Problemi di compatibilità tra la disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e le disposizioni sui pagamenti delle P.A.

Michele Sandulli
29 Luglio 2013

Tra le norme di favore che il legislatore ha previsto allo scopo di garantire la continuazione dell'attività d'impresa, proteggendo l'integrità del patrimonio dell'imprenditore in crisi, vi è l'art. 182-bis, comma 3, l. fall., che vieta di iniziare o proseguire, per sessanta giorni, azioni esecutive e cautelari in caso di deposito di domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.L'Autore si concentra sui rapporti tra questa norma e l'art. 48-bis, comma 1, d.p.r. n. 602/73 che consente, invece, all'Agente di riscossione di agire in via esecutiva sulle somme vantate dal debitore nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Premessa

L'obiettivo perseguito dal legislatore concorsuale, con sempre maggiore nettezza e decisione, di garantire la continuazione dell'attività da parte delle imprese in crisi incontra sovente ostacoli imprevisti in norme o istituti presenti in settori dell'ordinamento diversi da quello fallimentare.

E', pertanto, compito dell'interprete di risolvere queste antinomie, superando le potenziali incompatibilità tra norme e contemperando i vari interessi rilevanti potenzialmente in conflitto.

Un esempio di questo possibile conflitto è rappresentato dall'applicazione dell'

art. 48-

bis

d.

p.r.

n. 602/1973

(“Disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni”) alle imprese che abbiano depositato ricorso per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti

ex

art. 182-

bis

l.

fall

.

Il quadro normativo

L'

art. 182-bis, comma 3, l. fall.

dispone che “dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori anteriori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l'articolo 168 secondo comma”.

L'

art. 48-bis, comma 1, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602

, dispone quanto segue: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del

decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell'esercizio dell'attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo. La presente disposizione non si applica alle aziende o società per le quali sia stato disposto il sequestro o la confisca ai sensi dell'

articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero della legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero che abbiano ottenuto la dilazione del pagamento ai sensi dell'articolo 19 del presente decreto”.

Le modalità di attuazione del richiamato art. 48-bis d.p.r. n. 602/193 sono contenute del decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

E' da chiedersi quale sia il rapporto tra le due norme richiamate e quale sia l'ambito di operatività dell'

art. 48-

bis

, comma 1, d.

p.r

. 602/1973

quando il “beneficiario” del pagamento abbia depositato ricorso

ex

art. 182-

bis

l.

fall

. ed il piano di risanamento preveda il pagamento dei crediti tributari e previdenziali, al pari di quanto avviene per tutti i creditori “estranei”, nei 120 giorni successivi all'omologazione.

Il divieto di azioni esecutive

Per un corretto inquadramento del problema in esame, appare opportuno verificare in via primaria quali siano la ratio e gli effetti della norma che pone il divieto di iniziare o proseguire, per il periodo di sessanta giorni, azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore che abbia depositato e pubblicato il ricorso per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti

ex

art. 182-

bis

l.fall

.

La ratio del divieto è, come noto, quella di proteggere l'integrità del patrimonio dell'imprenditore nelle more dell'attuazione del piano di risanamento, evitando che eventuali azioni esecutive individuali possano condurre alla dissoluzione dello stesso o, comunque, pregiudicarne l'attitudine allo svolgimento dell'attività produttiva. Si tratta, quindi, di una norma funzionale alla conservazione dei complessi aziendali, che si pone nel solco del generale favor del legislatore nei confronti delle procedure negoziali dirette al superamento della crisi d'impresa e, contestualmente, alla continuità aziendale.

L'effetto del divieto è quello, come recita la norma, di impedire l'inizio o la prosecuzione di azioni esecutive individuali durane il periodo di protezione. Ne consegue che, per effetto di tale divieto, nessun creditore potrà ottenere in via coattiva, né direttamente, né indirettamente, il pagamento dei propri crediti vantati nei confronti del debitore che abbia presentato il ricorso. Sono vietate tutte le forme di azioni esecutive (e cautelari), sia quelle mobiliari, sia quelle immobiliari, sia quelle presso terzi e, comunque, ogni procedimento volto ad ottenere in via coattiva il pagamento del proprio credito.

Così individuati ratio ed effetti del divieto, possono correttamente individuarsi i rapporti tra l'

art. 182-

bis

, comma

3, l

.fall

. e l'

art. 48-

bis

, comma 1, d.

p.r

. 602/1973

. Quest'ultima norma consente all'agente della riscossione di agire in via esecutiva sulle somme vantate dal debitore nei confronti di amministrazioni pubbliche o società a prevalente partecipazione pubblica, impedendo che il debitore stesso ottenga il pagamento delle dette somme e consentendo all'agente della riscossione di agire. Si tratta, quindi, di un procedimento speciale, caratterizzato da una sostanziale affinità con il pignoramento presso terzi, sia pure con un'accentuata tutela per il creditore.

Laddove si condivida quanto precede, sembra profilarsi l'incompatibilità della procedura di cui all'

art. 48-

bis

, comma 1, d.

p.r.

602/1973

con il divieto di azioni esecutive posto dall'

art. 182-

bis

l.

fall

.

Da un lato, l'eventuale operatività del meccanismo previsto dall'

art. 48-

bis

, comma 1, d.

p.r.

602/1973

consentirebbe all'agente della riscossione di sottrarsi al divieto di azioni esecutive e cautelari, conseguendo in via coattiva i propri crediti e ponendosi in una posizione di vantaggio rispetto agli altri creditori.

Dall'altro lato, questa perdurante possibilità di agire esecutivamente nei confronti del debitore potrebbe impedire il corretto perseguimento del piano di risanamento, privando l'imprenditore di risorse essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa, funzionale al migliore soddisfacimento di tutti i creditori. Per vero, l'imprenditore in crisi che propone ricorso per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione presenta, presumibilmente, una critica situazione di liquidità, così che l'eventuale impossibilità di incassare i propri crediti per effetto dell'operatività dell'

art. 48-

bis

, comma 1, d.

p.r.

602/1973

rischia di privare l'imprenditore di risorse liquide essenziali per garantire l'ordinaria operatività aziendale, così aggravando lo stato di crisi e pregiudicando il perseguimento del programmato risanamento aziendale. In tal modo, la procedura di cui all'

art. 48-

bis

, comma 1, d.

p.r

. 602/1973

si pone in contrasto con il complessivo favor legislativo per la conservazione dei complessi aziendali che caratterizza l'istituto dell'accordo di ristrutturazione dei debiti e, più in generale, tutte le rinnovate procedure concorsuali.

Il divieto di pagare crediti anteriori

Ai fini della compiuta interpretazione del complesso normativo in oggetto, appare opportuno esaminare anche l'altro (e speculare) profilo, rappresentato dalla possibilità per il debitore che abbia presentato ricorso

ex

art. 182-

bis

l.

fall

. di pagare legittimamente i propri debiti anteriori. E' da chiedersi, infatti, se, fermo il divieto di azioni esecutive, il debitore sia comunque legittimato a pagare “volontariamente” propri crediti anteriori.

In mancanza di un'espressa norma in tema di accordi di ristrutturazione, può essere utile partire da un esame degli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza in tema di pagamenti di crediti anteriori nella procedura di concordato preventivo. Al riguardo, è da sempre prevalente in giurisprudenza l'opinione secondo cui è precluso al debitore ammesso al concordato preventivo il pagamento, prima dell'omologazione, dei crediti sorti anteriormente al decreto di apertura della procedura. Il divieto di pagare i creditori anteriori, pur mancando una previsione espressa, viene ricavato:

  • dall'

    art. 168 l. fall

    ., che, “nel porre il divieto di azioni esecutive da parte dei creditori, comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori, perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento, essendo in entrambi i casi violato proprio il principio di parità di trattamento dei creditori”;

  • dall'art. 184, che, nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, “implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dal sistema” (

    Cass., 12 gennaio 2007, n. 578

    ). In quest'ottica, dal mancato pagamento di crediti anteriori neppure potrebbero derivare “effetti di tipo sanzionatorio, ancorché previsti da norme di diritto pubblico” (

    Cass., 24 febbraio 2006, n. 4234

    ). Al più, secondo alcuni, il divieto di pagare i creditori anteriori potrebbe essere derogato (nel concordato preventivo) mediante la previa autorizzazione del giudice delegato, sempreché ne fosse ravvisata l'utilità (

    Cass., 12 giugno 2007, n. 13759

    ; Trib. Parma, 28 febbraio 2004. In dottrina v. Bonsignori, Processi concorsuali minori, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 1997, 165 e 166; Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2007, 419

    ).

Anche a seguito della riforma, la dottrina prevalente ha ribadito la sussistenza del divieto di pagare i creditori anteriori, pur ammettendosi che il pagamento possa essere autorizzato dal giudice delegato quando ne sia ravvisabile l'utilità (Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, Padova, 2007, 95 e 96). Secondo altri (Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna, 2011), invece, il divieto di pagare debiti pregressi non troverebbe fondamento nell'

art. 168 l. fall

. e neppure è sostenibile che il pagamento di crediti pregressi rientri tra gli atti autorizzabili dal giudice delegato; piuttosto, il pagamento di tali crediti sarebbe legittimo, anche senza autorizzazione, quando corrisponde al piano di concordato, o meglio allorché sia previsto nel piano.

A seguito della ricordata modifica del 2012, il fondamento e l'operatività del divieto di pagare i creditori anteriori (oltre che la sua eventuale derogabilità) devono, peraltro, essere riesaminati tenuto conto dell'espressa formulazione dell'

art. 182-

quinquies

, comma 4, l. fall

. Si prevede, infatti, solo per il concordato “con continuità aziendale”, che il debitore proponente possa chiedere di essere autorizzato a “a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi; ciò, sempre che un professionista munito dei requisiti previsti dalla legge attesti “che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”. Tale disposizione, a ben guardare, conferma l'orientamento della giurisprudenza, che già riteneva sussistente il divieto di pagare i creditori anteriori, ricavandolo dal divieto imposto a questi ultimi di agire esecutivamente contro il debitore. La nuova norma, in quest'ottica, consente di ritenere che, al di fuori dei casi previsti, l'imprenditore non possa procedere al pagamento di crediti sorti anteriormente alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (

Maffei Alberti (a cura di), Commentario breve alla

legge fallimentare

, Padova, 2013, 1119

); essa, inoltre, comportando una deroga alla par condicio, ha natura eccezionale e non può trovare applicazione a fattispecie non espressamente contemplate (

Trib. Modena, 15 dicembre 2012

).

Definito il quadro con riferimento al concordato preventivo, può passarsi all'esame del tema con specifico riferimento agli accordi di ristrutturazione. Sul punto, considerato che anche il deposito del ricorso per l'omologazione dell'accordi di ristrutturazione comporta per i creditori anteriori il divieto di agire esecutivamente sui beni del debitore, pare ragionevole estendere anche a questo nuovo procedimento (indipendentemente dalla natura dello stesso e dalla sua natura di concordato o sub-concordato) (

Valensise

,

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012

), l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine al (corrispondente) divieto di pagare i creditori anteriori.

A ben guardare, anzi, l'istituto che gli accordi di ristrutturazione e il concordato hanno in comune è proprio quello del blocco delle azioni esecutive e cautelari, dal quale, come si è detto, gran parte della giurisprudenza ricava il divieto di pagare i creditori anteriori.

In questo senso si è già espressa la dottrina, secondo cui, l'

art. 182-

bis

l. fall

., nel porre il divieto di azioni esecutive e individuali da parte dei creditori, “comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata, possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento” (

Nardecchia, Gli effetti del concordato preventivo sui creditori, Milano, 2011, 24

); ed ancora, in modo ancora più netto: “L'introduzione, con l'intervento correttivo del 2007, del divieto sia pure temporaneo, a carico dei creditori, di avviare o proseguire azioni esecutive o cautelari era già indicativa, di per sé, di un significativo limite al potere di disposizione del debitore: al quale è inibito provvedere, dalla data pubblicazione degli accordi, al pagamento dei crediti aventi titolo anteriore, giacchè non si vede come potrebbe ammettersi che per atto spontaneo del debitore si realizzi la soddisfazione che il creditore non è in grado di procurarsi mediante gli strumenti legali di tutela del proprio diritto” (

Delle Monache, Profili dei nuovi accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. Dir. Civ., 2013, I, 549

).

Quand'anche non si voglia ritenere “assoluto” e “generalizzato” il divieto di pagare i creditori anteriori al deposito dell'accordo, non potrebbe, comunque, essere ritenuto legittimo il compimento di atti in difformità rispetto agli accordi o rispetto al piano. Il compimento di atti in difformità rispetto agli accordi, al piano e quindi alla relazione del professionista, infatti, impedirebbe di fatto al tribunale di esprimere un compiuto giudizio di attendibilità della relazione stessa, conducendo al rigetto dell'istanza di omologazione (

Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2012, 277

). In questa prospettiva, è la conformità alla previsione del piano che funge da “pietra di paragone della legittimità dei singoli atti posti in essere dal debitore” (

Trentini, op. cit., p. 278; v. anche Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, 649

).

Sulla base di quanto sopra, può correttamente interpretarsi anche la norma di cui all'

art. 182-

quinquies

, comma 5, l.

fall

., secondo cui “il debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis, comma 1, o di una proposta di accordo ai sensi dell'art. 182-bis, comma 6, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in presenza dei presupposti di cui al quarto comma, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi. In tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti all'azione revocatori di cui all'articolo 67”. Laddove si ritenga che esista un divieto “assoluto” per il debitore di pagare crediti anteriori, la norma gli consente di derogare a tale divieto solo in presenza di una previa ed espressa autorizzazione del Tribunale. Laddove, invece, si ritenga che il debitore non possa eseguire pagamenti in difformità del piano, la norma consente di derogare a questo divieto “relativo” mediante un'espressa autorizzazione del giudice delegato.

Applicando i principi sopra delineati al problema in esame, la conclusione si delinea con nettezza.

Se si condivide l'interpretazione più rigorosa, è inevitabile affermare che l'imprenditore che abbia presentato ricorso per omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti

ex

art. 182

-bis

l.

fall

. non possa (nel senso che è vietato) pagare i propri debiti tributari e previdenziali prima della scadenza dei 120 giorni dall'omologazione, laddove gli stessi rientrino tra i crediti di titolarità di “creditori estranei”

Ma la conclusione è analoga anche laddove si condivida la tesi meno rigorosa, che consente il pagamento dei crediti anteriori in conformità al piano proposto: tenuto conto del fatto che il piano depositato dall'imprenditore,

e asseverato dal professionista, contempla il pagamento dei creditori non aderenti (anche per debiti tributari e previdenziali scaduti) entro 120 gg. dall'avvenuta omologazione, non pare possa ritenersi legittimo il pagamento di tali crediti prima che si compia il vaglio del Tribunale. Un eventuale pagamento anteriore sarebbe, infatti, difforme rispetto alle previsioni del piano.

Segue. Conseguenze del divieto

I riflessi di quanto sopra affermato in punto di interpretazione dell'art. 48-bis

d.

p.r

. n. 602/1973

sono di immediata evidenza.

Poiché all'imprenditore è fatto divieto di provvedere al pagamento dei propri debiti tributari e previdenziali prima della scadenza dei 120 giorni dall'omologazione dell'accordo, ne consegue che, fino alla scadenza di questo termine, l'imprenditore non può essere considerato “

inadempiente all'obbligo di versamento

derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento ai sensi dell'

art. 48-

bis

d.

p.r.

602/1973

. L'inadempimento presuppone, a monte, l'esistenza di un obbligo di pagare, la possibilità giuridica per il debitore di provvedere al pagamento ed il mancato adempimento imputabile di questo obbligo. Nel caso in esame, all'imprenditore è fatto divieto di pagare nell'immediatezza i propri debiti tributari e previdenziali e, quindi, non è inadempiente ad un proprio obbligo.

A sostegno di questa conclusione milita un'ulteriore considerazione. E' opinione prevalente in dottrina che “il riscadenziamento imposto ai non aderenti dall'

art. 182-

bis

, comma 1, l.fall

. determini una situazione di vera e propria inesigibilità dei loro crediti” (Delle Monache, Profili dei nuovi accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 555. Nello stesso senso anche Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo la riforma del 2012, in Fallimento, 2012, 1142). Se i crediti portati dai creditori “estranei” (compresi i crediti tributari e previdenziali) non sono esigibili sino alla scadenza dei 120 giorni successivi rispetto all'omologazione, ne consegue che l'imprenditore non può considerarsi in mora per effetto del mancato pagamento degli stessi e non può considerarsi inadempiente.

Conclusioni

Sulla base di quanto sopra, può ritenersi che:

  • il procedimento

    ex

    art. 48-

    bis

    d.

    p.r

    . n. 602/1973

    non sembra applicabile durante il periodo temporale in cui il “beneficiario” del pagamento sia soggetto al divieto di azioni esecutive e cautelari previsto dall'

    art. 182-

    bis

    , comma 3, l.

    fall

    .;

  • ad ogni modo, l'imprenditore non può essere considerato “

    inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento ai sensi dell'

    art. 48-

    bis

    d.

    p.r.

    602/1973

    , fino a quando non sarà decorso il termine di 120 giorni successivo all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.

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