Fattibilità del concordato e causa della procedura

08 Agosto 2013

Nella nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 1521 del 2013 in tema di controllo giudiziale della fattibilità del concordato preventivo, la parte che ha maggiormente attirato l'attenzione della dottrina è quella relativa alla nozione di causa nel concordato preventivo. L'Autore illustra le posizioni assunte sul punto, analizzando nel dettaglio i cinque orientamenti dottrinali ed evidenziando come tale concetto non risulti finora essere stato usato in giurisprudenza.
La pronuncia delle Sezioni Unite e i commenti della dottrina

È fin troppo nota la pronuncia delle Sezioni Unite n. 1521 del 2013 (in ilFallimentarista.it, con note di F. Lamanna, L'indeterminismo creativo delle SS.UU. in tema di fattibilità nel concordato preventivo: «così è se vi pare»; di M. Vitiello, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite e di F. Di Marzio, Il principio di diritto sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato stabilito dalla Cassazione a Sezione Unite) in tema di controllo giudiziale della fattibilità del concordato preventivo, con la quale sono stati affermati i seguenti principi:

“Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall'attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest'ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.

La decisione delle Sezioni unite è stata in vario modo accolta dai commentatori, anche se è individuabile nella nozione di causa del concordato la parte della decisione che ha maggiormente attirato l'attenzione della dottrina.

Fra le varie posizioni assunte in questa sono enucleabili almeno cinque orientamenti.

Secondo un primo orientamento (Pagni, Il controllo di fattibilita` del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva ‘‘funzionale'' aperta dal richiamo alla ‘‘causa concreta'', in Fallimento, 2013, 286) - che si limita a segnalare la difficoltà di adattamento di nozioni civilistiche come quelle di oggetto e di causa in ambito concorsuale - <<è un contratto, quello di concordato, in cui il consenso si forma con una comunità involontaria di interessi, composta dal ceto creditorio, costretta a esprimere la propria volontà attraverso meccanismi di maggioranza e non già nei modi che presiedono di norma alla stipula degli accordi; e in cui, alla difficoltà di individuare tutti i creditori chiamati ad esprimere il proprio voto (seppure oggi parzialmente temperata dalla previsione della pubblicità della domanda di concordato nel registro delle imprese), si aggiunge il fatto che gli effetti indiretti dell'accordo si producono anche verso terzi che non votano (si pensi ai coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso, rispetto ai quali i creditori conservano impregiudicate le ragioni di credito, e che perciò si troveranno certamente ‘‘aggrediti'' per la parte del debito che non sia stato rimesso al debitore principale)>>. Peculiarità, queste, che spiegano perché pur nell'accentuazione del ruolo dell'autonomia privata, rimane immanente a qualunque disciplina, nella materia delle soluzioni negoziali alla crisi d'impresa, la necessità strutturale della presenza del tribunale, al fine della verifica dell'effettività del consenso espresso dalla maggioranza e del controllo della correttezza della procedura (Pagni, op. ult. cit., 287).

Secondo questo primo orientamento, in estrema sintesi, “la verifica della sussistenza concreta della causa non può andare disgiunta da un controllo sulla effettiva funzionalità del contratto: se, nonostante debitore e maggioranza dei creditori si siano accordati sui termini economici dell'impegno richiesto all'imprenditore, si ravvisino, sulla scorta dei dati che emergono dall'attestazione o sulla scorta delle considerazioni del commissario, elementi che facciano ritenere che, ab origine, quell'impegno non sia in grado di evitare il fallimento, il tribunale deve intervenire ad evitare la moltiplicazione dei costi che un concordato ‘‘inutile'' (in ciò sostanziandosi l'assenza di causa) produce”. Ma, “in assenza di giurisprudenza formatasi sulla causa concreta nei concordati, e in presenza, invece, di una giurisprudenza ricchissima sull'impiego della nozione di causa nei contratti, occorrerà, d'ora in avanti, procedere, sulla scorta di quella, ad un intenso lavoro di indagine e di studio dell'operazione economica perseguita dalle parti nei singoli strumenti di risoluzione negoziale della crisi d'impresa” (Pagni, op. ult. cit., 290).

Un secondo orientamento (De Santis, Causa «in concreto» della proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilita` del piano, in Fall. 2013, 279 s.) - che muove sempre dal presupposto dell'adattabilità della nozione civilistica di causa al concordato - ha subito segnalato il pericolo sotteso alla scelta delle Sezioni unite: applicando i medesimi indirizzi giurisprudenziali consolidati in tema di incensurabilità in cassazione della individuazione della causa in concreto del contratto e alla luce del nuovo testo dell'

art. 360 n. 5 c.p.c.

, si verificherà <<un tendenziale restringimento dell'accesso al giudizio di legittimità, potendo il ricorrente censurare la motivazione di merito soltanto evidenziando (al di là di ogni pur possibile contraddizione interna alla motivazione medesima) i fatti «decisivi per il giudizio», che, pur essendo stati oggetto di discussione tra le parti, il provvedimento impugnato non ha considerato>>.

Un terzo orientamento muove dalla considerazione per la quale il nodo della natura negoziale e/o pubblicistica, da sempre problematico, e pur tuttavia dirimente per le implicazione che esso ha sulle soluzioni da adottare al fine di correttamente dipanare compiti e ruoli degli organi della procedura, non sia stato sciolto (Balestra, Brevi riflessioni sulla fattibilità del piano concordatario: sulla pertinenza del richiamo da parte delle Sezioni Unite alla causa in concreto, in Corr. giur., 2013, 383 s.).

In tale prospettiva si è sottolineata quella che si ritiene essere una “distonia” della sentenza delle Sezioni unite, là dove fa riferimento al contenuto dell'accordo per descrivere la causa in concreto.

Il contenuto, si è precisato, <<è nozione che, soprattutto qualora si accolga la teorica della causa in concreto, assume connotati diversi dalla causa; e questo nonostante (anche) al contenuto si debba guardare al fine di accertare gli interessi (concretamente) perseguiti e, dunque, la giustificazione causale dell'operazione. Detti interessi, tuttavia, si ricostruiscono in base al (e non si confondono tout court col) contenuto; contenuto che l'occhio attento dell'interprete deve leggere in controluce al fine di far emergere gli interessi perseguiti dalle parti così come obiettivizzatisi nel contesto contrattuale>> (Balestra, op. ult. cit., 386).

Da ciò si è tratta la conclusione che le incertezze preesistenti al pronunciamento delle Sezioni Unite sono destinate a rinnovarsi in un dibattito che, sin d'ora, si preannuncia, ancora una volta, assai contrastato (Balestra, op. ult. loc. cit.).

Vi è, poi, un orientamento definito “minimalista”, secondo cui il sindacato del tribunale andrebbe limitato ai casi in cui, pur prevedendo la proposta il soddisfacimento dei creditori, si verifichi che nessun soddisfacimento risulti possibile (Fabiani, La questione “fattibilità” del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, in Fallimento, 2013, 166).

Acutamente, infine, è stato rilevato - evidenziando l'accostamento fatto in sentenza della nozione di causa alla procedura - che è al procedimento di concordato, pur interpretato in senso negoziale, che va riferita la ‘‘causa concreta'', con una indubbia innovazione, costituita dalla introduzione di un elemento funzionale nell'ambito di un ‘‘procedimento'' che dovrebbe invece esaurirsi nella corretta sequenza di atti.

Ciò che denota <<il distacco da una lettura iper-negoziale del concordato, per accentuarne l'aspetto di componente di una procedura, e/o di un procedimento siano pure destinati ad innestarsi sulla ristrutturazione di una esposizione debitoria, consensualmente concordata>> (Di Majo, Il percorso ‘‘lungo'' della fattibilita` del piano proposto nel concordato, in Fallimento, 2013, 292).

In tale prospettiva si è evidenziato che la S.C. ha richiamato l'esempio di cessione di beni altrui ma sarebbe un esempio di per sé scontato, che attiene all'ammissibilità della proposta più che alla sua realizzabilità in fact, posto che il rispetto di norme inderogabili riguarda la ammissibilità, non la fattibilità.

Si è così manifestata adesione ad una pronuncia del Tribunale di Roma che, in sede di omologazione, ha provveduto al controllo «del contenuto sostanziale della proposta» con particolare riguardo, trattandosi di cespiti immobiliari, «alla stima dei beni proposti in cessione dal debitore, allo stato effettivo dei luoghi, alla efficacia dei titoli abilitativi, allo stato della urbanizzazione, all'importo del piano di lottizzazione», per giudicare omologabile la proposta di concordato.

Si è concluso, quindi, che vi è ampio margine per sindacare il contenuto ‘‘sostanziale'' della proposta, come nel <<caso della previsione di finanziamenti in mente Dei o il cui condizionamento e` quanto mai precario perché fatto dipendere da eventi incerti o infine dell'attribuzione ai creditori di partecipazioni societarie in società o gruppi il cui stato di salute e` precario>>, trattandosi <<di valutare, in sede di legittimità, se il mezzo proposto (e cioè il piano) é in grado di realizzare in concreto il fine perseguito (e cioè la regolazione della crisi attraverso la soddisfazione, pur parziale e possibilmente ‘‘non minimale'', dei creditori)>> (Di Majo, op. cit., 293).

Di contro, va segnalata una delle prime pronunce edite dopo la pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite, con la quale la Corte di appello di Firenze (27 febbraio 2013) ha ritenuto illegittimo il giudizio del tribunale, posto a fondamento della decisione di inammissibilità del concordato preventivo, nel quale entrino in discussione aspetti relativi alla fattibilità economica del piano, trattandosi di giudizio prognostico che presenta fisiologicamente margini di opinabilità ed implica possibilità di errore e, quindi, profili di rischio del quale devono farsi carico esclusivamente i creditori dopo che siano stati correttamente informati. Nel caso di specie è stata riformata la decisione del tribunale, il quale, discostandosi dalla valutazione espressa dal professionista attestatore, aveva proceduto autonomamente ad una riclassificazione e riduzione dell'attivo ed aveva ritenuto invendibili determinati cespiti.

Scopo, finalità e causa del concordato

Mentre non è estraneo - sebbene raro - l'uso in dottrina della nozione di causa del concordato preventivo (Fauceglia-Panzani, Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1587. Sul carattere oneroso della causa del concordato preventivo cfr. Arato, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell'impresa in crisi, in Fall., 2006. 837), non consta, finora, che tale concetto sia stato usato in giurisprudenza.

Ma se la causa del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato (

Cass., Sez. III, 8 agosto 2006, n. 10490

), anche i riferimenti allo scopo della procedura possono orientare in una analisi del linguaggio giurisprudenziale.

Di “utilità, rispetto allo scopo della procedura (risanamento dell'impresa), dell'opera svolta dal professionista” discorre già Cass., 16 maggio 1983 n. 3369 (a proposito di prededucibilità del compenso).

Anche la pronuncia della

Cassazione, sez. I, n. 7518 del 2011

discorre di scopo della procedura, così come la sentenza

Cass., sez. II, n. 10620 del 1990

.

Di duplice finalità della procedura discorre, invece,

Cass. Sez. II, 5 novembre 1990

,

n. 10620

.

Di finalità e funzione della procedura di concordato discorre, più di recente,

Cass., Sez. I, 1 marzo 2002

,

n. 3022

.

Nonostante la diversità di concetti si può affermare che la censurabilità in Cassazione è stata già esclusa da molti anni.

Prima della riforma, è vero, non vi era traccia (quanto meno “espressa”) del termine “fattibilità”, ma non si può dimenticare che in forza del testo previgente dell'

art.

181 l

. fall

. il tribunale, in sede di omologazione, e già prima, in sede di ammissione, doveva accertare se le garanzie offerte davano la sicurezza dell'adempimento del concordato e, in caso di concordato per cessione, se i beni offerti erano sufficienti per il pagamento dei crediti nella misura indicata nell'articolo stesso.

Doveva accertare, in altri termini, la fattibilità della proposta (non del piano, allora non previsto fra i presupposti).

Tale accertamento, secondo la Suprema Corte si risolveva in un giudizio di merito "circa la serietà delle garanzie offerte ex

art.

160 l

. fall

., ovvero circa la sicurezza dell'adempimento in funzione delle garanzie offerte ex art. 181 n. 3 nell'ottica della omologazione>> e, come tale era <<affidato alla discrezionalità del giudice di merito".

Talché ogni questione relativa all'accertamento dell'”adeguatezza delle garanzie offerte”, risolvendosi in una valutazione di merito, non era proponibile in sede di legittimità (

Cass., 7 marzo 1991, n. 2418

).

Le giuste preoccupazioni della dottrina circa il limitato accesso al giudizio di legittimità, dunque, non sono ricollegabili alla recente pronuncia delle Sezioni Unite.

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