Brevi (e scettiche) considerazioni sul concordato preventivo con continuità aziendale

21 Gennaio 2013

Nell'introdurre una normativa specifica del concordato preventivo caratterizzato dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, il Legislatore si è ispirato all'idea della separazione delle discipline, a seconda che il concordato abbia finalità esclusivamente liquidatorie o, piuttosto, di prosecuzione dell'attività d'impresa.

Nell'introdurre una normativa specifica del concordato preventivo caratterizzato dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, il legislatore si è ispirato all'idea della separazione delle discipline, a seconda che il concordato abbia finalità esclusivamente liquidatorie o, piuttosto, di prosecuzione dell'attività d'impresa.

Sotto questo profilo va considerato significativo che, nel passaggio dal decreto legge alla legge di conversione, sia scomparsa dal primo comma dell'

art. 186-

bis

l. fall

. l'espressione che considerava comunque applicabili al concordato con continuità, in quanto compatibili, le norme di cui agli

artt. 160 ss. l. fall

..

La soppressione della "clausola di chiusura" della disciplina va interpretata, peraltro, come niente più che la manifestazione dell'esigenza di distinguere nettamente le due normative, dal momento che non può esserci dubbio alcuno in merito al fatto che tutte le norme, procedimentali e sostanziali, che regolano la procedura del concordato preventivo, se non incompatibili con l'ipotesi della prosecuzione dell'impresa, restino pienamente applicabili.

Ciò precisato, la disciplina complessiva del concordato con continuità si compone delle norme di cui all'art. 186-bis, con l'aggiunta di quella di cui al comma 4 dell'art. 182-quinquies.

Va inoltre evidenziato che anche l'art. 182-sexies, se pur non riferito esclusivamente al modello di concordato con continuità, pare pensato dal Legislatore, per le ragioni che saranno più avanti esplicitate, in funzione della prosecuzione dell'attività imprenditoriale.

Da tale complessiva disciplina scaturisce un quadro normativo di riferimento delle ipotesi del concordato caratterizzato dalla continuità dell'attività d'impresa che, se attentamente valutato, solo parzialmente rappresenta un'effettiva spinta all'adozione di soluzioni concordatarie di tal natura.

Come vedremo, infatti, vi sono buoni motivi per ritenere che l'evoluzione della normativa integri in parte una esplicitazione di principi già esistenti, in altra parte una manifestazione dell'esigenza di rafforzare la tutela dei creditori, più che della necessità di intensificare il favor rispetto ad una soluzione della crisi che ha il pregio di conservare la vitalità dell'azienda e come portato più rilevante, sotto il profilo economico-sociale, il mantenimento dei livelli occupazionali e di riscossione tributaria.

L'esordio dell'art. 186-bis chiarisce che la disciplina in esame si applica indistintamente a tutti i casi in cui l'imprenditore prosegua nella sua attività d'impresa, sia quando la gestione sia diretta e a tempo indeterminato, sia quando la gestione, comunque diretta, sia funzionale al mantenimento dei valori in funzione di una cessione dell'azienda, realizzabile anche con il conferimento in una o più società, eventualmente di nuova costituzione, il tutto a prescindere dal fatto che il piano sottostante alla proposta concordataria preveda o meno anche la liquidazione dei beni non necessari per l'esercizio dell'impresa.

La conseguenza è che in tutti i casi in cui l'azienda passi nella disponibilità di un soggetto diverso dal proponente o, si potrebbe dire, dal momento in cui si realizza il passaggio di disponibilità, la normativa di cui all'art. 186-bis non possa trovare applicazione.

Il piano che dovesse essere imperniato su un affitto, o su una cessione aziendale, sarebbe quindi un piano in continuità, agli effetti previsti dalla disciplina in commento, soltanto sino al momento del passaggio delle consegne.

Non sarebbe affatto un concordato in continuità ove l'affitto o la cessione fossero conclusi prima del deposito della domanda di concordato, o nel caso in cui l'azienda dovesse essere ceduta ad attività imprenditoriale già cessata.

La norma di cui al comma 1 dell'

art. 186-

bis

l. fall

. appartiene quindi a quel novero di disposizioni che svolgono la funzione tipica di recepire nozioni già condivise dalla maggioranza degli autori ed operatori, posto che anche prima della sua introduzione non sussisteva dubbio alcuno in merito al fatto che il piano imperniato sulla cessione dell'azienda, oltre che della parte eventualmente rimanente del patrimonio del debitore, fosse, sotto un profilo strettamente giuridico, di natura liquidatoria, fermo restando che l'esercizio dell'impresa, funzionale alla successiva cessione, da parte del debitore, avrebbe potuto essere parte delle clausole del piano, essendo fisiologicamente orientato a mantenere costante il valore del complesso produttivo.

Così individuate le fattispecie sussumibili nel quadro normativo in esame, quest'ultimo esige che piano concordatario e relazione attestatrice abbiano dei contenuti obbligatori ulteriori, rispetto a quanto previsto dalla disciplina generale del concordato.

Il piano, oltre a contenere un'analitica descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, secondo quanto previsto dalla lettera e) dell'art. 161, "... deve contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura".

La relazione del professionista, oltre ad inerire alla veridicità dei dati aziendali ed alla fattibilità del piano "... deve attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori".

La previsione di tali contenuti obbligatori ulteriori risponde alla necessità di meglio tutelare la massa dei creditori, ma non può considerarsi, ancora una volta, un dato di discontinuità rispetto al sistema previgente.

Infatti il cd. budget costituisce fisiologicamente, e da sempre, un elemento immanente al piano che contempli la continuità dell'attività d'impresa, tanto da giustificare l'affermazione secondo cui un piano che non avesse contenuto l'indicazione di costi, ricavi e coperture finanziarie sarebbe stato monco e generico, quasi un non-piano.

L'attestazione di funzionalità della prosecuzione al miglior soddisfacimento dei creditori va invece riempita di contenuti concreti diversi, a seconda che essa si riferisca all'ipotesi di prosecuzione a tempo indeterminato o alla fattispecie funzionale alla successiva cessione dell'azienda in esercizio.

In quest'ultimo caso l'attestazione deve inerire all'opportunità e convenienza dell'esercizio, provvisoriamente imputabile al debitore in concordato, il che significa accertare l'utilità dello stesso, utilità che può discendere dalla previsione di realizzo di utili o, più tipicamente e frequentemente, dal mantenimento della vitalità dell'azienda finalizzato alla conservazione del suo valore di mercato, in vista della cessione o del conferimento.

Nel primo, e più problematico, caso sembra che l'espressione miglior soddisfacimento dei creditori richiami i livelli di soddisfacimento del ceto creditorio, e quindi, più genericamente, la convenienza della prosecuzione rispetto all'ipotesi della liquidazione dei beni integranti il complesso aziendale.

Se così fosse, la novità sarebbe limitata al fatto che di tale profilo si debba occupare anche il professionista attestatore, e non solo il tribunale, cui comunque spetta, anche in tal caso da sempre, la valutazione di legittimità di una proposta di concordato che, sottraendo ai creditori i beni facenti parte dell'azienda (che il debitore, appunto, tiene per sé per poter proseguire l'attività), si rivela ammissibile se ed in quanto il livello di soddisfacimento dei creditori sia superiore a quanto ricavabile dalla liquidazione di tutto il patrimonio del debitore.

In altri termini, non pare che nella nozione di miglior soddisfacimento possano rientrare parametri di valutazione diversi da quelli della percentuale finale offerta ai creditori (quali potrebbero essere, ad esempio, la tempistica del pagamento, l'esistenza di migliori garanzie di riuscita del piano, la conservazione di un cliente per il creditore-fornitore), tali cioè da autorizzare deroghe o violazioni alla regola generale di cui all'

art. 2740 c.c.

, a presidio della quale c'è comunque, da sempre, la funzione di controllore della legittimità e regolarità del concordato svolta dal tribunale.

Discorso in qualche misura analogo può essere fatto quanto alla norma che consente al debitore che presenti una domanda di concordato con continuità di chiedere al tribunale di essere autorizzato "... a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67 terzo comma lett. d) attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell'attività di impresa e funzionali ad assicurare la miglior soddisfazione dei creditori", norma contenuta nel comma 4 dell'

art. 182-quinquies l. fall.

Ad una prima lettura, la norma sembra contenere uno strappo ai principi generali che governano il concorso dei creditori con titolo anteriore al momento della pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese.

In quanto tale, essa sembra potersi qualificare come norma che, se da un lato potenzia le possibilità operative del debitore che voglia proseguire nell'impresa, sganciandolo dall'obbligo di rispettare la par condicio creditorum, dall'altro tutela la massa dei creditori con la previsione della necessità che l'essenzialità dei pagamenti per la prosecuzione dell'attività e la loro funzionalità ad assicurare la miglior soddisfazione dei creditori siano attestati dal professionista previsto dall'

art. 67

, lett. d),

l. fall

..

In verità, anche in tal caso, la previsione poco aggiunge a quanto già prima, pur in mancanza della esplicita disciplina in esame, era ritenuto ammissibile: il debitore aveva la possibilità di distinguere il trattamento dei suoi creditori chirografari utilizzando l'istituto delle classi ed individuando quale criterio di aggregazione di una classe la natura strategica dei creditori, in quanto fornitori di beni o servizi essenziali alla prosecuzione dell'attività.

Nulla impediva che per la classe dei creditori cd. strategici venisse previsto un soddisfacimento migliore e sinanche il pagamento integrale, in quest'ultimo caso a condizione che venissero integralmente soddisfatti tutti i creditori privilegiati (con la conseguenza che in tali ipotesi anche i creditori chirografari pagati integralmente non potessero votare).

Poichè non v'è alcun motivo di ritenere che tale regola non vi sia più, e che pertanto l'autorizzazione del tribunale ai pagamenti previsti dall'art. 182-quinquies sia subordinata alla verifica inerente al fatto che vi siano concrete possibilità di pagare integralmente tutti i creditori assistiti da una causa di prelazione, speciale o generale che essa sia, la realtà è che, ancora una volta, poco è cambiato rispetto a prima.

Ciò è maggiormente vero ove si consideri che anche prima dell'introduzione della norma di cui all'

art. 182-

quinquies

l. fall

. il debitore in concordato aveva la possibilità di farsi autorizzare a pagare anticipatamente alcuni dei creditori concorsuali, qualificando il pagamento quale atto di amministrazione straordinaria autorizzabile dal giudice delegato

ex

art.

167 l

. fall

..

L'effettiva portata della norma è quindi limitata, oltre che alla necessità che essenzialità per la prosecuzione dell'attività e funzionalità alla miglior soddisfazione dei creditori debbano essere certificate dal professionista attestatore, al fatto che l'autorizzazione al pagamento immediato (ed eventualmente integrale) di un creditore concorsuale chirografario possa essere richiesta, ove quest'ultimo abbia fornito beni e servizi essenziali alla prosecuzione dell'attività d'impresa, contestualmente, o immediatamente dopo, la presentazione della domanda di concordato, (teoricamente) anche nelle forme di cui all'

art. 161,

comma 6

, l. fall

., e quindi in una fase antecedente all'emissione del decreto di ammissione alla procedura.

In tali casi l'organo competente a valutare la richiesta di autorizzazione è il tribunale, in composizione collegiale, previa eventuale assunzione di sommarie informazioni.

Anche l'ultima parte del comma 4 dell'art. 182-quinquies, secondo cui l'attestazione del professionista non è necessaria in presenza di finanza esterna al patrimonio del debitore, di importo pari o superiore a quello dei pagamenti immediati per i quali viene chiesta l'autorizzazione, altro non rappresenta che la presa d'atto dell'inutilità della cautela integrata dalla certificazione del professionista nei casi in cui a pagare alcuni creditori, a partire dai fornitori strategici, sia, nella sostanza, un soggetto diverso dal debitore in crisi; ma è evidente che anche in mancanza di tale norma nessuno potrebbe dubitare della legittimità di un pagamento integrale ed immediato di un creditore concorsuale, qualora il pagamento provenga da un patrimonio diverso da quello di titolarità del debitore in crisi.

La tesi della sostanziale ultroneità della normativa ritagliata per il concordato con continuità aziendale trova infine conforto nella previsione dell'ultimo comma dell'art. 186-bis, secondo cui la cessazione dell'attività d'impresa o l'accertamento della manifesta pregiudizialità per i creditori dell'attività d'impresa comporta l'applicazione dell'art. 173, e quindi la revoca del decreto di ammissione al concordato, fatta salva la possibilità, per il debitore, di modificare la proposta di concordato.

La norma è infatti ritagliata sull'ipotesi in cui il piano divenga infattibile nella sua interezza, donde la residua possibilità, per il debitore, di modificare la proposta, a pena di revoca del decreto di cui all'

art.

163 l

. fall

.

Ed è noto che la maggior parte dei tribunali, nei casi di manifesta infattibilità sopravvenuta di un piano concordatario ritengono che sia applicabile la norma di cui all'ultimo comma dell'art. 173, secondo il quale il decreto di apertura della procedura va revocato per il venir meno di una delle condizioni di ammissibilità della domanda.

Vero è che certamente la norma in discorso acquisterebbe una valenza di rilievo ove si sostenesse, come pure parte della dottrina e della giurisprudenza, anche di legittimità, fa, che la fattibilità del piano sfugga all'ambito di indagine e valutazione del giudice.

In una tale prospettiva essa rappresenterebbe quindi un'eccezione al principio che pretende di devolvere all'esclusivo giudizio dei creditori la fattibilità del piano sottostante alla proposta concordataria.

Dal complesso delle considerazioni sinora svolte discende che le norme autenticamente integranti un aiuto all'imprenditore in crisi, nel percorso verso una soluzione concordataria che garantisca la conservazione ed il risanamento dell'impresa, sono soltanto quelle di cui al comma 2, lett. c), e commi 3, 4 e 5 (prima parte) dell'

art. 186-bis l. fall

.

Il comma 2, lett. c), dell'art. 186-bis introduce la possibilità che il piano possa "...prevedere, fermo quanto disposto dall'art. 160, secondo comma, una moratoria sino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione".

Poichè prima dell'introduzione della norma era diffusa l'opinione secondo cui la proposta concordataria potesse contemplare il pagamento ritardato dei privilegiati, salva corresponsione degli interessi, legali o convenzionali, compensativi del ritardato pagamento, o, in presenza dei presupposti di cui all'

art. 160, comma

2

, l. fall

., salvo calcolo della falcidia conseguente alla mancata corresponsione degli interessi ed attribuzione del diritto di voto per la parte del credito degradata al chirografo in conseguenza del mancato pagamento degli interessi, il significato della norma potrebbe considerarsi quello di autorizzare una moratoria senza corresponsione di interessi e senza riconoscimento del diritto di voto.

Potrebbe autorizzare tale interpretazione la previsione secondo la quale "in tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione...non hanno diritto al voto", nonchè quella secondo la quale la moratoria non scatta qualora "sia prevista la liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione".

I commi 3, 4 e 5 (prima parte) dell'

art. 186-bis l. fall.

disciplinano invece (a parte la previsione generale secondo la quale i contratti in corso non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura, salva la possibilità di scioglimento anticipato

ex art. 169-

bis

l. fall

.) i rapporti tra l'imprenditore che opta per un concordato con continuità e la pubblica amministrazione.

Le previsioni dell'inefficacia di eventuali patti che prevedano la risoluzione dei contratti conclusi con pubbliche amministrazioni in conseguenza dell'apertura della procedura concordataria, nonchè della possibile continuazione dei contratti pubblici dopo l'emissione del decreto di cui all'

art.

163 l

. fall

., a condizione che il professionista attesti la conformità al piano della prosecuzione e la ragionevole capacità di adempimento da parte del contraente in concordato, integrano esse sì delle novità normative degne di nota.

Ciò vale a maggior ragione per la possibilità, ora riconosciuta al debitore in concordato con continuità, di partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, anche quale componente di un raggruppamento temporaneo di imprese, purché nella relazione prevista dall'art. 161, comma 3, sia attestata la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto e qualora vi sia una dichiarazione di un operatore del settore (in possesso dei requisiti di carattere generale di capacità finanziaria, tecnica ed economica nonchè della certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto), di impegno a mettere a disposizione le risorse necessarie e al subentro nel contratto concluso con la stazione appaltante nell'ipotesi in cui intervenga il fallimento della debitrice nel corso della gara o dopo la conclusione del contratto, o in tutti gli altri casi in cui la debitrice non sia più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto.

Quanto alla possibilità per la società in concordato di concorrere anche quale partecipante a un associazione temporanea d'imprese, essa è subordinata alla circostanza che la società ammessa al concordato non sia la mandataria, nonchè al fatto che le altre imprese partecipanti al raggruppamento siano in bonis.

Il tempo dirà se, tenuto conto di tutti i visti requisiti richiesti dai commi 4 e 5 dell'

art. 186-

bis

l. fall

., le norme in discorso potranno avere effettiva pratica applicazione in una prospettiva, quella dell'incentivazione all'utilizzo dell'istituto del concordato con continuità, la cui concreta realizzazione è ancora tutta da verificare.

Va infine valorizzata la sospensione ex lege (decorrente dal momento del deposito della domanda di concordato, anche nella forma della domanda "con riserva" o "in bianco", sino al decreto di omologazione) della disciplina della riduzione del capitale sociale per perdite scaturente dalle norme contenute dall'

art. 182-

sexies

l. fall

.

Queste ultime introducono nuove opzioni per l'assemblea dei soci, specie ove essa sia chiamata a deliberare nell'ipotesi di perdita di oltre un terzo del capitale e conseguente riduzione di questo al di sotto del minimo.

Alle tre opzioni classiche della trasformazione, ricapitalizzazione e scioglimento e liquidazione se ne aggiungono ora altre due, integrate dalla proposta di concordato e dagli accordi di ristrutturazione.

La sospensione dell'operatività delle norme di diritto societario contenute negli

artt. 2446, commi

2

e

3

, 2447, 2482-

bis,

commi

4

,

5

e

6

, e 2482-

ter

c.c.

è finalizzata a favorire una ricapitalizzazione della società di capitali imperniata sulle sopravvenienze attive o sulle plusvalenze scaturite dall'omologazione del concordato preventivo (o degli accordi di ristrutturazione); e non v'è dubbio che tale ricapitalizzazione sia considerata per la sua funzionalità alla prosecuzione dell'impresa.

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