Speciale Decreto Sviluppo-bis: l'ammissione al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento: un primo commento

06 Febbraio 2013

Il c.d. "Decreto Sviluppo-bis" ha apportato rilevanti modifiche anche alla disciplina della procedura iniziale della composizione della crisi da sovraindebitamento come si desume dall'art. 10, che fornisce chiarimenti sulla scansione temporale della fase di ammissione e sul contenuto essenziale del decreto.
Il nuovo testo della norma

Art. 10

(Procedimento)

1. Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9, fissa immediatamente con decreto l'udienza, disponendo la comunicazione, almeno trenta giorni prima del termine di cui all'art. 11, comma 1, ai creditori presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto. Tra il giorno del deposito della documentazione di cui all'art. 9 e l'udienza non devono decorrere più di sessanta giorni.

2. Con il decreto di cui al comma 1, il giudice:

a) stabilisce idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto, oltre, nel caso in cui il proponente svolga attività d'impresa, la pubblicazione degli stessi nel registro delle imprese;

b) ordina, ove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura dell'organismo di composizione della crisi, presso gli uffici competenti;

c) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili.

3. All'udienza il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto di cui al comma 1 e ordina la cancellazione della trascrizione dello stesso, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta.

3-bis. A decorrere dalla data del provvedimento di cui al comma 2 e sino alla data di omologazione dell'accordo gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto.

4. Durante il periodo previsto dal comma 2, lettera c), le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

5. Il decreto di cui al comma 1 deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento.

6. Si applicano, in quanto compatibili, gli

articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile

. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Osservazioni

Con la riforma varata con il c.d. Decreto Sviluppo-bis n. 179 del 18 ottobre 2012, l'art. 10 sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento ne esce profondamente modificato.

Al comma 1 è stato innanzitutto aggiunto il riferimento all'art. 8 (contenuto dell'accordo), con riguardo ai requisiti della proposta che il Giudice deve vagliare ai fini dell'emissione del decreto di fissazione di udienza. Si tratta di una modifica che sembra deporre a favore della tesi per la quale il giudice può, già in questa fase preliminare del procedimento, esercitare un

sindacato di merito

sulla proposta. D'altra parte, tale norma va posta in relazione con il disposto dell'art. 9, comma 3-ter, che stabilisce il

potere del giudice di richiedere al debitore di integrare la proposta e produrre nuovi documenti

. Occorre peraltro precisare che sulla possibilità di sindacare il merito della proposta in questa fase preliminare, vi sono opinioni contrastanti in dottrina (

F. Di Marzio, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento; Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del Tribunale; F. Lamanna, Composizione delle crisi da sovraindebitamento: poteri e funzioni del Tribunale; L. Panzani, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il

D.L. 18 ottobre 2012, n. 179

in ilFallimentarista.it

).Neppure con il

D.L. n. 179/2012

si è disciplinata l'eventualità che il giudice non ritenga soddisfatti i requisiti della proposta, sicché, come già posto in luce dai primi commentatori della normativa originaria, si può ipotizzare, secondo la tesi preferibile, che in tale evenienza il giudice debba concludere il procedimento con un decreto di inammissibilità della proposta (

L. Pagni, Procedimento e provvedimenti cautelari ed esecutivi, in Fall., 2012, 1063 ss.; M. Farina, Procedimento, in AA.VV., Composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2012, 43

). Il decreto di fissazione di udienza, anche qui in assenza di indicatori normativi, ma in armonia con il rinvio al procedimento camerale che pervade l'intera disciplina, deve ritenersi reclamabile

ex

art. 739 c.p.c.

, e, come si è sostenuto già nella vigenza della disciplina anteriore, nel caso in cui il giudice ritenesse inammissibile la proposta per mancanza dei requisiti soggettivi di cui all'art. 7, comma 2, il provvedimento reso in sede di reclamo sarebbe ricorribile in cassazione stante la sua natura decisoria e definitiva. Il Decreto sviluppo-bis ha poi introdotto, sempre nel comma 1, alcuni utili chiarimenti sulla scansione temporale della procedura iniziale e sull'onere del debitore di instaurare il contraddittorio con i suoi creditori (

L. Panzani, Composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Il nuovo diritto delle società, 2012, 16

). E così, la norma novellata stabilisce che tra il giorno della comunicazione ai creditori del ricorso e del decreto di fissazione di udienza e il termine per far pervenire la dichiarazione di consenso (o di dissenso) rispetto alla proposta, di cui all'art. 11, comma 1 (ovvero dieci giorni prima dell'udienza), debbano intercorrere almeno trenta giorni, mentre, a seguire, è previsto un termine anticipatorio diretto al giudice, ove viene sancito che tra il giorno del deposito della documentazione di cui all'art. 9 e l'udienza, non possano decorrere più di sessanta giorni. Naturalmente, sembra ragionevole ritenere che in caso di richiesta di integrazione della domanda o della documentazione ex art. 9, comma 3-ter, il termine decorra dal deposito di tali integrazioni. Il mancato rispetto del primo termine, in ossequio al suo carattere di termine a difesa, dovendosi imputare solo al fatto dell'organismo di composizione della crisi coinvolto (sono gli OCC che, ai sensi del nuovo art. 15, comma 7, eseguono le comunicazioni), non dovrebbe risolversi in una declaratoria di inammissibilità della proposta o in una mancata omologazione, ma, semmai, in un rinvio dell'udienza per consentire ai creditori di poter godere del necessario spatium deliberandi. Il secondo termine, invece, attenendo propriamente a esigenze di speditezza del procedimento e dovendosi necessariamente combinare con le concomitanti esigenze organizzative dell'ufficio giudiziario cui è rivolto, dovrebbe essere considerato pacificamente ordinatorio.

È stato invece eliminato dal comma 1 il riferimento, contenuto nella versione originaria della norma, all'avvertimento che il giudice doveva includere nel decreto di fissazione di udienza, in relazione ai provvedimenti che avrebbe potuto assumere all'udienza stessa ai sensi del terzo comma previgente, disponendo che per un massimo di centoventi giorni non si sarebbero potute iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, sequestri conservativi o acquisire diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. Ora la protezione contro le azioni esecutive individuali, i sequestri conservativi e le prelazioni è stabilita nello stesso decreto di fissazione udienza in via automatica, come dispone il nuovo comma 2, lett. c, su cui infra, mentre il nuovo comma 3 attiene al caso di revoca del decreto, in presenza di atti in frode ai creditori.

Il comma 2 della disposizione in commento disciplina nel dettaglio il contenuto essenziale del decreto.

Alla lettera a) viene innanzitutto stabilito, riprendendo alla lettera la formulazione del secondo comma ante modifica, che esso debba contenere l'indicazione di un'idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto stesso, oltre alla pubblicazione in apposita sezione del registro delle imprese nel caso in cui il debitore svolga attività d'impresa. Quanto alla prima forma di pubblicità, sarà quindi il giudice che dovrà indicare le modalità specifiche con le quali debba essere effettuata, verosimilmente basando la sua scelta sulla quantità e qualità dei creditori (e non dei beni, come in un primo momento si era creduto di poter concludere sulla scorta della considerazione che mancava una disposizione che sancisse un obbligo di trascrizione nei registri immobiliari o mobiliari, quale ora è invece contenuto nella lett. b)(

D. Boggiali, La crisi da sovraindebitamento, in Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 61/2012/I, 5

).

Anche la predetta pubblicità, ai sensi dell'art. 15, comma 7, viene effettuata dall'organismo di composizione della crisi, a spese, si deve ritenere, del debitore. Questa considerazione dovrebbe forse orientare le scelte del giudice, nella misura in cui una pubblicità eccessivamente onerosa potrebbe pregiudicare l'attuabilità del piano o, semplicemente, risultare impossibile per il debitore privo dei fondi liquidi necessari. Quanto alla seconda forma di pubblicità (la pubblicazione nel registro delle imprese), merita osservare come tale adempimento venga ricollegato dalla norma in commento all'esercizio dell'attività d'impresa, da valutarsi quindi in concreto, e non al fatto che il debitore risulti effettivamente iscritto nel registro. Si deve quindi ipotizzare, in alternativa, o che la sezione dedicata alle iscrizioni delle proposte di composizione della crisi da sovraindebitamento possa accogliere domande di soggetti non iscritti nel registro imprese, ma che in concreto esercitino attività d'impresa secondo quanto possa accertare il giudice anche su indicazione dell'OCC in sede di vaglio preliminare della domanda, o che, in tali casi, si debba procedere previamente a un'iscrizione d'ufficio, seguita immediatamente dalla pubblicazione della proposta e del decreto sul registro.

Allorché il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o mobili registrati (e dunque, oltre agli automezzi, ai natanti, agli aeromobili, anche marchi, brevetti o altri titoli di proprietà industriale), il decreto deve altresì contenere l'ordine all'organismo di composizione della crisi di provvedere alla sua trascrizione “presso gli uffici competenti”.

Infine, come anticipato, il decreto deve contenere il c.d. ordine di protezione relativo al patrimonio del debitore, attraverso una specifica disposizione a contenuto predeterminato secondo la quale, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione dell'accordo non diventi definitivo, non possono essere iniziate o proseguite, dai creditori aventi titolo o causa anteriore, azioni esecutive individuali o sequestri conservativi né possono essere acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore. Tale limitazione, per espressa disposizione di legge, non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili. Quest'ultima previsione deve esser posta in relazione con quella contenuta nel successivo comma 5, laddove viene statuito che il decreto in questione dev'essere equiparato all'atto di pignoramento.

Ecco dunque, anche in tema di accordo per la composizione della crisi da sovraindebitamento, comparire il c.d. automatic stay, seppur in versione più limitata, che già caratterizza le procedure di concordato preventivo (esteso, nel nuovo testo dell'

art. 168 l.

fall

., ai procedimenti cautelari) e di accordo di ristrutturazione dei debiti

ex

art. 182-

bis

, comma 6,

l.

f

all

.

Sul tema, il Decreto Sviluppo ha, molto opportunamente, anticipato la protezione al momento di emissione del decreto di fissazione di udienza come conseguenza automatica e necessaria al positivo esito del vaglio di ammissibilità della proposta, recependo le prime indicazioni della dottrina che aveva visto nella previsione precedente, che posticipava detto provvedimento al decreto emesso all'esito dell'udienza con i creditori (vecchio comma 3), una potenziale falla del sistema, nella misura in cui i creditori più avveduti, una volta ricevuta la comunicazione della proposta e del decreto di fissazione di udienza, avrebbero potuto cercare in ogni caso di procurarsi titoli di preferenza nel lasso di tempo anteriore all'emissione del decreto di protezione, vanificando sostanzialmente la norma e mettendo in pericolo la stessa fattibilità del piano (

Guiotto, La nuova procedura per l'insolvenza del soggetto non fallibile, in Fall., 2012, 26; L. Pagni, op. cit., 1067, S.F. Filocamo, Deposito ed effetti dell'accordo, in Fall., 2012, 1047

). Rimane invece il divario rispetto alle norme in tema di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione previste nella

legge fallimentare

sotto il profilo oggettivo, nella misura in cui l'inibizione prevista dall'articolo in commento riguarda solamente le azioni esecutive, i sequestri conservativi e le prelazioni, mentre non menziona – con ciò escludendoli dall'ambito della protezione – i sequestri giudiziari e penali e le altre misure cautelari, invece contemplati negli

artt. 168

e

182-

bis

l.

fall

.

Quanto alle azioni esecutive individuali, parrebbe che l'inibizione operi senza eccezioni di sorta, e dunque riguardi anche quelle derivanti da mutuo fondiario, invece sottratte al divieto di prosecuzione in materia fallimentare

(artt. 51 l.

fall

. e 41, comma 2,

d.lgs. n. 385/1993

). Pare invece pacifico che il divieto non si estenda alle esecuzioni collettive, con la conseguenza che qualsivoglia creditore potrà depositare un'istanza di fallimento ai danni del debitore (

Trib. Milano 15 ottobre 2009

) sempre che sia fallibile direttamente – e quindi sottratto alla disciplina de qua – o in estensione.

Diversamente da quanto previsto in tema di accordi di ristrutturazione, invece, il divieto di costituire ulteriori titoli di prelazione a favore di creditori aventi titolo o causa anteriore (si deve ritenere, alla luce del disposto dell'art. 12, comma 3, all'espletamento della pubblicità) sembra esteso anche a quelli concordati. I primi commentatori hanno criticato questa impostazione anche sulla scorta della considerazione per la quale, in assenza di uno spossessamento dei beni del debitore, non vige alcun divieto di pagamento dei debiti da parte del debitore medesimo, comportamento ben più destabilizzante rispetto alla costituzione di titoli di prelazione, sicché l'asimmetria della disciplina sembra, sotto questo profilo, piuttosto evidente.

La sanzione che consegue all'inosservanza dell'inibitoria di protezione è indicata – analogamente a quanto accade nell'

art. 168 l.

f

all

. – nella “nullità”, si suppone, degli atti eseguiti in violazione della stessa. Da ciò potrebbe desumersi che, mentre resta nullo il procedimento iniziato successivamente all'emissione del decreto e quindi inidoneo a produrre alcun effetto, potrebbe rimanere sospesa l'iniziativa intrapresa prima dell'emissione del decreto, ma ancora in corso in quel momento. Si determinerebbe quindi una sorta di “sospensione” del giudizio di sequestro o dell'azione esecutiva individuale sino al momento in cui, pare potersi pensare solo per revoca e mancata omologazione, la protezione non cessi e tali procedimenti possano quindi essere proseguiti. Un indizio a favore di questa tesi è dato anche dal tenore letterale dell'ultima parte della disposizione laddove viene precisato che “la sospensione”, per l'appunto, “non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili”.

È stata invece soppressa dal Decreto Sviluppo la disposizione secondo la quale veniva stabilito che le procedure esecutive individuali potevano essere sospese per una sola volta, anche in caso di successive proposte di accordo. Resta però previsto, con lievi modifiche rispetto al testo originario, all'art. 7, comma 2, lett. b, tra le condizioni di ammissibilità della proposta il non aver “fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui al presente capo”.

Anche la durata della misura, originariamente fissata in non oltre centoventi giorni, è stata modificata e resa più elastica, essendone ora prevista l'efficacia sino al momento in cui il provvedimento sull'omologazione non sia divenuto definitivo. Il termine non è in ogni caso “in bianco”, posto che ai sensi dell'art. 12, comma 3-bis, nuovo testo, l'omologazione deve necessariamente intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta, ma, con il riferimento alla definitività del provvedimento operato nella disposizione in commento, il patrimonio resta protetto anche durante le eventuali fasi di impugnazione.

Fa da contraltare all'inibitoria il fatto che, come previsto nel comma 4, durante il periodo di protezione le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

Il terzo comma dell'art. 10 prevede che il Giudice possa revocare il decreto di cui al primo comma, se accerta la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori.

L'accertamento del Giudice non può che scaturire da un esame o della documentazione allegata dall'istante alla proposta (art. 9, comma 2), nell'ambito della quale si annoverano anche le scritture contabili degli ultimi tre esercizi se il debitore svolge attività di impresa, o della relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi (art. 9, comma 3-bis).

Inoltre, visto che tale accertamento viene svolto “all'udienza” e che la stessa si tiene a seguito della comunicazione a tutti i creditori del decreto di cui al primo comma dell'art. 10, è ben possibile che il Giudice possa verificare l'esistenza degli atti in frode su impulso ed iniziativa di uno o più creditori.

Applicandosi al procedimento, in quanto compatibili, gli

artt. 737 e segg. del c.p.c.

, è altresì possibile che il Giudice formi il suo convincimento dopo aver assunto in giudizio ulteriori elementi di prova in conformità con i principi che reggono i procedimenti in camera di consiglio.

Nulla vieta al Giudice di assumere anche d'ufficio informazioni da terzi, dalla Pubblica Amministrazione (con un'iniziativa simile a quella prevista dall'

art. 213 c.p.c.

); da consulenti tecnici; o di dar corso alle istanze istruttorie eventualmente proposte dalle parti.

Ma cosa deve accertare il giudice all'udienza; o meglio, quali sono gli “atti in frode”?

Sicuramente è utile trarre spunto da quanto dispone l'

art. 173, comma 1

l.

f

all

. in materia di revoca dell'ammissione al concordato preventivo.

Potranno, quindi, considerarsi “atti in frode” l'aver occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti. Il semplice riferimento ad “atti in frode ai creditori” consente comunque di estendere la fattispecie a casi non tipizzati dalla legge, già elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza chiamate ad interpretare tale concetto nell'ambito della revoca del concordato preventivo (

Maffei Alberti, in Comm. alla Legge Fallimentare, sub art. 173 l. fall., Padova, 2009, 992

).

In questa prospettiva, la “frode ai creditori” potrebbe integrarla ogni altro comportamento del debitore volto a ingenerare una falsa rappresentazione sia delle condizioni di ammissibilità della proposta (art. 7, comma 2), sia dei dati contenuti nei documenti da depositarsi insieme alla proposta (art. 9, comma 2); o ogni altra condotta destinata ad impedire ai creditori che il loro consenso si formi su una rappresentazione veridica e conforme alla realtà dei dati e delle condizioni.

Rientrano sicuramente in tali categorie la rappresentazione di attività inesistenti, la consapevole indicazione di garanzie reali prive di contenuto o di fideiussori manifestamente insolventi, la sottrazione di denaro o di altre voci attive effettuata dal debitore prima della proposta.

D'altronde, un giudizio particolarmente rigoroso sulla condotta del debitore – pur in controtendenza con l'atteggiamento più benevolo emerso dalla riforma del concordato preventivo – si giustifica se solo si pone mente ad alcuni peculiari contenuti della relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi, che deve, infatti, contenere anche “l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere volontariamente le obbligazioni”, nonché “l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte”; e ancora “l'indicazione dell'eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dal creditore”, così come il “giudizio sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata” (cfr. art. 9, comma 3-bis).

Si potrebbe, quindi, giungere a ravvisare atti in frode anche in illeciti (inclusi quelli gestionali o contabili, se trattasi di imprenditore), che abbiano influito sulla corretta rappresentazione dei dati enucleati nella proposta, o comunque che abbiano inciso causalmente nella determinazione di un danno per i creditori.

Questa possibile ampiezza degli “atti in frode”, al cui accertamento consegue la revoca del decreto di “apertura” dell'iter, potrebbe non essere smentita dalla limitazione prevista, invece, dall'art. 14, comma 1, che disciplina i casi in cui l'accordo può essere annullato dal Tribunale su istanza di ogni creditore.

Le sole ipotesi espressamente previste per poter esperire l'azione di annullamento (come indicato nell'ultimo inciso del primo comma, a contrariis), non prevedono affatto l'enunciazione del generico rinvio agli “atti in frode”.

Il legislatore, che ha saputo, e quindi evidentemente voluto, utilizzare tale concetto all'art. 10, ben avrebbe potuto utilizzarlo analogamente all'art. 14, comma 1.

Il fatto che, invece, le fattispecie legittimanti l'annullamento siano ben enucleate, e molto circoscritte (l'aumento o la diminuzione del passivo deve essere sorretto da dolo o colpa grave; la sottrazione o la dissimulazione dell'attivo deve avere ad oggetto una “parte rilevante” dello stesso; nuovamente vi deve essere dolo o colpa grave nell'aver simulato attività inesistenti), dipende dal fatto che si tratta di due categorie di atti, pur sempre da sanzionare, ad ampiezza diversa, in conseguenza della diversa fase dell'iter in cui essi rilevano. La prima, più ampia, nella fase iniziale; la seconda più circoscritta, in una fase del procedimento avanzata, ad accordo già omologato e/o in fase di esecuzione.

Peraltro, il giudice può sanzionare non solo gli atti in frode ai creditori ma anche la presenza di semplici iniziative in frode.

Non è del tutto chiaro cosa si intenda per iniziative in frode. Analoghe perplessità potrebbero peraltro nutrirsi con riferimento all'ultimo comma dell'art. 11, che evoca la categoria degli “atti diretti a frodare le ragioni dei creditori”.

Parrebbe che, quindi, il legislatore, per circoscrivere la portata della possibile sanzione della revoca, abbia voluto evocare principi forse mutuati dall'esperienza penalistica in tema di delitto tentato.

Si potrebbe, quindi, sostenere che tali iniziative non devono solo essere idonee oggettivamente, con valutazione ex ante, a porre in essere atti in frode; perché la sanzione possa essere applicata, proprio in quanto trattasi di mere iniziative, è necessario anche l'elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza in capo al debitore che quella iniziativa è finalizzata, in effetti, a porre in essere “la frode”, come sopra intesa.

Il comma 3-bis pone due problemi : quali sono gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione e quale tipologia di inefficacia si realizzi, se detti atti vengano compiuti senza l'autorizzazione del giudice.

Anche in tal caso soccorre la disciplina dettata nell'ambito del concordato preventivo. Sono sicuramente atti di straordinaria amministrazione, o meglio atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, quelli espressamente indicati dall'

art. 167, comma

2

, prima parte, l.

f

all

.

Si può parimenti rinviare ai principi elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, laddove si è dato all'atto eccedente l'ordinaria amministrazione un significato residuale rispetto all'opposta categoria dell'atto di ordinaria amministrazione.

Sono, quindi, di ordinaria amministrazione gli atti di comune gestione del patrimonio e/o dell'azienda (nel caso di imprenditore), strettamente aderenti alle finalità e dimensioni del patrimonio e quelli che – ancorché comportanti una spesa elevata – lo migliorino o anche solo lo conservino; ricadono, invece, nell'area della straordinaria amministrazione gli atti suscettibili di ridurre o gravare il patrimonio di pesi o vincoli cui non corrispondono acquisizioni di utilità reali su di essi prevalenti.

Trattasi di una valutazione da compiersi caso per caso, rapportandola al concreto contenuto del piano proposto dal debitore.

Gli atti posti in essere sono validi, ancorché inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto, per difetto di una condicio iuris.

L'inefficacia, pertanto, non può essere fatta valere dal debitore proponente, né dai suoi eredi o aventi causa, per i quali l'atto conserva la sua piena opponibilità, ma soltanto dai creditori anteriori a vantaggio dei quali tale inefficacia è prevista.

Si ritiene, anche in questo caso in conformità ai principi elaborati nell'ambito dell'

art. 167 l.

f

all

., che tali atti siano suscettibili di ratifica, mediante autorizzazione successiva del Giudice.

Il comma quinto, che equipara il decreto di cui al primo comma all'atto di pignoramento, comporta l'applicabilità degli

artt. 2912-2918

c.c

.

Le alienazioni dei beni del debitore (che sono tipicamente atti eccedenti l'ordinaria amministrazione), successive alla pubblicità prevista dall'art. 10, comma 2, lett. a) ed alla trascrizione prevista dalla lettera b), o antecedenti, ma trascritte, o notificate/accettate (nel caso di cessione di crediti) successivamente, o comunque prive di data certa, non sono opponibili ai creditori del debitore.

Parimenti, non hanno effetto in pregiudizio ai creditori del debitore gli atti che importino vincoli di indisponibilità se trascritti dopo le formalità previste dal comma 2 dell'art. 10, o se risultanti da atto avente data certa successiva alle stesse.

Analogo trattamento riceveranno anche le ipoteche e i privilegi, per la cui efficacia è necessaria l'iscrizione, o comunque sorti dopo l'espletamento delle pubblicità disposte dal giudice investito della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.