La conversione dei crediti in azioni negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani attestati di risanamento

Elisabetta Bertacchini
04 Giugno 2013

Il diritto della crisi d'impresa presenta oggi molti punti di contatto con il diritto societario. E' possibile, ad esempio, eseguire operazioni sul capitale in pendenza di procedure di composizione della crisi.L'Autrice esamina, in particolare, la ristrutturazione del debito mediante conversione di crediti in azioni, analizzandone gli aspetti problematici e le principali questioni interpretative relative al coordinamento tra le disposizioni di diritto societario e la disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani attestati di risanamento.
Considerazioni introduttive in merito ai rapporti tra diritto societario e diritto della crisi d'impresa

Le recenti evoluzioni del diritto della crisi d'impresa hanno messo in luce i numerosi punti di contatto con il diritto societario, evidenziando al contempo le carenze che quest'ultimo presenta, anche dopo la riforma delle società di capitali del 2003, pensata in un contesto di evoluzione e di sviluppo del sistema economico, e quindi non sempre adeguato a rispondere alle esigenze poste da un sistema che, viceversa, si sta avvitando in una crisi sempre più grave. Gli esempi sono numerosi. Valga per tutti il riferimento alla questione della responsabilità degli organi sociali nella qualificazione della crisi e nella scelta dello strumento più adeguato per farvi fronte, tra i molti oggi offerti dalle nuove disposizioni normative. Si pensi inoltre al riferimento contenuto nell'art. 160, laddove, tra le diverse forme di soddisfacimento dei creditori, si fa esplicito riferimento alle operazioni straordinarie. E ancora, le recenti disposizioni in tema di sospensione delle norme a tutela del capitale sociale, introdotte dal nuovo art. 182-sexies, che trovano applicazione in tutti i casi in cui venga presentata una domanda di concordato (o anche di preconcordato) ovvero una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (o anche una proposta di accordo di ristrutturazione) che pongono non pochi problemi applicativi e di coordinamento con la disciplina ordinaria delle società di capitali.

Le operazioni sul capitale in pendenza di procedure di composizione della crisi d'impresa. La conversione dei crediti in azioni come strumento di soddisfacimento dei creditori

La ristrutturazione del debito mediante conversione di crediti in capitale, pur configurandosi come uno strumento utilizzabile non solo nel concordato preventivo, ma anche negli accordi di ristrutturazione dei debiti (

P. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella

legge fallimentare

, Torino, 2012, 377) e nei piani attestati di risanamento presenta non pochi aspetti problematici, soprattutto in presenza di una situazione di crisi di una certa gravità. Come è stato osservato, infatti, un eventuale aumento di capitale potrebbe non essere conveniente sia per gli azionisti, sia per un eventuale soggetto terzo, in quanto per la parte della sottoscrizione che arriva fino al punto di equilibrio dello sbilancio patrimoniale, il denaro versato andrebbe a beneficio dei creditori esistenti, con ciò rendendo “l'operazione così congegnata non rispondente né all'interesse degli azionisti, i quali sono protetti dalla responsabilità limitata, né a quello di un eventuale terzo” (

L. Stanghellini, Le crisi d'impresa tra diritto ed economia, Bologna, 2007, 319

). Viceversa, l'operazione potrebbe suscitare l'interesse dei creditori, i quali potrebbero evitare di apportare conferimenti “freschi” in denaro, mediante il meccanismo della sottoscrizione (e dell'esecuzione, contestuale o successiva) dell'aumento di capitale attuata ricorrendo alla compensazione del credito vantato nei confronti della società. E' noto infatti che secondo l'ormai consolidata giurisprudenza, nel caso di sottoscrizione di un aumento di capitale sociale, il conferimento può essere eseguito mediante compensazione tra il relativo debito del socio ed un suo credito verso la società (

Cass. 19 marzo 2009, n. 6711

. In dottrina v. F. Lamanna, Debiti di conferimento del socio e compensazione, in Fall. 1993, 595 e ss.; M. S. Spolidoro, I conferimenti in denaro, nel Trattato delle società per azioni, Torino, 2004, 410 ss.;

F. Martorano, Compensazione del debito per conferimento ne Il nuovo diritto delle società.Liber Amicorum Gianfranco Campobasso, Torino, 2006, I, 522

). Quest'ultima, pur privandosi, almeno formalmente, del diritto di credito al conferimento, acquista, sotto il profilo sostanziale, un valore economico consistente nella liberazione da un corrispondente debito.

In proposito, se è vero che l'

art. 2342 c.c.

prevede che se l'atto costitutivo non dispone diversamente i conferimenti debbano essere fatti in denaro, l'intervento della compensazione tra crediti aventi entrambi natura pecuniaria, ai sensi dell'

art. 1243 c.c.

, non modifica l'oggetto del conferimento, che avviene comunque in denaro, ma solo le modalità di adempimento e di estinzione dell'obbligazione al conferimento.

Alcune considerazioni merita inoltre la questione della necessità di salvaguardare, nell'ambito della suddetta operazione, il principio della corrispondenza tra il valore nominale del capitale sociale e la sua effettiva entità (c.d. principio dell'effettività del capitale sociale). Considerato che il capitale sociale è solo una parte ideale del patrimonio netto, e che quest'ultimo è costituito dalla differenza tra le poste dell'attivo e del passivo (esposte in bilancio), il suo incremento può avvenire non solo potenziando una posta dell'attivo (ad esempio mediante versamento in denaro), ma anche eliminando una voce del passivo. Pertanto, ai fini del conferimento in sede di aumento di capitale, il rispetto del principio dell'effettività del capitale si realizza a condizione che l'incremento del capitale avvenga in misura tale da coprire l'intero valore nominale delle azioni emesse e sottoscritte dal creditore-socio che effettua il conferimento mediante compensazione.

Non va infine sottovalutato che tale modalità di aumento di capitale si configura anche come uno strumento idoneo a comporre interessi potenzialmente in conflitto: quello dei creditori conferenti a recuperare l'apporto mediante la partecipazione agli utili futuri; quello dell'impresa a ridurre l'indebitamento attraverso la conversione dei debiti in capitale di rischio; quello dei creditori estranei alla conversione a vedere mantenute se non addirittura migliorate le prospettive di soddisfacimento del proprio credito, in considerazione delle risorse destinate a liberarsi, in quanto i creditori che hanno convertito il credito in capitale non saranno più concorrenti sul patrimonio del debitore.

La partecipazione al capitale azionario consente ai creditori di partecipare ai benefici economici della ristrutturazione, qualora questa abbia successo, costituendo un incentivo a perseguire l'effettivo risanamento dell'impresa e non il mero recupero del credito.

La partecipazione al capitale azionario consente infine di acquisire il diritto a partecipare attivamente alla gestione dell'impresa, ad esempio attraverso la scelta dei componenti del consiglio di amministrazione.

La partecipazione delle banche al capitale di rischio

Come noto, il ricorso alla nuova finanza, mediante concessione di nuovo credito, costituisce uno degli aspetti più delicati dell'applicazione dei nuovi strumenti do composizione negoziale della crisi d'impresa. Molti sono i canali attraverso i quali può avvenire il reperimento di nuove risorse:

a) il canale del credito, mediante la concessione di risorse finanziarie “fresche”;

b) il canale obbligazionario, mediante l'emissione di obbligazioni convertibili e warrants;

c) l'emissione di strumenti finanziari di partecipazione (SFP), ex art. 2346, ultimo comma, c.c.;

d) il canale azionario, attraverso interventi diretti sul patrimonio netto, nella forma dell'aumento del capitale sottoscritto anche da nuovi soggetti, tra i quali soggetti specializzati, quali i fondi di private equity, le merchant bank nonché le banche creditrici della società in crisi, le quali potrebbero accettare una conversione dei propri crediti in azioni (debt / equity swap).

In particolare, l'assunzione da parte delle banche creditrici della società in crisi di partecipazioni nel capitale della stessa, con lo scambio di debito (della società) con azioni, è fenomeno abbastanza frequente nei piani di ristrutturazione finanziaria proposti dagli

advisor

. L'accettazione da parte dei creditori di azioni in cambio del debito, costituisce inoltre un segnale di fiducia, che contribuisce ad agevolare il percorso di risanamento dell'impresa.

E' inoltre evidente come soprattutto nel caso delle banche creditrici dell'impresa in crisi, la partecipazione al capitale azionario consente di partecipare ai benefici economici della ristrutturazione, qualora questa abbia successo, costituendo un incentivo a perseguire l'effettivo risanamento dell'impresa e non il mero recupero del credito. A ciò si aggiunge la possibilità di acquisire il diritto a partecipare attivamente alla gestione dell'impresa, ad esempio attraverso la scelta dei componenti della corporategovernance. Non va infine trascurata l'opportunità offerta dalla previsione di cui all'

art.

2346, comma 4, c.c.

che consente di assegnare azioni in misura non proporzionale ai conferimenti effettuati, naturalmente entro i limiti imposti dal divieto del c.d. patto leonino. Ciò permette l'eventuale ingresso di alcune istituzioni finanziarie secondo “pesi” non necessariamente corrispondenti con la misura degli interventi finanziari (nuova finanza ovvero trasformazione di crediti in capitale), con ciò rendendo più ampi i margini di flessibilità necessari per giungere ad accordi che soddisfino adeguatamente i diversi soggetti coinvolti nel processo di risanamento e/o di ristrutturazione.

La conversione dei crediti delle banche in capitale delle imprese debitrici trova un limite nella disciplina dell'assunzione delle partecipazioni che deve avvenire nel rispetto di precisi limiti patrimoniali.

Problemi applicativi

Premesso che l'operazione di conversione dei crediti in capitale di rischio appare prospettabile principalmente in presenza di un piano che preveda la continuità aziendale (ancorché in tempi meno recenti si fosse delineata un posizione tendente a considerare percorribile l'ipotesi di un aumento di capitale anche senza continuazione dell'attività, al solo fine di evitare il fallimento della società), si indicano ora alcune questioni interpretative, di coordinamento con le disposizioni del diritto societario, che meritano attenzione qualora la suddetta conversione sia prevista quale strumento di soddisfacimento dei creditori in pendenza di procedure per la composizione negoziale della crisi (accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis e piani attestati di risanamento art. 67, comma 3, lett. d).

(Segue) Operazione di conversione di crediti in capitale in presenza di perdite pregresse

Come noto, prima di procedere a deliberare l'aumento del capitale, bisogna necessariamente affrontare la questione dell'eventuale presenza di perdite pregresse e della necessità del loro ripianamento, se non in misura integrale almeno in misura sufficiente affinché non trovino più applicazione le norme imperative di cui agli artt. 2446 e 2447 (Trib. Milano, 22 settembre 1986,

in Le Società, 1987, 162, con nota di V. Salafia). In questo caso, infatti, troverebbe spazio la tesi secondo la quale in presenza di perdite inferiori al terzo del capitale, non essendo la società tenuta ad assumere alcun provvedimento correttivo sul capitale, ne deriverebbe come conseguenza che la società potrebbe legittimamente aumentare il capitale (V. Salafia, Riduzione del capitale per perdite, commento a Trib. Verona 22 novembre 1988, in Le Società, 1989, 289 ss.; R. Dugo, Azzeramento del capitale sociale per perdite, ivi, 1999, 547 ss.), mediante la fissazione di un idoneo sovrapprezzo alle azioni di nuova emissione da destinarsi obbligatoriamente ad apposita riserva utilizzabile per la copertura delle perdite. Tali considerazioni trovano piena applicazione nel caso in cui l'aumento del capitale mediante conversione di crediti sia previsto nell'ambito di un piano attestato di risanamento.

Anche in pendenza di un accordo di ristrutturazione dei debiti si pone, seppure con alcune significative differenze, la questione di come procedere all'aumento del capitale, pur in presenza di perdite pregresse che eventualmente si fossero formate. Come si è già ricordato, il nuovo art. 182-sexies dispone espressamente l'inapplicabilità degli obblighi di capitalizzazione della società in perdita e della causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale in costanza delle procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione. Con riferimento a quest'ultimo, pertanto, a partire dall'istanza di protezione ai sensi dell'art. 182-bis, comma 6, e sino all'omologazione dell'accordo ai sensi dello stesso art. 182-bis, comma 4, per le s.p.a. non opereranno sia i commi 2 e 3 dell'art. 2446, sia l'art. 2447.

Naturalmente al momento dell'omologazione gli obblighi di capitalizzazione saranno adempiuti proprio per effetto del piano sotteso all'accordo di ristrutturazione. Se si dà preferenza alla tesi secondo cui la deliberazione di aumento di capitale mediante conversione da parte di alcuni creditori dei propri crediti, assunta prima del deposito al registro delle imprese dell'accordo e della presentazione della domanda di omologazione, con esecuzione subordinata all'avvenuta omologazione dell'accordo, l'esecuzione dell'aumento del capitale si concretizzerà in un momento in cui le perdite pregresse saranno state ripianate proprio per effetto dell'accordo se non integralmente, almeno in misura sufficiente per procedere comunque all'aumento del capitale in precedenza deliberato.

(Segue) Momento di deliberazione e momento di esecuzione

In presenza di una situazione di crisi che induca gli organi sociali ad optare per una soluzione di composizione negoziale della crisi, sorge la necessità di coordinare il procedimento societario di aumento del capitale sociale con le fasi di svolgimento della procedura scelta (accordo di ristrutturazione o piano attestato di risanamento). Nel caso del piano attestato di risanamento di cui all'

art. 67, comma 3, lett.

d

), l.fall

. non sembrano emergere particolari difficoltà, trattandosi di uno strumento squisitamente negoziale, che non prevede l'intervento del tribunale, neppure in fase di omologazione. Tuttavia poiché il piano dovrà essere verificato da un professionista (ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d) che ne attesta la fattibilità, l'operazione di aumento del capitale sociale da attuarsi mediante la conversione di alcuni crediti dovrà essere stata almeno deliberata dagli organi competenti prima dell'attestazione (ed attuata eventualmente in un momento successivo).

Più complessa appare la situazione nel caso in cui l'aumento di capitale da sottoscrivere mediante la conversione di alcuni crediti in azioni della società costituisca uno degli elementi del piano sottostante ad un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis. E'infatti necessario conciliare la decisione in ordine all'operazione straordinaria con quella concernente la composizione negoziale della crisi, che compete dapprima ai creditori nella fase di raccolta delle adesioni e successivamente al tribunale nella fase dell'omologazione. In particolare ci si deve chiedere se le operazioni programmate nell'accordo di ristrutturazione in vista della conversione dei crediti in capitale di rischio dovranno in ogni caso essere deliberate prima che la proposta venga depositata, iscritta nel registro delle imprese ed omologata dal tribunale o se invece tali operazioni possano essere attuate solo dopo l'omologazione e quindi unicamente nella fase di esecuzione dell'accordo. Anche in questo caso va tenuta in considerazione l'esigenza del professionista attestatore di poter verificare la fattibilità del piano anche in relazione all'effettiva percorribilità dell'aumento di capitale mediante conversione di crediti.

(Segue) Limitazione o esclusione del diritto di opzione

Come noto, l'ordinamento societario prevede che

ogniqualvolta la società proceda ad un aumento di capitale a titolo oneroso, debba essere data ai soci la possibilità di sottoscrivere, con precedenza rispetto ad eventuali nuovi soci, le azioni di nuova emissione, in modo da non alterare il proprio peso all'interno della compagine societaria. Il diritto di opzione costituisce un diritto disponibile del socio, che può essere escluso solo qualora ricorrano determinate condizioni. Nel predisporre il piano di risanamento sotteso all'accordo di ristrutturazione ex art.182-bis o al piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d) potrà essere contemplata l'esclusione (totale o parziale) del diritto d'opzione al fine di assicurare ai creditori sociali (disponibili alla conversione dei propri crediti in partecipazioni al capitale) l'ingresso nella compagine societaria. Si potrà altresì prevedere che il diritto di opzione a favore dei soci originari non venga escluso, prevedendo che le somme provenienti dalla sottoscrizione da parte dei vecchi soci di tutto o di parte dell'aumento del capitale vengano destinate al soddisfacimento, in misura proporzionale, al soddisfacimento delle ragioni dei creditori, il cui credito è oggetto, nell'accordo di ristrutturazione ovvero nel piano di risanamento, di conversione in capitale.

Qualora si intenda percorrere la strada dell'esclusione totale o parziale del diritto d'opzione vanno tenute presenti le diverse discipline sul punto a seconda che si tratti di società per azioni o di società a responsabilità limitata.

Società per azioni

: la competenza a deliberare l'esclusione o la limitazione del diritto di opzione è di regola una competenza esclusiva dell'assemblea dei soci. Il diritto di opzione può essere escluso o limitato unicamente nelle ipotesi tassative indicate dall'

art. 2441 c.c.

In particolare ai sensi del comma 5 dello stesso art. 2441, il diritto di opzione può essere escluso o limitato “quando l'interesse della società lo esige”.

Società a responsabilità limitata

: l'art. 2481-bis consente di prevedere nell'atto costitutivo la possibilità che l'aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi nel qual caso spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell'art. 2473.

La previsione di offrire a terzi le quote di nuova emissione deve a sua volta essere confrontata con l'ipotesi che l'aumento di capitale venga deliberato in presenza di perdite pregresse. Infatti si possono configurare due diverse situazioni:

1)

se le perdite pregresse non sono rilevanti ex artt. 2482-bis e 2482-ter, l'aumento di capitale potrebbe avvenire anche mediante l'offerta di quote di nuova emissione a terzi ai sensi dell'art. 2481-bis.

2)

Viceversa, in presenza di perdite rilevanti, che riducano il capitale al di sotto del limite legale, la possibilità di offrire le quote di nuova emissione a terzi è espressamente esclusa dall'art. 2482-quater (“In tutti i casi di riduzione del capitale per perdite, è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci”).

(Segue) Previsione di sovrapprezzo

Come noto, qualora sia prevista l'esclusione del diritto di opzione, nelle società in bonis il prezzo di emissione delle azioni è sopra la pari, essendo costituito dalla sommatoria di due componenti, il valore normale, corrispondente alla quota di patrimonio netto contabile, ed il sovrapprezzo. Quest'ultimo deve essere destinato ad una apposita riserva straordinaria, che non potrà essere distribuita ai soci fino a quando la riserva legale non avrà raggiunto un quinto del capitale sociale (

art. 2431

c.c.

). La riserva da sovrapprezzo azioni potrà essere imputata a capitale, oppure impiegata per l'acquisto di azioni proprie, anche qualora la riserva legale non fosse ancora completata. Tale riserva, dunque, andrà ad incrementare l'ammontare del patrimonio netto. Qualora distribuita, andrà a vantaggio di tutti i soci indistintamente e quindi anche di coloro che non hanno partecipato alla sottoscrizione all'aumento di capitale che l'ha generata.

In caso di aumento di capitale mediante conversione di crediti, il prezzo di emissione delle nuove azioni sarà in genere non superiore a quello nominale (emissione alla pari), e l'incremento di capitale sarà quindi pari all'ammontare dei crediti oggetto di conversione. Tuttavia non si potrebbe escludere a priori che anche in questo caso l'aumento di capitale possa avvenire sopra la pari, con la previsione di un sovrapprezzo.

(Segue) Conversione parziale e consolidamento del residuo credito: il problema della postergazione del credito residuo

Nel caso in cui la conversione del credito nel capitale della società debitrice sia solo parziale ed il residuo credito sia oggetto di consolidamento si potrebbe porre la questione dell'applicabilità al credito residuo delle disposizioni di cui agli

artt. 2467

e

2497-

quinquies

c.c.

Si ritiene in proposito che possa derogarsi a tale previsione in virtù di quanto oggi disposto dall'art. 182-quater, comma 3.

(Segue) Rapporto di conversione

In caso di soddisfacimento dei creditori mediante conversione dei crediti e conseguente assegnazione di azioni o quote della società debitrice, sarà necessario indicare, piuttosto che una percentuale di soddisfacimento del credito, il rapporto di conversione, per indicare il numero di titoli

che saranno assegnati a ciascun creditore in proporzione al credito convertito.

Il ruolo dell'assemblea e dell'organo gestorio

Anche qualora la conversione dei crediti in capitale sociale sia prevista come modalità di soddisfacimento di alcuni creditori nell'ambito dei procedimenti di composizione negoziale della crisi, tale operazione, configurandosi comunque come un'operazione straordinaria, dovrà necessariamente avvenire nel rispetto delle norme del diritto societario. La delibera di aumento del capitale, con sottoscrizione da attuarsi mediante conversione dei crediti, comportando una modificazione dell'atto costitutivo (o dello statuto), è demandata all'assemblea dei soci (art. 2365 per le s.p.a. e art. 2481, comma 1, per le s.r.l.), salvo che tale competenza sia stata delegata all'organo amministrativo.

Come si è già anticipato, in presenza di una situazione di crisi che induca gli organi sociali ad optare per una soluzione di composizione negoziale della crisi, è necessario coordinare il procedimento societario di aumento del capitale sociale con le fasi di svolgimento della procedura scelta (accordo di ristrutturazione o piano attestato di risanamento). Nel caso del piano attestato di risanamento di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), la natura strettamente negoziale dello strumento consente di applicare la disciplina societaria senza particolari difficoltà, trattandosi di uno strumento squisitamente negoziale, che non prevede l'intervento del tribunale, neppure in fase di omologazione.

Tuttavia, poiché il piano dovrà essere attestato da un professionista (ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d) che ne attesta la fattibilità, l'operazione di aumento del capitale sociale da attuarsi mediante la conversione di alcuni crediti dovrà essere stata almeno deliberata dagli organi competenti prima dell'attestazione (ed attuata eventualmente in un momento successivo). Va peraltro ricordato che in caso di perdite che abbiano ridotto il capitale ai sensi degli artt. 2446 e 2447, non trovano applicazione per il piano attestato di risanamento le nuove disposizioni di cui all'art. 182-sexies (riservate unicamente ai casi di presentazione di una domanda di concordato o di preconcordato ovvero di una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o di un pre-accordo). Quindi, prima di procedere a deliberare l'aumento del capitale, bisognerà necessariamente procedere a ripianare le

perdite pregresse, se non in misura integrale almeno in misura sufficiente affinché non trovino più applicazione le norme imperative di cui agli artt. 2446 e 2447.

In questo caso, infatti, troverebbe spazio la tesi secondo la quale in presenza di perdite inferiori al terzo del capitale, non essendo la società tenuta ad assumere alcun provvedimento correttivo sul capitale, ne deriverebbe come conseguenza che la società potrebbe legittimamente aumentare il capitale, mediante la fissazione di un idoneo sovrapprezzo alle azioni di nuova emissione da destinarsi obbligatoriamente ad apposita riserva utilizzabile per la copertura delle perdite

Più complessa, come si è visto, appare invece la situazione nel caso in cui l'aumento di capitale da sottoscrivere mediante la conversione di alcuni crediti in azioni della società costituisca uno degli elementi del piano sottostante ad un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis. In primo luogo si deve conciliare la decisione in ordine all'operazione straordinaria che compete a seconda dei casi all'assemblea dei soci o all'organo amministrativo, con quella concernente la composizione negoziale della crisi, che compete dapprima ai creditori nella fase di raccolta delle adesioni e successivamente al tribunale nella fase dell'omologazione. Alla domanda se le operazioni programmate nell'accordo di ristrutturazione in vista della conversione dei crediti in capitale di rischio debbano comunque essere deliberate prima che la proposta venga depositata, iscritta nel registro delle imprese ed omologata dal tribunale o se invece tali operazioni possano trovare concreta attuazione solo dopo l'omologazione (e quindi unicamente nella fase di esecuzione dell'accordo) la risposta potrebbe essere quella di procedere a deliberare l'aumento di capitale, prevedendone la sottoscrizione mediante la conversione dei crediti, subordinatamente all'omologazione dell'accordo da parte del tribunale

Diritti amministrativi e patrimoniali del socio creditore

La facoltà, prevista dall'

art. 2348 c.c.

, di creare diverse categorie di azioni, consente di dare attuazione all'aumento di capitale sottoscritto da alcuni creditori, mediante conversione dei propri crediti, coniugando le esigenze dei creditori con quelle della società e degli altri azionisti. Come noto, l'art. 2348, comma 2, consente alla società di creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto riguarda l'incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie, nel rispetto del vincolo imposto dallo stesso art. 2348, comma 3, secondo cui tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti. In particolare, potranno essere create particolari categorie di azioni privilegiate nella distribuzione dei dividendi con alcune restrizione sul versante dei diritti amministrativi (

art. 2348,

2350

e

2351 c.c.

). Potranno altresì essere emesse azioni ordinarie, senza alcuna restrizione nei diritti amministrativi.

In presenza di titoli negoziabili nei mercati regolamentati, la possibilità di poter liquidare più facilmente questi titoli nel momento in cui la società sarà uscita dalla crisi, può costituire un incentivo per il creditore ad aderire alla proposta.

L'opportunità di conciliare le esigenze della società e dei “vecchi soci” con quelle dei nuovi soci (già creditori della società) può essere agevolata anche grazie alla previsione contenuta nell'art. 2346, comma 4, che, in deroga al principio generale (secondo il quale a ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte di capitale sociale sottoscritto e per un valore non superiore a quello del suo conferimento) consente, se lo statuto lo prevede, di assegnare le azioni secondo pesi non proporzionali ai conferimenti effettuati.

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