Accordi di ristrutturazione e diritto europeo

08 Aprile 2013

L'istituto, relativamente recente, degli accordi di ristrutturazione dei debiti, è sempre di più al centro dell'interesse degli operatori. E mentre il legislatore continua a modificarne la disciplina ed i giudici si adoperano per interpretarla in modo sistematico e coerente, gli studiosi di diritto fallimentare europeo si preoccupano di fare in modo che un accordo, raggiunto ed omologato in Italia, possa produrre effetti extra-territoriali su tutta l'Unione.

L'istituto, relativamente recente, degli accordi di ristrutturazione dei debiti, è sempre di più al centro dell'interesse degli operatori. E mentre il legislatore continua a modificarne la disciplina ed i giudici si adoperano per interpretarla in modo sistematico e coerente, gli studiosi di diritto fallimentare europeo si preoccupano di fare in modo che un accordo, raggiunto ed omologato in Italia, possa produrre effetti extra-territoriali su tutta l'Unione.

Questa la sintesi di uno dei tanti casi che si possono presentare. Una società italiana conclude un accordo di ristrutturazione con il 90 % dei propri creditori, ne ottiene l'omologa ai sensi dell'

art. 182-

bis

l

.fall.

e confida nel divieto di azioni esecutive (

art. 182-

bis

, comma 3, l. fall

.) per ristrutturare le proprie passività. Un creditore dissenziente (o anche consenziente; poco importa!) si vuole sottrarre alla falcidia negoziata e, dopo aver appreso che il debitore ha una sede secondaria in Francia, si rivolge al giudice d'Oltralpe e ne fa dichiarare il fallimento. Con il risultato che, ai sensi dell'

art. 16 del Regolamento (CE) n. 1346/2000

relativo alle procedure di insolvenza (abbreviato, da questo momento in poi, “Regolamento”), la procedura francese produrrà i suoi effetti anche nell'ordinamento italiano, immediatamente e senza bisogno di apposito procedimento di exequatur, e con il risultato - formalmente legittimo, ma sostanzialmente paradossale - che il fallimento, dichiarato all'estero, travolgerà gli effetti dell'accordo che il debitore aveva concluso proprio al fine di impedire il concorso.

Il problema non è isolato. A ben vedere, infatti, tale inconveniente affonda le sue radici, per un verso, nel fatto che - in materia fallimentare - il processo di coordinamento delle legislazioni dei singoli Stati membri fa fatica a star dietro all'evoluzione delle legislazioni nazionali e, per altro verso e più in profondità, nella circostanza che in questi ultimi anni i legislatori statali stanno mettendo a punto nuove tecniche per il superamento delle crisi d'impresa, le quali - al di là delle caratteristiche dei singoli istituti e dell'inquadramento sistematico che ciascun interprete ne propone - hanno natura ibrida, metà contratto e metà procedura, nella misura in cui replicano, del primo, la quasi illimitata flessibilità e, della seconda, sia la regola per cui la decisione presa da una maggioranza di creditori è vincolante per l'intero gruppo, sia (anche se non sempre) quella del divieto di azioni esecutive (

per tutti, Finch, Corporate Insolvency Law, Perspectives and Principles2, Cambridge, 2009, 479 ss.

). Non solo. Volendo essere realisti, preme rilevare come l'inconveniente evidenziato nell'esempio di cui sopra potrebbe assumere proporzioni via via sempre maggiori man mano che la cultura europeista prenda sempre più campo e man mano che la letteratura specialistica ampli di pari grado l'interpretazione dell'art. 3 Regolamento, sostenendo - in un climax di paneuropeismo giuridico - ora che la fonte comunitaria si applicherebbe quando l'imprenditore abbia almeno due sedi in almeno due Stati membri - come in effetti si è postulato nell'esempio di cui sopra (Huber

, Internationales Insolvenzrecht in Europa, in ZZP, 2001, 133 ss.;

Paulus

, Europäische Insolvenz-Verordnung3, Frankfurt a.M., 2010, 61, RZ. 33) -, ora che essa sarebbe operativa anche nelle ipotesi in cui l'imprenditore, pur avendo una sola sede, abbia un bene ubicato in un altro Stato dell'Unione, oppure sia debitore o creditore di una persona fisica o giuridica, residenti rispettivamente in un altro Paese europeo (,

Ambach

, Reichweite und Bedeutung von Art. 25 EuInsVo, Berlin, 2009, 29;

Reuss

, «Forum shopping» in der Insolvenz, Tübingen, 2011, 76 ss.;

Wessels

, International Insolvency Law3, Deventer, 2012, 404; e, per la giurisprudenza, Cour d'appel de Versailles, 11 gennaio 2007, in JCPE, 2007, 2309, e AG Hamburg, 16 agosto 2006, in ZIP, 2006, 1642).

Ma limitiamo l'indagine agli accordi di ristrutturazione di diritto italiano. Come fare affinché l'accordo, raggiunto in Italia ed ivi omologato, sia riconosciuto su tutto il territorio dell'Unione europea ed impedisca che il giudice di un altro Stato dichiari il fallimento del debitore che ha concluso l'accordo? A quanto risulta, il tema non è stato ancora affrontato. Tuttavia, per lo meno alla luce di esperienze analoghe maturate all'estero, tre sembrano le soluzioni prospettabili. Più in dettaglio: secondo una prima tesi, la soluzione potrebbe scaturire dalla stessa fonte comunitaria, la quale - per l'appunto - mira a coordinare le procedure concorsuali all'interno dell'Unione europea (

Berends

, Insolventie in het internationaal privaatrecht, Amsterdam, 2005, 290 ss.

). Sempre secondo questa impostazione, infatti, per un verso si fa notare come sia pacifico che l'art. 1 Regolamento, nella parte in cui prevede che esso «si applica alle procedure concorsuali fondate sull'insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione del curatore», andrebbe interpretato in termini estensivi e, per altro verso, si sostiene che - di fronte ad un vuoto normativo - l'interprete sarebbe legittimato a compiere uno sforzo di ortopedia del dato legale ed a ritenere che la disciplina del Regolamento si possa applicare anche a quelle procedure che non figurano negli allegati A e B.

La tesi non è priva di fascino; tanto più che una parte della letteratura italiana sostiene che gli accordi di ristrutturazione dei debiti - a dispetto del loro impianto originario, successivamente modificato, e del nome, che invece è rimasto identico a se stesso - sarebbero delle vere e proprie procedure concorsuali (

Terranova

, Problemi di diritto concorsuale, Padova, 2011, 154 ss.

). Con il risultato che, interpretando il Regolamento nei termini poc'anzi descritti, si potrebbe ritenere che, qualora un debitore italiano abbia concluso e omologato in Italia un accordo di ristrutturazione, tale procedura, ai sensi dell'art. 16 Regolamento, produrrebbe automaticamente i suoi effetti su tutto il territorio dell'Unione europea ed impedirebbe che il giudice di un altro Stato possa dichiarare, all'estero, il fallimento dello stesso debitore.

Altri autori, in numero di gran lunga prevalente, si orientano però in modo diverso; nutrono perplessità sul fatto che le soluzioni ibride, fra le quali rientrano gli accordi di ristrutturazione di diritto italiano, possano ricadere nella definizione di procedura concorsuale contenuta nel Regolamento e soprattutto escludono - relazione esplicativa alla mano (

Virgós-Schmidt

, Report on The Convention on Insolvency Proceedings, 1996, n. 48

) - che esse possano essere regolate dalla fonte comunitaria senza essere state precedentemente inserite negli appositi allegati: i quali - a loro avviso - avrebbero carattere costitutivo (Duursma-Kepplinger/ Duursma/Chalupsky

, Europäische Insolvenzverordnung. Kommentar

, Wien/New-York, 2002, sub art. 1, nn. 13 e 17; Moss-Fletcher-Isaacs

, The EC Regulation on Insolvency Proceedings. A Commentary and Annotated Guide, Oxford, 2009, n. 3.03;

Paulus

, op.cit., 98 Rz. 3, e

Virgós-Garcimartín

, The EC Regulation on Insolvency Proceedings. A Practical Commentary

, The Hague, 2004, n. 36).

Gli autori che si sono occupati della materia ritengono, pertanto, di dover percorrere altre strade. Più specificamente, una parte di essi ritiene che, per consentire alle soluzioni ibride di produrre effetti extra-territoriali, occorrerebbe invocare il Regolamento (CE) n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I), il quale - ai sensi del suo art. 33, comma 1 - prevede che «le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento» (

Wessels

, op.cit., 409 ss.

).

Tuttavia, nemmeno questa soluzione sembrerebbe del tutto soddisfacente. Ciò non solo, perché nello stesso testo normativo si legge che «sono esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento: … b) i fallimenti, i concordati e le procedure affini», ma anche perché il regolamento in esame sembra riferirsi esclusivamente alle decisioni emesse in sede contenziosa, tra le quali difficilmente potrebbero farsi rientrare le sentenze di omologa (Garcimartín

, The Review of the Insolvency Regulation: Hybrid Procedures and Other Issues, in The Future of the European Insolvency Regulation, Atti del Convegno di studi svoltosi ad Amsterdam il 28 aprile 2011, organizzato in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia dell'Unione Europea, (inedito), 128 ss. e spec. 133 ss.).

Con il risultato che, secondo un terzo gruppo di studiosi, l'interprete - pur riconoscendo che le soluzioni ibride sono dotate di una forte componente di concorsualità - dovrebbe enfatizzare il loro profilo contrattuale e, facendo leva su di esso, dovrebbe invocare il

Regolamento (CE) n. 593/2008

sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattali (Roma I), il quale - ai sensi del combinato disposto dell'art. 4 (legge applicabile in mancanza di scelta) e dell'art. 12 (ambito della legge applicabile) - estende gli effetti dell'accordo, concluso in Italia e regolato dalla legge italiana, su tutto il territorio dell'Unione europea: con il risultato di impedire che il giudice straniero possa dichiarare il fallimento del debitore italiano: sia pure nei termini in cui l'ordinamento ad quem riconosce che l'accordo intercorso fra debitore e creditori abbia valore decisivo nell'accertamento dello stato di insolvenza (Garcimartín

, op.loc.cit.).

Viceversa, de iure condendo, tutti gli autori si trovano d'accordo nel proporre, al legislatore comunitario, un ampliamento della definizione di procedura concorsuale contenuta nell'art. 1 Regolamento, tale da consentirne l'estensione anche delle soluzioni ibride, e nel suggerire, ai singoli legislatori nazionali, un aggiornamento degli allegati A e B (

Wessels

, op.cit., 394 ss.

).

E … sembra che l'Unione europea si stia orientando proprio in questa direzione (Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica il

Regolamento (CE) n. 1346/2000

del Consiglio relativo alle procedure d'insolvenza, COM(2012) 744 definitivo).

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