Il progetto della Commissione Europea di riforma del Regolamento 1346/2000

Luciano Panzani
24 Aprile 2013

Il 12 dicembre 2012 la Commissione europea, al termine di una complessa consultazione di enti ed organizzazioni pubbliche e private, tra cui le Università di Vienna ed Heidelberg cui era stato affidato uno specifico mandato, e di un comitato di esperti da essa stessa nominato, ha approvato una proposta di modifica del Regolamento 1346/00 sull'insolvenza transfrontaliera, in attuazione dell'art. 46 dello stesso Regolamento che ne prevede la revisione dopo dieci anni dall'entrata in vigore.
Premessa

Il 12 dicembre 2012 la Commissione europea, al termine di una complessa consultazione di enti ed organizzazioni pubbliche e private, tra cui le Università di Vienna ed Heidelberg cui era stato affidato uno specifico mandato, e di un comitato di esperti da essa stessa nominato, ha approvato una proposta di modifica del

Regolamento 1346/00 sull'insolvenza transfrontaliera

, in attuazione dell'art. 46 dello stesso Regolamento che ne prevede la revisione dopo dieci anni dall'entrata in vigore.

La proposta inizia ora il suo iter presso il Consiglio ed il Parlamento europeo.

Le modifiche previste sono rilevanti. Cerchiamo in questa sede di fornirne una rapida sintesi, soffermandoci sulle novità a nostro avviso più significative.

Ambito di applicazione

La nuova bozza di regolamento ne prevede l'applicazione in un ambito più ampio che in passato. Dal dibattito che ha preceduto la proposta di riforma è infatti emerso che il testo attualmente vigente lascia fuori sia le c.d. procedure ibride, vale a dire nelle quali il debitore non è privato della disponibilità ed amministrazione dei beni, che le procedure preventive, nonché parte delle procedure di sovraindebitamento previste per il debitore civile.

Le conseguenze negative di tali esclusioni sono evidenti. I creditori possono approfittare del mancato riconoscimento di queste procedure da parte dell'Unione per iniziare nei Paesi membri diversi da quello di apertura della procedura azioni esecutive che possono compromettere le possibilità di ristrutturazione e recupero dell'impresa. Per questa ragione i creditori stranieri possono essere meno disponibili ad aderire alla proposta ed al piano presentati dal debitore.

Per quanto riguarda le procedure di sovraindebitamento del debitore civile, sia esso o meno un consumatore, parte di esse già rientrava nella previsione dell'attuale testo del Regolamento, ma altre erano invece escluse, ad esempio perché non prevedevano la nomina di un liquidatore. Ora la nuova formulazione del testo del Regolamento ha una portata più ampia.

Il nuovo testo dell'art. 1 del Regolamento stabilisce che la disciplina si applica alle procedure concorsuali giudiziarie o amministrative, ivi comprese le procedure provvisorie (interim proceedings) disciplinate dalle norme in materia d'insolvenza o ristrutturazione del debito, nelle quali alternativamente o il debitore è totalmente o parzialmente spossessato del suo patrimonio ed è nominato un liquidatore ovvero i beni e gli affari del debitore sono soggetti al controllo o alla sorveglianza del giudice. La finalità di queste procedure può essere il salvataggio dell'impresa, la sistemazione dei debiti, la riorganizzazione o la liquidazione. La nuova disciplina ha dunque un campo di applicazione assai più ampio che in passato, perché non si richiede più che le procedure siano fondate sull'insolvenza e neppure è più necessario lo spossessamento del debitore e la nomina di un liquidatore.

Nel linguaggio del Regolamento, come si evince dall'art. 2 in materia di definizioni, già ora il termine Court indica non soltanto un organo giudiziario, ma qualsiasi organo amministrativo che sia competente ad aprire o a confermare l'apertura di una procedura d'insolvenza, ovvero a prendere decisioni nel corso della procedura.

All'ampliamento del novero delle procedure che rientrano nella previsione del Regolamento e che debbono pertanto essere riconosciute dai giudici di ogni singolo Stato membro corrisponde un'importante innovazione. Sino ad oggi il giudice nazionale non doveva far riferimento alla nozione di procedura suscettibile di riconoscimento offerta dal Regolamento, ma all'elenco contenuto nell'Allegato A del Regolamento stesso, dove erano elencate tutte le procedure dei Paesi membri oggetto di riconoscimento. L'inserimento seguiva automaticamente alla notifica alla Commissione da parte di ogni singolo Stato membro. Mancando un meccanismo di verifica della corrispondenza della procedura notificata alla definizione offerta dal Regolamento, di fatto alcune delle procedure risultanti dall'Allegato non corrispondevano ai requisiti stabiliti. Con la riforma (art. 45) si prevede che la Commissione abbia il potere di controllare al momento della richiesta d'iscrizione della procedura la sua corrispondenza ai requisiti previsti dal Regolamento, provvedendo soltanto in caso affermativo a modificare l'Allegato con proprio atto delegato. Ne deriva che il principio della mutua fiducia tra gli Stati su cui si fonda il Regolamento ne esce rafforzato, perché all'obbligo per il giudice nazionale di riconoscere come efficace nel proprio ordinamento ogni procedura risultante dall'Allegato A, corrisponde il preventivo controllo effettuato dalla Commissione. Dovrebbero pertanto ridursi le difficoltà applicative che si sono sinora verificate.

Il Regolamento non troverà applicazione per le procedure d'insolvenza relative agli organismi d'investimento collettivo ed alle imprese di investimento cui si applica la Direttiva 2001/24/EC del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 aprile 2001 sulla riorganizzazione e liquidazione delle istituzioni creditizie e successive modificazioni.

La nozione di COMI

Nonostante il lungo dibattito che ha preceduto la proposta di riforma, la Commissione non ha ritenuto di modificare in termini sostanziali la nozione di COMI, cioè del centre of main interests del debitore, che determina la giurisdizione ai fini dell'apertura della procedura principale, ai sensi dell'art. 3, comma 1 del Regolamento.

In particolare sono state respinte le tesi che, con riguardo ad una singola società, volevano far coincidere il COMI con la sede della capogruppo e che volevano estendere la nozione di COMI alla disciplina dei gruppi. Come si vedrà la Commissione ha allargato ai gruppi la disciplina del Regolamento, che sino ad ora non faceva parola dei gruppi, ma a tale scopo non ha fatto ricorso alla nozione di COMI. La Commissione ha sostanzialmente confermato la giurisprudenza sin qui elaborata dalla Corte di Giustizia europea con le decisioni Eurofood, Interedil (20 ottobre 2011, causa C-396/09) e Rastelli (15 dicembre 2011, causa C-191/10). Sulla scorta di tali pronunce la proposta di Regolamento stabilisce all'art. 3, comma 1, cheIl centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suo interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi. Si è mantenuto il principio per cui per le società e le persone giuridiche si presume, fino a prova contraria, che il COMI coincida con il luogo in cui si trova la sede statutaria. A tale proposito è bene ricordare che la Corte di Giustizia nelle decisioni sopra citate aveva affermato che la presunzione può essere superata dal giudice nazionale a seguito di una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti e tenendo conto della riconoscibilità per i terzi del luogo in cui si trova il centro effettivo di direzione e controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi.

Si è poi aggiunto che, per le persone fisiche che esercitano un'attività commerciale o professionale indipendente, il COMI è il luogo dove si trova la sede principale di attività. Per le altre persone fisiche il COMI è il luogo in cui la persona ha la residenza abituale.

Va sottolineato che con il nuovo art. 3-ter la Commissione stabilisce che il giudice adito per l'apertura di una procedura d'insolvenza verifica d'ufficio la propria giurisdizione ai sensi dell'art. 3.

Ancora, il giudice deve precisare se la procedura è una procedura principale (art. 3, comma 1) o una procedura secondaria (art. 3, comma 2). In tal modo si pone rimedio ad una difficoltà pratica che si verificava in molti casi quando il giudice, non essendovi un contrasto sul punto tra le parti, ometteva di dichiarare se la procedura era principale o secondaria. Pare di comprendere che il giudice nazionale debba provvedere in tal senso in ogni caso e non soltanto quando abbia notizia dell'esistenza di un'altra procedura o di creditori stranieri o di beni situati all'estero. Gli stessi obblighi gravano sul curatore in tutti i casi in cui la procedura viene aperta senza intervento diretto del giudice.

Il nuovo Considerando 12-bis precisa che, qualora le circostanze del caso diano adito a dubbi quanto alla competenza del giudice, questi deve richiedere al debitore ulteriori prove a sostegno delle sue asserzioni.

Inoltre, ai sensi dell'art. 3-ter, comma 3, il giudice che ha aperto la procedura principale o il curatore ne informano il creditore o terzo interessato che ha la residenza abituale, il domicilio o la sede in uno Stato membro diverso da quello in cui è aperta la procedura, se conosciuti, in tempo utile affinché possano impugnare la decisione.

Il registro

Allo scopo di evitare che in Paesi membri diversi si aprano procedure concorrenti, ed al fine di avvisare i creditori che è stata aperta una procedura, il contenuto principale delle decisioni di apertura e chiusura di un procedimento così come la nomina del liquidatore, se assunta con diverso provvedimento, dovrà essere pubblicato su un registro elettronico accessibile dal pubblico gratuitamente via internet.

Inoltre le decisioni di apertura e chiusura dovranno essere pubblicate nei Paesi in cui il debitore ha una dipendenza. È previsto che i registri elettronici dei diversi Paesi membri siano interconnessi, in modo da facilitarne la consultazione in tutta l'Unione Europea. È evidente l'utilità di queste previsioni, che consentono di più facilmente coordinare le procedure aperte nei vari Stati membri, evitando potenziali conflitti.

Procedure secondarie

La Commissione

europea è giunta alla conclusione che le procedure secondarie possono pregiudicare l'efficiente amministrazione dei beni della massa. Pertanto viene riconosciuto al giudice richiesto di aprire la procedura secondaria il potere, su istanza del liquidatore, di posporre o rifiutare tale apertura quando non sia necessaria per proteggere gli interessi dei creditori locali. Potrà essere evitata l'apertura della procedura secondaria quando il liquidatore della procedura principale assuma un impegno vincolante di trattare i creditori locali come se la procedura secondaria fosse stata aperta e di applicare le regole sulla graduazione dei crediti previste dalla legge dello Stato membro in cui dovrebbe aprirsi tale procedura, quando si debba distribuire il ricavato dei beni situati in quello Stato. È previsto che gli impegni assunti in tal guisa dal liquidatore siano vincolanti nello Stato in cui è stata aperta la procedura principale.

Di grande importanza il fatto che, diversamente da oggi, la procedura secondaria potrà non avere carattere liquidatorio, soluzione questa che faciliterà la ristrutturazione ed il salvataggio.

La proposta di modifica del Regolamento prevede ancora che al liquidatore debba essere data immediata notizia dell'istanza di apertura della procedura secondaria e che il giudice gli debba assicurare la possibilità di venir sentito su tale istanza, in modo che possa assumere conclusioni in ordine all'opportunità della procedura secondaria ed al suo coordinamento con quella principale.

Legge applicabile

Gli Stati membri dovranno fornire, nell' ambito della Rete Giudiziaria Europea in materia civile e commerciale istituita con la Decisione 2001/470/EC, una descrizione della loro legislazione nazionale sull'insolvenza e delle procedure, con particolare riferimento a quelle elencate nell'art. 2, comma 2. Queste informazioni dovranno essere pubbliche e dovranno essere costantemente aggiornate. Va ricordato che l'art. 2, comma 2, non modificato dalla proposta di riforma, stabilisce che la legge dello Stato di apertura regola le condizioni di apertura, lo svolgimento e la chiusura della procedura di insolvenza e che la norma elenca anche gli specifici profili della disciplina dell'insolvenza soggetti alla legge dello Stato di apertura della procedura.

Si stabilisce ancora che quando la legge di uno Stato membro disciplina gli effetti dell'apertura della procedura sui contratti regolati dagli artt. 8 e 10 del Regolamento (contratti relativi all'acquisto o locazione di un bene immobile e contratti di lavoro, tutti soggetti alla legge dello Stato in cui il bene si trova o cui è soggetto il contratto) e prevede che tale contratto non possa essere validamente risolto senza l'approvazione del giudice competente ad aprire la procedura d'insolvenza, ma una tale procedura non sia stata aperta in quello Stato, tale contratto non potrà essere risolto senza l'approvazione del giudice che ha aperto la procedura d'insolvenza.

L'art. 15 del Regolamento già prevedeva che i giudizi pendenti relativi a beni o diritti di cui il debitore era stato spossessato per effetto della procedura d'insolvenza fossero regolati dalla legge dello Stato membro ove il giudizio pendeva. Questa regola è stata estesa anche agli arbitrati.

Cooperazione tra i giudici ed i liquidatori

Assecondando una tendenza ormai consolidata nel diritto fallimentare internazionale, la proposta di riforma tiene conto del principio che la procedura principale e quelle secondarie possono consentire il realizzo totale di tutte le attività soltanto se le procedure concorrenti, relative ad un unico debitore (si vedranno in seguito le novità della proposta in tema di gruppi) sono coordinate.

A tal fine si stabilisce nel Considerando 20, introdotto dalla proposta di riforma, che la cooperazione tra i giudici ed i curatori dei diversi Stati membri dovrà prendere in considerazione le best practices quali risultano dalle Guidelines internazionali contenute nei principi e orientamenti in materia di comunicazione e cooperazione delle associazioni europee e internazionali operanti nel settore del diritto fallimentare. A tal proposito il riferimento è, tra l' altro, alle Guidelines for Court-to-Court Communications in Cross-Border Cases elaborate dall'American Law Institute e sviluppate dall'International Insolvency Institute, che prevedono rapporti diretti tra giudici di Paesi membri diversi e tra i curatori nominati nelle diverse procedure. Per la prima volta il Regolamento europeo fa riferimento a questo tipo di collaborazione, spesso utilizzata tra Stati Uniti, Canada e Messico, e che ora comincia ad essere conosciuta ed applicata anche in Europa.

La cooperazione tra i liquidatori implica la comunicazione immediata e reciproca di ogni informazione che possa essere rilevante nel procedimento transfrontaliero. Ciò riguarda in particolare le insinuazioni ed ammissioni dei crediti e tutte le iniziative dirette al salvataggio ed alla ristrutturazione del debitore o alla chiusura della procedura, fatte salve le informazioni confidenziali. L'informazione riguarderà in particolare le possibilità di ristrutturazione. Ove tale possibilità esista i liquidatori dovranno collaborare nell'elaborazione del piano di ristrutturazione. Queste disposizioni sono dirette ad assicurare che la procedura secondaria non ostacoli la ristrutturazione nel timore che i creditori locali ne ricevano danno, garantendo nel contempo che si tenga conto degli interessi di tali creditori.

Insinuazione dei crediti

L'insinuazione dovrà essere proposta utilizzando un modulo dal contenuto predeterminato, stabilito in parte dal Regolamento e in parte da un atto successivo che sarà emanato dalla Commissione ai sensi dell'art. 45 del Regolamento stesso. Ogni Stato dovrà indicare almeno un'altra lingua oltre a quella ufficiale, in cui il creditore potrà presentare la domanda d'insinuazione, per la quale non sarà richiesto ministero di avvocato.

Gruppi di società

Pur avendo confermato, in tema di COMI, la giurisprudenza restrittiva della Corte di Giustizia che escludeva l'utilizzabilità della nozione per determinare in generale la competenza del giudice della sede della società capogruppo anche con riferimento alle controllate, la proposta della Commissione tiene conto della necessità di prevedere nel Regolamento una disciplina dei gruppi, aggiungendo al testo previgente un nuovo capitolo che affronta tale problematica.

Si è scelta la strada del coordinamento delle procedure relative alle diverse società facenti parte dello stesso gruppo, rinunciando, in conformità alla tendenza oggi prevalente nel dibattito internazionale, a prevedere la competenza di un unico Stato membro, quale ad esempio quello della sede della capogruppo. Trovare una formula che potesse trovare il consenso di tutti i Paesi membri si è dimostrato infatti troppo complesso, tali e tante essendo le variabili che possono incidere nell'individuazione della holding.

La definizione di gruppo è data dall'art. 2 del Regolamento, che chiarisce che il gruppo è composto dalla parent company e dalle controllate. Per capogruppo s'intende la società che esercita il controllo azionario avendo la maggioranza delle azioni, ovvero che in qualità di azionista o socio ha il diritto di nominare o rimuovere la maggioranza degli amministratori o dei membri del consiglio di sorveglianza ovvero ancora che ha il diritto per contratto o in virtù dello statuto sociale di esercitare su un'altra società un'influenza dominante.

Si prevede che il Regolamento debba assicurare il coordinamento dei procedimenti relativi alle varie società del gruppo e ne debba garantire l'amministrazione efficiente. Il coordinamento deve assicurare la massimizzazione del valore delle attività ed il successo della ristrutturazione. I giudici ed i liquidatori debbono collaborare tra di loro secondo le stesse regole previste per il coordinamento della procedura principale e di quelle secondarie nel caso di un unico debitore. Inoltre i liquidatori avranno diritto di proporre un piano di salvataggio nelle procedure relative alle altre società del gruppo.

Come si vede, si tratta di una soluzione di compromesso, tra coloro che si opponevano a qualunque disciplina in materia di gruppi e coloro che volevano norme piu' vincolanti. È importante che si sia prevista la possibilità di un coordinamento e che si sia data voce all'amministratore della capogruppo nelle procedure relative alle controllate. Tuttavia è improbabile che il coordinamento, peraltro oggetto ormai d'importanti esperienze internazionali attraverso i c.d. Protocol Agreements, raggiunti per via di negoziazione nei casi, ben noti, d'insolvenza di grandi gruppi suddivisi in centinaia di società, possa funzionare quando vi sia un forte conflitto in ordine agli obiettivi da perseguire tra i creditori locali e quelli della capogruppo.

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