L'art. 169-bis l. fall. e i rischi di una sua applicazione impropria soprattutto quanto ai rapporti bancari

Federico Callegaro
07 Novembre 2013

La sospensione e lo scioglimento dei rapporti pendenti nel concordato preventivo presenta aspetti problematici nel settore finanziario e con riferimento ad alcuni contratti bancari. L'Autore analizza i rischi di un possibile uso improprio dell'art. 169-bis l. fall., soffermandosi, in particolare, sull'applicabilità di tale articolo al preconcordato, sui rapporti bancari e sui finanziamenti.
Premessa

Nel settore bancario, e più in generale in quello finanziario, l'art. 169-bis sta assumendo un ruolo non irrilevante in ragione, soprattutto, dell'uso che ne viene fatto in sede di presentazione di ricorsi ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall. (cosiddetto ricorso prenotativo o ricorso in bianco). Si cercherà qui di fare il punto - per quanto sommariamente - sulle principali problematiche che discendono dalla sua applicazione, identificandone talune che, come si cercherà di argomentare, appaiono oggetto di tesi interpretative ed applicazioni pratiche non riconducibili nè allo stretto dettato della disposizione normativa, nè al fine che, in sede di sua emanazione, il legislatore si era posto in un contesto coordinato della normativa vigente applicabile.

Gli elementi che qui sono presi in considerazione quale base di partenza dell'analisi, desunti dal testo letterale della disposizione, sono i seguenti:

  • riconducibilità in capo al debitore del diritto di proporre la richiesta di autorizzazione allo scioglimento in sede di ricorso;
  • riferimento a contratti “in corso di esecuzione” (raffronto con il fallimento);
  • diritto, in capo alla controparte contrattuale, ad un equo indennizzo;
  • casi di esclusione (numerus clausus o elenco non esaustivo).

Verranno considerati, inoltre, taluni contratti bancario–finanziari per analizzare l'applicabilità o meno di tale previsione e gli effetti che ne possono derivare considerando, doverosamente, le previsioni normative di settore, ivi comprese le disposizioni regolamentari emanate dalla competente Autorità di Vigilanza. In particolare, devono considerarsi le Disposizioni emanate dalla Banca d'Italia con Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 (“Matrice dei conti”), nella parte dedicata alla “Qualità del Credito”, nella quale vengono definite come sofferenze “esposizioni per cassa e fuori bilancio (finanziamenti, titoli, derivati, etc.) nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili … Fermi restando i criteri generali di classificazione a sofferenze o a incaglio, la banca è tenuta al verificarsi della prima inadempienza da parte del debitore, a classificare l'intera esposizione tra le sofferenze o le partite incagliate, a seconda del grado di anomalia del debitore. L'inadempienza rileva quando supera il normale “periodo di grazia” previsto per le operazioni della specie dalla prassi bancaria (non oltre 30 giorni)”.

Gli artt. 72 e ss. l. fall.: fallimento e rapporti pendenti

i) Presupposti e modalità

La norma pone espressamente, quale presupposto per la sua applicazione, che il contratto sia “ancora ineseguito” ovvero “non compiutamente eseguito” da entrambe le parti, disponendo che, in tali casi e salve le eccezioni dalla stessa espressamente previste, la relativa esecuzione rimane sospesa in attesa delle determinazioni assumende dal curatore, sentito il comitato dei creditori, quanto al subentro ad ogni effetto di legge ovvero al suo scioglimento. Si osservi come il fatto oggettivo, fallimento, costituisca la circostanza che, di per sé - senza alcuna attività da parte dell'imprenditore fallito, ovvero degli Organi della Procedura -, determina automaticamente l'effetto sospensivo. Una delle ragioni giuridiche di tale scelta del legislatore, se non la principale, è riconducibile al completo spossessamento del fallito (diversamente che per il concordato preventivo, nel cui caso si può parlare, al più, di parziale o limitato spossessamento. Di “spossessamento minore sia pure sotto forma di vigilanza ed eventuali autorizzazioni del Tribunale rispetto ai più importanti atti e negozi” si esprime anche il Tribunale di Ravenna, decreto del 24 dicembre 2012).

Una delle cause di esclusione per il concretizzarsi dell'effetto sospensivo è che nei contratti reali non sia “già avvenuto il trasferimento del diritto”, per la cui determinazione si deve fare riferimento alle previsioni applicabili, in materia, a ciascuna singola fattispecie (immobili, mobili registrati e non, crediti, compravendita di beni diversi, marchi brevetti, etc.) ferma, in quanto disposizione da considerarsi anche qui applicabile in ragione della sua generale portata in materia fallimentare, la presenza della data certa.

Specifiche disposizioni sono previste in materia di contratti relativi ad immobili da costruire (art. 72-bis), effetti su finanziamenti destinati ad uno specifico affare (art. 72-ter), locazione finanziaria (art. 72-quater), vendita con riserva di proprietà (art. 73), contratti ad esecuzione continuata e periodica (art. 74), restituzione di cose non pagate (art. 75), contratti di borsa (art. 76), associazione in partecipazione (art. 77), conto corrente, mandato, commissione (art. 78), contratto di affitto d'azienda (art. 79), contratto di locazione di immobili (art. 80), contratto d'appalto (art. 81), contratto di assicurazione (art. 82), contratto di edizione (art. 83).

Viene espressamente previsto che in caso di scioglimento il contraente ha diritto di far valere il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia riconosciuto il risarcimento del danno. Casi particolari sono previsti per le ipotesi di contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis c.c., mentre non trova applicazione il primo comma (sospensione) per i contratti aventi ad oggetto un immobile ad uso abitativo, destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente.

Di assoluta rilevanza è la previsione attraverso la quale vengono dichiarate inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento (clausola risolutiva espressa), che troviamo anche nella regolamentazione del Concordato Preventivo.

Secondo la Suprema Corte (Cass. 15 gennaio 2013 n. 787) “un'esecuzione del contratto preliminare di compravendita, idonea ad impedire l'esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, si deve identificare o in quella che deriva dalla volontaria stipulazione del contratto definitivo, o nella statuizione giudiziale passata in cosa giudicata che tenga luogo di quella stipulazione, poiché soltanto in uno di tali modi si può verificare l'effetto traslativo della proprietà della cosa e l'esaurimento della situazione giuridica obbligatoria scaturente dal contratto preliminare, nella pendenza del quale può, invece, legittimamente inserirsi l'iniziativa dello scioglimento del vincolo del curatore”. Tale pronuncia, nel puntualizzare taluni termini e condizioni specificatamente peculiari della fattispecie in esame (esecuzione di un contratto preliminare stipulato ante procedura fallimentare), sottolinea il permanere dei diritti in capo alla controparte contrattuale non soggetta a procedura non rimanendo, la stessa, “in balìa” totale delle scelte e decisioni assumende dal Curatore quale unico dominus del rapporto in ragione dell'avvio di tale procedura.

ii) Il conto corrente bancario

Con riferimento ai rapporti bancari merita attenzione come il Legislatore abbia preso in considerazione i conti correnti, tralasciando i restanti contratti (in particolare gli affidamenti, le aperture di credito, i mutui, etc.). In primo luogo si consideri come a tale tipologia di rapporto trovi applicazione la previsione espressa di scioglimento a seguito del fallimento di una delle parti, in quanto elemento del più ampio istituto regolato dal codice civile, il quale, non da ultimo, lo identifica quale species del proprio ampio genus. Ne deriva come, ad esempio, a tale data:

a) vengano “chiuse” le partite creditorie e debitorie e

b) trovi applicazione l'istituto della compensazione fallimentare ex art. 56, la cui applicazione non viene posta in dubbio, ancorchè la disposizione normativa parli, anche in questo caso, di scioglimento del relativo contratto. Non si deve tralasciare di considerare, in particolare, che l'operatività di anticipi su crediti, fatture, riba, etc. è anche contrattualmente regolata in un conto corrente (nella veste “unica” ovvero singola per ciascuna tipologia di apertura di credito, a seconda delle forme offerte da ciascun istituto di credito alla propria clientela), con la conseguenza che la sua “derivata” chiusura, in ragione dello scioglimento exlege del contratto, non rende comunque gestibile l'eventuale prosecuzione operativa dell'utilizzo dell'affidamento, che per altri versi – infra – non appare certo possa comunque proseguire.

iii) Rapporto con l'art. 169-bis

Preliminarmente occorre richiamare all'attenzione un inciso, contenuto nel primo comma dell'art. 72 (secondo il quale, per le previste ipotesi di sospensione ex lege del contratto, il curatore può essere autorizzato a dichiarare “di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi”), che, in ragione del sostanziale diverso regime di spossessamento, non troviamo per il concordato preventivo.

Una delle principali differenze, tra le due previsioni è la presenza, nell'art 169-bis, del riconoscimento in moneta concorsuale di un indennizzo anziché del risarcimento del danno, che si tratti, indifferentemente, di procedura “in continuità” o meno, pur attesa la distinta natura non solo concettuale e dottrinale tra i due istituti.

Da quanto precede appare legittimo ritenere come il Legislatore abbia inteso prevedere una diversa regolamentazione, più “personalizzata”, adattandola alle diverse finalità del concordato preventivo; tesi questa che appare avvalorata proprio al mancato richiamo nell'art. 169-bis, diversamente da quanto avviene in altri istituti “fallimentari”, proprio dell'art. 72 – salva l'esclusione espressa del suo ottavo comma che, in uno con il richiamo degli artt. 72-ter e 80, comma 1, appaiono costituire un espresso limite alla richiedibilità dello scioglimento ed all'emissione del relativo provvedimento con riferimento ai contratti da questi previsti -.

In tale ambito si richiama una recente decisione del Tribunale di Roma (sentenza 21 aprile 2010) il quale, aderendo ad un precedente di legittimità (Cass. 7194/1997), ha precisato che:

  • l'ammissione dell'imprenditore al concordato preventivo non determina lo scioglimento del rapporto di conto corrente bancario e di quelli in esso confluenti;
  • ne deriva che la prosecuzione investe il rapporto nella sua interezza, estendendosi a tutte le clausole che lo regolano, inclusa quella con la quale le parti abbiano attribuito alla banca il diritto di incamerare le somme riscosse per conto del correntista;
  • il negozio di credito bancario è strutturalmente collegato al potere conferito alla banca, in forza di mandato od in virtù di una cessione del credito, di riscuotere il credito del correntista in quanto configura la regolamentazione delle modalità di soddisfazione del credito della banca stessa;
  • in presenza del cosiddetto “patto di compensazione” (richiamando Cass. 2359/1998, 4205/2001, 7194/1997, 6870/1994) la banca ha diritto di compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse, con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che il suo credito sia anteriore all'ammissione alla procedura ed il suo debito posteriore, dovendo ritenersi che in tale ipotesi non operi il principio della cristallizzazione dei cediti, con la conseguenza che la società, pur in pendenza dell'ammissione a concordato preventivo, non ha il diritto a che la banca riversi a suo favore le somme riscosse omettendo di porle in compensazione.
Gli istituti cui si applica l'art. 169-bis

i) Il Concordato con riserva

Un approfondimento merita l'applicabilità o meno dell'art. 169-bis all'ipotesi di ricorso presentato dall'imprenditore ai sensi dell'art. 161, comma 6 (cosiddetto concordato in bianco o con riserva”) atteso che:

a) da un lato l'istituto dell'accordo ex art. 182-bis non prevede la possibilità dello scioglimento o sospensione dei contratto in corso di esecuzione e,

b) dall'altro, tenuto conto che l'imprenditore non effettua, o non dovrebbe effettuare, la scelta “all'ultimo momento” o comunque in un lasso di tempo breve rispetto all'approssimarsi del termine concesso dal Tribunale per il deposito del ricorso definitivo (Trib. Mantova 27 settembre 2012 e Trib.Monza, 8-18 gennaio 2013) – la domanda ex 182-bis costituisce espressamente un'alternativa alla “normale conseguenza” del ricorso -. Non si tralasci il fatto che la norma prevede espressamente la concessione dell'autorizzazione sia nell'ipotesi di scioglimento che di sospensione determinando, in caso di successivo deposito della predetta istanza anziché del ricorso definitivo, un vantaggio per l'imprenditore a danno dei creditori, non espressamente previsto né apparentemente voluto dal legislatore, né tantomeno giustificabile.

Parte della giurisprudenza, che appare consolidarsi, ritiene infatti (Trib. Ravenna 24 dicembre 2012, decr.; Trib. Pistoia, 30 ottobre 2012) che “nella fase prodromica al deposito del piano – ed in assenza di discovery delle linee dello stesso, in ordine all'attivo, passivo e possibilità di soddisfacimento del ceto creditorio – è possibile unicamente procedere alla sospensione dei rapporti pendenti, dovendosi dare una lettura sistematica dell'art. 169-bis l. fall. che, in pendenza del termine concesso ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., eviti la produzione di effetti irreversibili se questi non siano verificabili come convergenti alla migliore realizzazione del piano concordatario e finalizzati al migliore soddisfacimento dei creditori”. In adesione a tale indirizzo è stato ulteriormente, sottolineato (Trib. Ravenna cit.) come lo scioglimento “ope iudicis” si fondi su una valutazione non arbitraria da parte dell'organo giudiziario adito, la quale, necessariamente e logicamente, a sua volta presupponga che almeno parzialmente il piano concordatario e la proposta cui esso è finalizzato siano adeguatamente espressi, sì da poter motivare, come anticipato, in ordine alla funzionalizzazione dell'intervento sui contratti in corso (la cui regola generale è la prosecuzione in caso di concordato preventivo), il rispetto dell'interesse dei creditori. Di diverso avviso, viceversa, un Tribunale (Trib. Modena 28-30 novembre 2012), il quale ritiene che la questione della possibilità di autorizzare la sospensione dei contratti in corso di esecuzione deve essere valutata unitariamente rispetto a quella dell'analoga possibilità di autorizzazione allo scioglimento della stessa tipologia di contratto, posto che il primo comma dell'art. 169-bis disciplina unitariamente le due fattispecie e nessun elemento testuale o sistematico autorizzerebbea ritenere che il legislatore si sia voluto riferire a due diverse fasi procedimentali. Militerebbe a favore della tesi adottata il rilievo di natura testuale secondo cui l'atto nel quale può essere contenuta la richiesta in questione è il ricorso, essendo noto che con tale termine il legislatore intende espressamente anche l'atto introduttivo contenente la domanda di concordato con riserva, come risulta dal disposto del sesto comma dell'art. 161. Tesi, questa, non condivisibile poichè:

a) il comma 6 appare assumere la natura di eccezione al principio, generale, del ricorso per concordato preventivo come regolato dall'art. 161 l. fall. e, nondimeno,

b) il ricorso ai sensi di detto sesto comma può ben sfociare in un accordo ex art. 182-bis, istituto che non contempla l'ipotesi né dello scioglimento né della sospensione dei contratti.

Sempre con riferimento alla necessità di evitare la produzione di “effetti irreversibili” viene ritenuto (Trib. Verona cit.) che gli stessi “possono ritenersi giustificabili soltanto quando risultano effettivamente funzionali alla realizzazione del piano concordatario”; in tale occasione è stata autorizzata la sospensione attraverso l'implicito riconoscimento della relativa richiesta in quella, espressa, di scioglimento, tesi però non condivisibile sotto l'aspetto del petitum e della limitazione al relativo ambito da parte dell'Organo Giudiziario trattandosi, peraltro, di istituti distinti e non uno incorporato nell'altro. A tale proposito si osservi come, nella pratica ed in via pressoché sistematica ed esclusiva, i contratti per i quali viene richiesta la sospensione sono quelli bancari, aventi ad oggetto l'anticipazione di portafoglio e/o fatture, soprattutto ove assistiti dalla cessione del credito (pro-solvendo). Si osservi inoltre che nel corso del periodo di sospensione viene a maturazione, solitamente, l'intero restante portafoglio oggetto di anticipazione da parte delle banche che, quindi, costituirebbe una disponibilità economica per fare fronte alle esigenze concorsuali, ma, soprattutto ed in spregio alla stessa finalità della normativa vigente, rendendo sostanzialmente definitivo il provvedimento anche nell'ipotesi di accoglimento della “mera” sospensione. In alcuni casi la richiesta viene motivata dalla necessità di assicurare, alla “continuità aziendale” (spesso per il tramite di NewCo riconducibile al medesimo imprenditore o a soggetti ad esso collegati), un necessario “flusso di liquidità” in forma quantomeno non corretta, atteso come lo stesso, anche secondo un aspetto aziendalistico, faccia riferimento alla continuità degli incassi derivanti dal portafoglio crediti in capo ad una diversa impresa. Un simile orientamento non risulterebbe in linea con il detto principio atteso che, l'impresa ha già percepito il flusso in sede, appunto, di anticipazione e, ad abundantiam nonché sine titulo, se ne gioverebbe nuovamente per pari importo in sede di mancato esercizio del diritto, della banca anticipante, alla compensazione pattuita (riconosciuto, non si dimentichi, dalla stessa Suprema Corte di Cassazione con la nota pronuncia del 2011).

Ancora più legata all'esegesi letterale della norma appare una recente pronuncia (App. Brescia, 29/05-19/06 2013 in revoca di Trib. Bergamo 4-5 aprile 2013), in sede di gravame avverso un provvedimento di sospensione, che precisa che “il testo dell'art. 169-bis non fa alcun riferimento alle domande presentate ai sensi del sesto comma dell'art. 161, come invece viene fatto nelle altre forme quando queste vanno applicate alla fattispecie del concordato, … vi è una certa contraddizione tra gli effetti provvisori impliciti in una domanda di concordato con riserva - … - con la stabilità e definitività che determina una decisione sulla sorte dei contratti pendenti” puntualizzando, inoltre, come i provvedimenti emanandi ai sensi di tale previsione “debbono comunque essere pronunciati in funzione della continuità aziendale (in capo allo stesso debitore o ad altro imprenditore), avuto riguardo alle concrete ed attuali esigenze della gestione dell'impresa, in relazione, ad esempio, a contratti superflui o relativi a beni o attività da liquidarsi, ovvero in qualche modo eccessivamente onerosi, alla salvaguardia dei livelli produttivi, ecc”.

ii) In particolare i rapporti bancari

Si richiama all'attenzione l'orientamento giurisprudenziale (n. 7751/99, richiamata da Trib. Terni 12 ottobre 2012, decr.) secondo il quale l'autorizzazione alla sospensione dell'anticipazione dei crediti su fattura stipulata dall'imprenditore con le banche, poggerebbe “sulla evidente lesione della par condicio creditorum messa in atto da parte degli istituti di credito … la cui condotta si pone in contrasto con i principi degli artt. 168 e 169 l. fall., e della carenza di liquidità che scaturisce da tali comportamenti (con evidenti ricadute sulla ristrutturazione del debito sociale in corso)”.

Si osserva, peraltro, come tale impostazione non tenga conto, nel senso che nulla dispone in merito alla ricorrenza della fattispecie o meno, del caso di cessione del credito pro solvendo stipulata tra il cliente e la banca antecedentemente al deposito del ricorso per l'ammissione a concordato preventivo. Tale circostanza assume rilievo, da un lato, quanto alla titolarità del credito – ancorchè in funzione di garanzia – e, dall'altro, al limite che tale garanzia, al pari dell'ipoteca e del pegno, costituisce all'applicazione della par condicio creditorum. Infatti anche al concordato preventivo si applica l'art. 67 della l. fall. quanto, tra le altre, all'efficacia delle garanzie, a vario titolo, acquisite da un creditore (agli effetti anche del disposto del successivo art. 111) in un'ottica, normativamente prevista e riaffermata dalla consolidata giurisprudenza, di eventuale continuità di procedure. Atteso che la stessa giurisprudenza fin qui osservata appare avere – di fatto – riconosciuto valenza alle garanzie ipotecarie/pignoratizie acquisite ante procedura, in termini di opponibilità (diversamente argomentando si potrebbe addirittura ipotizzare lo scioglimento di finanziamenti garantiti da ipoteca con conseguente inopponibilità di quest'ultima nei confronti del concordato, mentre, in sede di fallimento la stessa “riacquisterebbe valenza”); non si comprende la ragione giuridico-esegetico in base alla quale ciò non valga per le altre garanzie riconducibili al disposto dell'art. 67 l. fall. Il richiamo al principio della par condicio, quindi, non dovrebbe prescindere dal riconoscimento dei diritti acquisiti, nel senso di efficaci nei confronti della procedura concordataria, atteso che, diversamente, si otterrebbe l'irragionevole effetto di dichiarare l'inefficacia di garanzie che lo stesso Legislatore ha inteso, con il richiamo espresso contenuto nell'art. 169-bis l. fall., mantenere. In tal senso appare indirizzarsi una recente giurisprudenza, la quale, nel richiamare la nota decisione della Corte di Cassazione n. 17999/2011, precisa come:

- risulti erroneo intendere che “la compensazione, anche se effettuata in conformità al contratto ed alla legge, debba essere considerata di per sé contraria alla par condicio creditorum”. Nel caso di specie il provvedimento, con tale pronuncia revocato, era stato emanato accogliendo “la prospettazione della ricorrente dell'esigenza di “scongiurare l'applicazione della compensazione ex art. 56 L.F. - che recherebbe pregiudizio ai creditori concordatari”. Si osservi che tale finalità di “scongiurare” risulta alla base di molti dei ricorsi, e successivi provvedimenti di accoglimento, presentati ai sensi dell'art. 169-bis l. fall.

Si osservi come la Suprema Corte (cit. supra) abbia, richiamando propri precedenti (2539/98 e, conforme, 4205/01), riaffermato la valenza, base della decisione della Corte d'Appello impugnata, del seguente principio: "In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni siano compiute in epoca antecedente rispetto all'ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, è necessario accertare, qualora il fallimento (successivamente dichiarato) del correntista agisca per la restituzione dell'importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all'anticipazione su ricevute regolata in conto contenga una clausola attributiva del diritto di "incamerare" le somme riscosse in favore della banca (c.d. "patto di compensazione" o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto). Solo in tale ipotesi, difatti, la banca ha diritto a "compensare" il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poichè in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della "cristallizzazione dei crediti", con la conseguenza che nè l'imprenditore durante l'amministrazione controllata, nè il curatore fallimentare - ove alla prima procedura sia conseguito il fallimento - hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse (anzichè porle in compensazione con il proprio credito)".

Quanto precede appare costituire prosecuzione dell'orientamento, già espresso in precedenza dalle stesse SS.UU., ove si osservi, tra l'altro, come (n. 7751/99, richiamata da Trib. Terni, decreto del 12 ottobre 2012) nel distinguere la posizione in cui viene a versare la banca mandataria all'incasso, riconosce – proprio quale differenza rispetto a quest'ultima – l'opponibilità alla procedura del patto di compensazione “relativo alla cessione del credito anteriore all'apertura della procedura, in base al quale la banca sia legittimata a riscuotere il credito cedutole anteriormente, non già come mandataria (ossia per conto del mandante) ma come vera e propria cessionaria”.

Con riferimento all'ipotesi di mutuo, concesso da una Banca ed oggetto di erogazione in epoca antecedente al deposito del ricorso ex art. 161 l. fall., è stato precisato (Trib. Monza, 8-18 gennaio 2013) come “non può qualificarsi come rapporto pendente, configurandosi l'obbligazione restitutoria gravante sul mutuatario come debito disciplinato dall'art. 55 l. fall., in forza del richiamo contenuto all'art. 169 l. fall.”.

iii) L'indennizzo

In tale contesto si osservi come l'indennizzo appare assumere la veste di previsione volta ad assicurare, per quanto possibile, la non sproporzionalità tra la “tutela” riconosciuta all'imprenditore in difficoltà e quella riconosciuta ai terzi – non necessariamente, in tale momento, suoi creditori ma controparti di un rapporto in corso di esecuzione -.

La finalità che appare essersi posto il legislatore, in forma più marcata in caso di concordato preventivo (in particolare, come comprensibile, per le ipotesi di procedura “in continuità”) è quella di consentire all'impresa - anche attraverso la conclusione delle opere, iniziative, attività ancora in corso, la cui conclusione può costituire un vantaggio per la massa dei creditori, ovvero per la migliore riuscita della prosecuzione futura dell'attività d'impresa - di scegliere, sia pure con la necessaria autorizzazione del Giudice (espressione, questa in uno con talune altre, del “parziale spossessamento” che si determina in sede di C.P.).

Tale istituto andrebbe nel senso, in coerenza con quanto perseguito dal legislatore, di contemperare (Trib. Novara 3-4 aprile 2013) tre interessi contrapposti in capo:

i) al contraente in bonis alla regolare esecuzione del contratto,

ii) ai creditori concorsuali, a non subire i costi di prosecuzione dello stesso,

iii) all'impresa in concordato a realizzare il piano senza il vincolo dei contratti pendenti.

Ne deriva che, in sede di valutazione della relativa istanza, debba essere eseguita una comparazione tra gli oneri conseguenti alla prosecuzione dei contratti e quelli che conseguirebbero al loro scioglimento o sospensione, identificabili nell'indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento, da soddisfarsi come credito anteriore al concordato.

Senza qui approfondirne i contenuti, ci si limita a ricordare come il concordato in continuità aziendale sia previsto (art. 186-bis) in tre distinte tipologie:

a) prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore,

b) cessione dell'azienda in esercizio,

c) conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società.

Si richiama l'attenzione su come la previsione normativa non contempli, espressamente, l'ipotesi dell'affitto di azienda – anche ove prodromico alla futura cessione – potendosi ritenere, quindi, la non riconducibilità a detto istituto di tutte quelle fattispecie – di recente spesso osservate – che vedono la costituzione di NewCo da parte, direttamente od indirettamente, dello stesso imprenditore (o dei soci in caso di società) cui viene affittata l'azienda, in un momento immediatamente antecedente al deposito del ricorso, con impegno al suo acquisto ad un prezzo predeterminato e con i canoni di affitto costituenti anticipo su quest'ultimo in occasione della cessione definitiva. Sotto taluni aspetti una simile operazione potrebbe costituire una spoliazione di patrimonio dell'impresa ammessa alla procedura in quanto, di fatto, essa si priverà dell'attività a favore di un soggetto che ne fa propri gli utili senza, in sostanza, subirne i costi, atteso che i canoni costituirebbero prezzo del successivo acquisto.

Non da ultimo si osserva, nella pratica recente, come l'affitto dell'azienda, ovvero di un suo ramo – solitamente il più profittevole - venga perfezionato prima del deposito del ricorso ex art. 161, comma 6, privando i creditori della facoltà di esprimere una valutazione in merito all'adeguatezza sia di tale scelta sia, non da ultimo, dei termini del relativo contratto, che, spesso, prevede un compenso non comprendente anche i vantaggi (profitto) che derivano all'affittuario rispetto ad una prosecuzione diretta riducendo, quindi, il vantaggio per i creditori.

Alla determinazione dell'ammontare dell'indennizzo, attraverso l'analisi degli elementi che ne costituiscono presupposto e contenuto, l'imprenditore deve provvedere già in sede di presentazione della relativa istanza al Tribunale, in quanto in grado di valutare la ricorrenza di un reale vantaggio per la procedura che, è legittimo ritenere, possa anche non essere costituito da un diretto risparmio di denaro, quanto piuttosto, ad esempio, da una migliore gestibilità delle relative attività in termini di cessione, utilizzo, valorizzazione in un'ottica diversa a seconda che si tratti di una procedura “in continuità” ovvero puramente liquidatoria, secondo un rapporto identificabile come “costo prosecuzione versus vantaggio scioglimento/sospensione”. A tale proposito è stato precisato (Trib. Novara, 27 marzo 2013) come:

  • l'indennizzo da riconoscersi alla controparte contrattuale è da intendersi “equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento, quale bilanciamento della soddisfazione del credito come credito anteriore al concordato”;
  • “il sacrificio, per la procedura, si giustifica solo nel caso in cui la prosecuzione dei contratti pendenti risulti di ostacolo per l'impresa proponente, in rapporto alle finalità perseguite dalla soluzione concordataria, alla migliore valorizzazione, a vantaggio di tutto il ceto creditorio, dei beni e dei rapporti aziendali superflui, o, comunque, non più rispondenti alle necessità del nuovo piano industriale o della liquidazione” (quest'ultima considerazione non appare condivisibile, in quanto, anziché prevedere l'applicabilità dell'istituto agli interi beni, in un'ottica di maggiore valorizzazione o gestione, parrebbe limitarla solo ad una parte di essi, riducendo così l'ambito di manovra dell'imprenditore per interventi che comunque risulterebbero profittevoli in un contesto applicativo più ampio);
  • “è riservato al vaglio del tribunale il contemperamento tra il vantaggio della massa dei creditori e il danno del contraente che subisce l'effetto solutorio”.

Una parte della giurisprudenza, formatasi già in epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore della novellazione, è orientata (Trib. Monza 9-21 gennaio 2013) nel senso di ritenere imprescindibile l'instaurazione del contraddittorio con la controparte contrattuale, affinchè possa quest'ultima esprimere le sue considerazioni e le eventuali ragioni di opposizione. Tale orientamento, che si condivide, risponde a due esigenze quali l'acquisizione di adeguate informazioni, da parte del Giudice, ulteriori rispetto a quelle fornite dall'imprenditore ricorrente e, non da ultimo, la ricerca di un equo coordinamento tra i vari interessi in gioco finalizzato anche al ridurre i rischi di eventuale successivo contenzioso che potrebbe ripercuotersi sugli esiti della procedura – in termini di tempo, costi, aumento della complessità gestionale sia in caso di continuità aziendale che di liquidazione -.

I finanziamenti

i) Le disposizioni normative e le prime pronunce applicative

Fin da subito si osserva come il Legislatore parli di finanziamenti erogati e non di prosecuzione, di per sé, di quelli già in essere, apparendo escludere una sorta di obbligatorietà a contrarre in un ambito che, proprio in ragione della particolare e speciale regolamentazione sua propria, risulterebbe non conforme nè a quest'ultima, nè ai principi ed alle previsioni di sana e prudente gestione (cardine normativo dello svolgimento dell'attività bancaria).

La regolamentazione sostanziale è contenuta negli artt. 182-quater e 182-quinquies in tema, rispettivamente di “disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti” e “disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti”. Già dai titoli si rileva, come poi confermato dal testo, come la seconda costituisca una sorta di species rispetto alla prima regolando due specifiche fasi/ modalità di approccio al concordato preventivo ovvero ad un Accordo di Ristrutturazione.

Altra disposizione normativa rilevante ai fini che qui rilevano è l'art. 167 l. fall. “Amministrazione dei beni durante la procedura”, nella parte in cui dispone che:

a) il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale;

b) i mutui, anche sotto forma cambiaria, le concessioni di ipoteche o di pegno e in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato. Tale ultima previsione appare costituire un ulteriore limite non indifferente, ad esempio, per la tesi che vede la prosecuzione automatica dei finanziamenti / mutui bancari in essere al momento del deposito del ricorso per l‘ammissione alla Procedura.

Il contesto di applicazione dell'art. 182-quater nel definirne i termini di prededucibilità, si “limita” a considerare i crediti derivanti da finanziamenti effettuati, in qualsiasi forma, in esecuzione di un concordato preventivo ovvero di un accordo di ristrutturazione omologato ai sensi dell'art. 182-bis, così come, in quanto ad essi “parificati”, quelli erogati in funzione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione ove previsti rispettivamente dal piano, ex art. 160 o dall'accordo di ristrutturazione, ed a condizione che la prededuzione stessa sia espressamente disposta nei previsti provvedimenti del Tribunale.

La prima significativa distinzione che si osserva è tra finanziamenti erogati in esecuzione di un concordato o di un accordo, e quelli in funzione della presentazione della rispettiva domanda, che assumono contorni di criticità non indifferente, sol che si consideri come per entrambi resti fermo il presupposto di una provvedimento giudiziario che ne dichiari la prededuzione. Ciò comporta che il finanziatore, soprattutto nella seconda ipotesi, ove aderisse alla richiesta di concessione di un finanziamento “fin da subito”, incorrerebbe nell'alea di vedere non dichiarato, in tutto od in parte, il derivante credito in prededuzione. Come chiaramente comprensibile, nessun intermediario finanziario potrebbe ritenere di applicare il principio di “sana e prudente gestione” nell'attività di erogazione del credito assumendosi il rischio di vedersi esposto alla falcidia concordataria salvo che un terzo, il Giudice, ritenga in un secondo momento e ad erogazione avvenuta di riconoscerne la prededuzione. Appare legittimo ricondurre alla seconda tipologia quei finanziamenti concessi, ad esempio, per assicurare la provvista che dovrà essere versata in sede di ammissione alla procedura, o il pagamento di taluni creditori nei termini del Piano, ma non quelli finalizzati alla prosecuzione dell'attività, sia in quanto non rispondenti alle finalità che traspaiono dall'art. 182-quater, sia soprattutto per l'esistenza di una più specifica previsione ad hoc contenuta nella successiva disposizione normativa.

L'art. 182-quinquies prevede la facoltà per l'istante di richiedere un'autorizzazione a contrarre finanziamenti, cui riconoscere il carattere di prededucibilità, disponendo:

i) ove ritenuta dal Giudice, l'assunzione di sommarie informazioni,

ii) l'attestazione di un professionista, designato dal debitore - iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, 1° comma, lettere a) e b) - che tali finanziamenti siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori,

iii) che l'autorizzazione possa riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entità, e non ancora oggetto di trattative, ed avere ad oggetto la concessione di pegno od ipoteca a garanzia degli stessi.

È stato puntualizzato espressamente come debba essere chiesta preventiva autorizzazione “per contrarre finanziamenti, prededucibili ex art. 111 l. fall, ai sensi dell'art. 182-quinquies comma 1, l. fall., previa attestazione da parte di un professionista da lui designato, in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall, che tali finanziamenti, una volta verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa, sino all'omologazione, sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori”.

Si osserva come entrambe le disposizioni prevedano il vaglio positivo, da parte dell'Autorità Giudiziaria, per determinare il riconoscimento dei crediti nella classe preferenziale, che, peraltro, appare in linea con quanto comunque avviene, a tutela dell'applicazione della par condicio creditorum, in sede di verifica dei crediti anche in ragione del fatto che il debitore non può determinare autonomamente quali crediti preferire in sede di rimborso e/o eventuali difformi modalità per la sua effettuazione.

Ad ulteriore dimostrazione della rilevanza che assume il rispetto delle prescrizioni, anche formali, previste dalla Legge Fallimentare, si consideri come l'articolo 217-bis “Esenzioni dai reati di bancarotta” espressamente disponga come le previsioni, in materia di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, non trovino applicazione ai pagamenti ed alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, del piano di cui all'articolo 67, comma 3, lett. d), di un accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'art. 12 l. n. 3/2012, nonchè ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice ai sensi dell'art. 182-quinquies.

A tale norma appare attribuibile la natura di logico e necessitato coordinamento delle norme, previste sia per il fallimento che per il Concordato Preventivo, in materia di prededuzione, in virtù delle quali vi è una preferenza nel soddisfacimento di taluni crediti derivanti da finanziamenti aventi causa e presupposti come dianzi descritti.

Si consideri, inoltre, come l'assenza formale e sostanziale di questi ultimi (presupposti) escluda l'applicazione dell'esimente, determinando il concretizzarsi della fattispecie criminosa.

Quanto precede appare costituire un limite, rilevante, tale da legittimare il rifiuto opponibile dalle banche e da altre istituzioni finanziarie in sede di pressante richiesta, dei debitori, al mantenimento dei fidi anche in sede di presentazione del ricorso per concordato preventivo, proprio in quanto i versamenti, successivamente eseguiti dal debitore così come gli incassi a copertura dei relativi anticipi/utilizzi, potrebbero costituire un'ipotesi potenzialmente delittuosa.

ii) Risoluzione del contratto e revoca degli affidamenti

Con riferimento al diritto della Banca di risolvere il contratto/revocare gli affidamenti anche successivamente al deposito del ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall., ferma restando l'applicazione di quanto disposto dal successivo art. 186-bis, secondo comma, lettera c) – limitatamente all'ipotesi di continuità aziendale -, appare legittimo riconoscerne applicazione al ricorrere di eventi / circostanze/fatti diversi dall'apertura della procedura, ma riconducibili a previsioni contrattuali, ovvero alle ipotesi ex art. 1186 c.c.

Preliminarmente si consideri come, ai sensi del suo primo comma, l'apertura della procedura derivi dalla “dichiarazione” contenuta nel decreto non soggetto a reclamo emesso dal Tribunale.

Un cenno a parte meritano i cosiddetti finanziamenti “S.A.L.” (a stato avanzamento lavori) i quali prevedono un periodo di erogazione, a più tranche in base a documentazione di spesa/certificazione di periti/attestazioni predeterminate nell'oggetto – costituenti l'elemento oggettivo contrattuale per dare seguito alle singole erogazioni -, cui segue il periodo di rimborso.

Le previsioni in materia di merito creditizio, abusivismo di credito, diligenza nella gestione dei rapporti affidati con la clientela trovano applicazione anche a ciascuna componente di tale prima fase, in un contesto di unicità complessiva di gestione del rapporto.

Da ciò deriva, aderendo al principio della non automatica prosecuzione degli affidamenti/aperture di credito in caso di deposito del ricorso per concordato preventivo (incluso quello ex art. 161, comma 6) la necessità, da un lato dell'autorizzazione del Tribunale, dall'altro di eseguire la verifica delle condizioni che assicurino/consentano il pagamento dell'importo erogato non in moneta concorsuale.

Tale ultimo aspetto appare sostanziale sol che si consideri come una Banca non può, proprio dovendo rispettare le prescrizioni di Legge e Regolamentari, mettere a disposizione del Cliente una somma di denaro, ovvero rilasciare un impegno fideiussorio, nella consapevolezza certa che la relativa derivante obbligazione non le verrà adempiuta interamente.

Conclusioni

Partendo da un'analisi esegetica della norma si rileva come la stessa, in materia di finanziamenti, in alcuni casi parli di loro erogazione ed in altri, proprio in particolare con riferimento alla domanda ex art. 161, comma 6, ne disponga la preventiva autorizzazione quale condizione per la prededucibilità escludendo, nella sostanza, ogni forma di automatismo nella prosecuzione delle aperture di credito eventualmente ancora in essere al momento di presentazione della domanda stessa.

Dall'analisi che precede appare desumibile una stretta correlazione tra le previsioni in materia di finanziamenti e quelle contenute nell'art. 217-bis, in termini tali da costituire, quest'ultimo, da un lato l'elemento per attribuire alle prime la natura di “norme perfectae” a baluardo degli interessi tutelati e, dall'altro, la sostanzializzazione dei termini e modalità legittimanti il ricorso al credito da parte di un soggetto ammesso alla procedura di concordato preventivo.

Appare necessario, quindi, operare un distinguo tra il contratto di conto corrente/anticipo/finanziamento e l'apertura di credito quale messa a disposizione di denaro, od altra facilitazione finanziaria, in ragione del combinato applicarsi di norme endogene al sistema bancario-finanziario ed esogene, a quest'ultimo, contenute nella stessa Legge Fallimentare.

Ulteriore punto di attenzione, meritevole di attento approfondimento da parte della Magistrature e dei vari Organi delle Procedure, è costituito dal comportamento del ricorrente nella fase temporalmente propedeutica, se non immediatamente precedente, al deposito del cosiddetto “ricorso ex sesto comma”, in tutti i casi di decanalizzazione degli incassi a fronte di anticipazione concessa con cessione, solitamente pro-solvendo, dei relativi crediti, prelievi a valere di fidi con accredito su nuovi rapporti accesi presso banche, non “affidanti”. Se da un lato appare non potersi qualificare simili comportamenti come una sorta di mantenimento/assicurazione della par condicio creditorum - anzi ne costituirebbero l'esatto opposto, in preventivo spregio del disposto e dello spirito (supra) dell'art. 56 l. fall. -; dall'altro meriterebbe approfondimento la questione della loro riconducibilità, o meno, all'ipotesi di abusivo ricorso al credito, distrazione di somme e disponibilità da destinarsi al soddisfacimento dei creditori – soprattutto se destinate a soddisfare terzi (anche professionisti) i cui crediti nella fase concordataria sopporterebbero la falcidia chirografaria, se non anche a quella della responsabilità dell'amministratore nei confronti dei terzi per danno diretto cagionato al singolo creditore sociale. Si osservi, infatti, come la norma richieda di contemperare i diritti dei vari soggetti coinvolti nella procedura concorsuale, senza obbligo di sacrificare sull'ara della massa concorsuale i diritti dei terzi in forma sistematica come, anche alla luce degli recentissimi interventi legislativi, appare verificarsi.

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