Sulla revocatoria fallimentare del pagamento di prestazione professionale

Gianfranco Di Marzio
25 Luglio 2012

Ai fini dell'esenzione da revocatoria, le prestazioni rese dall'avvocato non rientrano nella previsione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f) l. fall.
Massima

Ai fini dell'esenzione da revocatoria, le prestazioni rese dall'avvocato non rientrano nella previsione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f) l. fall.

Il caso

Uno spunto d'interesse dell'ordinanza in commento è là dove essa tratta la questione della revocabilità del pagamento di un credito professionale a fronte di talune fattispecie esentative previste nell'art. 67, comma 3, l. fall.

Il Tribunale affronta, innanzitutto, la questione dell'interesse ad agire della curatela fallimentare, ritenendolo sussistente anche - come nel caso di specie - quando non vi sia prova di un concreto danno subito dalla massa dei creditori in seguito all'effettuato pagamento, stante, comunque, la verificatasi lesione della par condicio creditorum quale danno in re ipsa.
Prosegue escludendo l'esenzione stabilita dall'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., dei “pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso”, giacché il pagamento era stato eseguito al di fuori degli ordinari rapporti commerciali, ed in effetti coartato mediante procedimento di espropriazione presso terzi (oltre che avvenuto durante la fase di liquidazione dell'impresa poi cessata per il fallimento dell'imprenditore).
Afferma inoltre l'insussistenza dell'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., riguardante “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”, per non essere il libero professionista un “collaboratore” del fallito. E ciò per due ragioni: i) sia in quanto alla successiva lettera g) del medesimo terzo comma è prevista una specifica fattispecie di esenzione per pagamento di compenso libero-professionistico che non avrebbe ragion d'essere in presenza di una precedente e generale esenzione per ogni pagamento di prestazioni di tal tipo; ii) sia perché la prestazione lavorativa del “collaboratore” mal si concilierebbe con i caratteri di intellettualità ed autonomia propri della prestazione professionale.
Il provvedimento si conclude con la statuizione sulla irrevocabilità del versamento della ritenuta d'acconto all'erario: sia in quanto considerato pagamento inerente ad obbligazione tributaria propria del sostituto d'imposta e non già del sostituito (che resta totalmente al di fuori del sistema di esazione); sia perché trattasi di pagamento sancito come irrevocabile dalla legislazione di settore allorquando relativo - come nel caso di specie - ad imposte scadute.


Le questioni giuridiche e le soluzioni

L'ordinanza in commento affronta varie questioni di notevole rilievo, tra cui la natura dell'azione revocatoria fallimentare (aderendo alla concezione anti-indennitaria) ed il limite della esenzione stabilita dall'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall.
Quest'ultimo problema, anche per la novità che investe la costruzione della tutela degli interessi in gioco, è prescelto quale oggetto della riflessione che segue.
Come già detto, la norma dispone l'irrevocabilità dei “pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”.
Essa, dunque, emanata con la più risalente delle tre riforme della legge fallimentare (e cioè quella adottata mediante D.L. n. 35/2005 convertito con L. n. 80/2005), sottrae all'azione ex art. 67 l. fall. la prestazione pecuniaria versata ai collaboratori dell'imprenditore in ragione del lavoro svolto per quest'ultimo.
È immessa nella legge fallimentare, ed ivi trova tutela, una ben precisa categoria sociale di lavoratori: quella dei “collaboratori, anche non subordinati, del fallito”.
In generale, l'ambito di applicazione dell'esenzione potrà essere precisamente individuato avendo riguardo ai due oggetti di tutela: il primo immediato e strumentale, il secondo mediato e primario.
Attraverso la diretta tutela della circoscritta categoria indicata (quella dei collaboratori del fallito), si perviene, infatti, alla scoperta della ratio della norma nell'indiretta e precipua tutela dell'imprenditore in crisi economico-finanziaria più o meno grave.
In particolare, è stato ritenuto in giurisprudenza che “L'esenzione dalla revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., si applica a quei rapporti che sono indispensabili per permettere la continuazione dell'attività d'impresa, allo scopo di risollevarne le sorti, anche quando si profilano gli estremi dell'insolvenza”.
Dunque, l'interesse fondamentalmente protetto sembra essere quello di evitare la “desertificazione aziendale” che presumibilmente seguirebbe al crollo di fiducia dei collaboratori verso l'imprenditore insolvente. Soltanto convincendo i lavoratori dell'intangibilità di tutti i compensi percepiti, potranno infatti evitarsi l'emorragia di forza lavoro ed il conseguente declino dell'attività produttiva.
La richiamata lettura evidenzia la ragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore di un surplus di tutela, rispetto agli altri lavoratori, in favore dell'eterogeneo gruppo dei “collaboratori (subordinati e non subordinati) del fallito”; e ciò ancorché il codice civile, nella connessa materia dell'ordine di graduazione dei privilegi sui crediti, stabilisca un preciso rapporto di prevalenza dei lavoratori subordinati su quelli autonomi (cfr. art. 2777, comma 2, c.c.).
Il “collaboratore del fallito” è infatti considerato dal legislatore non tanto e non solo quale lavoratore, quanto e soprattutto quale irrinunciabile elemento dell'organizzazione di mezzi approntata dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.
Mediante adeguata considerazione della funzione della norma è ravvisabile la ragione della comune sottrazione all'azione revocatoria fallimentare di lavoratori, al contempo, tra loro diversamente considerati nell'ambito della disciplina dei privilegi e quindi in sede di riparto della liquidata massa attiva.
Volendo abbozzare un paragone, può dirsi che, mentre la forma di tutela di cui trattasi è principalmente rivolta all'impresa e soltanto residualmente al suo lavoratore, in modo molto diverso ed in senso pressoché opposto, quella apprestata dall'art.104-bis, comma 2, l. fall., mediante criterio di scelta dell'affittuario dell'azienda del fallito anche secondo “conservazione dei livelli occupazionali”, riguarda unicamente il lavoratore, essendo, almeno di principio, probabilmente inutile, e forse perfino di ostacolo, alla prosecuzione dell'impresa, il trasferimento con l'azienda di tutti o quasi i contratti di lavoro che la riguardano.
Tuttavia, non deve sfuggire che l'applicazione indiscriminata dell'esenzione ad ogni lavoratore che abbia avuto qualche, pur minimo, contatto con l'imprenditore in crisi pregiudicherebbe i creditori destinati alla soddisfazione prioritaria in sede di riparto (si pensi ai professionisti che abbiano operato in favore della procedura concorsuale oppure ai dipendenti dell'imprenditore fallito rispetto ai suoi “collaboratori non subordinati”).
In questa prospettiva, dalla lettera della norma, che riserva il beneficio dell'esenzione ai “dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”, possono già trarsi tre fondamentali (e quasi ovvie) considerazioni.
La prima: il fatto che l'esenzione riguardi i collaboratori, subordinati o meno, del fallito, val quanto dire che essa spetti a tutti tali collaboratori ed a loro soltanto.
La seconda: potendo essere detti collaboratori sia lavoratori subordinati che lavoratori autonomi, la figura giuridica del “collaboratore” risulta genere delle due specie quindi entrambe sono comprese in essa.
La terza: mentre dal rapporto tra la contenuta nozione di “dipendente” e la contenente nozione di “collaboratore” deriva che è collaboratore qualsiasi dipendente (sia egli prestatore d'opera intellettuale o puramente esecutiva), lo stesso non vale per il lavoratore non subordinato, che potrà invece essere eventualmente ritenuto in siffatta condizione soltanto all'esito dell'attività dell'interprete.
Da quanto appena detto deriva la questione circa l'individuazione, seppur soltanto in termini generali, dei “collaboratori autonomi” dell'imprenditore in crisi.
Non par dubbio, innanzi tutto, che della categoria facciano parte i c.d. lavoratori parasubordinati ovvero coloro che, ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c., abbiano con l'imprenditore “rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
In merito, appare logico chiedersi se la nozione di “collaborazione” considerata dalla norma appena riportata e quella di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., abbiano contenuto comune. Non essendovi specifiche norme che inducano a ritenere l'opposto e, al contempo, riguardando entrambe quelle confrontate, sia pure con funzioni tra loro molto diverse, la disciplina, in senso lato, dei rapporti di lavoro, potrebbe propendersi per la soluzione affermativa. Con la precisazione che la “collaborazione” contemplata dalla disposizione della legge fallimentare ha verosimilmente contenuto più ampio, non richiedendo, per la sua integrazione, gli elementi di fattispecie della attività lavorativa “continuativa”, “coordinata” e “prevalentemente personale”.
Se così è, può giungersi alla conclusione secondo cui, oltre che, come detto, i lavoratori subordinati, anche quelli parasubordinati sono tutti “collaboratori” dell'imprenditore non più solvibile.
Resta da considerare la categoria dei lavoratori autonomi in senso stretto e proprio; quella cioè che interessa più da vicino per la coerenza dovuta dalla trattazione all'oggetto della richiamata pronuncia del Tribunale di Napoli.
Tale pronuncia affronta, tra l'altro, la questione dell'estensione o meno del beneficio dell'esenzione di cui finora si é detto a talune figure di liberi professionisti - quelle che possono svolgere, ex art. 67, comma 3, lett. g), l. fall., “prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata (riferimento normativo soppresso dall'art. 147, comma 2, D. Lgs. n. 5/2006: n.d.r.) e di concordato preventivo” - e, tra esse, all'avvocato.
L'argomentazione inerente all'esclusione dal beneficio di tale libero professionista riposa su due motivi.
Il primo è sorretto da logica chiara e difficilmente confutabile: se del beneficio spettante ai “collaboratori del fallito” (art. 67, comma 3, lett. f), l. fall.) godessero pure i professionisti che possono spendere la loro opera per consentire l'accesso dell'imprenditore a determinate procedure concorsuali, risulterebbe pleonastica la specifica esenzione che li riguarda (art. 67, comma 3, lett. g), l. fall.), in quanto già implicitamente contenuta nella generale previsione normativa di “pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da (…) collaboratori, anche non subordinati, del fallito”.
Molto meno convincente, invece, appare il secondo motivo, così esplicato: “la definizione (postulata dal resistente) dell'avvocato quale collaboratore (non subordinato) dell'imprenditore poi fallito stride con il carattere intellettuale (e, quindi, autonomo) della prestazione resa dal primo”.
Innanzi tutto, infatti, le espressioni “lavoratore non subordinato” e “lavoratore autonomo” sono tra loro sinonime e non antinomiche; in secondo luogo, il carattere intellettuale oppure manuale di una prestazione non deriva dallo status di lavoratore autonomo o di dipendente del prestatore d'opera, bensì, evidentemente, dal contenuto della prestazione da eseguire. Cosicché nell'ambito del lavoro autonomo può esservi attività intellettuale (come nel caso del libero professionista) oppure manuale (come nel caso dell'artigiano); ed egualmente nell'ambito del lavoro subordinato può esservi prestazione intellettuale (è il caso del dirigente d'azienda sottoposto all'imprenditore) ovvero manuale (si pensi, ad esempio, all'operaio).
Comunque, dato che il suddetto primo motivo di esclusione é autosufficiente nel fornire di adeguata ragione l'orientamento manifestato, può dirsi che la pronuncia contribuisca in modo condivisibile all'individuazione dell'ambito di applicazione del beneficio riservato ai “collaboratori del fallito”, negandolo ai suddetti liberi professionisti, tra i quali l'avvocato.

Le questioni aperte

Richiamato l'approdo interpretativo del Tribunale di Napoli, pare opportuno chiedersi se l'esclusione dei menzionati liberi professionisti dall'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., motivata con l'applicabilità, all'opposto, di quella, più circoscritta, prevista dall'art. 67, comma 3, lett. g), l. fall., soffra o meno di qualche eccezione. In altre parole, sembra importante verificare se l'avvocato e gli altri liberi professionisti beneficiari dell'esenzione da revocatoria fallimentare in ultimo menzionata non possano mai essere compresi, perciò stesso, tra i “collaboratori” dell'imprenditore vicino al fallimento e così godere del corrispondente beneficio, ovvero se residuino ipotesi in cui la concreta modalità di esercizio della professione consenta di qualificarli in tal senso.
Ebbene, già da epoca risalente la Cassazione ritiene collaboratore dell'imprenditore-cliente, secondo la fattispecie di cui all'art. 409 n. 3, c.p.c., l'avvocato che svolga per quest'ultimo prestazione d'opera continuativa e coordinata oltre che di tipo prevalentemente personale.
In particolare, la fattispecie indagata riguarda un accordo professionale fondato sull'impegno alla reiterazione degli incarichi a fronte di corrispettivo inferiore al minimo di tariffa forense: il rapporto negoziale ebbe luogo mediante l'assegnazione ininterrotta “dal 1965 al 1983” di “oltre 3000 pratiche (…) con l'obbligo di presentarsi ogni giorno presso gli uffici (…) per ricevere i corrispondenti incarichi” che sarebbero stati svolti con “attività adeguata alle istruzioni” e strumentale al raggiungimento dei fini del cliente, seppur causativa di “una consistente riduzione nelle prestazioni effettuate in favore di altri clienti”.
Si è in presenza, dunque, di un rapporto di lavoro libero-professionale di tipo parasubordinato, in cui il lavoratore ha operato per la soluzione di una elevata quantità di questioni in periodo di tempo risultato proporzionalmente piuttosto breve. Il professionista che svolga, per uno stesso cliente-imprenditore, una enorme quantità di incarichi con impegno medio, relativo ad ognuno di essi, di un paio di giorni, è lavoratore presumibilmente investito di prestazioni dai contenuti tra loro similari ed implicanti scienza tecnica nella gestione delle controversie fisiologicamente derivanti dalla nascita e prosecuzione dell'impresa. Il professionista che, invece, operi per l'accesso dell'imprenditore-cliente alla preferita procedura concorsuale alternativa al fallimento, si produce in prestazioni verosimilmente uniche ed implicanti scienza tecnica su contenuto e funzione delle norme proprie dell'instaurando procedimento concorsuale.
Sembra discendere, da quanto detto, che il professionista-parasubordinato:
a) siccome “collaboratore” ex art. 409 n. 3, c.p.c. (dell'imprenditore successivamente fallito), goda dell'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall.;
b) in ragione della tipologia dell'attività espletata, presumibilmente non goda dell'esenzione ex art. 67, comma 3, lett. g), l. fall., che così trovasi restituita a tutta la sua ragion d'essere attraverso l'individuazione del suo ambito di applicazione.


Conclusioni

La solida logica sottesa all'argomentazione di principio del Tribunale di Napoli, secondo cui la domanda di revoca del pagamento della prestazione del libero professionista, ed in particolare dell'avvocato, non soffre dell'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., per essere soggetta alla diversa e più circoscritta esenzione ex art. 67, comma 3, lett. g), l. fall., implicitamente compresa nella prima e così fornita di ragion d'essere proprio in quanto esclusivamente applicabile, non solleva l'interprete dal compito della verifica circa le effettive modalità di svolgimento di detta tipologia di prestazione, potendo ricorrere nel prestatore d'opera intellettuale la condizione di lavoratore parasubordinato al cliente-imprenditore in crisi, con conseguente sua ricomprensibilità nel novero dei collaboratori di quest'ultimo, tutti beneficiari dell'apposita esenzione.
Né ciò pare sufficiente per considerare vuota la suddetta esenzione ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. g), l. fall., posto che la condizione di parasubordinazione del libero professionista costituisce, appunto, mera eventualità, probabilmente anche piuttosto rara. L'utilità della norma appena richiamata, dunque, permane, ed essa ha ambito di applicazione, ogni qual volta (e dovrebbe trattarsi della situazione più frequente) il libero professionista operi secondo piena autonomia e senza regime di collaborazione con l'imprenditore-cliente.
La convenienza dello scrutinio appare poi evidente per entrambe le parti del contratto d'opera intellettuale: il cliente-imprenditore eviterà di subire la rinuncia all'incarico da parte del professionista incerto sulla rimuneratività della prestazione da assolvere e quest'ultimo godrà di protezione totale - e non per le sole, eventuali, specifiche, prestazioni contemplate nell'art. 67, comma 3, lett. g), l. fall. - dall'azione revocatoria fallimentare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sull'esenzione da revocatoria ex art. 67, comma 3, lett. f), l. fall., cfr.: Trib. S. M. Capua Vetere, 25 novembre 2010, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 2, II, 215, la cui massima è stata trascritta nel testo; in dottrina, D. Plenteda, Art. 67, comma 3, l. fall., lett. a), c), f), g), in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini, vol. II, Torino, 2010, 218 e ss.; S. Bonfatti, Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, vol. I, Torino, 2009, 661 e ss.
Per la casistica circa le tipologie di lavoratori beneficiari dell'esenzione, oltre che D. Plenteda, Art. 67, comma 3, l. fall., lett. a), c), f), g), cit., v. anche G. Limitone, sub Art. 67, in La legge fallimentare, a cura di M. Ferro, II ed., Padova, 2011, 741 e ss..
In relazione alla figura del libero professionista (in particolare avvocato) lavoratore parasubordinato, v. Cass. civ., sez. lav., 5 novembre 1986, n. 6475, considerata nel testo.

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