CIGS e concordato preventivo

10 Settembre 2013

L'intenzione che emerge dalla replica al preciso quesito proposto da FIM CISL è quella di interpretare l'art. 3 della l. n. 223/1991 in via analogica e non puramente letterale, assimilando in toto l'istituto del concordato preventivo per cessio bonorum a quello in continuità.
L'interpello e le precedenti note

L'intenzione che emerge dalla replica al preciso quesito proposto da FIM CISL è quella di interpretare l'

art. 3 della L. 223/1991

in via analogica e non puramente letterale, assimilando in toto l'istituto del concordato preventivo per cessio bonorum a quello in continuità.

Il primo comma del citato articolo dispone: “… il trattamento di integrazione salariale è altresì concesso nel caso di ammissione al concordato preventivo consistente nella cessione dei beni …. Da una lettura attenta del testo emerge con chiarezza l'indicazione del ricorso all'istituto esclusivamente nel caso di concordato con cessio bonorum.

Che ne sarebbe quindi del concordato in continuità? Potrebbe infatti trattarsi di una situazione di crisi aziendale rientrante a pieno titolo nelle distinte previsioni dell'

art. 1 della L. 223/1991

, ovviamente una volta verificata la sussistenza degli ulteriori requisiti di accesso dell'azienda richiedente (settoriali ed occupazionali su tutti).

Questa posizione, prevalente anche tra i corridoi ministeriali fino all'emissione della nota 4314 del 2009, non viene oggi condivisa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che ritiene invece pienamente assimilabili le due tipologie di concordato ritenendole entrambe ancorate all'

art. 3, comma

1, L

. 223/91

.

Le fondamenta del disegno Ministeriale, come già chiarito dalla nota citata del 2009, poggiano sull'indiscutibile trasformazione che ha subito l'istituto del concordato preventivo per effetto della Riforma Fallimentare: prima si parlava di insolvenza irreversibile, oggi si parla di crisi. Ma proprio questo aspetto, a parere di chi scrive, avallerebbe l'antitetica tesi della riconducibilità del concordato in continuità all'art. 1.

La lettura analogica si regge sulla convinzione che il legislatore intende applicare l'art. 3 a tutte le procedure concorsuali, in quanto il mero intervento garante dell'autorità giudiziaria permetterebbe l'esercizio di un controllo da parte di un soggetto terzo, tenuto a vigilare su tutta la procedura. Questo il ragionamento sotteso alla presa di posizione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sebbene l'

art.

3 L

. 223/1991

, per converso, non operi alcun richiamo espresso alla necessaria azione vigile di un soggetto imparziale.

Ne deriva che atti quali l'omologa da parte dell'Autorità Giudiziaria del concordato in qualunque configurazione e comunque finalizzato, e la sentenza dichiarativa, unitamente al controllo costante degli organi interni ed esterni alla procedura nel fallimento, veicolerebbero l'accesso all'ammortizzatore vincolandolo all'

art.

3 L

. 223/91

. Non altrettanto potrà invece dirsi per i piani di risanamento

ex

art. 67, comma 3, lett d)

l. fall

., in quanto le attestazioni dei professionisti non prevedono il successivo controllo da parte dell'Autorità Giudiziaria.

Il mezzo prescelto dal Dicastero per chiarire la questione assume un'importanza rilevante. Le precedenti espressioni di prassi, infatti, pur essendo note utili a tutti gli operatori del settore, risultano chiaramente vincolanti solo per le diramazioni amministrative dell'organo emittente. Il rigoroso applicatore dello strumento è infatti conscio che in caso di rigetto dell'istanza di cigs qualsiasi giudice deciderà sulla base della propria linea interpretativa, non curandosi di quanto riportato da note, vademecum o circolari. La volontà del Ministero del Lavoro di incidere con un documento più pregnante, quale l'interpello, deriva dalla necessità di evidenziarne gli effetti come individuati dall'

art. 9

D.Lgs. n..

124/2004

. Il medesimo applicatore dello strumento, per quanto rigoroso, sa bene che la condotta non sanzionabile non può certo ritenersi trascurabile come scelta operativa.

Rappresentando peraltro la mera conferma di un indirizzo già chiarito, pienamente adottabile quindi da parte dell'Istante sulla scorta delle note citate, non vi era necessità di ribadire la posizione tramite interpello, se non al fine di sigillare la lettura ministeriale conferendole gli effetti che solo l'

art. 9 del

D.Lgs. n.. n.

124/2004

può garantire.

L'evoluzione normativa e la ratio sottesa

La disamina della questione svela un incipit indiscutibile: l'intento di chi ha inteso riformare l'

art. 3 della L. n. 223/1991

era indubbiamente quello di restringere il campo di applicazione dell'intervento assistenzialista.

Si noti infatti come nel caso di fallimento il curatore oggi sia onerato da una profonda opera valutativa circa la sussistenza dei presupposti sanciti dal

D.M. n. 70750/2012

, ai fini della possibile attivazione della cassa integrazione straordinaria. La normativa previgente, al contrario, aveva addirittura alimentato un dibattito teso a ritenere obbligatorio l'iter procedurale utile all'attivazione della cigs in caso di fallimento.

La riscrittura dell'art. 2, comma 70,

operata dal Decreto Sviluppo consegna un

art.

3 L

. n. 223/91

notevolmente stravolto, ove le parole: “… qualora la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata …”, diventano: "… quando sussistano prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali …".

Indubbiamente stride la restrizione del possibile ricorso all'ammortizzatore nei casi di fallimento, limitandone l'accesso ai casi di permanenza in vita almeno parziale del complesso aziendale, al cospetto della successiva estensione a tutte le ipotesi di concordato preventivo, ove anche nelle situazioni di perimento certo dell'attività il trattamento pare esigibile in assenza di qualsivoglia requisito gravoso da soddisfare.

L'obiettivo di restringere il campo di applicazione dell'istituto nel corso delle procedure concorsuali trova riscontro quindi nella conditio sine qua non rappresentata dalla soddisfazione dei parametri oggettivi di continuità aziendale. Di contro, il percorso utile a valorizzare le procedure tese alla salvaguardia del complesso aziendale si arresta al secondo periodo dell'art. 3, dove viene regolato il ricorso all'ammortizzatore in caso di concordato. Questo comma resta infatti indenne alla rivoluzione apportata dalla

L. n. 92/2012

.

Gli effetti dell'assimilazione delle fattispecie e l'ostacolo alla continuità aziendale

Equiparando il concordato per cessio bonorum a quello in continuità si riterrà estesa a quest'ultimo la previsione circa la sottrazione del periodo di integrazione già fruito in caso di successiva sentenza di fallimento. Quindi l'azienda concordataria impegnata alla conservazione del complesso aziendale e della forza occupazionale avrà il medesimo trattamento riservato all'azienda concordataria destinata alla chiusura.

Certamente da questo punto di vista l'assimilazione delle due fattispecie non pare incentivare la ricerca della continuità aziendale.

L'ulteriore effetto dell'assimilazione delle due tipologie di concordato si verificherà nel 2016.

L'

art. 2, comma

7, L

. 92/2012

prevede infatti l'abrogazione totale dell'

art.

3 L

. 223/91 a partire dal 1° gennaio 2016

, quando in caso di procedure concorsuali non si potrà più contare sull'ammortizzare straordinario. Anche il concordato in continuità verrà quindi travolto, influenzando la condotta di aziende tese a continuare l'attività, ma affossate dall'ulteriore ostacolo rappresentato dall'impossibilità di attivare la cassa straordinaria.

Chi scrive prevede quindi un possibile azzeramento delle richieste di concordato in continuità, posto che il paradosso di poter fruire della cassa solo fino al momento dell'ammissione, dovendo poi continuare l'attività senza possibili sospensioni o con la sola assistenza delle procedure di mobilità, spoglia completamente la procedura della sua appetibilità.

Un'ulteriore anomalia che si vuole segnalare viene confermata dalla art. 1, comma 405, della Legge di Stabilità per il 2013 che prolunga gli effetti della

Legge 291/2004

a favore delle aziende in bonis che intendono volontariamente cessare l'attività. Alle stesse viene infatti confermata anche per l'anno in corso la facoltà di avviare un periodo di cassa straordinaria finalizzata a gestire gli esuberi.

A tal proposito è intervenuta la recentissima circolare del Ministero del Lavoro n. 20 del 6 giugno 2013 che ha precisato la facoltà, riservata alle aziende che intendano chiudere volontariamente l'intera attività o parte di questa conseguentemente ad una crisi aziendale, di poter addirittura prorogare il trattamento straordinario di integrazione fino ad ulteriori 12 mesi.

La proroga dell'intervento viene subordinata, e quindi giustificata, dall'accertato avvio concreto del piano di gestione degli esuberi nell'arco del primo anno di intervento. Pare un po' in controtendenza quindi la scelta di garantire l'intervento per un consistente periodo pari a due anni (12+12) alle aziende che volontariamente intendono chiudere, limitando invece l'accesso all'intervento alle aziende che pur in concordato intendono proseguire l'attività, le quali saranno trattate alla stregua del fallimento e del concordato per cessio bonorum e quindi regolate dal rigido

art.

3 L

. n. 223/91

.

Favorendo l'intervento per le aziende cessanti volontariamente e restringendo l'accesso per quelle che, pur coinvolte dalla procedura, intendono proseguire, non pare perseguirsi l'intento di incentivare la continuità aziendale.

Peraltro si assuma come l'abrogazione dell'art. 3 non lambirà le cessazioni volontarie dell'azienda, che potrebbero mantenere l'accesso al trattamento di integrazione anche successivamente al 1° gennaio 2016.

Scadenze, decorrenze e periodi integrabili

Nel riordinare le questioni qui dibattute, non possiamo esimerci dall'evidenziare gli effetti temporali coordinati con la disciplina novellata, alla luce anche della posizione ministeriale qui commentata.

La procedura di concordato preventivo, una volta scissi gli steps iniziali, deve relazionarsi allo strumento della cassa integrazione straordinaria ed alla sua procedura amministrativa. I momenti fondamentali da considerare sono la presentazione della domanda di concordato, il decreto di ammissione o rigetto, l'omologazione e l'eventuale dichiarazione di fallimento.

Preme innanzitutto ricordare quali sono i tempi di trasmissione dell'istanza al Ministero del Lavoro, organo competente all'evasione della pratica.

L'elemento dominante per la verifica dei tempi d'invio, ad oggi possibile solo in via telematica con successiva trasmissione della domanda cartacea, è rappresentato dal metodo di pagamento. Nel caso di pagamento anticipato dall'azienda, che conguaglierà con i contributi INPS mensili quanto liquidato al dipendente una volta ottenuto il Decreto Ministeriale autorizzativo, l'istanza dovrà inoltrarsi entro lo scadere del venticinquesimo giorno dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la contrazione dell'attività lavorativa.

Nel caso alternativo, maggiormente diffuso nelle procedure concorsuali, di richiesta di pagamento diretto da parte dell'Inps, l'azienda risulta onerata della dimostrazione della difficoltà finanziaria tale da non poter liquidare la prestazione in via anticipata. I termini in quest'ipotesi si riducono a 20 giorni dall'inizio della sospensione e l'istanza dovrà inviarsi per conoscenza, sempre in via telematica, alla Direzione Territoriale del Lavoro competente. I suddetti termini in caso di azienda dichiarata fallita o per la quale il concordato sia stato omologato devono ritenersi ordinatori.

Non vi è dubbio alcuno circa il termine di decorrenza della Cigs

ex art. 3 della L. 223/91

che, come precisato dal testo di Legge e successivamente confermato dall'interpello 23/2012, può essere richiesta solamente una volta ottenuta l'ammissione del concordato o la sentenza di fallimento.

L'attesa dell'ammissione non rende comunque impossibile il ricorso alla Cigs per il periodo intercorrente dalla domanda all'ammissione, che potrà sicuramente essere attivata ricorrendo all'

art. 1 della L. 223/91

vista l'ipotesi di crisi aziendale.

Si avrà quindi una progressione del seguente tenore: l'azienda potrà trovarsi già in Cigs al momento della richiesta di concordato oppure da quel momento potrà richiedere la Cigs per crisi aziendale. Una volta che il tribunale si sarà espresso, in caso di accoglimento il trattamento per crisi protrarrà i suoi effetti fino all'ammissione, dopo di che dovrà inviarsi una nuova istanza ex art. 3.

In ogni caso in cui intervenga la dichiarazione di fallimento con successivo ricorso alla cassa ex art. 3, il periodo precedentemente fruito in virtù del medesimo articolo deve sottrarsi da quello richiedibile.

Considerazioni conclusive

Tralasciando ogni commento circa l'opportunità di rivedere in modo così radicale uno strumento destinato a sparire nell'ambito di un paio di anni (1° gennaio 2016), si vuole riprendere l'interpretazione più diffusa prima delle espresse prese di posizione ministeriali, cioè quella che considerava, al solo fine del ricorso alla Cigs, il concordato in continuità come una sorta di crisi aziendale e non una procedura concorsuale.

Questa posizione non è più sostenibile, secondo il Ministero, dal momento in cui la nuova

Legge Fallimentare

è entrata in vigore modificando radicalmente la materia. Da questo quadro emerge l'addebito chiaro al passaggio garantista dell'omologazione. E' infatti questo ad assimilare le due fattispecie; pertanto un passaggio che sembrava poter garantire maggiore controllo e tutela verso il ricorso allo strumento si dimostra invece carnefice e limitatore nei confronti dei concordatari.

Pur mantenendo viva la considerazione che il concordato oggi è uno stato di crisi d'impresa, non può trattarsi come tale e non potrà accedere alla favorevole disciplina: questo perché si ha l'intervento dell'omologa da parte dell'autorità giudiziaria. Ne deriva che il Ministero sembra fare una concessione all'istituto, mentre nella realtà ne limita invece le possibilità di accesso.

Permane il dubbio inerente l'azione del Riformatore che tramite la

L.

92/2012

, nonché la successiva Legge di Stabilità, operando la riscrittura dell'art. 3 ha inteso lasciare inalterato il richiamo letterale al concordato preventivo per cessio bonorum, nonostante questa sarebbe potuta essere l'occasione giusta per formalizzare una diversa ed estensiva intenzione del legislatore.

Se la ratio cavalcata dal Ministero del Lavoro dovesse considerarsi incontrovertibile, non si vede perché la novella avrebbe dovuto mantenere inalterato lo specifico richiamo.

In ultima analisi, deve rammentarsi l'effetto dirompente che l'abrogazione dell'intero art. 3 dal 2016 imporrà anche ai trasferimenti d'azienda come disciplinati dal comma 3. Forse la dottrina non ha ancora digerito la rivoluzionaria novella, ma si badi bene che detta abrogazione andrà a travolgere la possibilità per l'imprenditore che, a titolo d'affitto, abbia assunto la gestione di aziende assoggettate a procedure concorsuali, di esercitare il diritto di prelazione nell'acquisto delle medesime.

Questo effetto, che mina nella sostanza il perseguimento di una prassi consolidata tra le procedure, richiede comunque uno specifico approfondimento che, nelle more del periodo transitorio, sembra prematuro sviluppare.

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