Sospensione e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo

05 Settembre 2013

Se nel fallimento la sorte dei rapporti giuridici pendenti è sempre stata regolata, in via generale, dall'art. 72 l. fall., che prevede la sospensione ex lege dei contratti in essere, in caso di concordato preventivo una disciplina specifica è stata introdotta solo con il c.d. Decreto Sviluppo: l'art. 169-bis l. fall. prevede ora la possibilità, per il debitore, di chiedere la sospensione o lo scioglimento dei contratti in corso d'esecuzione.L'Autore analizza i principali problemi interpretativi, anche di ordine sistematico, che tale nuova disciplina ha sollevato, esaminando, infine, l'ipotesi di contratti pendenti nel concordato con riserva.

Premessa

Come è noto, prima della recente riforma (decreto legge n. 83/2012conv. inlegge n. 134/2012), nessuna espressa disposizione regolava la sorte dei rapporti pendenti nel concordato preventivo.

Ciò a differenza di quanto accade per il fallimento: l'art. 72 detta quale regola generale (discipline specifiche sono recate dagli articoli seguenti) quella della sospensione ex lege dei rapporti, con facoltà di scelta da parte del curatore di subentrare o di sciogliere i contratti in essere.

In assenza di norma espressa, per il concordato preventivo si affermava comunemente il principio della prosecuzione dei rapporti contrattuali pendenti, non ritenendosi applicabili analogicamente gli articoli 72 e seguenti ad una procedura diversa dal fallimento e caratterizzata da una più accentuata funzione conservativa dell'impresa, oltre che dallo spossessamento soltanto attenuato del debitore.

La prosecuzione ex lege creava problemi pratici evidenti con potenziale influenza negativa sul contenuto del piano e della proposta concordatari: i rapporti la cui permanenza si presentasse pregiudizievole o inutile potevano (e possono) comportare l'emersione di poste passive superiori a quelle che si produrrebbero, per effetto della disciplina sopra richiamata, nel fallimento. La sorte dei rapporti pendenti andava allora gestita, di preferenza, negozialmente, essendo possibile la risoluzione consensuale o un accordo transattivo sulla sorte del rapporto e sulle conseguenze dell'eventuale suo prematuro (convenuto) scioglimento. In alternativa, il debitore poteva essere indotto a provocarne la risoluzione per proprio inadempimento prima dell'accesso alla procedura - secondo taluno, anche dichiarando (al più tardi) con il ricorso introduttivo la propria definitiva volontà di non adempiere - al fine della cristallizzazione dei crediti conseguenti della controparte, così destinati ad essere pagati in moneta concorsuale. Restavano (e restano per regola generale) in ogni caso a disposizione del contraente in bonis i tipici rimedi contrattuali all'inadempimento, ed in particolare l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460, la facoltà di sospensione di cui all'art. 1461 c.c.e gli ordinari strumenti risolutivi del rapporto.

La nuova disciplina dei contratti pendenti e i problemi interpretativi

Ebbene, la citata riforma del 2012 ha introdotto una rilevante novità: l'art. 169-bis prevede ora, al primo comma, che “il debitore nel ricorso di cui all'articolo 161” possa “chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta” (F. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista, Milano, 2012; Inzitari, Speciale D.L. Sviluppo - I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l'art. 169-bis l.fall .,in ilFallimentarista.it).

I commi 3 e 4 escludono l'applicazione del primo comma

alla clausola compromissoria eventualmente contenuta nel contratto pendente (nel senso che permane la devoluzione ad arbitri delle controversie inerenti il rapporto, che però può essere sospeso o sciolto con il meccanismo di nuova introduzione) nonché ai contratti di lavoro subordinato, ai preliminari di vendita trascritti aventi ad oggetto immobili destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado o destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, ai contratti aventi ad oggetto la concessione di finanziamenti destinati e, infine ai contratti di locazione di beni immobili (in caso di accesso del locatore al concordato preventivo).

La nuova disposizione, come altre d'infelice formulazione, è stata accolta favorevolmente in termini generali, ma suscita alcuni delicati problemi interpretativi, anche di ordine sistematico.

Il primo è quello relativo al suo ambito di applicazione: il legislatore non ha usato, per l'individuazione dei rapporti cui sono riferite le nuove facoltà del debitore, gli stessi termini impiegati nell'art. 72 l.fall.(contratto “ancora ineseguito da entrambe le parti” al momento del fallimento): l'art. 169-bis l.fall. fa riferimento ai “contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso”; può sembrare, la seconda, una nozione più ampia, suscettibile di includere anche contratti in cui una delle parti abbia già eseguito la propria prestazione. Va però dato atto che la generalità dei commentatori, pur rilevando il differente dato testuale, ha condivisibilmente preferito suggerire - per un'evidente esigenza di equilibrato componimento degli interessi confliggenti - un'interpretazione restrittiva della nuova disposizione e pertanto una coincidenza, sotto tale profilo, degli ambiti di applicazione delle due norme.

Sono dunque rapporti pendenti quelli perfezionati prima del momento introduttivo della procedura (che la riforma individua generalmente - v. il novellato art. 168 -nella data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, ma che l'art. 169-bis - come del resto l'art. 169 - individua nella presentazione del ricorso) e per i quali in quel momento nessuna delle parti abbia eseguito la propria prestazione principale. Correttamente, ad esempio, il tribunale di Monza (Trib. Monza 16 gennaio 2013, decr., in ilFallimentarista.it) ha affermato che tale non è il mutuo per il quale il mutuante abbia già erogato l'intero importo dovuto, solo residuando il debito restitutorio del mutuatario: in tal caso si riscontra soltanto la presenza di un credito concorsuale (con applicazione, tra l'altro, di quanto disposto dall'art. 1186 c.c.).

E' possibile, dunque, optare, sulla base di un'analisi comparativa dei costi e dei vantaggi, per lo scioglimento del rapporto (trattasi in sostanza di un recesso unilaterale per il cui esercizio serve l'autorizzazione giudiziale) oppure - in genere in vista dell'eventuale successivo scioglimento - per la sua temporanea sospensione.

La sospensione ha effetto per entrambe le parti e quindi è teoricamente possibile solo se il contraente in procedura è a propria volta in grado di rinunciare, sia pur temporaneamente, alla prestazione altrui. Al termine del periodo, se non vi è scioglimento, il rapporto è integralmente ripristinato (ad esempio saranno dovute le rate di leasing il cui pagamento era stato sospeso non potendosi deformare l'unitario programma finanziario che ne è alla base); solo se si tratta di un rapporto di durata in cui le prestazioni sono frazionate temporalmente in termini sinallagmatici nulla sarà dovuto per il periodo in cui il rapporto è rimasto sospeso (ad esempio per il periodo in cui è rimasta - realmente e bilateralmente - sospesa la locazione dell'immobile). Se invece una parte non è in grado di “fare a meno” della prestazione altrui (ad esempio di usufruire dell'immobile locato) non può - si ritiene - pretendere la mera sospensione (rectius la dilazione del termine) del proprio adempimento.

Dallo scioglimento (e dalla sospensione quanto al, verosimilmente più limitato, danno conseguente al ritardo) sorge un credito del contraente in bonis parametrato al danno che egli subisce per il mancato adempimento benché qualificato in termini di indennizzo anziché di risarcimento in quanto cagionato da un atto lecito anziché illecito.

La relativa quantificazione è - auspicabilmente - oggetto di accordo tra le parti interessate. Fin tanto che non lo sia, il debitore ne dovrà operare ab initio una ragionevole stima appostando la voce tra le passività concordatarie ed il professionista incaricato della relazioneex art. 161,comma 3,l.fall. ne dovrà verificare la congruità. Una volta ammesso il debitore al concordato, il giudice delegato potrà essere chiamato a pronunciarsi sull'entità del credito solo ai fini del voto. In caso di controversia tra le parti la decisione “definitiva” sarà assunta - come per l'accertamento di qualsiasi credito nel concordato preventivo - in sede extraconcorsuale, dal giudice civile.

Ulteriore questione è quella relativa alla necessità, da taluno ipotizzata, che il tribunale (o il giudice delegato) decidano sull'istanza di sospensione e - soprattutto - di scioglimento previa instaurazione di un contraddittorio con il contraente in bonis. Pare diffondersi la prassi che prevede l'assegnazione a quest'ultimo, cui si dispone sia comunicata l'istanza, di un termine per eventuali controdeduzioni. Non vi è dubbio che sia nei poteri del tribunale, se lo ritiene utile, un'interlocuzione con l'altra parte del rapporto, per verificare le informazioni rese dal debitore o (anche al fine dell'analisi comparativa che giustifica l'opzione) per verificare la prevedibile entità dell'indennizzo. Non pare tuttavia che si possa ravvisare una qualche violazione da parte del tribunale che provveda de plano sull'istanza, non sembrando correttamente invocato il principio del contraddittorio. Si deve infatti notare che l'istanza ex art. 169-bis non è espressione di un contenzioso oggetto di una decisione che il giudice debba assumere sentite le parti (processuali) interessate; l'autorizzazione del tribunale è della stessa natura di altre che l'ufficio emette nel corso della procedura - si pensi all'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione ex art. 167 l.fall. al cui genus, a ben vedere, è riconducibile la specifica ipotesi in esame - e che pure possono incidere sull'interesse di qualche terzo; essa ha l'effetto di necessaria integrazione del potere concesso dalla legge al debitore o, se si preferisce, di rimozione dell'ostacolo legale al relativo esercizio ed assume come punto di riferimento gli interessi della massa dei creditori, non la posizione individuale delle parti e tantomeno quella del contraente in bonis.

Ben più grave è la questione che attiene all'individuazione del termine entro il quale il debitore possa chiedere l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento del rapporto: rendono, allo stato, impossibile una risposta certa l'equivoco dato testuale, il mancato coordinamento della disposizione con l'ulteriore novità, introdotta dalla stessa riforma, del c.d. concordato con riserva (art. 161, comma 6) e soprattutto, sul piano sistematico, la previsione di cui al secondo alinea del secondo comma dell'art. 169-bis per cui il credito da indennizzo, cui in caso di scioglimento o sospensione ha diritto il contraente in bonis,è soddisfatto come credito anteriore al concordato”.

Secondo l'incipit dell'art. 169-bis, “il debitore nel ricorso di cui all'art. 161 può chiedere che il tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato” lo autorizzi a sciogliersi o a sospendere il rapporto pendente.

Da un lato, si indica come (unico) atto destinato a contenere l'istanza il ricorso introduttivo della procedura, dall'altro, si statuisce che dopo l'ammissione possa provvedere il giudice delegato, con ciò facendo pensare che la richiesta possa essere espressa con istanza successiva all'ammissione (in alternativa, si deve ritenere che ci si riferisca all'ipotesi d'istanza contestuale al ricorso, ma sulla quale il tribunale, nel decretare l'ammissione, non provveda, rimettendo la questione alla successiva decisione del - solo - giudice delegato). Si potrebbe allora ritenere ammissibile l'istanza successiva se presentata, in quanto elemento del piano ed influente sui termini della proposta, entro il momento oltre il quale la proposta stessa non potrà più essere modificata, e quindi fino all'inizio delle operazioni di voto.

La sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva

Può il debitore chiedere l'autorizzazione nel ricorsoex art. 161, comma 6, l.fall. relativo al c.d. concordato con riserva o preconcordato? L'art. 169-bis non lo afferma, ma il generico riferimento al “ricorso di cui all'art. 161” non sembra escluderlo, perché tale è sia quello proposto ai sensi del primo, sia quello proposto ai sensi del sesto comma.

Dal punto di vista razionale, la proposizione dell'istanza in sede di concordato con riserva rappresenta un'opportunità, perché consente di operare scelte conservative (sospensione) o definitive (scioglimento) funzionali al piano da elaborare: affermarne il necessario rinvio alla fase successiva potrebbe pregiudicare il perseguimento degli obiettivi di risanamento o quantomeno aggravare l'esposizione debitoria; in senso contrario (C. Cavallini, “Spigolature” e dubbi in tema di (pre)concordato, continuità aziendale e sospensione/scioglimento dei contratti pendenti, in ilFallimentarista.it) è stato però fatto notare che la disciplina di cui all'art. 169-bis assume carattere derogatorio della regola generale della prosecuzione del rapporto e perciò merita di essere interpretata restrittivamente e, soprattutto, che la fase introdotta dall'art. 161, comma 6, l.fall. presenta una prospettiva troppo incerta perché appaia opportuno estendere ad essa la nuova previsione: il piano e la proposta potrebbero non essere mai presentati, il debitore potrebbe optare per un accordo di ristrutturazione dei debiti che, soprattutto se si accede all'opinione prevalente che ne nega la natura di procedura concorsuale, non giustifica lo scioglimento unilaterale di un rapporto contrattuale.

La prevalente giurisprudenza sembra, in linea di principio, ammettere l'applicazione dell'art. 169-bis alla fase del preconcordato e si è piuttosto soffermata su una valutazione di carattere sostanziale, rappresentando l'esigenza di almeno parziale disclosureda parte del debitore, in ordine all'aggiornata situazione finanziaria e patrimoniale e, soprattutto, in ordine ai contenuti del piano in corso di elaborazione, non essendo il contenuto minimo del ricorso e degli allegati previsto ex art.161, comma 6, sufficiente a fornire al tribunale i necessari elementi di giudizio.

A tale riguardo, va precisato che, a fronte della mancata indicazione da parte del legislatore del criterio di giudizio sulla base del quale il tribunale dovrebbe esercitare il potere autorizzatorio, isolata è rimasta l'opinione espressa dal tribunale di Salerno secondo cui sarebbe stato riconosciuto dall'art. 169-bis al debitore un diritto potestativo, del cui esercizio il tribunale dovrebbe limitarsi a prendere atto: si ritiene invece, in prevalenza, che questi sia chiamato a valutare la coerenza dell'opzione prospettata dal debitore con il piano e la proposta formulati (o, in caso di concordato con riserva, in corso di elaborazione) e quindi, in ultima analisi, la funzionalità alla “miglior riuscita del concordato preventivo nell'interesse dei creditori” (A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Il Fallimento, 3/2013, pag. 269). Proprio il carattere incompleto degli elementi di conoscenza offerti in questa fase e la loro provvisorietà, come si è osservato, anche dal punto di vista procedurale, inducono la giurisprudenza ampiamente maggioritaria ad escludere lo scioglimento dei rapporti contrattuali fino al deposito del piano e della proposta, optandosi invece, con largo favore, per l'alternativa, meramente conservativa e strumentale alla salvaguardia delle successive più opportune determinazioni, della sospensione del contratto (Trib.Piacenza 4 aprile  2013, decr. in ilFallimentarista.it).

Ma, come si è accennato, il quadro è reso ben più complicato dall'attribuzione della natura concorsuale al credito avente ad oggetto l'indennizzo per il contraente che subisce lo scioglimento o la sospensione.

In termini generali, è principio noto che il "concorso dei creditori" che si apre con il fallimento - come con il concordato preventivo- non comprende i crediti sorti dopo l'apertura della procedura: secondo consolidata giurisprudenza, per valutare la natura concorsuale o meno di un credito occorre tenere conto dell'elemento genetico dell'obbligazione sul piano sostanziale, alla stregua dell'art. 1173 c.c.

: deve considerarsi sorto prima dell'apertura della procedura il credito derivante da contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione verificatosi anteriormente all'avvio della procedura, essendo invece ininfluente che i relativi effetti, come, ad esempio, il danno, si siano manifestati in un momento successivo (Cass. 29 settembre 2004, n. 19533).

Nell'art. 169-bis il legislatore è (consapevolmente?) incorso in una probabile forzatura nella previsione della natura concorsuale del credito indennitario, posto che la genesi del credito non pare anteriore all'avvio della procedura (P. F. Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in ilcaso.it, 20).

Nel tentativo di “giustificare” la scelta del legislatore si è scritto che “il fatto genetico dal quale germina lo scioglimento è la volontà del debitore e questa volontà deve porsi a monte dell'ingresso in procedura; poi, poco importa che l'autorizzazione sia rilasciata dal tribunale o dal giudice delegato” (M. Fabiani, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, 4.); poco importa pure, evidentemente, che questa volontà si attui - e dispieghi l'effetto sul rapporto contrattuale - in un momento ancora successivo, quale quello della comunicazione alla controparte del recesso (che è atto unilaterale recettizio). La concorsualizzazione del diritto all'indennizzo appare in questa luce legittima se - ma allora solo se - la volontà di scioglimento è manifestata dal debitore al momento del deposito del ricorso.

Se così è, dalla previsione di cui al secondo comma si trae, per esigenze sistematiche, una conclusione non obbligata, come si è anticipato, dall'incerto incipit testuale del primo comma: l'istanza non si può proporre oltre la presentazione del ricorso.

Questa conclusione appare senz'altro ragionevole - anche in termini di certezza del traffico giuridico - se si pensa alla disciplina del concordato preventivo tralasciando il concordato con riserva; nel momento in cui si cerca di rendere compatibile col sistema così delineato anche quest'ultimo, le difficoltà aumentano non poco.

E' noto infatti che, per espressa previsione dello stesso sesto comma dell'art. 161 l.fall., “i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111”. Ciò che si è detto circa la necessità di anticipare “a monte dell'ingresso in procedura” il fatto genetico del credito da indennizzo vale, nel caso di concordato con riserva, con riferimento alla presentazione del ricorso ex art. 161, comma 6. Con la conseguenza secondo cui se il debitore non ha chiesto in quella sede quantomeno la sospensione del ricorso non potrà più chiederla successivamente ed in particolare al momento del deposito del piano e della proposta.

Tale conseguenza potrebbe esprimersi in termini di inammissibilità della successiva istanza, con la radicale affermazione per cui, essendo ormai il rapporto proseguito oltre l'accesso alla procedura, non risulta più applicabile l'art. 169-bis l.fall.

Vi è anche una (sub)opzione interpretativa che attenua la rigidità della conclusione: l'istanza può essere proposta anche oltre il momento introduttivo della procedura, ma quando ciò accade non si può applicare il secondo alinea del secondo comma dell'art. 169-bis ed il credito da indennizzo assume natura prededucibile.

In effetti, questa soluzione è coerente con quanto dettato dalla disciplina del fallimento: l'art. 72, che prevede la sospensione ex lege del rapporto, esclude nel caso di mancato subentro del curatore che al contraente in bonis sia dovuto alcun risarcimento e conferma la natura concorsuale del credito conseguente al mancato adempimento (in coerenza col fatto che il rapporto non è mai proseguito oltre l'apertura della procedura); gli articoli 79, 80 e 104 in relazione a casi in cui, invece, il rapporto è proseguito attribuiscono al previsto indennizzo per recesso del curatore la prededuzione.

Nel percorso interpretativo da ultimo delineato, dalla natura concorsuale del credito affermata dal secondo comma dell'art. 169-bis si traggono conseguenze coerenti con il sistema, ma che:

a)correggono” la portata letterale, nella prima versione, del primo comma (anticipando al ricorso ex art. 161, comma 6, il termine ultimo per la proposizione dell'istanza da parte del debitore che intenda fare ricorso al concordato con riserva) e, nella seconda opzione, del secondo comma (smentendo l'espressa previsione di concorsualità dell'indennizzo, qualora l'istanza sia presentata dopo il primo ricorso presentato);

b)non appaiono del tutto conformi alla ratio sulla base della quale è stato introdotto il concordato con riserva: se è vero che il legislatore ha voluto concedere al debitore il tempo per attuare gli approfondimenti necessari alla migliore elaborazione di piano e proposta,al riparo da iniziative pregiudizievoli dei singoli creditori, appare contraddittorio esigere che le opzioni di cui all'art. 169-bis siano invece anticipate al momento introduttivo di questa fase.

Al fine di concepire una ricostruzione alternativa, forse si dovrebbe riconoscere che, dopo aver appannato il criterio tradizionale distintivo tra crediti prededucibili e crediti concorsuali riconoscendo la prededuzione a crediti sorti prima dell'accesso alla procedura (in quanto funzionali alla medesima), il legislatore avrebbe ora attribuito natura concorsuale a crediti sorti dopo l'avvio della stessa. Si tratterebbe allora di ricostruire il sistema in modo ampiamente innovativo rispetto alla tradizione, riconoscendo come ne esca indebolito il criterio temporale per la distinzione tra le due categorie di crediti: sarebbe ora più liberamente che in passato la legge a dire quando il credito è prededucibile e quando è concorsuale sulla base di un discrezionale regolamento tra gli interessi in conflitto, che trova anche nel rango dei crediti uno strumento di composizione. Resterebbe allora da verificare la ragionevolezza - specie sotto il profilo del rispetto del parametro costituzionale di cui all'art. 3 - della scelta del legislatore. E la verifica nella specie potrebbe anche dare un risultato positivo, atteso che il sacrificio imposto al contraente in bonis con la previsione di concorsualità del suo credito potrebbe apparire giustificato dalla prevalenza dell'interesse della massa dei creditori al miglior esito del concordato e dell'interesse diffuso alla prosecuzione dell'impresa.

Ma non vi è dubbio che, sul piano dogmatico, la prima via interpretativa appare ancor oggi più solida: è vero che la stessa si traduce in un elemento di sfavore per il concordato con riserva, ma è anche vero che questa soluzione può riequilibrare gli spazi che tale istituto - nella cui concezione il legislatore ha forse “esagerato” il proprio favor verso l'imprenditore in crisi e verso il quale crescente ostilità dimostrano le associazioni di categoria - è destinato ad incontrare nella prassi.

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