L'andamento economico dell'impresa tra la presentazione del concordato con riserva e il deposito della proposta. Analisi e pronunciamenti dell'attestatore

15 Ottobre 2013

In caso di presentazione di una domanda di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, l. fall., caratterizzata dalla continuità aziendale, assume rilevanza il tema della gestione dell'impresa nel c.d. periodo interinale, che intercorre tra il deposito della domanda con riserva alla presentazione della proposta definitiva. L'Autore analizza gli aspetti più dibattuti in dottrina e giurisprudenza, evidenziando in particolare il ruolo centrale dell'attestatore, chiamato a stabilire la forma di concordato di riferimento.
Introduzione

Una problematica che merita di essere approfondita attiene al risultato della gestione dell'impresa in continuità e ai suoi effetti sul mantenimento della garanzia patrimoniale durante il periodo che va dall'inizio del procedimento di concordato con riserva (o in bianco) di cui al

comma 6 dell'

art.

161 l

.

fall.

fino alla presentazione della proposta definitiva. Definiremo tale periodo come periodo interinale.

Cercheremo inoltre di far luce su come detta problematica debba essere affrontata e risolta dall'esperto sia nell'attestazione di fattibilità del piano di liquidazione, sia nella valutazione del miglior soddisfacimento dei creditori nel piano di continuità.

Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in corso sul concordato con riserva

Le innovazioni apportate alla

legge

fallimentare

dal d

ecreto

s

viluppo e la sentenza della

Corte di Cassazione

a Sez. Unite n. 1521/2013

sul ruolo del tribunale nel concordato preventivo hanno alimentato un dibattito che vede la dottrina ed anche la giurisprudenza non dare una lettura univoca e pacificamente concorde delle nuove norme.

Il dibattito trascina una serie di temi, tra i quali i più importanti sono:

a) se la procedura concordataria inizi con il decreto che concede il termine nel concordato con riserva;

b) se il tribunale - sulla base delle scarne informazioni che la legge richiede per ottenere l'apertura della procedura - abbia sufficienti elementi per poter dare seguito alle eventuali richieste in merito: all'autorizzazione degli atti di straordinaria amministrazione, al pagamento di debiti pregressi, all'assunzione di finanziamenti prededucibili, allo scioglimento e/o la sospensione dei contratti in corso di esecuzione;

c) quali siano i procedimenti in concreto utilizzabili dal tribunale in caso di abuso dello strumento in parola.

Sebbene si vada delineando un acceso confronto su detti temi, tutti gli autori sembrano concordare sul fatto che le difficoltà dei tribunali a pronunciarsi sugli accennati provvedimenti interinali risieda nel fatto che l'imprenditore che presenta il concordato con riserva non è tenuto ad anticipare i contenuti del piano che intende presentare ai creditori con la proposta. Ed anzi, qualora lo facesse, la legge non lo obbligherebbe a rispettare tale impegno, potendo lo stesso, fino alla data fissata dal tribunale per la presentazione della proposta, modificare il piano annunciato, ovvero:

a) ritirare la domanda di concordato con riserva – andando incontro alla sola sanzione di non poterne presentare un altro per i due anni successivi- ;

b) presentare un accordo di ristrutturazione del debito ex art. 182-bis l. fall.;

c) presentare un concordato classico di tipo liquidatorio;

d) presentare un concordato in continuità ai sensi dell'art. 186-bis l. fall.

Inoltre, tali ampi gradi di libertà offerti dalle nuove norme rischiano di far cadere in contraddizione eventuali autorizzazioni interinali rilasciate dai tribunali. Ad esempio: l'autorizzazione al pagamento di debiti pregressi è possibile solo nel concordato in continuità e sarebbe altresì compatibile con l'accordo di ristrutturazione dei debiti, ma non nel caso del concordato meramente liquidatorio; lo scioglimento di contratti pendenti dovrebbe sempre essere accompagnato da un'analisi di utilità che presuppone la conoscenza della percentuale di incapienza del chirografo al fine di comparare l'entità degli indennizzi che partecipano al concorso rispetto alle somme da pagarsi in prededuzione; sempre in merito allo scioglimento e/o sospensione dei contratti in corso, non avrebbero senso pronunzie del tribunale nel caso in cui il debitore, in sede di proposta definitiva, optasse per l'accordo di ristrutturazione del debito, etc.

Quando inizia la procedura di concordato?

Occorre anzitutto stabilire se, con il deposito del ricorso di pre-concordato si apra il concorso dei creditori non solo formalmente, come pare indubbio, ma anche sostanzialmente.

Questo tema costituisce un capitolo del più ampio dibattito fra i sostenitori della tesi secondo la quale il suddetto deposito apre di fatto la procedura di concordato (tesi sostanzialista), rispetto a quelli che tendono ad equiparare il periodo interinale ad un periodo di mera osservazione, ulteriormente caratterizzante lo spossessamento attenuato che si realizza con la procedura di concordato preventivo, senza però che da ciò conseguano particolari effetti ai fini del concorso (tesi formalistica).

La conseguenza inevitabile di tali divergenti visioni è che nel primo caso l'inizio del concorso è collocato alla data in cui è presentato il concordato con riserva, mentre nel secondo caso il concorso parte, o meglio partirebbe, con la presentazione della proposta.

Occorre che si consolidi sufficiente giurisprudenza sul punto. Non si è ancora sufficientemente indagato, infatti, il problema della diminuzione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore durante il periodo interinale. Se si consolidasse il secondo orientamento la problematica qui trattata perderebbe ogni rilevanza dal punto di vista puramente concorsuale.

E' innegabile (e tale circostanza non pare svilita nemmeno dai sostenitori della tesi contraria) che il sesto comma dell'

art. 161

l.

fall

., nel regolare il concordato con riserva, prevede il deposito della domanda di concordato preventivo e, più avanti, la conservazione degli effetti del ricorso fino all'omologazione, così confermando che se la procedura va a buon fine gli effetti della procedura nel loro insieme decorrono dal deposito della domanda di concordato con riserva, anche nel caso in cui venga scelto l'accordo di ristrutturazione dei debiti.

Inoltre, non è in discussione che dalla data in cui il ricorso dispiega i suoi effetti si applicano le protezioni di cui all'

art.

168 l

.

fall

. ed i richiami di cui all'art. 169 ad alcuni articoli della legge fallimentare. Non vi è quindi dubbio sul fatto che la separazione fra creditori concorsuali e non concorsuali decorra dal momento in cui viene depositato il ricorso di concordato con riserva. Tra l'altro, se così non fosse, non avrebbe alcuna ragione la norma che richiede l'autorizzazione del tribunale per il pagamento di crediti pregressi (art. 182-quinquies, comma 4). Dal punto di vista meramente economico, dunque, prima ancora che giuridico, il concorso inizia con il deposito del ricorso di concordato con riserva.

Gli effetti della cristallizzazione della garanzia patrimoniale

Una volta stabilito il momento in cui inizia il concorso, è necessario stabilire quali siano gli effetti della cristallizzazione della garanzia patrimoniale secondo il ns. ordinamento.

Si pone cioè il problema di stabilire quale sia l'impatto dell'eventuale diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore durante il periodo interinale e se vi sia compatibilità di detto impatto negativo con il ns. ordinamento concorsuale. Durante questa fase, infatti, la gestione aziendale si svolge sotto la sorveglianza del Commissario Giudiziale, se nominato, senza che sia stato ancora designato il Giudice Delegato. Il legislatore non ha espressamente previsto che il piano debba obbligatoriamente abbracciare anche detto periodo anche se ha previsto obblighi stringenti in merito alla rendicontazione sull''andamento finanziario dell'impresa ordinando report con cadenza mensili che addirittura andranno depositati presso il Registro delle imprese. Sebbene manchi uno specifico raccordo fra detti obblighi informativi e il piano in merito al quale il legislatore non ha stato stabilito esplicitamente alcuna data di partenza o definito un suo perimetro temporale, pare chiaro la necessità che lo stesso abbracci il periodo interinale, incastonando al suo interno in un quadro coerente anche i report finanziari redatti e depositati perché i terzi ne possano prendere visione. In pratica, ciò che non è stabilito per legge dovrà necessariamente essere stabilito in via interpretativa o in base a best–practices generalmente accettate. Quindi il piano concordatario, quale esso sia, liquidatorio o di continuità, dovrà, se del caso su specifiche indicazioni da parte dell'attestatore, partire dal momento in cui viene presentato il concordato con riserva, giacché il passivo concordatario che partecipa al concorso andrà cristallizzato in questo momento e non al momento della presentazione della proposta definitiva.

La necessità di riconciliare le assunzioni e le previsioni del piano con la rendicontazione finanziaria ora esplicitamente prevista dal legislatore durante il periodo interinale, indubbiamente contribuiranno a porre in primo piano la problematica dell'andamento dell'impresa durante questa fase, e la risoluzione dei suoi risultati finanziari ed economici nell'ambito del piano e dalla manovra concordataria complessiva.

Questa problematica appare invece meno rilevante nel caso del concordato con riserva che approdi ad un accordo di ristrutturazione dei debiti, in quanto detta procedura non conosce la necessità di cristallizzare la posizione debitoria ad una certa data ai fini di un vero e proprio concorso, ma solo la necessità di identificare con la certezza del caso i creditori aderenti all'accordo e i non aderenti, i quali andranno pagati secondo le scadenze previste dagli originari accordi di fornitura in essere o tutt'al più con le scadenze previste dalle nuove lett. a) e b) del primo comma dell'

art. 182-

bis

l.

fall

.

Il funzionamento dell'impresa durante il periodo interinale nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità

Il periodo interinale

, come già sottolineato, non vede coinvolti organi di procedura se non il tribunale in composizione collegiale, che, quando non richiesto di specifici provvedimenti tassativamente previsti, sorveglia solamente che vengano puntualmente adempiuti gli obblighi informativi dettati con il decreto di ammissione. Il soggetto che dovrà necessariamente scrutinare detto periodo è, come vedremo, a parte i casi di nomina immediata di un commissario giudiziale (come ha previsto il “Decreto del Fare” (

D.L. 69/2013

conv. in

L. 98/2013

), l'attestatore, il quale, prima ancora del tribunale, avrà anche il problema di stabilire in una sorta di contraddittorio con il debitore quale sia in concreto la piattaforma concordataria di riferimento, e quindi anche se ricorra la figura del concordato con continuità aziendale. La sua disciplina viene introdotta dall'avverbio temporale “quando”, che apre l'

art.

186–

bis

l.

fall

. Detta locuzione, ad una prima analisi meramente grammaticale, pare inappropriata. Si tratta infatti di un avverbio che non ha natura partitiva ed è quindi inadatto ad identificare un sottoinsieme nel più ampio insieme di tipologie concordatarie. Un'analisi più attenta però ne delinea meglio la funzione, esaltandone proprio l'elemento avverbiale–temporale, dal momento che pare concedere al debitore, in aderenza con il combinato disposto dell'ultimo periodo del secondo comma dell'

art.

161 l

.

fall

. (necessità della nuova attestazione in caso di modifica della proposta o del piano) e del secondo comma dell'

art.

175 l

. fall.

(possibilità di modificare la proposta entro l'adunanza dei creditori), la possibilità di mutare il piano prevedendo la ripresa dell'attività di impresa fino all'inizio delle operazioni di voto.

Se ciò può risolvere la collocazione temporale del piano di continuità, ammettendo anche l'ampia facoltà che ha il debitore di riprendere l'attività di impresa anche in un momento successivo alla presentazione del concordato con riserva, certamente non fa luce sul problema che sta a monte, ovvero stabilire in concreto quando ricorra effettivamente un concordato in continuità. Ancora una volta due sono le correnti di pensiero che si fronteggiano.

C'è chi ritiene che si tratti di concordato in continuità aziendale tutte le volte che l'impresa in crisi continui l'attività di impresa non finalizzandola alla mera definizione degli affari in corso per poi procedere alla liquidazione atomistica dei beni. Per i sostenitori di questa tesi la continuazione dell'attività di impresa è un concetto assoluto che riguarda lo stato dell'impresa, indipendentemente da chi la eserciti. La conseguenza logica di questa impostazione è che le regole del concordato in continuità si renderebbero applicabili indipendentemente dal fatto che prima o dopo l'omologazione della proposta concordataria l'azienda in funzionamento venga ceduta o solo se ne modifichi il gestore-detentore per effetto dell'affitto propedeutico o meno alla cessione. Secondo una diversa tesi, invece, tutte le volte in cui l'azienda venga affittata prima della cessione, fatto che si realizza nella maggioranza dei casi in cui viene mantenuta la continuità aziendale, che normalmente si colloca subito prima della presentazione del concordato con riserva, o subito dopo l'ammissione della proposta, non si verte in un concordato in continuità per il fatto che letteralmente l'art. 186-bis non ha previsto l'affitto d'azienda nel novero degli istituti utilizzabili nel portage dell'azienda verso la definitiva cessione. In merito è appena il caso di evidenziare che, nell'assoluta libertà del debitore di organizzare la proposta concordataria, si potrebbe anche ipotizzare il caso dell'affitto d'azienda a terzi per un dato periodo di tempo funzionale al risanamento, senza che la stessa venga definitivamente ceduta e ne venga anzi previsto il rientro nel patrimonio del debitore dopo un certo periodo.

Altri ancora affermano che si ha concordato in continuità se all'atto del deposito della proposta il debitore detenga ancora l'impresa o il suo ramo principale in funzionamento.

In questa molteplicità di possibili scenari, si innesta un'altra non secondaria problematica rappresentata dalla concreta struttura che deve avere il piano di continuità. Il piano di continuità infatti è un piano diverso ed ulteriore rispetto a quello previsto dall'

art.

161 l

.

fall.

, dovendo rispettare i plus stabiliti dal legislatore nel secondo comma, lettera a), dell'art. 186-bis.

Quando il piano concordatario è fin dall'origine incontestabilmente liquidatorio non sorge, evidentemente, alcun problema. Infatti, la fase interinale in un concordato meramente liquidatorio dovrebbe prevedere solamente i costi necessari al mantenimento in vita dell'impresa o strumentali alla liquidazione. Anche qualora la continuità aziendale venisse conservata al fine di terminare alcuni affari in corso, detta operatività dovrebbe essere consentita solo per evitare che dal mancato adempimento di alcune obbligazioni contrattuali sorgano conseguenze ancora più dannose rispetto alle perdite che possano derivare dalla tenuta in vita dell'impresa per il breve periodo necessario al suddetto scopo.

Nel concordato in continuità, invece, si pone il problema di vagliare criticamente i risultati di gestione durante il periodo interinale. La lunghezza dello stesso, che, come è noto, può protrarsi anche per 180 giorni, può incidere anche molto sulla percentuale di soddisfacimento dei creditori. Un termine così lungo può coincidere con quasi tutti gli indici di rotazione del circolante, come dire che, in questo lungo periodo, a fronte del fatto che la leva finanziaria nei confronti dei fornitori si riduce fortemente fino ad annullarsi, l'incasso fisiologico dello stock di crediti verso clienti e la diminuzione altrettanto fisiologica dello stock delle rimanenze di magazzino vengono impiegati per pagare i costi prededucibili di gestione piuttosto che i creditori che partecipano al concorso. Quindi nel caso in cui l'impresa non sia già sulla strada del risanamento al momento della presentazione del concordato con riserva, ovvero sia in grado di generare flussi di cassa liberi dopo avere pagato tutti i costi di gestione monetari e i propri capex di mero mantenimento della struttura dell'impresa, vi è il serio pericolo che in questo periodo venga dissipata fortemente la garanzia patrimoniale, con la conseguenza che la valutazione del miglior soddisfacimento dei creditori non possa prescindere dal mettere in relazione la ripresa dei valori derivanti dalla conservazione della continuità aziendale rispetto alle più che probabili perdite del periodo interinale.

Se quindi il miglior soddisfacimento consiste in un'analisi di convenienza fra diversi scenari di soddisfazione dei creditori concorsuali rispetto a quello dal quale deriva la conservazione dell'integrità dell'impresa o di suoi rami significativi, la criticità di detta valutazione risiede principalmente nel primo dei termini di paragone, ovvero la percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari valutata al momento a cui risale il deposito del concordato con riserva. Chi scrive ritiene che questo sia il momento da porre quale termine di paragone per la suddetta interpolazione, in quanto, sebbene la dottrina e la poca giurisprudenza disponibile sull'argomento non abbiano ancora stabilito quando in concreto debba considerarsi radicata la procedura concordataria, e quindi l'inizio del concorso dei creditori – ovvero se al momento della presentazione del concordato con riserva o al momento della presentazione della proposta definitiva – pare chiaro che lo spossessamento attenuato che si realizza fin dal momento della presentazione del ricorso di concordato con riserva, con la conseguente sorveglianza del tribunale sulla amministrazione della società, coincida con il momento in cui la garanzia patrimoniale del debitore è sospesa a causa del venire meno delle tutele esecutive sul patrimonio del debitore stesso, momento che coincide, necessariamente, con la data in cui è presentato il concordato con riserva.

Ciò posto, è chiaro che il risultato della gestione dell'impresa durante la fase interinale dovrà essere oggetto di attenta analisi da parte dell'attestatore. Infatti, nel caso in cui nella suddetta fase si registrassero perdite che si tramutino in sottrazione di risorse alla garanzia patrimoniale le stesse andranno perlomeno pareggiate dal recupero di valore che si attua con la presentazione della proposta definitiva.

Operatività delle esimenti di cui all'art. 182-sexies l. fall nel periodo interinale

Il decreto competitività ha portato in dote alla

legge

fallimentare

ulteriormente riformata una norma che sospende l'effetto di alcune disposizioni previste dal diritto societario durante il periodo che va dalla presentazione del concordato con riserva all'omologazione, rispettivamente, del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Ai fini che ci occupano, assume rilevanza il secondo comma dell'art. 182-sexies che letteralmente prevede: “resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l'applicazione dell'

articolo 2486 del codice

civile

”. La suddetta norma come è noto prevede, allorché si verifichi una causa di scioglimento della società, l'obbligo per gli amministratori di gestire la stessa ai fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale pena la loro responsabilità personale. Se il legislatore avesse semplicemente previsto la non applicazione della norma durante tutto l'arco della procedura concordataria (o di omologa degli accordi) avrebbe sicuramente facilitato il lavoro degli interpreti. Oggi invece ci troviamo al cospetto di una norma tautologica con la quale si afferma l'operatività di un precetto prima della presentazione del concordato con riserva o della proposta concordataria definitiva, per negare che detto precetto si applichi in una certa fase della vita di una società di capitali, che inizia a decorrere proprio dopo la presentazione in tribunale degli atti suddetti.

Secondo alcuni autori questa disposizione servirebbe ad indurre gli amministratori ad anticipare, quanto più possibile, il momento in cui conclamare lo stato di crisi dell'impresa. Invece, ai fini del nostro approfondimento, la sospensione di validità di questo precetto potrebbe anche voler dire che durante il periodo interinale gli amministratori non sarebbero vincolati ad una gestione improntata alla conservazione del valore del patrimonio. Da ciò consegue che gli stessi potrebbero andare del tutto immuni da responsabilità in caso di dissipazione della garanzia patrimoniale per le perdite di periodo.

Inoltre, una lettura non coordinata dell'insieme delle nuove norme non sembrerebbe imporre uno specifico obbligo di redigere il piano di continuità puntando ad un recupero delle perdite eventualmente patite durante il periodo interinale.

In realtà molteplici elementi militano per una diversa interpretazione della norma, la quale deve essere letta esclusivamente nel senso di consentire una più rapida adozione, da parte degli amministratori, dei provvedimenti necessari nel caso in cui lo sbilancio patrimoniale e la mancata volontà dei soci di provvedere alla ricapitalizzazione della società rendano palese l'incapienza degli attivi per servire tutto il debito e la necessità di attivare forme di composizione giudiziaria della crisi di impresa. Il primo elemento è dato dalla diversità diametrale degli obblighi per i liquidatori nel caso in cui la messa in liquidazione sia già avvenuta ed i liquidatori siano stati già nominati. Non si capisce infatti perché i liquidatori, durante il periodo interinale, debbano sottostare al precetto di conservazione patrimoniale e dei valori dell'impresa in funzionamento di cui alla lettera c) del primo comma dell'

art. 2487

c.c.

, mentre gli amministratori per le società che hanno usufruito della franchigia di legge potrebbero gestire la società durante il periodo interinale senza regole. Secondariamente, pur avendo il legislatore ablato, per la verità con formula dubbiosa, l'operatività dell'

art. 2484 c.c.

al periodo successivo alla presentazione del concordato con riserva, non ha reso inoperativi alcuni altri precetti, come il primo comma dell'

art.

2394

c.c.

, il quinto e sesto comma dell'art.

2381

etc. Come dire che, se da un lato il legislatore ha inteso non obbligare gli amministratori ad intraprendere le iniziative imposte dalle norme sullo scioglimento e liquidazione della società di cui agli artt. 2484 e seguenti, non li ha di certo esentati da tutti gli altri obblighi e precetti ad essi diretti dalla normativa sulle società in normale funzionamento sulla gestione informata e conservativa.

Le attestazioni dell'esperto con riguardo alla fase interinale: nel concordato liquidatorio

Nel concordato liquidatorio l'attestatore si pronuncia esclusivamente sulla fattibilità del piano, ovvero sulla prognosi che la liquidazione atomistica o in blocco dell'attivo sia idonea a garantire la percentuale offerta ai creditori e ciò nel tempo richiesto dalla liquidazione. In una procedura meramente liquidatoria gli unici costi che possono essere accollati alla massa attiva sono quelli connessi alla procedura stessa ed al mantenimento della impresa dal punto di vista amministrativo e fiscale. Anche le procedure liquidatorie possono essere caratterizzate da una fase di continuità aziendale che normalmente è funzionale proprio al miglior esito della liquidazione. Si pensi al caso dei contratti di appalto in corso o ad altre tipologie contrattuali che possono essere foriere di penali o risarcimenti talmente elevati da rendere più conveniente la prosecuzione dell'attività aziendale e quindi l'adempimento delle suddette obbligazioni, e ciò anche se da tale esercizio possano scaturire delle perdite. Detta ultima fase di operatività aziendale può abbracciare anche il periodo interinale e in alcuni casi protrarsi anche per un periodo di tempo successivo al deposito della proposta. In tali casi l'attestatore valuterà le perdite di periodo come il male minore se dette perdite sono inevitabili ai fini di quanto sopra, ma strumentali ai fini del mantenimento di una percentuale di soddisfazione dei creditori superiore rispetto allo scenario della brutale interruzione dell'attività di impresa.

(Segue) nel concordato in continuità

Esistono due tipi di concordato in continuità. La prima è la continuità pura in cui il soggetto economico titolare dell'impresa non muta sebbene abbia la facoltà di compiere operazioni straordinarie al fine di organizzare al meglio il risanamento dell'impresa. Dette operazioni, come nel caso della scissione, della fusione o del conferimento, implicano il mutamento del soggetto giuridico nel quale viene esercitata l'azienda, ma l'impresa nel suo insieme rimane presso lo stesso soggetto economico che coincide con il debitore. In questi casi è verosimile che vengano proposti ai creditori strumenti partecipativi (strumenti partecipativi puri, obbligazioni azioni speciali, etc.) che veicolino gli earn–out dell'impresa risanata nei limiti della proposta concordataria.

L'osservazione della casistica ci dice che questa è la struttura seguita nel caso di concordato preventivo delle società quotate, nelle quali il permanere della quotazione è legato al soggetto giuridico i cui titoli sono ammessi alla quotazione stessa.

In questo caso la struttura del piano avrà un orizzonte temporale pluriennale e dovrà essere sufficientemente analitico nell'identificare e scrutinare i processi di creazione di cassa libera a servizio di quelli che più sopra sono stati definiti earn–out a favore dei creditori concordatari

La seconda tipologia è rappresentata dai concordati in continuità con cessione a terzi della titolarità dell'impresa. In tali casi, spesso preceduti da periodi di affitto dell'azienda, viene concordato un prezzo di cessione il quale rappresenterà la misura della soddisfazione dei creditori e quindi l'oggetto della proposta agli stessi.

I piani di continuità pro-tempore sono caratterizzati da un orizzonte temporale di periodo più limitato. Questi saranno caratterizzati da almeno due momenti rilevanti che coincidono con l'inizio dell'affitto d'azienda e con il momento in cui si perfeziona la successiva cessione. Per questa tipologia di piani, la necessità di esporre le informazioni previste dall'art. 186–bis, comma 2, lett. a), cessa al momento in cui è prevista la cessione a terzi dell'azienda.

I piani di continuità puri implicano, da parte dell'esperto, il giudizio sulla funzionalità del mantenimento della continuità aziendale ai fini del miglior soddisfacimento dei creditori. In tale caso infatti, l'inesistenza di una cessione, e quindi di un prezzo, impedisce una valutazione puntuale dell'offerta ai creditori, che evidentemente potrà essere solo funzione di una qualche entità, ad esempio di quelli che prima abbiamo definito earn-out, ovvero sui flussi di cassa liberi che l'impresa risanata per un certo periodo di tempo destinerà ai creditori concordatari. Per tale valutazione, infatti, dovrà necessariamente essere utilizzata una funzione, ovvero, ad esempio, l'attualizzazione di tali earn-out. Come vedremo più avanti, la nozione di funzionalità non si esaurisce sempre in una espressione matematica, ma può anche coinvolgere elementi non prettamente quantitativi.

Nei piani di continuità puri, il termine di paragone per valutare la migliore soddisfazione dei creditori deve essere necessariamente omogeneo, nel senso che la comparazione andrà fatta sempre sulla base della valutazione dell'impresa in funzionamento. Da un lato dovrà essere determinato il valore attuale degli earn-out riservati ai creditori dal piano di continuità, dall'altro dovrà essere determinato il valore residuo dell'impresa al momento della presentazione del concordato con riserva. Il valore attuale degli earn-out dovrà essere di una misura tale da coprire eventuali punti percentuali di soddisfazione del passivo falcidiato persi per effetto della gestione durante il periodo interinale. Il problema si pone nel caso in cui il valore atomistico dei beni al momento della presentazione del concordato con riserva sia superiore alla somma algebrica fra il risultato della gestione interinale (espresso in termini di punti percentuali sul chirografo) e il valore attuale degli earn-out, In tal caso riteniamo che possa essere ancora attestato il miglior soddisfacimento anche perché la funzionalità dello stesso potrebbe estrinsecarsi in altre sfaccettature, come la continuità dell'indotto od altre utilità, sebbene l'attestatore dovrà, per chiarezza, evidenziare che la liquidazione atomistica potrebbe in astratto far conseguire ai creditori un risultato ancora migliore. In questo caso il principio maggioritario opererà come nel caso in cui il concordato sia strutturato per classi.

Nel caso invece dei piani di continuità pro-tempore, essendo prevista la cessione ad un prezzo già pattuito che potrà variare solo per effetto di talune altre quantità definite e/o definibili nel piano, la valutazione del miglior soddisfacimento non richiede valutazioni di tipo funzionale, ma solo puntuale.

In questo caso il termine di paragone consiste nella differenza, che dovrà essere pari o maggiore di zero, fra la percentuale di soddisfazione che si realizza conservando la continuità dell'impresa ai fini della successiva cessione e la liquidazione atomistica.

Anche in tal caso il risultato potenziale derivante dalla liquidazione atomistica dovrà essere misurato al momento della presentazione del concordato con riserva ed implicherà anche la valutazione, sempre in termini di punti percentuali sul chirografo, del risultato della gestione dell'impresa durante il periodo interinale.

Quindi, se il debitore sceglie la continuazione dell'impresa, dovrà essere sufficientemente conscio del fatto che la misurazione del livello di garanzia patrimoniale che offre ai propri creditori in un ottica di continuità pura o puramente liquidatoria coincide con il momento in cui presenta la domanda di concordato preventivo che, se preceduta dal concordato con riserva, retrodata alla data di presentazione di quest'ultimo. Da quel momento al debitore non è vietato di diminuire la propria garanzia patrimoniale per effetto delle perdite di gestione realizzate durante il periodo interinale, ma dette perdite dovranno essere totalmente annullate per effetto della ripresa di valore indotta dalla conservazione della continuità aziendale o dalla cessione dell'azienda in funzionamento a terzi.

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