Brevi note sul blocco delle misure esecutive e cautelari nel concordato preventivo: problemi esegetici e novità della riforma

16 Gennaio 2013

Con la recente approvazione del c.d. Decreto Sviluppo (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012 n. 134), il Legislatore ha apportato alcune rilevanti modifiche al testo della legge fallimentare. Si tratta, in particolare, di aggiustamenti e integrazioni relativi, prevalentemente alla disciplina del concordato preventivo, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani di risanamento, che hanno comportato anche conseguenze sulla disciplina del procedimento fallimentare.

Con la recente approvazione del c.d. Decreto Sviluppo (

D.L. 22 giugno 2012, n. 83

, convertito in

L. 7 agosto 2012, n. 134

), il Legislatore ha apportato alcune rilevanti modifiche al testo della

legge fallimentare

. Si tratta, in particolare, di aggiustamenti e integrazioni relativi, prevalentemente alla disciplina del concordato preventivo, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani di risanamento, che hanno comportato anche conseguenze sulla disciplina del procedimento fallimentare.

Per quanto concerne il concordato preventivo, una delle modifiche ha interessato l'

art.

168 l

. fall

. che disciplina gli effetti della presentazione del ricorso per l'ammissione al concordato preventivo sotto il profilo delle eventuali azioni esecutive e/o cautelari promosse o “promuovende” dai creditori. È pertanto interessante capire come si struttura tale disciplina e quali ricadute ha avuto su di esse il recente intervento riformatore.

Secondo l'attuale formulazione dell'

art.

168 l

. fall

. i creditori per titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari contro il debitore. Per quanto attiene alle prime, in tale divieto è compresa ogni azione di esecuzione forzata avente ad oggetto il patrimonio del debitore, quindi tutti i beni che siano di effettiva titolarità di quest'ultimo. Tale specificazione determina l'esclusione dal divieto delle azioni di rivendicazione, restituzione e separazione di beni non appartenenti al debitore; le azioni possessorie di reintegrazione e di manutenzione previste dagli

artt. 1168

e

1170 c.c.

; le azioni del venditore di un bene con riserva di proprietà per ottenere la restituzione del bene stesso in caso di inadempimento del compratore; l'azione di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto; il procedimento per la restituzione di beni oggetto di leasing. Inoltre, come notato da un'autorevole dottrina (G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 552), il divieto di cui all'

art.

168 l

. fall

. ha portata generale e pertanto in esso devono ritenersi comprese anche le azioni esecutive previste da leggi speciali, come ad esempio quelle spettanti alle banche per operazioni di credito fondiario e alle opere pubbliche previste dall'

art. 38 ss. T.U.B

.

È qui solo da accennare brevemente alla ulteriore importante novità introdotta con il Decreto Sviluppo della “domanda anticipata di concordato” o “domanda di preconcordato”, che permette di depositare una domanda di concordato senza proposta, piano e documentazione di corredo.

Il divieto di esercizio delle azioni esecutive decorre dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato stesso diviene definitivo.

Proprio in considerazione del fatto che in base al primo comma dell'

art.

168 l

. fall

. i creditori anteriori al concordato preventivo non possono, a pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore, ne deriva che l'eventuale violazione del divieto determina la nullità di tutti gli atti esecutivi che siano stati compiuti dopo la pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo.

Si pone poi il problema di cosa accada successivamente al decreto di omologa del concordato: in proposito è chiaro che, essendo il concordato preventivo omologato obbligatorio per tutti i creditori, essi saranno assoggettati a quanto previsto nell'accordo stesso e non potranno iniziare né proseguire alcuna azione esecutiva (e/o cautelare). Ma fino a quando? Sul termine finale del divieto, la dottrina, nella vigenza della distinzione tra concordato con garanzia e concordato con cessione dei beni, aveva ritenuto che, nel concordato con garanzia, il divieto di azioni esecutive nei confronti del debitore si protraesse fino al tempo fissato per l'adempimento degli obblighi concordatari, mentre nel concordato con cessione dei beni il termine fosse fissato nella ripartizione del ricavato dalla liquidazione dei beni ceduti.

Con l'ampliamento della gamma dei possibili accordi concordatari, tale distinzione ha perso una parte del suo valore: pare logico ritenere che il divieto di azioni esecutive abbia ragion d'essere fino al momento in cui il debitore non si renda inadempiente agli obblighi assunti, anche in considerazione del termine fissato per il regolare adempimento. Oltre tale termine, o comunque in caso di palese inadempimento, occorrerà di volta in volta stabilire se è percorribile la strada della dichiarazione di fallimento oppure quella del riacquisto in capo ai creditori della legittimazione a proporre o proseguire azioni esecutive individuali. Ora il Decreto Sviluppo ha peraltro imposto, con l'art. 161, comma 2, lettera e), la produzione di un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. Il termine finale va dunque sempre indicato.

L'art. 168, così come novellato dal Decreto Sviluppo, propone un'altra importante novità al segno del favor debitoris: è stata infatti prevista l'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti il deposito del ricorso senza necessità di alcun accertamento sulla consapevolezza da parte del creditore in ordine allo stato di crisi o di insolvenza del debitore. Si anticipa così di tre mesi la protezione nei confronti dei creditori che iscrivano per primi le ipoteche giudiziali ottenute sulla base di decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi.

Quanto alle azioni cautelari, l'

art.

168 l

. fall

. ne fa oggi menzione. Si tratta quindi di soffermarsi sull'evoluzione che ha portato a tale rilevante modifica e che ha diviso dottrina e giurisprudenza, non senza mettere conclusivamente in risalto la ratio della precedente esclusione.

Un primo dato di fatto imprescindibile per gli interpreti della “vecchia” versione dell'

art.

168 l

. fall

. era che, riferendosi esso esclusivamente all'inibizione di azioni esecutive, sotto il profilo letterale non poteva assolutamente essere interpretato in modo estensivo, comprendendovi anche le azioni cautelari.

E, del resto, seguendo il brocardo ubi lex voluit dixit… l'

art.

168 l

. fall

. doveva ritenersi manifestazione della volontà del legislatore di limitare il divieto alle sole procedure esecutive. L'analisi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali metteva in risalto però alcune discordanze. La dottrina era concorde, per esempio, nel ritenere che sul patrimonio del debitore non fosse ammesso il sequestro conservativo, e che questo, qualora fosse già stato concesso, decadesse, mentre riteneva ammissibile il sequestro giudiziario (M. Caffi, Il concordato preventivo, in Il diritto fallimentare riformato. Commento sistematico a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, 605 ss.).

La giurisprudenza, invece, anteriormente al recente intervento del legislatore, ammetteva la misura del sequestro conservativo, anche se proposta successivamente alla presentazione della domanda di concordato e prima della omologazione del concordato stesso. Già nel 1976 la Cassazione (Cass. 6 marzo 1976, n. 761), aveva affermato che: “L'

art.

168 l

. fall

. vieta ai creditori per titolo anteriore al decreto di ammissione al concordato preventivo di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore, ma non impedisce la concessione di sequestri conservativi, i quali costituiscono provvedimenti strumentali alla realizzazione dei crediti che, per altro, anche per quanto riguarda il creditore sequestrante, può aver luogo soltanto nell'ambito della procedura di concordato” (

Cass. 30 marzo 2005, n. 6672

). Conformi molti giudici di merito: il Tribunale di Milano, per esempio, ebbe a ritenere che: “La richiesta di sequestro conservativo e la successiva domanda di convalida nei confronti del debitore in concordato preventivo per cessione dei beni, fino all'omologazione, sono ammissibili, in quanto l'

art.

168 l

. fall

. preclude esclusivamente la prosecuzione delle azioni esecutive individuali, ma non di quelle di condanna e consente, quindi, la concessione di tutti quei provvedimenti strumentali alla realizzazione del credito, ancorché questa debba avvenire nell'ambito del concorso dei creditori” (Trib. Milano 1 marzo 1990). E il Tribunale di Brescia, così pronunciava: “Anche dopo la presentazione dell'istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo, è ammissibile la richiesta di autorizzazione del sequestro conservativo dei beni dell'imprenditore, in quanto la disposizione di cui all'

art.

168 l

. fall

. pone il divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive individuali, ma non impedisce la concessione della misura cautelare suddetta” (Trib. Brescia 15 ottobre 1993).

In sostanza, la disposizione di cui all'

articolo

168 l

. fall

. nella versione immediatamente precedente a quella attuale portava ad assegnare prevalenza all'interesse del creditore al mantenimento degli effetti del provvedimento cautelare a garanzia della propria pretesa, in considerazione del fatto che, qualora il concordato preventivo non avesse avuto esito positivo, il debitore avrebbe riacquistato la facoltà di compiere atti di disposizione dei beni, atti potenzialmente lesivi delle ragioni dei creditori, stante la mancanza dell'automatica dichiarazione di fallimento dell'impresa debitrice. Infatti, al mancato superamento di una delle diverse fasi della procedura di concordato preventivo non consegue automaticamente la dichiarazione di fallimento, ma si rende applicabile il secondo comma dell'

art.

162 l

. fall

., che prevede che il fallimento possa essere dichiarato soltanto su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, essendo la dichiarazione del fallimento d'ufficio scomparsa dal nostro ordinamento.

Era quindi considerato importante che, almeno fino all'omologa del concordato o alla dichiarazione di fallimento, la misura cautelare conservasse la sua efficacia e ciò non solo nell'interesse del creditore procedente, ma dell'intera massa creditoria (v. P. F. Censoni, Art. 168, in A. Jorio – M. Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Tomo II, Bologna, 2007, 2419–2421; S. Pacchi, Il concordato preventivo, in AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 449–450. Si v. anche: L. De Angelis, Rilievi sulla esperibilità di azioni cautelari durante il concordato preventivo e l'amministrazione controllata, in BBTC, 1966, I, 103).

Una recentissima pronuncia del Tribunale di Verona (

Tribunale di Verona, 24 gennaio 2012

), precedente quindi al Decreto Sviluppo, andava proprio in questa direzione. I giudici hanno affermato, infatti che “nel lasso di tempo intercorrente tra il deposito del ricorso e l'eventuale emissione del decreto di ammissione al concordato, i cui effetti, pur retroagendo al momento della presentazione dell'istanza non si producono fino alla sua formale adozione, il debitore rimane nella piena disponibilità del suo patrimonio, cosicché potrebbe anche compiere atti di disposizione pregiudizievoli per i creditori”.

È appena il caso di notare come il Decreto Sviluppo abbia dunque ribaltato del tutto quest'impostazione.

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