ritardo nel pagamento e l'imputabilità dello stesso al debitore. Ciò detto, se si ritiene che il comma 3 dell'

art. 6 della direttiva 2000/35/CE

non può essere letto ed interpretato prescindendo dal comma 2 del medesimo articolo o, addirittura, in contraddizione con esso, ne consegue che l'interpretazione restrittiva della deroga appare più corretta, logica e soprattutto conforme allo spirito della direttiva.

Infine, si sottolinea che dall'esame di alcune normative adottate dagli altri Stati membri dell'Unione europea per recepire la

direttiva 2000/35/CE

e da altre informazioni che è stato possibile reperire, risulta che in Francia gli interessi moratori per ritardato pagamento vengono riconosciuti sino alla data di apertura della procedura concorsuale (

Cfr. la procedura di Redressement judiciare SAS TEX LANDES ENTREPRISE, Tribunal de Commerce de DAX, France, 17 gennaio 2011

). In Belgio, analogamente, la legge 2 agosto 2002, che ha recepito la

direttiva 2000/35/CE, all'art. 3,

comma 2, stabilisce unicamente che essa non pregiudica le regole speciali in materia di procedure d'insolvenza e, in particolare, le disposizioni della legge 8 agosto 1997 in tema di fallimenti il cui art. 23 (che corrisponde all'

art. 55 L.F.

italiana) sospende il corso degli interessi, legali e convenzionali, a partire dalla dichiarazione di fallimento.

A tale proposito si ritiene possibile svolgere anche un'ulteriore osservazione. La tesi estensiva sostenuta dal Tribunale di Roma e di Pescara - secondo cui riconoscere il diritto del creditore di insinuarsi al passivo (oltre che per il credito vantato in linea capitale) anche per gli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale significherebbe privare di qualsiasi efficacia l'

art. 55

l. fall

. a mente del quale l'apertura di una procedura concorsuale sospende il corso degli interessi legali o convenzionali - sconta due rilevanti limiti. Da una parte, a livello di teoria generale, si ribadisce che è la norma interna che dà attuazione a una disposizione di diritto europeo a dover essere interpretata alla luce dello scopo, del tenore e delle finalità di quest'ultimo, non già il contrario. Sotto tale profilo, pertanto, pretendere di interpretare la portata dell'

art. 1, comma 1, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

(o addirittura la portata dell'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35/CE

) alla luce dell'

art. 55 L.F.

non appare corretto; dall'altra parte, a livello pratico, si osserva che la teoria restrittiva sostenuta dal Tribunale di Milano prende atto che fino all'apertura della procedura concorsuale il debitore è responsabile del ritardo nei pagamenti, con conseguente piena applicazione della disciplina di cui al

D.Lgs. n.

231/02

e con l'ulteriore conseguenza per cui, sino alla data di apertura della procedura concorsuale, i crediti che soddisfano i requisiti previsti dalla disciplina in esame producono interessi moratori di pieno diritto e senza alcuna necessità di sollecito; dal momento dell'apertura della procedura concorsuale, per contro, i contrapposti interessi del creditore e della procedura concorsuale devono ritenersi contemperati per effetto dell'interpretazione dell'art. 1, comma 2, lett. a) del

D.Lgs. n.

231/02

che esclude l'applicabilità degli interessi moratori soltanto con riferimento al periodo successivo all'apertura della procedura concorsuale, in conformità all'

art. 55 L.F.

La facoltà concessa agli Stati membri dall'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35/CE

di escludere dall'ambito di applicazione delle norme sugli interessi moratori per ritardo nei pagamenti i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore sembra voler significare proprio questo: preso atto a livello europeo che in alcuni Stati membri vigono regole speciali per quanto riguarda la sospensione degli interessi per effetto dell'apertura di una procedura concorsuale (ad esempio, l'

art. 55

l. fall

. e l'analoga disposizione di diritto belga), il legislatore europeo, come espressamente affermato dal Consiglio nella sua posizione comune n. 36/1999 in vista dell'adozione della

direttiva 2000/35/CE

, ha voluto lasciare agli Stati membri la facoltà di «mantenere [tali] norme speciali per il trattamento dei pagamenti in caso di insolvenza del debitore» (

v. G. De Cristofaro, La disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Commentario, in Le nuove leggi civili commentate, 2004, p. 497

). Ne consegue, pertanto, che in una prospettiva comunitariamente orientata la facoltà prevista dall'

art. 6, n. 3, lett.

a)

della direttiva 2000/35/CE

(ed esercitata dal legislatore italiano con l'

art. 1, comma 2, lett.

a)

del

D.Lgs. n.

231/02

) deve interpretarsi nel senso che essa attribuisce agli Stati membri unicamente la possibilità di prevedere che la disciplina sui ritardi nei pagamenti non pregiudichi l'applicazione di eventuali disposizioni interne in materia fallimentare, non già la possibilità per gli Stati membri di prevedere l'inopponibilità alle procedure concorsuali degli interessi moratori per ritardato pagamento maturati prima dell'apertura della procedura. In tal senso sembra esprimersi anche la circolare n. 15 di Assonime del 27 marzo 2003 secondo cui «l'esclusione dei debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore (articolo 1, comma 2, lettera a) sembra riferirsi ai crediti pecuniari vantati nei confronti dell'imprenditore soggetto a procedura concorsuale. Per tali crediti, valgono quindi le regole specifiche della disciplina delle procedure concorsuali. E' da tenere presente, al riguardo, che l'

articolo 55 della legge fallimentare

prevede che la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i creditori non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio» (www.confindustria.siena.it. In dottrina, v. P. Sanna, L'attuazione della

dir. 2000/35/Ce in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: introduzione al d.Lgs. 9 ottobre 2002 n. 231 (Prima parte)

, in Resp. civ. prev., 2003, p. 247).

Anche tali circostanze non sembrano poter essere sottovalutate in sede di interpretazione della normativa interna in conformità allo scopo e alla finalità avuti di mira dal legislatore europeo.

Non si può fare a meno di evidenziare, infatti, che la teoria estensiva fa sì che i creditori di soggetti sottoposti a procedure concorsuali aperte in Italia siano costretti ad operare in condizioni diverse da quelle in cui operano, in circostanze analoghe, i creditori di debitori sottoposti a procedure concorsuali aperte negli altri Stati membri dell'Unione europea, costituendo ciò, a tutti gli effetti, un attacco all'unitarietà del diritto dell'Unione europea, posto che viene minato l'effetto utile di tale diritto e vengono violati i diritti degli interessati (cfr. le Conclusioni dell'Avvocato generale Geelhoed nella causa C-129/00).

La necessità di un'interpretazione della normativa interna costituzionalmente orientata

Costituisce ius receptum della giurisprudenza costituzionale il fatto che il principio di c.d. supremazia costituzionale impone all'interprete di optare, tra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che renda la disposizione conforme alla Costituzione (

Corte Cost.

5 giugno 2000, n. 177

; 20 aprile 2000, n. 113; 29 dicembre 2000, n. 592).

Sotto tale profilo, si osserva che l'interpretazione estensiva dell'

art. 1, comma 2, lett.

a)

D.Lgs. n.

231/02

prospettata dai Tribunali di Pescara e di Roma potrebbe determinare una manifesta disparità di trattamento dei creditori in relazione alla disciplina prevista dalla l. n. 198/02 in materia di subfornitura, in aperta violazione dell'

art. 3 Cost.

Come noto, la disciplina in materia di subfornitura prevede, in caso di ritardato pagamento, l'applicazione di interessi moratori ad un tasso identico a quello previsto, in via generale per tutte le transazioni commerciali, dal

D.Lgs. n.

231/02

. Inoltre, anche in materia di subfornitura gli interessi moratori maturano per il solo fatto del ritardato pagamento, senza alcuna necessità di costituzione in mora del debitore da parte del creditore (art. 3, comma 3, l. n. 198/02).

In tale contesto, poiché nessuna norma esclude, in caso di apertura di una procedura concorsuale a carico del debitore del subfornitore, l'opponibilità alla stessa degli interessi moratori maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale, la teoria estensiva sembrerebbe condurre ad un'iniqua ed illegittima disparità di trattamento dei creditori rispetto al creditore-subfornitore in quanto solo quest'ultimo avrebbe il diritto di essere ammesso al passivo anche per gli interessi moratori per ritardato pagamento ex l. n. 198/02 maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale.

Una tale disparità di trattamento appare difficilmente giustificabile, tanto più ove si consideri che il

D.Lgs. n.

231/02

non ha fatto altro che estendere a tutte le transazioni commerciali la disciplina relativa agli interessi per ritardato pagamento prevista dalla l. n. 198/02 in materia di contratto di subfornitura. Al contrario, la teoria restrittiva del Tribunale di Milano, oltre che maggiormente conforme allo spirito e allo scopo dell'analoga disposizione europea come in precedenza illustrato, sembra poter escludere in radice qualsiasi violazione del principio di uguaglianza in rapporto alla disciplina prevista dalla l. n. 198/02 in materia di subfornitura.

Sotto altro profilo si osserva che la teoria estensiva sembra sollevare un problema di illegittimità costituzionale dell'

art. 1, comma 2, lett.

a)

D.Lgs. n.

231/02

anche in rapporto agli

artt. 76

e

77 Cost.

, per eccesso di delega e/o per assenza totale di delega. A tale riguardo la Corte costituzionale ha da tempo ormai chiarito che, in merito ai rapporti fra legge delega e norma attuativa, «il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa deve essere svolto attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli concernenti, rispettivamente, la norma delegante (al fine di individuarne l'esatto contenuto, nel quadro dei principi e criteri direttivi e del contesto in cui questi si collocano, nonché delle ragioni e finalità della medesima) e la norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega» (

Corte cost., 30 marzo 2012, n. 75

).

In tale contesto, non appare superfluo osservare che la

legge-delega 1° marzo 2002, n. 39

non contiene alcun criterio direttivo, né generale (art. 2), né particolare (art. 26), relativo alla non applicabilità alle procedure concorsuali della disciplina degli interessi moratori per ritardato pagamento. Anzi, la previsione all'art. 26, lett. e) della legge-delega del criterio volto a «coordinare la nuova disciplina con le disposizioni in materia di subfornitura nelle attività produttive di cui alla

legge 18 giugno 1998, n. 192

, apportando ad essa le opportune modifiche in modo da uniformare il saggio degli interessi moratori di cui all'

articolo 3, comma 3, della medesima legge n. 192 del 1998

al livello degli interessi di mora (tasso legale) previsto dalle disposizioni in materia di ritardi di pagamento, di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera d)

, della direttiva» sembra non lasciare dubbio sul fatto che la sola interpretazione dell'art. 1, comma 2, lett. a)

D.Lgs. n.

231/02

in grado di porsi in sintonia con la legge-delega, e quindi in linea con gli

artt. 76

e

77 Cost.

, sia quella sostenuta dal Tribunale di Milano.

Al riguardo, infatti, giova rilevare che in nessun caso l'estensione dell'ambito di applicazione dell'esclusione prevista dall'

art. 1, comma 2, lett.

a)

D.Lgs. n.

231/02

anche agli interessi maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale sembra potersi ritenere rientrare nell'ambito di libertà ovvero nell'area di discrezionalità connessa alla legislazione delegata, giacché tale estensione non può essere intesa come un semplice sviluppo delle scelte effettuate in sede di delega né una fisiologica attività di riempimento o di coordinamento normativo in sede di recepimento della

direttiva 2000/35

(

Corte

C

ost. 6 dicembre 2012, n. 272

).

Sotto tale profilo, si osserva innanzitutto che, secondo le attribuzioni proprie del nostro ordinamento giuridico, la competenza all'esercizio della facoltà prevista dalla

direttiva 2000/35

non può che essere individuata in capo alla fonte normativa di rango primario ex

artt. 111

e

117 Cost.

Di contro, come già anticipato, la legge-delega in forza della quale il Governo ha emanato il

D.Lgs. n.

231/02

non contiene alcuna indicazione al riguardo. Inoltre, non può farsi a meno di considerare che l'interpretazione estensiva finisce per privare il creditore del proprio diritto agli interessi moratori per ritardato pagamento (ancorché limitatamente a quelli maturati sino alla data di apertura della procedura concorsuale) senza che una tale scelta ermeneutica sia ravvisabile nei principi e criteri direttivi della legge-delega. Sul punto, la Corte costituzionale ha da tempo sancito il principio secondo cui, quando si tratta di porre limiti ad un diritto soggettivo, tali limiti non possono essere ricompresi nel potere di coordinamento spettante al legislatore delegato ove la formulazione della legge delega non lo consenta (

Corte

C

ost., 30 dicembre 1961, n. 75 e 10 aprile 1962

,

n. 38

).

Da ultimo, si deve altresì sottolineare il fatto che la

legge-delega 1° marzo 2002, n. 39

, in quanto “legge comunitaria 2001” diretta all'attuazione di direttive europee, vincola il legislatore delegato in primo luogo quanto ai principi contenuti nelle direttive da attuare, poi quanto ai criteri e principi direttivi generali, infine quanto ai criteri di delega specifici dettati in relazione alla direttiva 2000735/CE (

Corte

C

ost., 30 marzo 2012, n. 75

, cit.

), come dimostra, tra l'altro, la previsione contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. g) della legge-delega della previsione secondo cui «i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega».

Quadro di sintesi e considerazioni finali

In Italia, la sorte degli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

in caso sottoposizione del debitore ad una procedura concorsuale appare decisamente incerta.

Le tre pronunce (Tribunale Milano, Tribunale Pescara e Tribunale Roma) che hanno affrontato espressamente la questione hanno dato vita a due tesi contrapposte: secondo il Tribunale di Milano, gli interessi moratori ex

D.Lgs. n.

231/02

maturati prima dell'apertura della procedura concorsuale sono opponibili alla stessa, e pertanto devono essere ammessi al passivo; secondo il Tribunale di Pescara e di Roma, al contrario, l'apertura di una procedura concorsuale a carico del debitore ha quale effetto quello di rendere inopponibili alla procedura anche gli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/01

maturati prima dell'apertura della procedura, spettando al creditore il diritto di ammettersi al passivo unicamente per gli interessi calcolati al tasso legale previsto dal codice civile, salva l'ipotesi dell'esistenza di un titolo giudiziale coperto da giudicato.

Al netto di tale sentenze, esiste una serie di provvedimenti resi dai vari tribunali italiani alcuni dei quali, senza alcuna motivazione, si limitano ad accogliere la domanda del creditore così come formulata e comprensiva anche degli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

calcolati sino alla data di apertura della procedura concorsuale; altri provvedimenti, invece, escludono l'opponibilità alla procedura degli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

calcolati sino alla data di apertura della procedura concorsuale con la laconica motivazione secondo cui tale disciplina non si applica alle procedure concorsuali o altra analoga. Inoltre, secondo l'impostazione del Tribunale di Busto Arsizio, e in parziale contrasto con quanto riconosciuto espressamente dal Tribunale di Pescara e dal Tribunale di Roma, neppure il fatto che gli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

siano stati liquidati in un provvedimento giurisdizionale coperto da giudicato è in grado di rendere opponibili tali interessi alla procedura concorsuale.

Tale varietà di interpretazioni della medesima disposizione da parte dei vari tribunali italiani, già di per sé deprecabile sul piano interno sotto il profilo della certezza del diritto, pone ulteriori e più delicati problemi sul piano europeo.

Da tempo, infatti, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha chiarito che:

a)

l'inadempimento di uno Stato membro può essere in via di principio dichiarato ai sensi dell'

art. 258 TFUE

indipendentemente dall'organo dello Stato la cui azione o inerzia ha dato luogo alla trasgressione, anche se si tratta di un'istituzione costituzionalmente indipendente (

Corte di giustizia, 5 maggio 1970, causa 77/69

);

b)

la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali deve essere valutata tenendo conto dell'interpretazione che ne danno i giudici nazionali (

Corte di giustizia, 8 giugno 1994, causa C-382/92

);

c)

pronunce giurisdizionali isolate o fortemente minoritarie in un contesto giurisprudenziale caratterizzato da un diverso orientamento, o ancora un'interpretazione smentita dal supremo giudice nazionale, non possono essere prese in considerazione. Lo stesso non si può dire di un'interpretazione giurisprudenziale significativa non smentita dal detto supremo giudice, o addirittura da esso confermata» (

Corte di giustizia, 9 dicembre 2003, causa C-129/00

).

A tale riguardo è solo il caso di ricordare che nel 2003, nella vicenda Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha sancito, altresì, il principio secondo cui «quando una normativa nazionale forma oggetto di divergenti interpretazioni giurisprudenziali che siano plausibili e che conducano, alcune, ad un'applicazione della detta normativa compatibile con il diritto comunitario, altre, ad un'applicazione incompatibile con esso, occorre dichiarare che, per lo meno, tale normativa non è sufficientemente chiara per garantire un'applicazione compatibile con il diritto comunitario» (

Corte di giustizia, 9 dicembre 2003, causa C-129/00

). In quell'occasione, inoltre, l'Avvocato generale Geelhoed aveva sottolineato che «un'interpretazione e applicazione del diritto comunitario non corretta da parte dei giudici nazionali ha come conseguenza che ai singoli viene negato il godimento dei diritti derivanti dal diritto comunitario e che possono insorgere regole e prassi incompatibili con il diritto comunitario. Ciò può di per sé ulteriormente ripercuotersi sulla posizione delle persone fisiche e giuridiche nel mercato interno e portare quindi a distorsioni nella vita economica. Esaminando le cose nell'ottica dell'applicazione uniforme del diritto comunitario, non si può parlare di immunità di uno Stato membro dal procedimento per violazione del Trattato, neppure qualora la violazione degli obblighi comunitari debba ascriversi ad un'erronea interpretazione e applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali. Da quanto sopra esposto consegue che una giurisprudenza nazionale non compatibile con le disposizioni o i principi di diritto comunitario può giustificare l'avvio di un procedimento per violazione del Trattato, ai sensi dell'art. 226 CE» (ora

art. 258 TFUE

) (Conclusioni dell'Avvocato generale Geelhoed del 3 giugno 2003, causa C-129/00).

Più recentemente, infine, la Corte di giustizia, nella sentenza del 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophones e altri c. Conseil des ministres, non solo ha ribadito l'obbligo per il giudice nazionale di preferire, nelle opzioni ermeneutiche di cui è passibile la norma interna, quella comunitariamente orientata, ma ha altresì precisato che «qualora una norma di diritto comunitario derivato ammetta più di un'interpretazione, si deve dare la preferenza a quella che rende la norma stessa conforme al Trattato rispetto a quella che porta a constatare la sua incompatibilità con il Trattato stesso. Gli Stati membri sono infatti tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario, ma anche a provvedere a non fondarsi su un'interpretazione di un testo di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario o con gli altri principi generali del diritto comunitario» (

Corte di giustizia, 26 giugno 2007, causa C-305/05

).

In tale contesto, il solo dato certo che emerge è l'assoluta incertezza in ordine alla sorte degli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

in caso di procedura concorsuale aperta a carico del debitore, aggravata dalla palese contrapposizione tra la giurisprudenza milanese e quella capitolina, oltre che dall'assenza, allo stato, di qualsiasi indicazione nomofilattica da parte della giurisprudenza della Corte di cassazione.

Sotto tale profilo, inoltre, non può essere trascurato il fatto che, in Italia, avverso il provvedimento del Giudice Delegato che esclude gli interessi moratori per ritardato pagamento ex

D.Lgs. n.

231/02

il creditore può, ai sensi dell'

art. 98

l. fall

., proporre opposizione allo stato passivo davanti al medesimo tribunale cui appartiene il Giudice Delegato il cui provvedimento di esclusione si pone molto spesso in linea con precise indicazioni formulate dal tribunale stesso e non di rado pubblicate sul proprio sito. Inoltre, avverso il decreto del tribunale è ammesso soltanto il ricorso in Cassazione

ex art. 99 ult. comma

l. fall

.

Alla luce di quanto sopra non si può escludere che il creditore si trovi scoraggiato sia dal presentare opposizione allo stato passivo (posto che la decisione del tribunale risulta in larga misura prevedibile e nel senso della conferma del provvedimento del Giudice Delegato), sia dal ricorrere in Cassazione, attesi i tempi e i costi di un simile giudizio, molto spesso sproporzionati rispetto all'importo del credito di cui si discute e alle percentuali offerte in sede di riparto dell'attivo fallimentare.

A tale proposito si osserva che, se è vero che una singola decisione errata da parte di un giudice di grado inferiore non mina necessariamente l'effetto utile delle disposizioni di diritto europeo e non implica necessariamente conseguenze indesiderabili per la concorrenza sul mercato interno, «simili conseguenze possono prodursi anche se nell'ambito del potere giurisdizionale nazionale vi sono diversi orientamenti giurisprudenziali. Non si deve inoltre neppure escludere che, se i giudici di grado inferiore interpretano e applicano sistematicamente in modo erroneo determinate parti del diritto comunitario, ciò possa scoraggiare gli interessati sia dall'agire in giudizio, sia dal ricorrere in appello. Anche se tale giurisprudenza si produce ad un livello relativamente basso nella gerarchia dell'

ordinamento giudiziario

nazionale, è possibile ravvisare in una situazione di questo genere elementi che consentono di accertare una violazione del Trattato» (

Conclusioni dell'Avvocato generale Geelhoed, cit.

).

Ciò detto, anche volendo escludere, allo stato, l'ipotesi più grave dell'esistenza di un inadempimento dello Stato italiano agli obblighi imposti dal diritto europeo, non sembra, invece, potersi escludere l'opportunità, se non addirittura la necessità, di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell'

art. 267 TFUE

al fine di chiarire una volta per tutte il corretto significato che deve essere attribuito alla facoltà concessa dalle

direttive 2000/35/CE

e

2011/7/UE

agli Stati membri di escludere dall'ambito di applicazione della disciplina relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali «i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore».

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