Appunti brevi sulle competenze e sulle responsabilità dell'attestatore ex art. 67 l. fall.

Simone Manfredi
17 Ottobre 2013

Nell'ambito delle soluzioni giudiziali per la crisi d'impresa, il primo strumento utilizzabile è quello disciplinato all'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.
La disciplina dell'attestatore nella legge fallimentare

Nell'ambito delle soluzioni giudiziali per la crisi d'impresa, il primo strumento utilizzabile è quello disciplinato all'

art. 67, comma 3, lett. d),

l. fall

., il quale recita:

“… un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa o a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da compromettere l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'

art. 2399 codice civile

e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo;…”.

Nella sostanza, deve trattarsi di un professionista iscritto al registro dei revisori legali, indipendente rispetto all'impresa in crisi e da coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento, che non abbia prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore e che non si trovi in situazioni di ineleggibilità o decadenza dalla carica (si veda l'

art. 2399 c.c.

). Nel caso di specie il professionista, individuato dal medesimo debitore, deve emettere un giudizio professionale sul piano di risanamento, presentato dal debitore ed eventualmente predisposto da un advisor (come avviene per prassi nella quasi totalità dei casi). In particolare il professionista, dotato dei citati requisiti, è chiamato a redigere una relazione che attesti la veridicità e la fattibilità del piano. In mancanza anche di uno solo dei criteri individuati non può rilasciare l'attestazione. Inoltre, il professionista, qualora lo ritenga opportuno, nel compimento di tale attività può avvalersi di periti.

Ed ancora, la relazione non deve ripetere i contenuti del piano, ma deve indicare le metodologie utilizzate per giudicare il piano idoneo e ragionevole, verificare l'idoneità del piano a ripristinare gli equilibri aziendali e motivare le conclusioni a cui è pervenuto (

le “Linee guida 2010” (“Linee guida sul finanziamento alle imprese in crisi”), elaborate dall'Università di Firenze, dal Cndcec e dall'Assonime

).

La responsabilità penale

Ciò premesso, e tenuto conto del fatto che il professionista incaricato è chiamato ad esprimere un parere professionale in ragione dei requisiti minimi previsti ex lege, tale ruolo comporta l'assunzione di una serie di responsabilità, più o meno graduate.

Sul tema si registra un fecondo dibattito dottrinale.

Taluni ritengono che il professionista, nell'attestare la veridicità dei dati contabili, assuma una funzione assimilabile a quella pubblica. L'attestatore, cioè, potrebbe essere ritenuto un pubblico ufficiale al pari del curatore e del commissario giudiziale, assumendosi, di conseguenza, le responsabilità connaturate a tale funzione (Sandulli, La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006. Cassani, La riforma del concordato preventivo: effetti penali, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2006, 769). La natura pubblicista dell'attestatore, però, è stata criticata (Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2009; Alessandrini, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi d'impresa, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2006), in quanto incoerente con la nozione generale di cui all'

art. 357 c.p.

, il quale recita “… agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa…”. Allo stesso modo, è stata criticata la posizione che ritiene l'attestatore come incaricato di pubblico servizio, di cui all'

art. 358 c.p.

, che a sua volta recita “… agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio…”, poiché si ritiene manchi qualsiasi legame funzionale e gerarchico tra attestatore e Pubblica Amministrazione.

Altri, invece, sostengono la natura puramente privatistica dell'incarico dell'attestatore.

Con l'

art. 33, comma 3

, lett. l) del d.l. 83/2012

è stato introdotto l'

art. 236-

bis

l. fall

., il quale, coniando una fattispecie di falso esclusivamente per il professionista attestatore, prevede che “… il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli art. 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà …”.

Pertanto, il citato articolo cerca di colmare le lacune evidenziate dalla dottrina penalistica. Tuttavia, la norma sembra non chiarire se l'attestatore svolga un incarico di natura privatistica o pubblicistica. Ma la dottrina maggioritaria afferma che, se si trattasse di un pubblico ufficiale o di esercente un servizio di pubblica necessità, il legislatore non avrebbe sentito la necessità di aggiungere nella

legge fallimentare

un reato proprio dell'attestatore, continuando ad applicare l'

art. 481 c.p.

In particolare, l'art. 236-bis sembra articolare la fattispecie in due modalità alternative: una commissiva e una omissiva, ovvero l'esposizione di false informazioni e l'omissione di informazioni “rilevanti” per le ipotesi di attestazione del piano. Le citate condotte possono ricondurre ad altre fattispecie di falso ideologico del privato, come ad esempio il reato di false comunicazioni sociali. La dottrina ritiene che il requisito della rilevanza delle informazioni non possa essere ristretto solo alla condotta omissiva, in quanto si deve comunque accertare che le informazioni falsificate siano “significative”.

Da qui, ci si chiede se le informazioni riguardino esclusivamente i dati contabili oppure anche le valutazioni e i giudizi. Infatti, l'attestatore ha un duplice compito: controllare che i dati presentati dal debitore siano veritieri, confrontandoli con le scritture contabili, e prevedere in modo ragionevole quanto sia sostenibile il piano facendo una stima delle future probabilità di successo. Per quanto concerne il secondo compito, sembrerebbe assai difficile individuare la falsità nel senso di non rispondenza al vero, ma non è da sottovalutare che anche la veridicità dei dati, come da sempre suggerisce la dottrina economico-aziendale, non è priva di componenti valutative (cfr.

Lacchini, Corporate governance e bilanci d'impresa nella prospettiva della riforma, Torino, 2002, 125

), come ad esempio la stima dell'esigibilità di un credito. Per questa ragione, appare molto sottile il confine tra falso valutativo nei reati di false comunicazioni sociali e il reato di falsa attestazione del professionista. Così, la falsa attestazione di cui all'

art. 236-

bis

l. fall

. può essere ricondotta nella fattispecie di falso in valutazione, affermando la “falsità” del giudizio e, quindi determinando un'ipotesi di falso penalmente perseguibile, quando l'attività valutativa derivi dall'applicazione incoerente dei metodi e delle tecniche impiegati dall'attestatore.

A questo punto, essendo considerata “falsa” la valutazione del dato contabile che violi le regole di discrezionalità tecnica, non si può escludere dall'ambito di tipicità penale anche “l'irragionevole” previsione sulla fattibilità del piano, in quanto la prognosi di fattibilità impedisce di formulare un qualsiasi giudizio di veridicità, dovendosi basare su un giudizio di previsione sulla probabilità di successo.

Talvolta, l'attestatore nello svolgere le suddette attività può incontrare delle difficoltà, tali per cui l'attestazione potrebbe risultare non esperibile ancor prima dell'esecuzione del piano. Tuttavia, può succedere che, anche durante l'esecuzione del piano, la situazione dell'azienda possa aggravarsi al punto da non poter più risultare applicabile il piano stesso o non applicabile nei tempi e nei modi prefissati. In entrambi i casi, la prassi ha ammesso che l'attestatore possa espressamente prevedere dei meccanismi di aggiustamento o dei correttivi interni al fine di attestare un piano diverso che, anche se nella sostanza è semplicemente modificativo del precedente, viene presentato a tutti gli effetti come un nuovo piano, nuovamente attestabile.

L'incarico dell'attestatore e la possibilità di interventi a modifica del piano

Alla luce di quanto sinora detto, e tenuto conto dell'originaria modalità di svolgimento dell'incarico cui è tenuto l'attestatore, secondo quanto stabilito dalla norma, ovvero limitare la propria attività alla formulazione di un giudizio professionale sul piano predisposto dal debitore (o dall'advisor incaricato), il professionista, nell'eventualità in cui fornisse indicazioni finalizzate alla modifica e/o alla correzione di un piano altrimenti non attestabile sembrerebbe assumere un ruolo che va ben oltre il suo mandato.

Infatti la previsione normativa in commento, stando al testo vigente, oltre a far ricadere tutte le responsabilità su un unico soggetto, ovvero l'attestatore, senza nulla stabilire nei confronti di colui che predispone il piano, non è in grado di impedire, tenuto conto della prassi necessaria per l'attestazione, che il citato professionista debba integrare le proprie attività, e che quindi lo stesso sia investito di un incarico ulteriore.

Allo stato attuale, quindi, la norma sembra oltremodo punitiva verso colui che, dotato dei requisiti necessari, offre una prestazione di mezzi, la quale, seppure espletata con diligenza professionale, potrebbe comunque essere causa delle sanzioni previste dalla legge a carico dell'attestatore, in quanto il giudizio professionale di cui si discute comporta un'alea tecnicamente ineliminabile.

Ciò posto, a parere di chi scrive, sarebbero opportune modifiche al vigente testo normativo.

Quale prima soluzione, laddove si ritenesse appropriato mantenere l'impianto sanzionatorio attuale, sembrerebbe ragionevole ipotizzare, al contrario di quanto fatto sino ad oggi, che allo stesso attestatore venga affidato anche il compito di redigere il piano, così che lo stesso possa seguire il processo che conduce all'attestazione sin dall'origine. Questo, per maggior sicurezza dei terzi e dello stesso attestatore, il quale, fatte anche le verifiche demandate ad altri sulla “veridicità” dei dati posti a fondamento del piano, sarebbe allo stesso tempo più “confidente” nell'esprimere il giudizio professionale richiesto.

E nello stesso modo, sarebbero “giustificate” le sanzioni attualmente previste, in quanto adeguate, con questa modalità, all'approfondimento necessario richiesto per seguire l'intero processo.

In alternativa

, essendo il richiamato sistema sanzionatorio assolutamente sbilanciato a scapito dell'attestatore, si potrebbe ipotizzare una ripartizione di responsabilità mediante l'introduzione di una fattispecie sanzionatoria riguardante l'advisor, con i medesimi requisiti e le medesime responsabilità dell'attestatore.

In tutti e due i casi, inoltre, si potrebbe prevedere una più esclusiva specializzazione di queste figure professionali, quale l'essere dottore commercialista ed esperto contabile, ovvero anche docente universitario di materie aziendali.

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