Unico credito, contestazione e limiti dell’istruttoria prefallimentare

26 Luglio 2012

In sede di istruttoria prefallimentare, l'accertata sussistenza di un unico credito precedentemente contestato in sede giudiziale dal debitore in modo non manifestamente infondato, in assenza di altri elementi idonei a provare lo stato di insolvenza, consente di escludere che esso sia elemento rivelatore di quello stato, essendo l'inadempimento volontario e non derivante da impotenza patrimoniale, né il Tribunale adito per la dichiarazione di fallimento può entrare nel merito delle contestazioni mosse dal debitore in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.
Massima

In sede di istruttoria prefallimentare, l'accertata sussistenza di un unico credito precedentemente contestato in sede giudiziale dal debitore in modo non manifestamente infondato, in assenza di altri elementi idonei a provare lo stato di insolvenza, consente di escludere che esso sia elemento rivelatore di quello stato, essendo l'inadempimento volontario e non derivante da impotenza patrimoniale, né il Tribunale adito per la dichiarazione di fallimento può entrare nel merito delle contestazioni mosse dal debitore in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

Il caso

La Corte d'appello adita con reclamo ex art. 22 l. fall. esamina il caso di un'istanza di fallimento fondata su credito portato da decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, respinta dal Tribunale di Firenze sul rilievo che era risultata pacifica l'esistenza del solo credito dell'istante, che il credito era stato in parte pagato e che per la parte inadempiuta la resistente aveva proposto opposizione fondata su vizi della merce ricevuta prima della proposizione dell'istanza di fallimento, corredata da istanze istruttorie. La Corte, nel respingere il reclamo, da un lato valorizza la volontarietà dell'inadempimento come elemento che esclude la sua ricollegabilità ad impotenza patrimoniale e lo priva quindi di rilievo ai fini del giudizio sullo stato di insolvenza, in assenza di altri elementi, dall'altro esclude che sia possibile in sede di istruttoria pre-fallimentare valutare la fondatezza dell'opposizione proposta dal debitore nel giudizio di opposizione.

Osservazioni

L'incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, che sostanzia lo stato d'insolvenza quale presupposto del fallimento, si deve manifestare, alla stregua del secondo comma dell'art. 5 l. fall., con inadempimenti o altri fatti esteriori, che ne costituiscano indici rivelatori in base ad un procedimento logico di carattere presuntivo. Se “in tema di prova per presunzioni semplici nella deduzione dal fatto noto a quello ignoto il giudice di merito incontra il solo limite del principio di probabilità; non occorre, cioè, che i fatti, su cui la presunzione si fonda, siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza basate sull''id quod plerumque accidit'” (App. Roma 15 giugno 2010 n. 2549, in Guida dir., 2010, 38, 67, s.m.; in termini Cass. nn. 17574/2009, 19088/2007, 4472/2003, 914/1999, 1377/1993, 3414/1969), l'unicità dell'elemento fondante il ragionamento presuntivo impone una maggiore attenzione alla sua gravità e precisione, in quanto l'inadempimento non rileva in sé, ma in quanto sintomatico dell'incapacità patrimoniale (A. Nigro, Commento all'art. 5 l. fall., in A. Nigro - L. Sandulli, La riforma della legge fallimentare, 2006, I, 19; Cass. Sez. un., n. 115/2001: L'inadempimento e la sua imputabilità non assumono quindi valore decisivo ai fini della dichiarazione di fallimento, ma rilevano solo quali elementi sintomatici dello stato d'insolvenza).
Così, se è affermazione costante della giurisprudenza che anche l'inadempimento di un solo debito possa essere dimostrativo dello stato di insolvenza (Cass. nn. 19611/2004, 1274/1978, 363/1967 e 1830/1966), altrettanto costante è l'affermazione che l'inadempimento di un credito contestato e soggetto ad accertamento giudiziale non ha tale significato (per i richiami alla giurisprudenza di merito si veda Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, 2009, 27, 5), quantomeno in mancanza di altri fatti sintomatici del dissesto (così Trib. Forlì, 27 gennaio 2000) e salvo che la contestazione appaia manifestamente infondata (così Trib. Sulmona 3 aprile 2003).
Il provvedimento della Corte fiorentina si colloca in questo solco di pensiero, rilevando, da un lato, che la contestazione giudiziale del credito è antecedente all'istanza di fallimento e non manifestamente infondata (sì da escluderne intenti strumentali ed abusivi), dall'altro, che mancano altri sintomi di decozione stante l'unicità del credito e l'assenza di protesti.
Interessante è invece la presa di posizione in ordine alla ritenuta impossibilità di entrare nel merito della contestazione svolta dall'intimata avverso il credito in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, fondata sull'affermazione che “opinare diversamente vorrebbe dire ammettere un'inammissibile interferenza tra diversi organi giudiziari e potrebbe portare ad un contrasto di giudicati”.
Le Sezioni Unite della Cassazione avevano infatti affermato nella sentenza 11 febbraio 2003, n. 1997 che “la dichiarazione di fallimento trova il suo presupposto, dal punto di vita obbiettivo, nello stato di insolvenza del debitore, il cui riscontro prescinde da ogni indagine sull'effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore (essendo a tal fine sufficiente l'accertamento di uno stato d'impotenza economico–patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi 'normali', ai propri debiti) e può quindi essere legittimamente effettuato dal giudice ordinario anche quando i crediti derivino da rapporti riservati alla cognizione di un giudice diverso”.
Il tema però può essere affrontato sotto una diversa prospettiva a seguito della modifica dell'art. 6 l. fall., che ha eliminato la dichiarazione d'ufficio del fallimento, come fa il decreto del Trib. Cagliari, 4 gennaio 2010 (in ilcaso.it, Legge fallimentare, massimario, sub art. 6), rilevando che, mentre prima della novella il thema decidendum era la sola sussistenza dei presupposti legali del fallimento (onde il credito del ricorrente poteva esser valutato incidenter tantum), ora “l'attitudine del procedimento a pervenire ad una pronunzia sul merito della domanda (…) è necessariamente condizionata dalla sussistenza nel soggetto ricorrente della legittimazione ad agire … ecco allora che l'accertamento dell'esistenza del credito costituisce un passaggio imprescindibile per il tribunale potendosi dichiarare il fallimento solo dopo avere accertato che il soggetto che ha proposto il ricorso è dotato della necessaria legittimazione ad agire”. Il tema è affrontato anche dal Tribunale di Monza nel decreto 8 marzo 2012 (sempre in ilcaso.it, Legge fallimentare, massimario, sub art. 6).
Il Tribunale sardo esclude quindi che rientri nei poteri del tribunale fallimentare valutare la fondatezza nel merito delle contestazioni mosse dal debitore avverso il credito. “Se si opinasse per la soluzione opposta la valutazione espressa dal tribunale in sede pre-fallimentare si risolverebbe in un giudizio prognostico sull'esito di una lite già pendente, espresso peraltro allo stato degli atti esistenti al momento della decisione sul ricorso fallimentare e, dunque, soggetto ad essere privo (…) della necessaria completezza delle ragioni difensive delle parti e degli elementi di prova da porre a fondamento della decisione sull'esistenza del credito e, conseguentemente, caratterizzato da un ampio margine di discrezionalità”.
Viceversa, secondo il Tribunale, la prova del credito fondante la legittimazione dell'istante, quando è pendente avanti l'autorità giudiziaria un giudizio, non potrebbe considerarsi esistente sino a che la relativa pronunzia di accertamento non sia stata emanata con efficacia di giudicato, in particolare (era il caso esaminato) in caso di obbligazione portata da titolo provvisoriamente esecutivo “che nel prosieguo del giudizio o viene sostituito da un titolo definitivo o viene rimosso in radice e la sua provvisorietà, si badi, non concerne solo il profilo della sua esecutività, ma si riverbera anche, e soprattutto, in ordine alla sua stessa esistenza, proprio perché è pendente il giudizio in ordine al suo accertamento”. Tale argomentazione conduce quindi il Tribunale a rigettare il ricorso per difetto della prova della qualità di creditore in capo all'istante.
Per la verità la Corte fiorentina sembra cogliere solo il tema della possibile interferenza fra diversi organi giudiziari e non quello della legittimazione, considerato che circoscrive l'efficienza della contestazione giudiziale all'ipotesi di anteriorità e non manifesta infondatezza.

Le conclusioni

Sul tema della rilevanza dell'inadempimento di un unico credito giudizialmente contestato, la Corte fiorentina non si discosta dall'orientamento consolidato, che esige la valutazione della fondatezza della contestazione, sia pure con giudizio incidentale sommario, per accertarne l'irriconducibilità ad impotenza patrimoniale.
In questo quadro si colloca la tesi dell'impossibilità di un sindacato di merito della fondatezza dell'opposizione oltre il limite della manifesta infondatezza, che pur lascia spazio a dubbi, stante la natura giurisdizionale contenziosa assunta dal procedimento pre-fallimentare, nel 'contenitore neutro'del rito camerale, che non esclude la fase istruttoria e che non sembra porre problemi di interferenza con altri giudizi pendenti, considerato che “l'accertamento incidentale in sede prefallimentare circa l'esistenza del credito è privo di ogni attitudine al giudicato, tanto è vero che il creditore istante può chiedere l'ammissione al passivo e questa può essergli rigettata anche nel caso in cui il giudice prefallimentare abbia ritenuto sussistere il credito, ovvero, in caso di rigetto dell'istanza di fallimento perché il credito è ritenuto insussistente, il creditore potrà farlo valere in giudizio innanzi al giudice ordinario” (Cass. n. 23338/2010).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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